Donna

parte V

 

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Ormai la sua femminilità la inseguiva e la incalzava. Anche i gesti quotidiani erano diventati carichi di allusioni e di significati che prima le erano sconosciuti e che ora la turbavano e le facevano paura..

La sola idea di scoprire il proprio corpo generava in lei un senso di vergogna e di ansia.

Adesso nella vasca da bagno esitava a toccare il proprio corpo per lavarsi. L’acqua rendeva ancora più liscia e morbida la sua pelle e le sue mani vi scivolavano sopra come in una carezza, provocandole brividi che la sconvolgevano e la portavano a provare vergogna di se stessa. Esse si adagiavano sulle caviglie, risalivano lungo le gambe e i fianchi e poi su verso l’addome, il seno e le braccia… per paura non osava andare oltre. Era bello il suo corpo, se ne rendeva conto, e forse era stata proprio la sua vita da uomo a renderlo così.

Non voleva nessuno in quei momenti, erano solo suoi e nessuno doveva vederla o disturbare i suoi pensieri. Si abbandonava nell’acqua e poggiava la testa al bordo della vasca da bagno lasciando che i capelli si bagnassero. “Poi dovrò aspettare che si asciughino!”, si lamentava a volte. Ma che importava? Era forse questa, ora, la cosa più importante? No, certo che no!

Quel mare buio che aveva dentro, invece, quel magma oscuro che aveva paura di guardare…

“Ho paura, ho tanta paura!”, ripeteva poi, fra sé, accovacciata con le braccia che circondavano le ginocchia.

La paura sembrava essere diventata ormai una compagna inseparabile. Una paura così grande che la faceva sentire piccola e incapace di sostenerla da sola. Eppure non avrebbe voluto parlare a nessuno del suo dolore. Era così grande e scuro che condividerlo con qualcuno avrebbe potuto farle male. No, quello doveva rimanere il suo dolore. A volte sembrava che lei stessa non volesse liberarsene, perché questo sarebbe significato affrontarlo e per la prima volta in vita sua si trovava davanti ad un avversario più temibile di quanto si sarebbe mai immaginata.

 

 

Come è difficile cambiare, prendere coscienza di sé!

Come è difficile rendersi conto del fatto che fino ad un certo momento della propria vita si è vissuti in maniera assolutamente sbagliata!

Come è difficile crescere! E’ difficile e doloroso.

Pensava a queste cose una mattina, seduta in terrazza davanti alla tavola apparecchiata per la colazione. La testa appoggiata a una mano immersa tra i suoi capelli e tutto intorno un bagliore di luce che rendeva quasi accecante il candore della tovaglia ricamata.

Il suo viso triste e perplesso si disegnava tra i capelli ribelli, e di fronte al suo sguardo, in lontananza, gli alberi, gli stessi che erano stati testimoni del suo sfogo con André, qualche giorno prima.

“Triste, è tutto terribilmente triste e confuso”, pensava. Se solo ci fosse stata un po’ di chiarezza nella sua vita!

Ma non era così e la sua unica certezza era che tutto, fino ad allora, era stato irrimediabilmente sbagliato. E avrebbe tanto voluto continuare a poter sbagliare senza esserne consapevole, ma non poteva più. Ormai  non poteva tornare indietro.

“Sarebbe tutto finto…”, mormorò. Sì, sarebbe stato proprio tutto finto ora… più di prima. Ora che sapeva.

“Che stai facendo? Sembra che tu non riesca a staccare gli occhi da quegli alberi!”, la voce fresca di André la scosse da quei pensieri.

“Allora, che fai?”, le chiese versandosi una tazza di tè e cominciando a sorseggiarla.

“Nulla di particolare come vedi”, rispose lei, senza scostare lo sguardo dal punto in cui lo aveva fissato.

“Bene, allora sarà il caso di allenarsi con la spada o con la pistola, o meglio ancora sarebbe una bella corsa a cavallo, che ne dici?”, propose lui attendendo una risposta.

“Bene, ” fece lei alzandosi “sella i cavalli, ti raggiungo subito”.

Lui annuì.

 

Il vento le scompigliava i capelli rinfrescandole il viso. L’aria prendeva consistenza nella sua corsa e sembrava  avvolgerla mentre le opponeva resistenza. Era fresca e la sua carezza la faceva sentire viva e forte nel vigore che metteva nello spronare il cavallo a correre sempre più velocemente.

Come le sarebbe piaciuto poter volare! Lanciarsi nel vuoto…  non pensava a cosa l’avrebbe attesa nella sua caduta verso il basso, o forse sì: si sarebbe aspettata che ci fosse il mare ad attenderla. Ma forse le sensazioni che provava durante quella corsa potevano considerarsi simili a quelle di un volo.

