Il viaggio degli inganni

parte nona

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Premessa:  Devo ringraziare Laura che, oltre ad avermi sempre sostenuto ^_^, mi ha dato un validissimo aiuto a strutturare questo capitolo e a correggere tutte le mie sviste. Come sempre, buona lettura.

 

 

Oscar si svegliò almeno un’ora prima che spuntasse l’alba. In realtà aveva realmente dormito poco e a fatica quella notte, tormentata dai suoi stessi pensieri, spaventata e allo stesso tempo ansiosa di sentirlo bussare alla sua porta. Ma lui non aveva bussato, non l’aveva cercata. E come avrebbe potuto, se era stata lei a dirgli che non dovevano più stare insieme, che non dovevano più amarsi? Come avrebbe potuto, se in realtà lui era stato lì con lei tutta la notte?

Perché in realtà lui era stato lì, nei battiti alterati del cuore, nell’agitare convulso dei suoi pensieri, nelle sue orecchie con il ricordo della sua voce, e sulle sue labbra con il ricordo dei suoi baci. Era stato lì tutta una notte con lei. A tormentarla con le sue parole, con le sue mani, con la sua voce, con ogni parte del suo corpo.

Era stato lì anche se lei aveva tentato di sbarrare ogni porta, ogni finestra, ogni fenditura della sua mente. Oscar aveva cercato tutta la notte uno spazio e un tempo dove lui non fosse mai esistito. Non lo aveva trovato, non poteva trovarlo. Perché lui era stato sempre con lei. La sua vita, prima che André ne facesse parte, la ricordava a malapena.

Cosa c’era prima di lui? pensò Oscar, alzandosi dal letto, cosa c’era prima che entrasse nella mia vita quel bambino?

Chiuse gli occhi, per visualizzare un’immagine, qualcosa che la portasse in un posto e in un tempo lontano dove lui non fosse esistito.

La voce di mio padre, questo c’era prima di lui, e i suoi occhi, gli occhi di mio padre.

Ho sempre pensato che mio padre, mentre faceva l’amore con mia madre, le ripetesse, come in un’ossessione… maschio, maschio, maschio.

E non era necessario che lo dicesse con la voce. Tutto di lui lo diceva. Un figlio maschio. Che tortura deve essere stata per mia madre, che tortura deve essere stata per lui. Il piacere e la paura allo stesso tempo.

Poi sono nata io, l’ennesima figlia. Un evento da cancellare, pieno di dolore, pieno di delusione. Una bambina da cancellare. E venne cancellata. Venni cancellata.   

Credo che le due parole che ho sentito di più nella mia infanzia siano state “Mio figlio”.

Due parole che mio padre ha ripetuto a tutti continuamente, per convincere se stesso e il mondo che quell’essere che teneva in braccio era veramente suo figlio. “Figlio”, urlato, gridato, persino cantilenato dalla sua voce come si ripetono gli Ave Maria di un rosario.

“Mio figlio”, due parole che mi ha ripetuto continuamente, con orgoglio, forza, violenza a volte, quando non gli ubbidivo, quando non ero abbastanza coraggioso, forte, audace… quando non ero abbastanza… maschio. Ecco, parlo ancora di me stessa al maschile, come allora.

Vedi André come è ridicolo che tu mi chieda di amarti? Come è ridicolo che tu mi chieda di essere una donna? Parlo ancora di me come se fossi un uomo, anche ora.

Quanti schiaffi ho preso allora? Ho perso il conto. “Servono a far sì che tu diventi un uomo”, ripeteva mio padre. Un uomo a forza di schiaffi, di spintoni, di urla. Ma non so se siano stati veramente gli schiaffi a farmi diventare un uomo o piuttosto siano stati i suoi sorrisi, la sua voce gonfia di orgoglio e di gioia quando facevo qualcosa “come un maschio”.

