La quercia

 

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Nota dell’autrice: Ci tengo a fare alcune precisazioni: questo racconto è ispirato a una miniserie di Tsukasa Hojo, "Tra i raggi del sole", apparsa su Point Break nn. 1-3 (dicembre 1999 - febbraio 2000). Naturalmente, la bambina di cui parlo nella storia richiama molto la piccola Sara Nishikujo, protagonista della serie. Io sono molto vicina al mondo dei bimbi, forse perché per carattere sono un po' come loro (e non lo dico tanto per dire!). La solitudine di André l'ho vissuta io stessa quando dalla mia amata Liguria sono venuta qui a Mantova o in altre circostanze. Quindi il vissuto c'è. Io ho una paura infinita del buio, paura che mi trascino dietro dall'infanzia e a volte guardavo davvero sotto il letto o nell'armadio alla ricerca di mostri o fantasmi... Il racconto parte certamente della miniserie dell'autore di City Hunter ma anche da me! La gelosia di Oscar mi sembra quella che ho io di solito con le persone cui voglio più bene. Vorrei che le persone più care stessero sempre appresso a me... ma capisco anche che è un po' egoista! Spero davvero che i fan non mi lapidino...ma Sara è davvero il primissimo amore di André... forse lui  accetta l'amicizia con Oscar in gran parte perché si accorge che Sara è venuta in suo aiuto e se n'è andata per far spazio a quello che sarà un sentimento più maturo...Ok! Ho finito il delirio...

Dedico questa storia a tutti i bimbi con cui ho giocato quest'estate e che mi hanno dato lo spunto per iniziare a scrivere. La scena di André che gioca con le carte si rifà a un dipinto che ho visto agli Uffizi di J. B. Chardin, Fanciullo che gioca a carte.

 

Era arrivato da poco in quella casa fredda e avvertiva un senso di diffidenza in fondo al cuore. La notte, quando la paura e la solitudine si facevano sentire, piangeva di nascosto con la testa sotto il cuscino. Calde lacrime gli scorrevano sulle guance mentre tentava di soffocare i singhiozzi per non far preoccupare la nonna, che era diventata tutta la sua famiglia da quando i suoi genitori erano morti. Di giorno vagava nell'immensità vuota del palazzo, sentendosi come un corpo estraneo, infinitamente piccolo e fragile rispetto a tutta quell'imperiosa freddezza. Aveva conquistato le simpatie di tutti. La cuoca gli preparava i biscotti, quelli con le noci che gli piacevano tanto, il giardiniere gli aveva insegnato i cicli naturali e aveva piantato per lui dei fagioli che crescevano ogni giorno più forti. Eppure, nonostante ciò, si sentiva tremendamente solo. Aveva dovuto salutare per sempre gli amichetti con i quali giocava liberamente nei rioni. Ed era approdato in quel grande palazzo di marmo. Come se non bastasse doveva sempre stare appresso a quella bambina terribile! Lo aveva minacciato con una spada, una spada vera! E l'aveva definito il suo servo. Le bambine che aveva avuto modo di conoscere non erano così pericolose e terribili come quel demonio:
"André vieni qui, André giochiamo, André raccontami una fiaba. Andréééé!!!!"

Tutto il giorno la stessa cantilena. Non la sopportava più, anzi, non l'aveva mai sopportata! Una peste irrequieta e spocchiosa, ecco cos'era quella! Lo chiamava per ogni motivo idiota e lui doveva evitare che lei lo infilzasse come uno spiedo.  Tutto era programmato affinché crescessero insieme. Alla mattina doveva studiare con lei. Ed era bravissima, leggeva fluidamente, non come lui che sbagliava sempre ed era insicuro nella scrittura. A scuola ci era sempre andato per giocare. A lui piaceva tirare le scarpe addosso ai suoi compagni durante la ricreazione, mangiare pane e burro, imparare le canzoni che la nuova maestra insegnava. E abbracciare la sua mamma quando ritornava a casa. Ma lì tutto era austero, serio. Non c'erano altri bambini a parte la peste, le mura fredde non risuonavano di canti allegri, di filastrocche. Quando arrivava il precettore, André doveva stare immobile in silenzio, con la schiena ritta e l'espressione seria. Poi la peste, da sotto il tavolo, gli assestava un bel calcione negli stinchi e lui doveva fare quanto in suo potere per non esplodere in un pianto rabbioso. I lividi passavano ma l'antipatia per quell'insopportabile bambina aumentava sempre più.  