“Voglio correre ancora, André!”, gli gridò mentre lui la seguiva poco distante.

“Non vorrei fermarmi mai!”, pensava. E continuò a correre fino a perdere la cognizione del tempo, fino a non sapere più quanto si stesse allontanando da casa, in un parco deserto che sembrava essere stato creato apposta perché lei vi potesse correre da sola.

Ma quella corsa non poté durare per molto. Dopo un po’ cominciò a sentirsi stanca e anche il cavallo non ce la faceva più, così si arrese e si fermò.

Si lasciò cadere sull’erba, all’ombra di un albero, ansante, con le braccia aperte sul prato.

“Che ti prende, Oscar?”, fece André raggiungendola e scendendo anche lui dal cavallo.

“Niente, André”, rispose lei respirando profondamente.

“Non è vero, io ti conosco e questo non è niente!”, protestò lui.

“Non è niente, davvero”, cercò di tagliare corto lei.

“No, Oscar, tu non stai bene. E’ da troppi giorni che ti vedo vagare per casa come un’anima in pena. Ti vedo spesso con lo sguardo perso nel vuoto e un’espressione triste sul viso. Che c’è Oscar, che hai?”

“Niente, ti ho detto”, insistette lei.

“Non è vero, e ti conviene dirmelo tu piuttosto che costringere me ad indovinare, perché se lo facessi rischierei di farti male e non voglio farti stare peggio. Quindi, per favore, dimmi che c’è!”.

Il tono di André non sembrava disposto ad ammettere risposte evasive. Lei cedette e, chiudendo gli occhi, gli disse semplicemente:

“Non insistere, André, ti prego. E’ vero, sto male, ma questo non è affar tuo. Io ho bisogno di stare da sola”.

Allora lui le si sedette accanto e cominciò a giocherellare con alcuni fili d’erba, poi si fermò e:

“Posso accontentarti e andarmene se vuoi, ma ti assicuro che stare da sola non ti aiuterà a stare meglio. E’ inutile, Oscar, davvero, è inutile”, disse con un tono amaro.

“Cosa è inutile?”, chiese lei voltandosi a guardarlo come se volesse ammutolirlo con la sola forza del suo sguardo.

Era andato a segno, l’aveva colpita. Con la spada non ci riusciva mai, ma con le sue parole era riuscito a sferrarle un attacco micidiale.

“Ascoltami, Oscar”, riprese, “è inutile, devi affrontarlo, non puoi fuggire in eterno. E’ così, c’è poco da fare, devi accettarlo, smettila di fuggire”.

“Fuggire da cosa?”, si difese lei, anche se sapeva benissimo quale era il misterioso nemico cui faceva riferimento André.

Come era stato diretto il suo modo di parlare, pur non dicendo chiaramente quello che Oscar sapeva benissimo ma che mai avrebbe voluto sentirsi dire!

Lei aveva uno straordinario desiderio di essere donna e lui lo aveva capito, come aveva capito il suo timore.

L’essere stata scoperta la impauriva e la confortava al tempo stesso, gettandola in una confusione che l’annientava. Non era più sola adesso, ora che lui sapeva e che glielo aveva detto. Questo le avrebbe impedito di nascondersi e, anzi, l’avrebbe costretta ad affrontare quel nemico: ormai non avrebbe potuto fare altrimenti, ora che André era testimone del conflitto che stava vivendo.

Voleva essere donna, sì, ma aveva paura di esserlo e non sapeva esserlo.

Avrebbe voluto essere guardata come donna e non dal solo Fersen, come era successo al ballo, ma dal mondo. Si sentiva prigioniera di se stessa: era difficile accettare quella nuova percezione di sé e cercare un modo per esprimerla non facilitava certo le cose!

Sarebbe stato necessario indossare abiti femminili? Avrebbe voluto indossarne uno? Erano questi, tra gli altri, gli interrogativi che cominciavano ad affacciarsi timidamente nella sua mente.

“André, io...” esitò.

“Cosa, Oscar?”, la incoraggiò lui.

“Io… non so...”

“Cosa non sai?”

“Nulla, André, niente, scusami”, sospirò alla fine, ricacciando via quello che forse stava per dire. Si alzò, montò in sella e spinse il cavallo al galoppo verso casa.

Scusami, André, ma non ci riesco. E’ difficile parlare, anche se penso che potresti capirmi. Ma anche la tua capacità di leggermi dentro mi fa paura: è come se dovessi fare due volte i conti con me stessa. Non ce la faccio, scusami.

 

 

Continua...

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