Un mantello nero

parte VII

 

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Giorni passati, senza di lui. Senza alcuna notizia. Perduto. Perso. Per sempre.

E la vita di Oscar aveva ripreso il suo corso. Apparentemente. Fuori. Non dentro di lei.

Non nei suoi pensieri. Non nei suoi sogni. Non nei suoi desideri.

I primi giorni, quelli più tristi, si scoprì a guardare dalla finestra, come se attendesse di vederlo arrivare da un momento all’altro. Sapeva fin troppo bene che non sarebbe stato così. Non lo avrebbe più visto arrivare, da quella finestra.

Non sarebbe tornato, André.

Non dopo quello che si erano detti. Quello che lui le aveva detto. E soprattutto non dopo quello che lei non gli aveva detto. L’aveva lasciato andare via in silenzio. L’aveva lasciato perdersi nel buio di una notte. E quando ormai non poteva più vederlo, aveva capito che avrebbe voluto lei perdersi nel buio della notte, con lui.

Poi, lui cominciò a scavarla, dentro.

E cominciò dalle cose più banali. La fame e il sonno, perduti. Guardarsi allo specchio e non piacersi, non piacersi affatto.

Poi, lui divenne più sottile. Divenne un nome, una cosa in apparenza banale. Ma ripetuto mille volte nel corso della giornata nella sua mente. Sussurrato sottovoce altre mille volte, nell’agitarsi convulso delle lenzuola, dei cuscini spostati, dei libri lasciati a metà, mai finiti, anche se rimaneva sveglia a guardarli, sopra il comodino.

Allora si rese conto che era diventato la sua ossessione. Finché non si accorse che quello che le succedeva in quei giorni era qualcosa di ancora più doloroso. Una notte Oscar capì di avere un graffio. Un graffio sul cuore. Un graffio, al di là del suo seno, della sua pelle, della sua stessa carne. Era il suo cuore ad essere stato graffiato. La ferita nascosta al di là della superficie apparentemente intatta. Al di là del suo sguardo, delle cose di tutti i giorni. Al di là dei suoi vestiti, dei suoi movimenti. Quello era il suo dolore. Questo era il suo delirio.

E la sua rabbia.

 

Avresti dovuto prendermi, André, se è questo che volevi.

Avevi già cominciato, perché ti sei fermato? Non lo volevi più, forse? Non mi volevi più?

Avresti dovuto fare l’amore con me, se è questo che volevi da me.

Avresti dovuto togliermi il respiro con i tuoi baci, se questo volevi, invece di avvelenare ogni mio pensiero con il tuo nome. Quel nome che ripeto ossessivamente da giorni nella mia mente, ogni volta più dolorosamente. Tu mi togli il respiro ogni attimo, ogni volta che ripeto il tuo nome. Ogni volta, ogni giorno. Ogni giorno di più.

Mi hai riempita di parole. Ma dov’erano le tue labbra?

Mi hai accarezzata con il tuo sguardo. Ma dov’erano le tue mani?

Dove sei, André?, Dove sei, adesso che so di amarti?

 

Quando una sera, le fu annunciato il cognome, Grandier, per un attimo Oscar pensò che lui era tornato da lei, finalmente. Che gli avrebbe detto in faccia tutte le cose che da tempo voleva dirgli. Quanto lui si era dimostrato stupido, e idiota, e vigliacco. Perché l’aveva abbandonata. Ma più di ogni altra cosa, lei voleva dirgli che lo amava. Ma il Grandier che chiedeva di entrare nella sua casa, non era André. E non chiedeva di parlare con lei. Era venuto per parlare con suo padre. Non la degnò nemmeno di uno sguardo, quando il padre di André la vide, in cima alle scale. Le passò accanto. Nanny  osservava la scena, in disparte, il volto teso. In attesa. Di qualsiasi cosa fosse successa.

 

Oscar vide suo padre impallidire, quando Jarjayes si rese conto di chi aveva di fronte. Come se avesse visto uno spettro, un fantasma.