Il pomeriggio Oscar, così si chiamava quell'essere crudele, doveva tirare di scherma e andare a cavallo. E quando lei si metteva in testa di combattere, non c'erano più ragioni: André le buscava sempre sonoramente!

Così, per evitare quel vandalo, si rifugiava spesso nelle cucine con sua nonna a giocare da solo. Faceva castelli con le carte, mostrava un'abilità notevole nel far stare in equilibrio l'intera costruzione, forse per il suo carattere calmo e tranquillo. Oppure sgusciava i piselli e mescolava gli impasti delle torte con la cuoca.

"André, dovresti stare un po' con madamigella Oscar, non credi? La lasci sempre da sola!" Lo riprendeva la nonna.

Il suo viso si corrucciava subito.

"Non voglio andare da quella bambina terribile. No no e poi no!" Pestava i piedi mentre qualche lacrimuccia brillava in quegli occhioni grandi. La nonna si inteneriva, gli soffiava il naso e lo stringeva al petto guardando al cielo.

Il generale aveva insistito che André trascorresse tutto il suo tempo con Oscar per mostrarle come un vero uomo si doveva comportare. Perché lei potesse imparare a tirar di scherma, a fare a pugni a comportarsi come un ragazzo in tutto e per tutto. A questo pensiero un moto di tristezza saliva nel cuore della donna, amava Oscar come suo nipote André e non riusciva a comprendere perché il Generale si fosse intestardito in quell'impresa assurda. Oscar poi cresceva e diventava sempre più bella, intelligente e vivace. E un giorno avrebbe probabilmente rimpianto di non aver vissuto la sua vita appieno.

 

Era una giornata d'estate, di quelle in cui il sole si perde nel blu terso del cielo. Una leggera brezza faceva mormorare le chiome degli alberi e l'aria profumava di fieno appena tagliato. Il frinire delle cicale regalava una calma placida a tutto l'orizzonte. André decise di uscire a giocare, da solo, senza quel monello antipatico. Stese le braccia come per accarezzare il vento e i suoi piedini veloci sfioravano appena l'erba. Attraversò un campo di girasoli secchi, i cui grandi dischi privi di petali e di semi gli parevano pallidi ostensori d'oro che vedeva nelle consacrazioni liturgiche. Da lontano gli giungevano le grida dei contadini intenti nella mietitura del fieno e i canti delle loro donne dedite al bucato, si mescolavano al rumore cadenzato dei flutti spumosi. Con il sole negli occhi e la gioia nel cuore, correva verso la grande quercia che sovrastava l'intorno dalla collinetta sulla quale era posta. Gli piaceva sedersi lassù e godere dello spettacolo che gli si spalancava agli occhi, era un rifugio sicuro e, nella sua mente di bambino, denso di corrispondenze magiche. Alzando il capo verso i rami poteva vedere il sole filtrare dalle foglie. A volte premeva la manina sul tronco nodoso e la faceva scorrere per seguirne le volute. Era piacevole sentire i caldi contorni di quella colonna lignea che sembrava reggere il cielo. Si sentiva in pace, solo, in compagnia di quelle fronde che gli sussurravano fiabe silvestri, al sicuro da tutti, soprattutto da Oscar, che non avrebbe mai immaginato di trovarlo lassù.