Esistono dolori più violenti di uno schiaffo. Talvolta un suo sorriso mi faceva più male di un suo schiaffo. E sono stata un maschio, finché non ti ho incontrato, André. Finché attraverso di te, attraverso i tuoi occhi, e la tua voce, e il tuo sorriso non scoprii che anche un maschio può piangere, e può avere bisogno di aiuto, e avere bisogno… di affetto, di calore… di amore… come lo richiedevi quando eravamo bambini, come me lo stai richiedendo ora. E’ grazie a te che sono diventata… una persona. Non un uomo come voleva mio padre, non una donna come voleva sottilmente, di nascosto, mia madre. Ma una persona, almeno quello, almeno questo. Una persona che può sorridere e piangere e avere paura e gioire e soffrire.

Hai bisogno di me, André? Davvero hai bisogno di me? Vuoi un’amante, André? Una donna che faccia l’amore con te? Eccola. E’ qui. Puoi toccarla. Puoi fare l’amore con lei.

In questo nostro mondo, io, la nobildonna, posso fare entrare nel mio letto un uomo qualunque se lo voglio. Lo fanno tutte, purché il mondo non sappia, purché il mondo non sappia che in quel letto non c’è solo sesso, ma c’è anche amore, c’è tanto amore.

Purché il mondo non sappia che nel mio letto  non c’è un uomo qualunque, ma l’uomo che amo…

L’uomo che amo…

La verità, André, è che ti amo, che quella che era nel letto con te non era Marianne. Ero io, ero IO, ero io a cercare i tuoi occhi mentre facevi l’amore con me, a cercare il tuo amore nelle tue parole, nelle tue mani, nei tuoi baci. Ed ero IO a  fare l’amore con te.

Ma posso darti solo Marianne e poi non potrò più darti nemmeno lei, quando saremo a casa. Mancano così pochi giorni… gli ultimi giorni di Marianne… che donna sfortunata che è lei… no… lei può vivere ancora il suo amore, ancora per qualche giorno… può essere felice con te e soffrire quando ti avrà perso… Ha diritto a viverlo, questo amore. Ha la sfortuna di poter vivere, Marianne…  Io sono condannata a non provare neanche la metà di tutto questo, a non vivere mai… a meno che…

Prese carta e penna, e cominciò a scrivere. Due pagine piene di dolore, di gioia e di paura, di coraggio e di amore. Due pagine piene di lei, dei suoi sentimenti. Due pagine racchiuse velocemente in una busta. Un destinatario importante, temuto da sempre quanto amato, un indirizzo ben conosciuto. Ma poi, mentre il sole entrava nella sua stanza, quelle due pagine racchiuse finirono in un cassetto affinché non potessero uscire più, perché rimanessero per sempre rinchiuse in quel cassetto. Ma poco più di un’ora dopo, quelle stesse parole uscirono dal loro rifugio, senza che lei lo sapesse.

 

Il viaggio doveva riprendere. E il convoglio riprese un paio d’ore dopo il suo percorso alla volta della cittadina di Orléans.

André, seduto nella carrozza che attraversava lentamente la campagna, stringeva tra le mani un biglietto. Poche parole, poche parole arrivate alla fine di una notte tormentata, poche parole al posto delle mille che aveva pensato e ripensato, soppesato, calcolato, poi, all’improvviso quasi gridato. Un biglietto al posto di almeno tre lettere diverse che le aveva scritto. In quelle lettere si erano alternati il dolore, la speranza, la rabbia, la richiesta disperata di essere amato, e di nuovo il dolore, l’amore, il desiderio di lei, e persino il tentativo di sedurla, attraverso il veloce muoversi della penna sul foglio. Ma non le fece arrivare nessuna lettera. Una dopo l’altra vennero bruciate, cancellate. Aveva bevuto quella notte, bevuto molto, per impedirsi di uscire dalla stanza e bussare alla sua, per non gridare davanti alla sua porta di fronte al probabile rifiuto di lei di aprirla. Per impedirsi di chiamarla. Con qualsiasi nome lei volesse, con qualsiasi nome che potesse raggiungerla, commuoverla, toccarla, abbracciarla. Oscar, Marianne… amore… non aveva importanza quale nome avrebbe usato. Avrebbe potuto gridare qualsiasi cosa pur di poter stare con lei, ancora, per una notte, un giorno, una settimana… sempre. Così si era stordito con il vino perché gli mancasse anche la forza di alzarsi dalla scrivania, perché gli mancasse la forza di chiamarla, perché gli mancasse persino la forza di respirare, in certi momenti.

