Processo ad una intenzione

 

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Note:  

Nota dell’autrice: L’idea di un racconto talvolta nasce quando meno te l’aspetti. Il tema trattato, legato alla celeberrima scena dell’episodio 28, in cui André confessa violentemente il suo amore per Oscar, è stato ampiamente trattato e può considerarsi ormai “tradizionale” in una fanfic su Lady Oscar, io stessa l’ho già ripreso in altri racconti (“Dieci giorni”, “Una farsa inutile”).

Ma questa breve fanfic nasce all’indomani della lettura della bellissima “Davanti al mare” di Sonia Morganti, pubblicata sempre su questo sito e che riprendeva quel tema, visto dall’ottica di Oscar. Come vedi, Sonia, anch’io sono capace di farti delle sorprese. ^___^. Quello che segue è una sorta di proseguimento, o completamento di quel racconto, visto dall’ottica di André, in questo caso.

Come sempre, i personaggi non  appartengono a me ma a R. Ikeda e alla TMS.

Buona lettura!

 

Posso metterla via, riporla nel cassetto, l’ultima mia reliquia. L’ultima reliquia che conservavo di te. Non ha più niente di te, ora. Non avrei mai pensato che avrei tenuto così tanto ad una cosa apparentemente così banale, così comune, quotidiana. All’improvviso è diventata importante. All’improvviso, tutto ciò che ti appartiene, è diventato importante.

I tuoi oggetti, la tua voce, persino il rumore dei tuoi passi, la tua ombra disegnata su un muro.

Tutto, perché tu non ci sei. Perché sono tre giorni ormai che sei lontana da me.

Perché sono tre giorni, che cerchi di dimenticarmi.

Una tua camicia, una semplice camicia. Qualcosa che hai lasciato qui, nella tua frettolosa fuga.

Ma che aveva ancora qualcosa di te. Una scoperta casuale, una follia. Ho scoperto che aveva addosso il tuo odore. E allora l’ho presa con me. Folle. Io sono un folle, non c’è altra spiegazione. E ora che ha perso il tuo odore, ora che si è confuso con il mio, sento come se ti stessi perdendo di nuovo. Definitivamente, forse. irrevocabilmente, probabilmente.

Eppure, l’esperienza di perderti mi è così familiare… è già successo tante volte…

Ma ogni volta riuscivo a ritrovarti… no, eri tu che ritrovavi me, che sceglievi di ritrovarmi, di tornare al mio fianco. No, in realtà mi ricordavi, semplicemente, che da me non ti eri mai allontanata, che da me non ti saresti mai allontanata veramente, definitivamente.

Così il tuo sorriso invariabilmente finiva per cancellare la mia paura, le tue parole mi confortavano, anche quando erano dure, o tristi, o rabbiose, perché a me erano dirette. A me, solo a me.

Questo era il mio privilegio. Essere il tuo unico riferimento.

Questo era il nostro legame, Oscar. Fatto di gioco, di complicità, di protezione reciproca, di sberleffo, a volte, di inquietudini passeggere, che sparivano, semplicemente, come erano venute.

Ed ogni volta, quando credevo di averti perso, le tue parole, i tuoi gesti, i tuoi atti ti restituivano a me. Mi dicevano: lei ti vuole bene, lei ti vuole ancora bene. 

Anche quando avrei voluto che fossero state le tue braccia a rassicurarmi, anche quando avrei voluto che fosse stato il tuo corpo, le tue labbra.

Mi bastava quello che avevo. Era tanto, ora me ne rendo conto. E mi sembrava che fosse niente. Volevo di più, e già avevo quello che volevo. Cieco. Lo sono sempre stato, in realtà. Cieco nei tuoi confronti, incapace di leggere dentro di te. Incapace di aiutarti, di capirti, di esserti accanto veramente. Cieco, tra non molto lo sarò per sempre. E ora, mi preparo ogni giorno a non poterti più nemmeno vedere, a non poter più vedere i tuoi occhi… No, non è vero, non mi sto preparando affatto, ancora, dentro di me, coltivo le mie speranze, folli. Continuare a vederti, continuare ad amarti. Entrambe follie, pensieri disarticolati e sconnessi di un uomo impazzito. Impazzito per te.

E ora, il processo di cui sono l’unico imputato è iniziato, a molte miglia da qui. Su una spiaggia, probabilmente, mentre il vento muove i tuoi capelli al suo ritmo, alla sua volontà. Il tuo processo a me è iniziato, nei tuoi pensieri, nel tuo cuore. Tu sei il mio giudice.

Devo difendermi.

 

Incapace di intendere e di volere. Questo si potrebbe dire a mia discolpa.

