Capodanno di fine millennio

parte prima

 

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Parte 0 (una piccola premessa)

Fino a non molto tempo fa, non mi sarei mai sognata di scrivere una fanfiction, né, tantomeno, di incentrarla su Oscar e André, che pure così tanto avevo amato quando ero ragazzina (e non solo allora...).

 

Poi, quasi per caso, ho scoperto questo sito e... mi si è aperto un mondo.

Ho passato una settimana a leggere i bellissimi racconti pubblicati: mi hanno coinvolto, divertito, appassionato.

In particolare, sono rimasta tantissimo colpita dai racconti di Alessandra: non solo per la scrittura, perfetta, ma anche per l’intreccio delle storie, mai banale, e per la capacità di creare suggestioni, atmosfere e sensazioni.

 

Devo a lei se, a distanza di anni, mi è tornata voglia di scrivere.

 

Dedico questo racconto, quindi, in primis,  ad Alessandra, che mi ha ispirato, che mi ha dato un aiuto indispensabile con i suoi consigli sempre azzeccati, la sua lettura attentissima, i continui incoraggiamenti, e che ha proposto il mio racconto a Laura perché lo pubblicasse.

 

Lo dedico a Laura, ringraziandola per il sito e per avermi dato la possibilità di pubblicare la mia storia.

 

Lo dedico a tutte (tutti?) voi che continuate a fare vivere una storia bellissima e che mi avete dato mille idee per il mio scritto.

 

Lo dedico, infine, a chi, in queste settimane, mi ha supportato e sopportato con pazienza e fiducia, lasciandomi lavorare fino a tardi senza protestare.

 

Spero vi divertiate a leggerlo quanto io mi sono divertita a scriverlo.

 

Fanny

 

Parte I

 

(colonna sonora per il viaggio: Jeff Buckely: Grace; tutto il cd!)

 

 

Parigi, 23 novembre 1999 ore 19.50

 

Oscar Françoise de Jarjayes usciva correndo dall’ufficio in Place de la Concorde per raggiungere il suo gruppo nella piccola sala prove alla periferia Sud di Parigi.

Come ogni venerdì Oscar era in ritardo e, come ogni venerdì si giurava che quella era l’ultima volta che succedeva, che avrebbe cambiato lavoro, che avrebbe lasciato la band e che si sarebbe trasferita in un appartamento tutto suo dove avrebbe tenuto solo dei gatti...

Come ogni volta.... erano solo pensieri, lo sapeva benissimo: non avrebbe mai lasciato il suo lavoro, che adorava, non avrebbe mai lasciato il suo gruppo perché erano i suoi amici e cantare era la rendeva felice e, sopratutto, non avrebbe mai lasciato la piccola mansarda in rue Mazarine che divideva con il sui amico di sempre André Grandier.

 

<<Cazzo, questa volta mi mandano a quel paese, e hanno tutte le ragioni…>> pensava Oscar mentre si precipitava a rotta di collo per i gradini della metropolitana e prendeva al volo il metrò che l’avrebbe portata a destinazione.

 

Si infilò sul fondo della carrozza ignorando gli sguardi che la sfioravano, apparentemente di sfuggita, e rifiutò con un cortese ma freddo “No grazie” il posto che le veniva cavallerescamente offerto da un elegante quanto abbronzato giovanotto.

Questo era l’effetto che faceva Oscar Françoise, e non solo sugli uomini. Era impossibile non notarla, non solo per la sua altezza, che superava il metro e 75 e per gli splendidi capelli biondi, ribelli e lunghi, ma per il senso di energia e sicurezza che emanava e per lo sguardo color del mare, profondo e diretto.

A Oscar tutto questo non importava, anzi, spesso sembrava infastidita dai complimenti e dalle attenzioni pressanti che le venivano rivolte. Non aveva mai dato particolare importanza al suo aspetto, non si truccava e indossava quasi sempre abiti sobri e di foggia maschile; voleva essere rispettata ad apprezzata per la sua intelligenza e capacità e questo, frequentemente, la portava a scontrarsi con l’altro sesso

 

Come faceva ogni venerdì durante il breve tragitto che la separava dall’ufficio alla sala prove, Oscar chiuse un lucchetto immaginario sulla settimana di lavoro, si piazzò sulle orecchie il walkman con un cd di Jeff Buckley ad un volume discretamente alto e lasciò liberi i suoi pensieri.

 

Oscar Françoise aveva quasi 34 anni, era laureata in ingegneria informatica e lavorava nella più prestigiosa software house di Parigi dirigendo, con abilità ed estrema competenza una delle divisioni più dure, quella di Progettazione e Sviluppo; un piccolo esercito di informatici, matematici, sistemisti e programmatori, con ego grandi come palazzi e isterismi da comare, che ancora adesso, ogni tanto, la guardavano con diffidenza.