Alla fine, una nuova consapevolezza, piena di una tristezza scura e buia che non lo aveva mai ancora sfiorato, toccato nella sua esistenza, si affacciò alla sua mente. Che quei pochi giorni passati insieme, quei primi giorni d’amore tra loro sarebbero stati anche i loro ultimi giorni insieme. Tornati a casa, l’avrebbe persa definitivamente. E non ci sarebbe stata più nemmeno la loro amicizia, non ci sarebbe stata nemmeno più la loro infanzia insieme ad unirli. Erano stati tutto l’uno per l’altra in quei pochi giorni, sarebbero diventati il niente una volta tornati a casa. E non era solamente una sua paura, un timore immotivato, ma una strisciante certezza, carica di altro dolore e di altra rabbia.

Eppure ci sono tantissime altre donne a questo mondo, continuava a ripetersi, mentre una lacrima portava a termine il suo percorso lungo il viso, potrei innamorarmi un miliardo di volte e fare l’amore un miliardo di volte, ed essere felice, ma non posso smettere di amare te, come non ho mai smesso di amarti da quando ti ho conosciuto. Ti ho amato dal primo momento che ti ho visto, ed ho continuato ad innamorarmi di te ogni volta, come se amore si potesse aggiungere ad altro amore, come se ogni volta che ti ho amata fosse come un chicco di grano che si aggiungeva agli altri. E come chicchi di grano sono stati tutti i momenti in cui mi sono innamorato di te da quando ti ho incontrata fino a questo momento.

Il tuo primo sguardo rivolto a me, il tuo primo sorriso, la tua prima lacrima, la tua prima carezza sul mio volto triste, e tutti, tutti i momenti di gioia, e di delusione, e i litigi, e le discussioni, i pugni e le ferite, e l’orgoglio e la fierezza sul tuo viso, quelli sempre, e le tue paure che conoscevo solo io anche quando non le raccontavi neanche a me, e il momento in cui mi sono accorto che stavi diventando una donna, il tuo corpo che cambiava di nascosto, di continuo, i tuoi occhi, e tuoi capelli nel vento, avere voglia di abbracciarti e non poterlo fare…

E poi… solo pochi giorni fa vederti con un vestito da donna e desiderarti come mai prima, e la gelosia e… il primo bacio tra noi e la prima volta che ti ho visto nuda, la prima volta che ho fatto l’amore con te e le altre volte e tutte quelle che vorrei vivere con te. E la tua disperazione ieri notte. Anche allora ti ho amato, anche allora mi sono innamorato di te. Come sempre, come ogni giorno della mia vita. Un altro chicco di grano in mezzo a tutti gli altri. Da solo non conta niente, ma in mezzo agli altri diventa farina, per il pane. Diventa vita. Tu sei la mia vita, il mio amore per te è stato il mio pane. Quello che mi ha nutrito ed ha fatto di me un uomo, perché tu mi hai reso un uomo. Non posso, non voglio rinunciare a te, non posso rinunciare al mio pane… e invece sto per perderti veramente, anzi, ho cominciato a perderti la prima volta che ti ho sfiorato le labbra con le mie labbra ed ho continuato a perderti mentre ti amavo, mentre ci amavamo. Quanto manca ancora a casa? Quanto manca ancora alla fine di tutto?… Io… devo almeno fare un ultimo tentativo… devo poter parlare con lei almeno una volta… devo poter parlare con Marianne. E’ la mia ultima possibilità… Marianne… dipende tutto da te… dipendo io stesso da te.

 

Il convoglio si fermò per la sosta stabilita per il pranzo. I soldati scesero dai cavalli.