Quel pomeriggio notò che stranamente il suo posto era occupato. Una figuretta sedeva tranquilla ad occhi chiusi. Tutto intorno a lei sembrava essersi fermato in una contemplazione che nulla aveva di umano. Le foglie erano immobili, il vento taceva, il canto dei passeri si era insolitamente smorzato.

Si fermò ad osservarla prima della fitta entrata di foglie mentre un vago timore già serpeggiava in lui. Quando decise di allontanarsi e tornare a casa, quella bimba gli si rivolse: "Sei in ritardo." Mormorò ad occhi chiusi.

André restò interdetto per qualche minuto pensando che, probabilmente, a tutte le bambine dovessero mancare qualche venerdì.

"Sto parlando proprio con te. E non sono matta." Aprì gli occhi e gli sorrise dolcemente.

"Ma… ma tu chi sei?" e mentre parlava si accorse che stava indietreggiando sempre di più. Come un animaletto impaurito. "Stupido! E' solo una bambina, strana, ma è una bambina. Ed io sono grande, ho 8 anni." Pensò cercando di tranquillizzarsi e di darsi un contegno.

"Mi chiamo Sara" stese delicatamente la mano per presentarsi.

André gliela strinse volentieri, avvertiva uno strano senso di fiducia pervadergli il cuore. La sua mano emanava un tepore familiare che lo rassicurò all'istante.

Si sedette accanto a lei all'ombra del vecchio albero. La osservò in silenzio. Era in tutto e per tutto diversa da Oscar. Il vento giocava con i suoi capelli neri e i raggi del sole, che si intrufolavano curiosi a sfiorarli, creavano giochi di luce bluastri. Gli occhi erano limpidi come le acque di un torrente. Il suo profumo era quello dei petali di rosa che il vento, in primavera, portava dall'est. La guardava, soffermandosi su ogni tratto del volto, e sentiva l'animo colmo di una pace di cui aveva bisogno da troppo tempo. Sara restava immobile, senza dire una parola, con gli occhi chiusi. Normalmente André avrebbe fatto innumerevoli domande ma avvertiva tutt'intorno un'armonia che non osava rompere, come se tra quella bambina e chissà cos'altro si stesse compiendo qualcosa di sacro. Come se quella quercia fosse diventata il nucleo energetico del mondo. Sara, dal canto suo, si percepiva tutt'uno con l'aroma caldo della resina, con la vivacità del crepitio delle foglie che danzavano al vento e con il canto garrulo degli uccelli. Aprì gli occhi lentamente come riemergendo a fatica da quella realtà che l'avvolgeva. Fissava lo sguardo oltre la coltre del fogliame.

"Da dove vieni?" le chiese André prendendo improvvisamente coraggio e vincendo così la sua timidezza, avendo notato che lei si era come destata da quella sorta di incoscienza.

"Da laggiù" indicò con noncuranza il bosco e le sue minacciose chiome che si stagliavano livide all'orizzonte. A quella vista André sentì il suo stomaco serrarsi.

La nonna gli aveva sempre raccomandato di non avventurarsi nella foresta e, per scoraggiare lo spirito avventuriero del nipotino, aveva inventato creature minacciose, orchi, elfi, fate malvagie pronte a catturare i bambini temerari e a farne un sol boccone! Dopo la morte dei suoi genitori, André era diventato pelle e ossa, tanto che sua nonna lo doveva spesso rincorrere per le cucine e costringerlo a mangiare. Se un orco l'avesse catturato, l'avrebbe di certo messo all'ingrasso. A quel pensiero gli vennero i brividi… e ricacciò lontano quell'immagine spaventosa di fauci avide e mostruose.

"Mi manda la quercia"

Non le diede peso. La stretta di mano che si erano scambiati l'aveva incredibilmente tranquillizzato ed ora avrebbe potuto credere a qualunque cosa che gli avesse detto. Lo sentiva, con quell'empatia di bimbo, come se i loro cuori si fossero sussurrati qualcosa che non riusciva a spiegare.