 

Oscar Françoise era una donna bellissima e complicata, tanto complicata che spesso risultava un mistero perfino per se stessa.

Una contraddizione vivente, l’aveva definita una volta André, e per quanto lei avesse cercato di non dare troppo peso alla cosa, quella definizione l’aveva colpita perché, in 2 parole, l’aveva messa a nudo.

La sua famiglia era una contraddizione: un padre generale e una madre pacifista e femminista, che ancora adesso parlava del ‘68 con rimpianto. Il suo nome era un contraddizione: quell’Oscar,  voluto da sua madre, in nome della parità dei sessi, e accettato da suo padre, che in cuor suo aveva sperato in un figlio maschio, affiancato al femminilissimo Françoise, imposto da sua nonna, che le aveva permesso di sopravvivere agli anni della scuola.

La sua vita stessa era sempre stata una contraddizione, sospesa fra la ferrea disciplina militaresca del padre e gli idealismi sfrenati della madre, aveva finito per orientare le sue scelte su questa ambivalenza: un lavoro duro, disciplinato, “da uomo”, una vita privata sfrenata e sempre alla ricerca di cose emozionanti e, a volte, trasgressive. Così era nata l’idea del gruppo: sfracellarsi i timpani ascoltando gli U2 a tutto volume per dimenticare le 12 ore passate al lavoro non le bastava più. Voleva essere DENTRO le cose, non subirle e basta.

 

Aveva cominciato a tormentare André con questa idea, chiedendogli, supplicandolo di provare a ricontattare i membri della sua vecchia band, così, tanto per provare.

Si erano trovati una sera e dopo un’ora parlavano già di date, di locali da contattare, di strumenti da comprare.... il suo gruppo. Oscar li amava tutti: Alain, il batterista, che di professione aggiustava Harley Davidson ma che si sentiva la reincarnazione di John Bonam, Bernard, un bravo avvocato che non voleva saperne di togliere “Chitarrista” dalla carta di identità. E infine, naturalmente, al basso, c’era André. André che, ancora una volta, l’aveva accontentata e che, con lei (per lei) aveva scritto alcune delle loro canzoni più belle.

 

Lei ed André si conoscevano da sempre, erano cresciuti insieme, e anche se lui era il nipote della governante della casa di suo padre, le idee egualitarie di sua madre avevano impedito che venisse applicata alcuna discriminazione. André era rimasto orfano, era solo e si sentiva sperduto e Oscar non aveva amici con cui giocare: lei e il piccolo Grandier sarebbero cresciuti insieme in quella casa. E con questo aveva dichiarato chiusa la questione, con buona pace di suo marito e che vedeva in André e nel suo carattere obbediente e tranquillo una buona influenza sulla sua Oscar.

 

André aveva sviluppato da subito un talento naturale per la musica e a 16 anni suonava con disinvoltura chitarra, basso, pianoforte e non se la cavava male nemmeno con la batteria.

Avevano passato gli anni dell’adolescenza e dell’università ascoltando musica insieme, la camera di André era un santuario di dischi e cd di musica rock, jazz, funky, classica, crossover e soul e, per ogni stato d’animo, per ogni momento, lui trovava sempre il pezzo giusto, che la calmava, o che l’aiutava a concentrarsi o che la faceva sognare.

 

Quando, iniziata l’Università, avevano deciso di spostarsi in città per essere più vicini alla Scuola di Belle Arti che André frequentava già da un anno e alla Sorbona dove Oscar si preparava ad affrontare il suo primo semestre, della collezione infinita di dischi e cd solo pochi avevano trovato spazio nella piccola mansarda, scelti con cura e dopo lunghe discussioni, e, dei numerosi strumenti musicali, solo l’adorato basso aveva seguito il padrone nella trasferta.

 

I pensieri di Oscar scivolarono, come le accadeva spesso, sulla loro vita di “coppia”. Dividevano insieme una mansarda, un piccolo soggiorno con cucina, due camere minuscole, un bagno e un terrazzo con una vista meravigliosa sulla Senna; si erano detti, per dividere le spese, ma la verità era un’altra: erano troppo abituati alla compagnia reciproca per rinunciarci. Avevano il tacito accordo che, il primo che si fosse fatto una storia vera, non una semplice “botta e via” avrebbe avuto diritto all’appartamento. Ma dopo tutti quegli anni, non era ancora successo ed Oscar si chiedeva fino a quando sarebbe durato.