Oscar salì velocemente sulla carrozza per consegnare il paniere ad André. Lo appoggiò di fronte a lui, evitando il suo sguardo di proposito. Si voltò, pronta a scendere dalla carrozza, quando sentì una mano aprire lentamente una delle sue.

“André, ti prego, non…”

“Non voltarti, non dire niente, dallo a Marianne, ti chiedo solo questo, vai via ora, ti prego.”

Oscar strinse il biglietto nel pugno e scese dalla carrozza. Si allontanò di qualche metro, perché lui non potesse più vederla. Aprì il biglietto.

 

Voglio che anche voi, Marianne, mi diciate addio,

ma venite a dirmelo di persona, stanotte, alla locanda. Vi prego.

 

Oscar, pallida in volto, richiuse il biglietto e lo nascose nel corsetto.

La sua emozione non sfuggì a Girodel, che nella sua mano nascondeva un altro pezzo di carta.

Una busta, consegnatagli poco prima della partenza del convoglio dal giovane Pierre de La Priere. Qualcosa che forse andava riconsegnato alla persona a cui apparteneva, ma che Pierre aveva consegnato a Girodel. Era giunto il momento di aprirla. Come fa la Perpignac a conoscere il generale de Jarjayes?, si disse Girodel, mentre la risposta si materializzava nei suoi occhi, nella sua mente, prima ancora di aprire la busta. Una risposta, carica di rabbia. Perché, perché non l’aveva riconosciuta prima, perché? Perché non l’aveva riconosciuta in mezzo alle crinoline e ai pizzi, al trucco leggero, perché non aveva riconosciuto nemmeno la sua voce, la voce della donna da cui si sentiva irresistibilmente attratto già da un po’ di tempo? L’aveva persino offesa, trattata come una donna spregevole. E aveva assistito in silenzio all’inizio del suo amore per un servitore. Cercò una conferma veloce alla sua sofferenza e la trovò, scovando la firma in fondo ad uno dei fogli. Poi, ogni parola che lesse lo fece soffrire ancora di più. Le parole di una figlia disperata. Di una donna innamorata. Del suo servo. Perché? Perché, Madamigella Oscar…

Perché siete qui? Ora lo so. Per proteggere lui. Non ho mai provato tanta invidia per un uomo come in questo momento.

Sentì una fortissima rabbia, qualcosa che non aveva mai provato nella sua vita. Lui, sempre così tranquillo, così apparentemente sereno. La sua vita quieta, priva di problemi, priva di qualsiasi preoccupazione…era bastato leggere quelle parole perché la sua vita gli fosse sembrata improvvisamente un inferno. La sua rabbia cresceva senza che lui potesse più contenerla. Lui doveva, doveva fare qualcosa… per quanto assurdo potesse sembrare…

Questa storia deve finire. Prese i fogli e li strinse tra le mani.

Poi, ritrovò almeno in parte la calma. Apparente. Fragile. Svanì.

C’è qualcosa di sporco e immorale in questa storia. Non potete, non potete svilirvi in una storia simile. Maledizione Oscar! Io… io vi… amo… io vi amo e vi guardo mentre vi innamorate…

di un altro… di un altro…

E in quel momento Girodel si rese conto pienamente dei sentimenti che provava per Oscar. E questa consapevolezza non fece che aumentare la sua rabbia. Un desiderio, improvviso. Vendicarsi.

Oscar… vi rendete conto di cosa vogliono dire le parole che avete scritto?… dei rischi che correte scrivendole… dimenticare… dimenticare… voi dovete dimenticarlo… questa storia deve finire qui… ma cosa sto pensando?… sono io l’immorale, sono io la persona sporca che tenta di distruggere l’ amore che provate, sono io che scopro di amarvi solo adesso. Troppo tardi…

Sono maledettamente geloso di voi…

Rimise i fogli spiegazzati nella busta.

“De La Priere! Venite qui!” urlò Girodel.

“Ai vostri ordini, comandante!” Pierre notò l’agitazione a stento trattenuta da Girodel. In quella lettera doveva esserci scritto qualcosa di veramente importante, se leggerla aveva provocato una tale reazione in lui.