Frettolosamente, senza cerimonie, lo fece entrare nel suo studio.

Chiuse la porta. L’incontro tra i due uomini non poteva che essere riservato.

Oscar andò nella sua stanza, prese un foglio. E passò tutto quel tempo a pensare a cosa scrivere su quel foglio. Poi alla fine, scrisse l’unica cosa veramente sensata che pensava. Lo chiuse in una busta e lo affidò a Nanny, perché lo desse lei al padre di André.

Nello studio invece, la resa dei conti tra i due uomini, amici in gioventù, era invece solo appena iniziata.

 

Seduti, l’uno di fronte all’altro. Una bottiglia di cognac. Due calici. Jarjayes si prese l’onere di essere lui a servire l’ospite. Aveva dato alla servitù l’ordine di non entrare per nessun motivo. E il suo tono non ammetteva repliche. Quindi certi doveri spettavano a lui, ora.

Jarjayes guardava, visibilmente preoccupato, il suo ospite. Non sapeva cosa dire. Non sapeva cosa aspettarsi da lui. Intuiva, non senza timore che non sarebbe stato, comunque, niente di buono.

“Reynier, sei silenzioso. Ti dirò che da te mi aspettavo un altro tipo di accoglienza, dopo tutti questi anni. Non mi chiedi neanche come sto?”, un sorriso ironico.

“Sì, certo. Ma non mi sembra che tu stia male, a giudicare dai tuoi vestiti.”

“L’apparenza, certo, dimenticavo quanto fosse importante per te, questo aspetto della vita umana. Sì, ho fatto fortuna. Sono un banchiere, ora. Un borghese. Non mi posso certamente lamentare della mia condizione economica. Ci avresti mai creduto, tanti anni fa? Avresti mai creduto in me, Reynier?”

“Io credevo in te, tanti anni fa. Non lo ricordi? Non sono stato io a prendere quella sbandata...”

Il padre di André si alzò in piedi, di scatto. Strinse il pugno, forte. “Non definirla sbandata. Non lo è stata, Hélène non è stata una sbandata. Era la mia donna. Finché è stata su questa terra io l’ho amata. Io ho avuto il coraggio di seguire il mio istinto. Io ho avuto il coraggio di amarla. E di cambiare la mia vita per lei. Sono stato coerente, con il mio amore. Con me stesso, soprattutto. Non si può dire altrettanto di te, Reynier.”

“E secondo te, abbandonare una moglie e un bambino è un atto di coraggio? Tu hai ucciso Marie. Che grande che era il tuo amore…” rispose, ironicamente.

“E tu hai ucciso André, Reynier. Tu hai ucciso mio figlio.”

Jarjayes si alzò in piedi. Con rabbia alzò il pugno verso l’alto.

“Ti sbagli. Io l’ho salvato dalla morte. E da una vita di miserie. Cosa pensavi che potesse fare tua madre da sola, con un bambino così piccolo?. Il denaro finisce presto, quando lo si può solo spendere. Io ho fatto da padre ad un bambino che non era mio figlio. Gli ho fatto dare un’educazione. Gli ho insegnato come vivere nel mondo. In modo onesto. Non gli è mancato niente. Tu, che ne eri il padre lo hai abbandonato. Dovresti ringraziarmi. Sì, tu dovresti ringraziarmi!”

“Ringraziarti? Di cosa? Di averlo messo a strigliare cavalli? Di averlo messo a servire a tavola? Sapevi bene che quello non era il suo posto, Reynier. Cosa gli hai fatto credere? Che lui fosse nessuno?”, disse il padre di André, con malcelata rabbia.

“Meglio fargli pensare di essere nessuno, e consentirgli di diventare un uomo onesto, piuttosto che un imbroglione e un delinquente come te!”

“Fossi in te, Reynier, abbasserei il tono di voce. Le apparenze ti hanno fatto dimenticare chi sei, in realtà. Troppo vino a Versailles, troppi merletti, evidentemente. Non sei affatto diverso da me. Ricordi? Avevamo un sogno in comune, tanto tempo fa. E abbiamo fatto molte cose per conseguire i nostri scopi. Non tutte note. E non credo sia il caso che divengano tali. Qualcuna a mio personale parere è perfino indegna di un generale francese.”