"Mi ha raccontato di te. Vieni sempre qui a piangere da solo."

André impallidì di colpo pensando a tutte le volte che era fuggito su quella collina, col cuore in gola per lo sconforto e l'amarezza. Cadeva a terra e stringeva l'erba tanto forte da strapparla. E piangeva, piangeva fino a sera, quando tornava a casa con gli occhi gonfi e rossi, tirando su col naso. La nonna lo guardava e le si stringeva il cuore. Gli dava un biscotto, lo abbracciava, e si sentiva lacerata.

"Ma come fa a sapere tutte queste cose?" Pensò.

"Me le ha dette la quercia" e si volse verso l'albero osservando le foglie che danzavano al ritmo del vento.

Gli bastava. Quella bambina era stata mandata dalla quercia e gli sembrava plausibile. Si guardarono e si sorrisero. Rimasero così, semplicemente seduti sulla terra calda a respirare l'odore dell'aria, del cielo, dei fiori.

Il pomeriggio era trascorso in una quiete innaturale, immobile che serena si era stemperata in un cielo arancio. André corse a casa, per la prima volta da quando si trovava a palazzo Jarjayes, lieto di trovarsi lì.

La nonna fu contenta di vederlo così sereno. Sembrava ritornato il bambino tranquillo e allegro di una volta e quella notte non lo sentì singhiozzare nel letto. Cosa credeva il piccolo? Che lei ignorasse la sua disperazione?

Il mattino dopo, André corse subito alla grande quercia e vi trovò Sara in piedi con lo sguardo rivolto alle fronde, le mani congiunte, concentrata. Gli sembrò che tutto si fosse fermato a contemplarla, attento che il minimo rumore non potesse disturbarla.

Si voltò lo stesso, destata dai passi del suo nuovo amico.

"Scusa se ti ho disturbato." Lei gli rivolse il suo più bel sorriso, e gli occhi chiari le scintillarono.
"Stavo ascoltando la voce della quercia. Racconta sommessamente tante storie. Storie di persone che lei vede o di paesi lontani che le raccontano il vento e gli uccelli che riposano sulle sue fronde. " Scosse il capo ridendo.

André rimase in silenzio, in cuor suo sapeva che Sara non gli avrebbe mai mentito.

 

Trascorsero la mattinata rincorrendosi per i prati. Sara sembrava sfiorare appena i boccioli fragranti che luccicavano ancora di rugiada, e, a ogni suo movimento, il vestito leggerissimo si apriva in un ventaglio di panneggi. André non ricordava più quanto tempo era passato dall'ultima volta che era stato felice. Non avrebbe mai pensato che sarebbe riuscito a trovare un amico in quel luogo terribile dove si sentiva completamente solo e piccolo.

Ogni sera, quando lo vedeva tornare a casa tutto impolverato, la nonna si chiedeva dove il nipote passasse tutte le sue giornate. Eppure, sentiva che era lieto. Probabilmente aveva trovato un compagno di giochi, il figlio di qualche contadino. Certo, stava trascurando madamigella Oscar, ma fondamentalmente André aveva bisogno di tempo per assimilare tutte le novità che avevano sconvolto la sua vita.

Oscar vedeva sempre più di rado più il suo amico. Da qualche tempo non le rivolgeva la parola. A dire il vero, lui non era un tipo loquace ma adesso la stava evitando di proposito, per il gusto di farle un dispetto e lei l'aveva capito benissimo. Scappava sempre nei prati, ai confini della proprietà di suo padre. E, quando voleva raggiungerlo, corrergli dietro per chiedergli se anche lei poteva partecipare ai suoi giochi c'era sempre la vecchia governante che la tratteneva.

"Sei una bambina Oscar, lascia quel monellaccio ai suoi giochi"

La prendeva per mano e le raccontava una fiaba. Oscar si sentiva sola e una tristezza troppo profonda per il suo piccolo animo, le pesava in fondo al cuore.