“Prendete questa lettera, e portatela al suo destinatario!”

“Ma comandante, non è permesso lasciare il convoglio, ci vorranno dei giorni prima che io ritorni…”

“IO SONO IL COMANDANTE. QUESTO E’ UN MIO ORDINE ! ESEGUITE!”

“Agli ordini comandante!” disse de La Priere, afferrando la lettera.

Partì al galoppo.

 

In serata, in una località non lontana, il duca e i suoi complici stavano preparando un altro piano di attacco al convoglio. La località, Orléans.

“E ‘la nostra ultima possibilità prima che l’imperatore arrivi a Versailles. Questo piano non deve fallire in ogni modo” disse con rabbia il duca.

All’improvviso una porta si aprì violentemente. Ne entrò trafelato uno degli uomini del duca.

“Marcel! Come ti permetti di entrare in questo modo!” disse, irato, il duca.

“Fatemi parlare, vi prego, signor duca! E importante, è… è una cosa della massima importanza!”

“Parla!”

“L’imperatore, l’imperatore è… l’imperatore è…” il ragazzo ansimava.

“L’imperatore è COSA?”

“… e’… già arrivato!”

“Già arrivato ad Orléans?  Come è possibile?. Erano in viaggio da stamattina e non avrebbero dovuto essere lì prima di domani sera, come possono essere già arrivati?”

“No, no, Signor Duca… l’imperatore è… è… a Versailles!”

“Non è possibile!” il duca afferrò il colletto della camicia del ragazzo, strattonandolo.

Il ragazzo a fatica si liberò dalla presa. “I nostri uomini a Versailles lo possono confermare! Sono cinque giorni che l’imperatore è a Versailles, ed ha già incontrato la regina.“

“Ma noi allora CHI stiamo seguendo da settimane? CHI?”, urlò il duca, furente dalla rabbia.

“Un falso convoglio, messosi apposta in viaggio per depistare eventuali attentatori” disse il ragazzo, tremando per la paura di una ritorsione da parte del duca.

“MALEDIZIONE!”, urlò il duca, “Giocato da quell’imbecille di Girodel! Ma me la pagheranno! Me la pagheranno tutti!”

“Signore,  il nostro informatore tra le guardie di Girodel… è qui!”, disse un altro dei servitori.

Che cosa? Cosa sta succedendo? Non doveva lasciare il convoglio! Fatelo entrare, a questo punto voglio sapere tutto!”

Intanto, nella locanda che li avrebbe ospitati per quella notte di viaggio, ad ancora un giorno di viaggio da Orléans, André si stava cambiando per la notte. Aveva sciolto anche il fiocco azzurro che teneva legati i suoi capelli. Aspettava, sperava, le spalle alla porta e al caldo camino acceso, che Marianne entrasse da quella porta. L’avrebbe sedotta, pregata, scongiurata di rimanere con lui quella notte, e l’avrebbe convinta a passare con lui un’altra notte e un’altra ancora… fino a che lei non avrebbe ammesso di amarlo, fino a che lei non avrebbe più potuto fare a meno di lui.

Se Oscar era una certezza dolorosa, Marianne rappresentava ancora la sua speranza, la sua ultima speranza. Sentì bussare. Era lei, ne era certo.

“Entrate, Marianne, per favore” disse, prima ancora di sentire la sua voce. Si sforzò di non voltarsi, di non alzarsi di scatto per correre lui stesso ad aprire.

Un momento di silenzio, un momento che sembrò lunghissimo e interminabile. L’improvvisa paura che lei non entrasse più, che se ne andasse via per non tornare più.

Poi, la porta si aprì. Da uno specchio, di lato, la vide entrare. Bellissima. Era davvero bellissima. E ora che temeva di perderla per sempre, la sua bellezza diventava ancora di più un tormento. Non poterla più vedere… la sua Oscar… 

Oscar appoggiò la schiena alla porta, gli occhi bassi, come a voler cercare parole da dire. Le parole che condannano a morte un amore. Le parole che lo feriscono, lo colpiscono dolorosamente fino a finirlo, le ultime parole prima del silenzio. Prima della fine. 