“Tu mi spingesti a quella scelta, tu mi allettasti. Sei un serpente!”

“Io ti proposi quello che cercavi. E nel momento più opportuno. Dovresti fare un plauso alla mia intelligenza. Dovresti essermene grato, Reynier”

“Vi guadagnasti più che a sufficienza. Io ti ho ripagato. Abbondantemente. Cosa vuoi da me, ora? Perché sei tornato?”

“Noto un sottile timore nei tuoi occhi, Reynier. Sottile ma contenuto. Non si addice al grande generale di mostrare la paura. Hai appreso bene il tuo ruolo, la tua parte. Sì, in effetti meriti di essere quello che sei. Non lo hai guadagnato sul campo, però, tutto sommato la parte ti si addice. E’ perfetta, per te. Comunque, hai ragione di temermi. Ho molti conti da saldare, in Francia. E c’è anche il contenzioso tra noi, tra questi.”

“Tu non puoi farmi niente, miserabile. Se io raccontassi chi sei…”, disse Jarjayes, alzando il tono di voce.

“Se tu raccontassi chi sono, non cambierebbe nulla. Il patrimonio l’ho creato io. I soldi sono i miei. La banca è la mia. Il mio patrimonio non è un imbroglio. E la gente continuerebbe ad avere bisogno di me. E tu non sai quanta gente ha bisogno di me… tu non immagini nemmeno chi ha bisogno di me. Se viceversa io raccontassi qualcosa di te, generale de Jarjayes, tu saresti, semplicemente, rovinato”. Quell’ultima parola, detta con un tono volutamente più leggero, ebbe l’effetto di uno schiaffo, per Jarjayes, che ebbe timore di aver già detto troppo e temeva, ancora di più, quello che lui, invece avrebbe potuto dire.

“Allora cosa vuoi da me?”, disse, con un tono più basso.

“Per ora niente. Solo una visita di cortesia. Un incontro tra due vecchi amici. Non lo siamo stati, per tanto tempo, Reynier? Ah, André ora è con me. Vive con me. Come immaginerai, vive abbastanza bene con me. Attualmente non deve strigliare i cavalli che monta. E’ un primo, significativo, passo.

Immagino che per te questa soluzione vada bene. Bella donna, tua figlia. Scusami, avrei dovuto dire figlio. Sei sempre stato un po’ folle, in certe tue idee. Niente male, come imbroglio. Io non l’avrei architettato meglio. Sei un maestro, Reynier. Decisamente. Un giorno di questi potrei anche prendermela, tua figlia. E’ una bella ragazza, nonostante i suoi modi lascino a desiderare…”

Non riuscì a finire la frase che si ritrovò afferrato per il colletto della camicia da Jarjayes, furente dalla rabbia.

“Lascia stare Oscar. Non osare metterle una sola mano addosso.”

“Chissà, forse, se la tua diletta figlia sapesse chi è suo padre e conseguentemente chi è lei in realtà, cambierebbe atteggiamento. Potrebbe persino trovare interessante uno come me. Se non mi lasci subito il collo, Oscar sarà solo la prima delle persone informate del tuo segreto. Il mondo potrebbe anche dimenticarsi di te, dello scandalo che ne deriverebbe, dopo un certo tempo. Ma lei no. La tua amata Oscar no. Lei non potrebbe. Lasciami stare, Reynier. Ti conviene. Dammi retta.”

Reynier lasciò la presa. Il suo sguardo tradiva la consapevolezza di essere in trappola.

Allora chiese pietà.

“Fai quello che vuoi di me. Ma lascia stare lei. Lei non ti ha fatto niente. Di me fai quello che vuoi. Io ho vissuto la mia vita. Se finisse ora avrei solo pochi rimpianti. Ma lei è tutto quello che ho. Lasciala stare. Ti prego.”