Quando André faceva capolino nell'androne del palazzo lei lo sommergeva di domande, saltellandogli intorno impaziente.

"André, vieni a giocare con me?" Gli chiedeva Oscar guardandolo con occhioni imploranti.

"Scusami, ma sono molto stanco." E scappava via per non vedere quel faccino imbronciato.

Le lacrime cominciavano a scorrere sulle guance della bambina che rimaneva sola, seduta sulla scalinata di quel palazzo freddo e scuro vergognandosi per avergli chiesto un po' del suo tempo. Lui aveva altri amici. Forse non lo aveva trattato con gentilezza, e di certo l'aveva picchiato con troppa foga. Eppure André era stato una benedizione nella sua piccola vita di bimba. Si era affezionata alla sua presenza costante e le veniva spontaneo esserne felice. Non era sicuramente bravo come lei con la spada. Però era l'unico bambino con cui poteva parlare senza che suo padre si arrabbiasse. Spesso le capitava di scorgere i figli dei contadini rincorrersi nei campi e giocare nei cumuli di fieno. Ma il Generale le aveva insegnato che quella non era gente per lei. Anche se, quando li vedeva così felici, avrebbe voluto unirsi a loro e alla loro felicità. Perciò si accontentava di osservarli dalla finestra, immaginando come sarebbe stata la sua vita se fosse nata in una di quelle famiglie.

 

Finché un giorno, vedendo che André non tornava, decise di andarlo a cercare, non curandosi delle nubi minacciose che premevano sulle torrette del palazzo. Il vento si era levato e il suo ululato si spandeva ovunque. Si era appena incamminata quando si scatenò un acquazzone torrenziale. L'estrema, quasi notturna, oscurità del cielo la costringeva a procedere alla cieca ma guidata dalla luce azzurrognola dei fulmini riuscì a raggiungere il confine del bosco.

"André, sei lì?" Urlò con tutta se stessa, disperatamente, con gli occhi chiusi dalle lacrime e dalla pioggia. Un tuono la scosse, si spaventò e si rifugiò dentro la boscaglia. Le sagome contorte e primitive degli alberi parevano emettere urla strazianti, simili a file di fantasmi maledetti condannati a un destino di eterna afflizione. I rami si piegavano, rassegnati, alla forza del vento. Camminava, lottando contro il vento furioso, raggomitolata, intirizzita, chiamando André con tutto il fiato che aveva. Sentiva sul volto gli schiaffi delle foglie e i graffi dei rovi ma non smetteva di cercare l'amico, convincendosi che si fosse perso o che fosse, addirittura, morto. Un fulmine orchestrato per sottolineare le congetture più angosciose si schiantò nelle vicinanze seguito da un rumore di terra che franava. Tutto si confuse, chiuse gli occhi e le sembrò di vedere André che si allontanava. Infreddolita e impaurita, Oscar cadde svenuta sull'erba mentre, a poco a poco, il temporale lasciava spazio a una notte quieta e nuvolosa.

 

Il palazzo era in subbuglio, nessuno sapeva dove fosse Oscar, nessuno ne aveva notizie. La nonna piangeva, asciugandosi di tanto in tanto le lacrime con i lembi del grembiule. Il Generale sarebbe tornato da un momento all'altro e non trovando la figlia si sarebbe certamente inquietato, avrebbe scagliato la sua ira contro tutti i domestici, avrebbe cacciato qualcuno dal palazzo, come pena esemplare. E avrebbe inflitto una dura punizione anche a Oscar, che si era allontanata di sua spontanea volontà.

André era rincasato al primo cenno di pioggia, servendosi dell'entrata riservata alla servitù. Ed ora, visto tutto quel trambusto, si sentiva in colpa per aver lasciato Oscar sola, era certo che se ne fosse andata per causa sua e doveva porvi rimedio. Decise, dunque, di andarla a cercare. Il suo istinto lo condusse alla grande quercia dove trovò Sara che sembrava aspettarlo da tempo.