Lo stesso vestito che hai indossato la prima volta che ti sei vestita da donna… Allora vuoi veramente dirmi addio? No… ti prego… te lo impedirò…

Fu lui ad abbassare gli occhi quando lei, ritrovato il coraggio, si avvicinò al suo letto, alle sue spalle.

“André, io… io sono qui…”

Un’increspatura, un’increspatura lievissima nel tono della tua voce… mi basta questo… ti prego… aiutami… aiutami a non lasciarti andare…  

“Io, sono qui per… dirti…”

Che non posso stare senza di te… André…

Dimmelo, dimmelo che mi ami, dimmelo con qualsiasi nome, e farò qualsiasi cosa per difendere questo amore, ti prego…

Non posso dirtelo… non posso dirti che ti amo, André… io… non ce la faccio…

Oscar, dammi un’ultima possibilità… ti scongiuro…

“Per dirti… a… addio!”

Eccola, l’increspatura, l’alterazione della tua voce. Nel dirmi addio, stai piangendo? Non voglio che tu pianga… ma ora so per certo che mi ami… non avevo bisogno che di sapere questo… non uscirai da questa stanza… non uscirai dalla mia vita… ti renderò felice… sarò felice… ti amo.

In un attimo fu accanto a lei e l’abbracciò, Oscar non riuscì più a nascondere il pianto, confusa, persa, protetta, dal calore di lui. André cominciò a baciarla con tanti piccoli baci sulla fronte, sulle guance, vicino agli occhi.  

“Non abbandonarmi, Marianne, non lasciarmi, io ti amo, ti amo tanto.”

“André, lo sai che Marianne non potrà vivere ancora a lungo, manca così poco…”

“Lasciala vivere fino ad allora, ti prego, io ho bisogno di lei, come lei ha bisogno di me. Io la renderò felice. Tu sai che posso… tu sai che voglio che sia felice…”

E fu Marianne allora a baciare André, con tutto l’amore e la passione di cui era capace, mentre lui la stringeva a sé nell’abbraccio.

 

Nel frattempo, nella località segreta, rifugio del duca d’Orléans, Pierre de La Priere, l’uomo spia del convoglio, si avvicinava al duca, con in mano alcuni fogli di carta strappati.

“Signore, l’ho spiata per giorni, l’ho persino corteggiata, ma non mi ero minimamente reso conto di chi fosse in realtà… ma ora credo di potervi dire con certezza chi è la donna che ha sventato l’attentato a Digione, chi è in realtà l’amante dell’imperatore!”

“Cretino! Chi è l’amante del finto imperatore, vorrai dire!”

“Finto imperatore? Io… io… non capisco…”

“C’è poco da capire! Dammi quei fogli! Chi è quella donna? E chi è il finto imperatore?”

Il duca strappò con rabbia i fogli dalle mani di Pierre. Dopo qualche istante, il Duca li fece in mille pezzi. “ Oscar…. Oscar… OSCAR DE JARJAYES, sempre lei! La puttana e il suo attendente! Giocati da quella puttana e il suo attendente!”

I servitori del duca tremavano. “Il piano va avanti lo stesso. Con una sola differenza. Il nostro obiettivo non è più l’imperatore. E’ LEI, che voglio morta! Non tornate senza averla uccisa. Voglio vedere il suo sangue sui vostri vestiti. O spargerò il vostro di sangue!” disse con rabbia e furia il duca.

“Divertiti, puttanella… questa è la tua ultima notte!” mormorò, mentre i servitori sparivano velocemente.

Nella stanza della locanda il fuoco del camino andava lentamente spegnendosi, mentre Marianne continuava a stringere a sé l’uomo che amava. A sorridergli, ad accarezzarlo, a baciarlo. Ad essere felice, semplicemente, e a renderlo felice. Ad amarlo, come lui voleva, come lei voleva. E continuò ad amarlo per ore, addormentandosi alla fine al suo fianco.

 

 

Continua...

mail to: f.camelio@libero.it

 

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