“Non sono io a volerla, Reynier. Non è il mio tipo, in verità. Preferisco un tipo di donna più… femminile, quantomeno. E’ qualcun altro, in effetti, a volerla. E se la vorrà ancora, la avrà. Provvederò io a far si che questo avvenga, Reynier. Per ora non ho altro da dirti.”

“… cosa? Di cosa stai parlando?”

“Di niente che possa veramente interessarti, Reynier. Torna al tuo esercito, ai tuoi soldati e alle tue armi. Per ora non ho niente altro da dirti. E’ stato un piacere, rivederti, amico mio.”

Si allontanò senza dare la possibilità di una replica. Jarjayes si lasciò cadere sulla poltrona. Non riusciva a pensare ad altro che alle sue ultime parole. A sua figlia, e al suo mondo che sarebbe scomparso. Guardò le pareti della stanza, il velluto che le ricopriva, e i quadri, i mobili, i libri stipati nella libreria antica. Disse  a se stesso, con sgomento: “E’ tutto finito.”       

 

 Intanto, il padre di André era arrivato velocemente alla porta principale. Del resto conosceva bene quella casa. La ricordava nonostante fossero passati molti anni dalla sua ultima visita. Stava per uscire. Per un istante si scoprì a chiedersi in quale di quelle stanze fosse morta lei. Sua moglie. Abbassò gli occhi, mestamente. A tuo figlio renderò un servizio migliore, Marie, te lo giuro. Pensò, con lo sguardo rivolto verso lo scalone. Si accorse che sua madre lo aveva raggiunto.

“Come sta André, ora?” chiese Nanny, senza nascondere, nel tono di voce, la sua apprensione.

“Sta bene, mamma, stai tranquilla. Dovresti vederlo ora. E’ un’altra persona. Vieni con me. Non dovresti restare qui nemmeno tu, lo sai.”

“No, non verrò. Mi conosci e sai che non verrò. Ma puoi dare questa lettera da parte mia ad André, per favore.”

 Prese la lettera e la infilò nella tasca della giacca.

“Mamma, per favore pensaci. La mia casa è la tua casa, non potrebbe essere che così. Sarebbe giusto che anche tu riprendessi il tuo posto nel  mondo.”

“Il mio posto è qui. Sono troppo anziana per cambiare abitudini, ora. Lascia stare.”

“Va bene, ma in qualsiasi momento tu abbia bisogno mandami a chiamare, per favore. E se puoi vieni a trovare tuo nipote. Ha bisogno anche di te. Forse più di te che di me”.

“Va bene, verrò presto. Ora vai.”

“A presto, mamma.”

Oscar si affacciò dalle scale. Nanny le fece un cenno di intesa. Il suo messaggio era partito.

 

Quando André ricevette la busta, la sera stessa, la mise sul comodino. Aveva ancora da studiare, per quella sera. E il piacere di leggere le righe di sua nonna meritava una sua attenzione maggiore, e un momento più tranquillo. Finì di studiare a notte alta. Era tentato di non aprire la busta, di rimandare al giorno dopo quella lettura. Poi la curiosità prese il sopravvento sulla stanchezza. E le uniche parole contenute nel foglio che vi trovò scritte ebbero il potere di sconvolgerlo. Calligrafia incerta, ma indubbiamente la sua. Poche parole, e un miliardo di possibili significati. Di possibili intenzioni. Di possibili sentimenti, di possibili emozioni. Che si confondevano con le sue intenzioni, con i suoi desideri, con le sue emozioni. Perché voleva vederlo?  Si rigirò nel letto, sognandola mentre gli avrebbe detto che lo amava, finalmente. Si rigirò ancora nel letto, nell’incubo di sentire invece le sue parole di addio definitivo. Si nascose sotto le coperte, nell’angolo più buio quando sognò di  vederla abbandonarsi a lui. Alle sue carezze.

E André perse il sonno, quella notte, a cercare di capire cosa volessero significare. Ma con una sola certezza. Sarebbe andato, all’appuntamento che lei gli aveva proposto, per l’indomani.

 

 

Continua...

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