Perché, ormai, André non era più “il suo André”. Perché, quando lui le si era offerto, lei lo aveva rifiutato, creando una sottile crepa fra di loro, crepa che avrebbe potuto diventare voragine nel momento stesso in cui si fosse deciso a scegliere una delle numerose donne che lo marcavano stretto.

 

Era successo tutto al ritorno dal suo viaggio in Svezia, tre anni fa. Lei e la sua amica Marie Antoinette erano partite per una vacanza invernale, una vacanza che sarebbe servita ad Oscar per staccare dal lavoro e a Marie per mettere chiarezza nel suo rapporto da tempo in crisi con il marito.

E durante quella vacanza Oscar, per la prima volta in vita sua, si era innamorata. E, per la prima volta in vita sua, aveva provato il dolore bruciante e sordo che provoca un rifiuto.

L’uomo a cui avrebbe regalato il suo amore, Hans Axel, dopo aver flirtato con lei e averla corteggiata per giorni, le aveva preferito Marie Antoinette.

Oscar era ritornata e aveva nascosto il suo dolore dietro la doppia maschera di cinismo carrierista di fronte ai suoi collaboratori e di spirito libero e trasgressivo di fronte agli amici.

Ma una sera, nella mansarda, quando si era trovata faccia a faccia con André, aveva lasciato uscire il dolore e aveva pianto per molto tempo abbracciata a lui, senza dirgli la causa del suo tormento e senza che lui la obbligasse a parlare.

Aggrappata a lui, sdraiati sul loro divano e cullata dalle note struggenti di Billie Holliday, Oscar aveva lasciato che André le accarezzasse i capelli, che la stringesse e le baciasse delicatamente la fronte. Poi, quasi in un sussurro, le aveva detto:” Io ti amo, lo sai questo vero? Io ti amo da sempre e darei la mia vita per renderti felice.”

Non era stata capace di reagire: né di arrabbiarsi o di essere felice. Semplicemente l’aveva guardato e non aveva parlato.

Poi si era scusata e si era chiusa in camera.

Aveva cercato di evitarlo per tutto il giorno successivo e, in seguito, si era comportata come se la cosa non fosse mai successa.

 

Una settimana dopo, André le aveva detto che sarebbe andato in America per un po’, un anno magari. Aveva voglia di viaggiare, di cambiare aria.

Si era licenziato dallo studio di architettura di cui era appena diventato associato, aveva salutato tutti ed era partito.

Oscar non l’aveva fermato.

Ma per tutto l’anno, lunghissimo, infinito, che lui era stato via, aveva dormito nel suo letto, perché la solitudine e il vuoto di quella mansarda e tutte le parole che non era riuscita a dirgli le pesavano sul cuore come un macigno.

 

André era tornato il 24 dicembre dell’anno successivo, il giorno prima del suo compleanno.

L’aveva trovato a casa al rientro dal lavoro e quasi le era preso un colpo.

L’aveva abbracciato con tutte le sue forze, incapace, ancora una volta, di dire tutto quello che aveva dentro, ma, con la speranza che i giorni a venire sarebbero stati tutti loro, e allora, chissà...

 

Gli aveva chiesto di raccontare e lui aveva raccontato, per tutta la notte. Le aveva detto dei posti fantastici che aveva visto, della musica che aveva sentito, dei lavori che aveva fatto e delle donne che aveva avuto. Aveva raccontato nomi e fatti, luoghi e situazioni.

 

Era cambiato André, non solo nel fisico, più scavato nel viso, ma nello spirito: era diventato “duro”, e si era affrancato da lei.

Oscar aveva ascoltato tutto e aveva fatto domande e, man mano che il racconto proseguiva, si rendeva conto che l’aveva perso per sempre, che non era più il suo André, e che forse il giorno dopo se ne sarebbe andato ancora.

 

Andò a letto all’alba, troppo emozionata e agitata per dormire, con l’orecchio teso ad ogni rumore che proveniva dalla stanza di André e il terrore che venisse a salutarla ancora.

 

Ma André non se ne era andato. La mattina dopo era andato con lei al pranzo di Natale che la sua famiglia aveva organizzato e la settimana successiva si era trovato un posto serale come allenatore di kick boxing in una delle palestre più prestigiose di Parigi e aveva chiesto al suo amico Alain, che aveva appena aperto la sua officina, di poter lavorare con lui.

 

Poco a poco le cose erano ritornate alla normalità. André non aveva più accennato dei suoi sentimenti ad Oscar e Oscar aveva continuato a vivere la sua vita fatta di contraddizioni.