Sì, Oscar, io sono folle, folle d’amore e di disperazione. Ora conosci la mia follia, l’hai sentita sul tuo corpo, l’hai sentita nella tua anima. Ma non sono incapace di volere, di desiderare ancora, di desiderare di essere felice, di desiderare di saperti felice. Non sono incapace di lottare per te, per tutto quello che rappresenti per me.

 

Abbi pietà di me, amore mio. Io ho sbagliato.

 

Non posso fare altro che pensare, ora, rinchiuso in questa stanza, che ha tutto di te. Che ha tutto di noi. Le nostre risate, i pianti, le nostre paure. E tutto di te. Questo letto conserva l’impronta del tuo corpo. Cos’altro mi è rimasto di te?

Sì, io ho sbagliato, non ho capito.

Me lo ricordo quando salvasti Maria Antonietta da una probabile e pericolosa caduta da cavallo, quando offristi il tuo nome, quello dei Jarjayes, prima, e la tua vita stessa, poi, per tentare di salvarmi.

Non avevi nient’altro che quello da offrire in cambio: il tuo onore e la tua vita giovane, di ragazza.

Ed offristi entrambi. Eri pronta a sacrificarli entrambi. Per me. Non potevi amarmi di più.

Non esiste un amore più grande di questo. Ma io non ho saputo vederlo. Vederlo fino in fondo.

Ed esserne felice, magari.

Avrei voluto tanto essere tra le tue braccia, perché avrebbe significato essere nel tuo cuore.

Non sapevo di essere, perfino, nella tua anima.

Così il tuo scherzo, la tua apparente ironia di quel pomeriggio di tanti anni fa, quando ti riprendesti dalla ferita subita, finì per ferirmi lo stesso, anche se sapevo quanto tu tenessi a me.

Il mio occhio ferito. Ricordo le tue attenzioni, la paura segreta, la rabbia malcelata dal tuo volto apparentemente tranquillo, rassicurante. Il tuo desiderio di vendetta. Non ti sosteneva più il tuo dovere di soldato, ma la tua rabbia, verso Bernard che mi aveva colpito. Come se avesse colpito te. Ricordo il tuo sgomento, la tua ira, il tuo furore quando ti venne detto che non avrei visto più. Avresti voluto ucciderlo, Bernard. Lo avresti fatto. Per vendicare me, per vendicare il tuo dolore, perché eri stata ferita anche tu con me. Nell’anima.

Ma lo hai liberato. Perché te l’ho chiesto io. Hai rinunciato alla tua vendetta per me. Di più. Hai rinunciato alla possibilità di una promozione, di coronare il sogno di tuo padre, il tuo sogno, probabilmente, per realizzare un mio desiderio, che ti sarà sembrato perfino un capriccio forse. Ma lo hai esaudito. Hai pagato il prezzo del tuo affetto per me. Del tuo amore per me.

Per non deludere me. Perché io ero più importante, dei tuoi sogni, dei tuoi desideri, del tuo onore, del tuo dolore, del tuo odio. Di te stessa, perfino.

 

Abbi misericordia di me, amore mio. Io ho sbagliato.

 

Neanche allora ho saputo vederlo, il tuo amore. Ed ora sono qui a rimpiangerlo. Sono qui a desiderare qualsiasi cosa di te. Qualsiasi cosa, da te.

Persino il tuo amore per Fersen, quell’amore che mi ha straziato dentro, per tanti anni. L’amore per un uomo che sapevi bene non ti avrebbe mai amato. L’amore per un uomo che non c’è, e che non ci sarebbe mai stato. Perché soffrire, se già sapevo che così sarebbero andate le cose? Perché non lasciartelo vivere, quell’amore fatto di pura illusione, di sogno quasi infantile, a te che l’amore non ti è stato concesso nemmeno pensarlo. E che men che mai ti sarebbe stato concesso di provarlo per me.

Ma tu li hai giocati tutti, amore mio, tutte le convenzioni e le regole. Tu mi amavi.

Il tuo amore per me, impossibile esattamente quanto il mio per te.

 

Abbi considerazione di te, amore mio. Tu non hai sbagliato.

 

Ho sempre pensato che un giorno mi avresti amato. Sentito, sognato, desiderato. Non sapevo che tu mi amassi. E ti ho persa.  

Ora è sceso il silenzio, il silenzio della tua anima ferita. E in questo silenzio non ci può più essere posto per il tuo amore per me, non ci può più essere posto per il tuo affetto per me.

Non ci può più essere posto per un amore che non conoscevi e che io non ho saputo riconoscere dentro di te. A cosa mi è servito poter vedere, finora, se questo amore io non l’ho visto?

Riesco a vederlo ora, che non posso quasi più vedere te. E mi strazia più di quella che credevo essere la tua indifferenza. Mi tormenta di più di quello che credevo essere il tuo rifiuto.

Ti ho persa. Questo è tutto. In certi momenti, come ora, è troppo.

 

Respiro forte ora, cerco di inalare tutto l’ossigeno rimasto in questa stanza chiusa da tre giorni. Devo continuare a respirare, anche se non ne ho voglia, fino a che di ossigeno non ce ne sarà più. Ne rimarrà per un ultimo respiro e avrò smesso di pensare a te. Sarei felice, allora, di respirare.

Ma l’ossigeno non sembra finire mai, come la mia sofferenza, come il mio rimorso.

 

Abbi compassione per me, amore mio. Io ho sbagliato.

 

Eppure, la mia intenzione era un‘altra. Ti giuro, era un’altra. Io volevo proteggerti. Mi sono cullato per anni nell’illusione di riuscire a proteggerti. Dalle ferite del corpo, da quelle dell’anima. Questa era la mia missione. Molto più di un incarico, molto più di un dovere. Ti avrei difeso da chiunque avesse voluto farti del male. Chiunque.

Ma quante volte non ho potuto aiutarti?

Ricordo il mio senso di impotenza, la sera prima del duello con il duca di Germaine. La mia paura, il desiderio soffocato a stento di portarti via da lì. Al diavolo il tuo onore, se c’è in gioco la tua vita, mi ripetevo. Ma non era possibile. Tu non avresti accettato, e io non te lo proposi.

Il desiderio di tenerti tra le mie braccia, quella sera che poteva essere l’ultima al tuo fianco. Ma tu non avresti mai accettato, e io non te lo proposi.

Il mio sollievo, quando fallì il tiro. Ma non ti avevo protetta.

 

E poi, esistono molti modi per uccidere qualcuno. Quanti pettegolezzi su di te ti hanno colpito, ferito, in questi anni a Versailles? Quanti idioti hanno avuto il tuo nome sulle loro labbra? Non potevo proteggerti da loro. E ti ferivano, sicuramente.

 

Abbi comprensione per me, amore mio, io ho sbagliato.

 

Le prove a mio carico.

Una camicia strappata, le tue lacrime, la tua paura, il tuo corpo che tremava.

Sono perduto. Ai tuoi occhi non ho scuse. Il mio delitto. Eppure, ti giuro, quando sono entrato nella tua stanza non era quella la mia intenzione.

Io ero triste, preoccupato, deluso. Per una volta nella mia vita non volevo rimanere in quella stanza con te. Volevo rimanere solo, ubriacarmi, non pensare né al dolore, né alla paura. Ma tu… tu mi abbandonavi…

Io volevo ragionare con te, almeno, lo credevo. Ma quello che ti ho detto è risuonato nella tua anima come una beffa. Io non volevo farti sentire ridicola. Io non potevo abbracciarti, non potevo consolarti. Io volevo che tu mi abbracciassi, che tu mi consolassi.  Ed ho finito per ferirti. Ti ho detto una cosa ridicola. In un altro momento ne avresti riso, ma in quel momento ti ha ferita.

Il dolore del mio occhio ferito e schiaffeggiato da te, senza pietà, il tuo viso, i tuoi polsi trattenuti dalle mie mani. La rabbia nei tuoi occhi. Avresti voluto prendermi a pugni. Ti aspettavi questo da me. Volevi questo da me. Ero io a non volerlo più. Il mio dovere sarebbe stato calmarti. Ma io non ero calmo. Io ero furioso. Con te, che mi ferivi, che mi abbandonavi.. Ero io ad avere bisogno di te. Tanto bisogno di te…   

 

Abbi pietà di me, amore mio, io ho sbagliato.

 

Non ho più altro da dire, non ho nient’altro da portare a mia difesa.

Non ho testimoni a mio favore. Solo tu conosci il mio amore per te. Nessun’altro può testimoniarlo.

Non ho attenuanti.

Attendo il tuo giudizio.

Scende la sera, copriti, non prendere freddo. Mangia, non bere. Non lasciare che il dolore ti sommerga. Lascia che sia io a provarlo. Solo io.

 

Abbi cura di te, amore mio. Io solo ho sbagliato.

 

Da tre giorni cerchi di darti una spiegazione razionale di quello che è successo tra noi.

Non cercarne, Oscar. Una ragione non c’è. Non ce n’è una razionale, almeno.

Non è razionale il mio amore per te, non è ragionevole la mia passione per te, non è sana la mia dipendenza da te.

Da tre giorni cerchi di trovare delle scuse al mio comportamento. Sono sicuro che stai facendo questo.

Non ce ne sono, Oscar, non ce ne sono davvero.

Io non ne trovo, non trovarle tu per me. Io non le merito. 

 

Ma ricorrerò in appello, alla prima occasione, te lo giuro. Perché ti amo. Perché non posso fare a meno di te. Per me. Per te.

 

Abbi pietà di me, amore mio. Io ho compreso.

 

Fine

mail to: f.camelio@libero.it

 

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