 

Con il senso di malinconica tristezza che questi pensieri le suscitavano ogni volta, Oscar usci dalla metropolitana ed si diresse al capannone che ospitava la piccola sala prove.

 

 

**********************************************

 

“ Oooooooscaaaar, aaaamoooore..., come mai oggi sei in anticipo, ti aspettavamo solo fra due ore.”

“Alain, si da’ il caso che io lavori. Ti dice qualcosa questo concetto?”

“Uh, dimenticavo che TU lavori... mentre noi viviamo di rendita. Palle, arrivi tardi perché ti fermi in ufficio a fare gli occhi dolci ai tuo capo. Eh eh, di’ la verità Oscar…”

“ Ma vedi di andare a farti...“

“Buoni” l’intervento di André, quanto mai provvidenziale, chiuse le consuete provocazioni che Alain le riservava quando arrivava in ritardo alle prove, cioè sempre.

 

Oscar si diresse verso lo sgabuzzino per togliersi i seriosi abiti da lavoro e mettersi un paio di jeans e una maglietta.

Aveva appena iniziato a spogliarsi quando sentì bussare.

 

“Oscar, posso.”

“Vieni André, mi sto cambiando.”

“Uh, allora vengo a godermi lo spettacolo.”

André entrò e chiuse la porta.

“Come ti è andata oggi.”

“Il solito: fatica, stress e nessuna soddisfazione.”

“Oscar...!”

“Scherzo, André, lo sai che scherzo. Amo quei piccoli bastardi arrivisti e maschilisti che, quando non mi guardano le tette o il sedere, mi guardano dall’alto in basso.”

“Per le prime due cose non posso biasimarli...” disse André lanciando uno sguardo furtivo allo splendido corpo di Oscar.

Il discorso fu interrotto da un rumore di porta che si chiudeva e da una voce che salutava i presenti.

“André... LUI cosa ci fa qui???”

“Oscar, ero appunto entrato a dirti questo...”

“Lo sai che quando provo non lo voglio fra i piedi.”

“Oscar, Victor è il nostro manager, ti ricordo che è quello che ci ha procurato la data a Le Cygale e che ci fa entrare nei posti gratis. Ha tutti i diritti di essere qui”

“Lo so, però, insomma... sai che mi mette a disagio!”

”E tu non guardarlo. Su, da brava, ora cambiati e vieni di là che sto morendo dalla voglia di sentirti cantare.”

Con questa frase e con un pizzicotto delicato sul braccio, André lasciò Oscar sola con le sue perplessità.

Ancora una volta si chiese come facesse André ad essere sempre così calmo e controllato: non si arrabbiava mai, era bravissimo a placare gli animi facilmente infiammabili (quello di Alain in primis) e trovava sempre il modo di risolvere le questioni senza scontentare nessuno.

Secondo Oscar avrebbe potuto benissimo intraprendere la carriera diplomatica, ma poi si immaginava il tatuaggio con la piccola rosa rossa nascosto sotto un completo nero da FBI e rideva da sola per l’incongruenza dei suoi pensieri.

 

Victor Girodel era talent scout, un bravo manager di gruppi emergenti e, dopo tre mesi che André era partito, era diventato l’amante di Oscar.

Era un persona gradevole e intelligente, che credeva veramente in quello che faceva e nei gruppi che promuoveva e aveva una passione per la musica pari forse solo a quella di André.

La loro era stata una storia molto passionale e poco sentimentale. Non le aveva mai detto di amarla, non le aveva promesso una vita insieme, però l’aveva fatta ridere quando ormai pensava di essere sulla via della depressione e le aveva fatto scoprire il sesso, liberandola una volta per tutte dal terrore di essere frigida.

 

La loro storia era finita in modo naturale, come era iniziata, perché era finita la passione. Avevano continuato a lavorare insieme e Victor era sempre stato corretto nei confronti della band e un perfetto gentiluomo nei confronti di Oscar.

Ciò che la metteva in imbarazzo era l’idea di essere nella stessa stanza con l’uomo che l’aveva vista liberarsi da ogni inibizione e André...

 

Era pronta.

 

Entrò nella sala prove e salutò Victor Girodel evitando di guardarlo negli occhi, si avvicinò al microfono, chiuse gli occhi, aspetto il segnale di Alain e cominciò a cantare.

 

Le note di Sweet Dreams are Made of This invasero dolcemente la sala e la voce calda, morbida e sensuale di Oscar invase il cuore di André. In quel momento avrebbe ucciso per lei. Chiuse gli occhi e lasciò che la sua voce gli scivolasse sulla pelle e nell’anima, e per un attimo sognò che stesse cantando solo per lui.

 

 

Continua

mail to: francesca_v@email.it

 

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