"André, presto, andiamo nel bosco" disse con la voce che le moriva nel petto e le lacrime agli occhi.

"Non posso, la nonna me l'ha sempre proibito" Subito gli vennero in mente i racconti spaventosi che lo dovevano convincere a non allontanarsi troppo.

"Non avere paura. Non ti accadrà nulla". Gli sorrise e questo bastò, ancora una volta, a infondere coraggio nel suo cuore di fanciullo.

Si avviarono verso il bosco, l'entrata nella foresta sembrava l'antro della casa delle streghe di cui la nonna gli parlava nelle sue storie. Lo sapeva, quella notte non sarebbe riuscito a chiudere occhio. Avrebbe accuratamente ispezionato sotto il letto e dentro l'armadio. Si sarebbe tirato le coperte sugli occhi e avrebbe tremato di paura aspettando la luce dell'alba per poi dirsi che era davvero uno stupido. Ma tanto era coraggioso di giorno, tanto di notte tremava dal terrore. I tronchi, nella sua fantasia spaventata, avevano le sembianze di spettri, di impiccati divorati dai corvi. Lunghi singhiozzi di civette sembravano grida raccapriccianti di un'anima solitaria, che vagava inquieta intorno al suo corpo insepolto. Immaginando arti umani spuntare dai cespugli e occhi bianchi di bambini morti davanti a sé, Andrè allungò istintivamente la manina fino a stringere quella della sua amica.

"Sono sciocco, vero?"

"Non ti preoccupare, fidati di me."

Sara si fermava a contemplare gli alberi, appoggiava le piccole mani sui tronchi per un tempo che sembrava interminabile. André la guardava con attenzione quasi per carpire quella strana aura misteriosa e segreta che la circondava, di cui si era accorto sin dal primo istante in cui l'aveva intraveduta sotto la quercia. Ma lei taceva intenta ad ascoltare il sussurro notturno degli alberi.

"Vedi André, gli alberi sentono tutto quello che gli uomini pensano e provano. Non comunicano con parole ma col cuore. Io posso capire cosa dicono, le storie che raccontano ed è per questo che sono legata a ciascuno di loro. Adesso stanno dicendo che una bambina bionda è passata di qua. Correndo, era spaventata. Ti stava cercando"

Camminavano seguendo la voce degli alberi, scostando i rami che il temporale aveva rotto, mettendo i piedi nelle pozzanghere fangose. Tra le foglie umide trovarono Oscar intirizzita e svenuta. André a fatica la sollevò. Guardò Sara con un sorriso incredulo.

"Te l'ha detto la quercia, e gli olmi e gli aceri?"

Annuì e sorrise

Tornarono in silenzio a Palazzo Jarjayes. André stringeva quel corpicino gelato giurando a se stesso che non l'avrebbe più fatta piangere e non l'avrebbe più lasciata sola.

 

Il giorno seguente, sulla collina della grande quercia, regnava un silenzio carico di significati e di promesse. André osservava Sara pensando che non era mai stata così bella e luminosa. Tutta la natura era come rinata per celebrare quella bellezza boschiva, i fiori sbocciavano regalando anche prima del tempo la gioia dei loro colori, le foglie sembravano tingersi di un verde brillante, le gocce di rugiada brillavano luminose come pietre preziose, il vento giocava con i suoi capelli e portava dall'est il profumo dei boccioli di rosa. Immerso in questi pensieri non si accorse che la ragazzina lo stava guardando. Gli sorrise e gli tese la mano.

"La quercia mi ha detto che è giunto il tempo di andare. Non hai più bisogno di me."

André la guardava sgomento, perché sentiva di esserle affezionato e quando lei gli sorrideva provava un piacevole caldo al cuore. Le voleva bene, ecco tutto. Un bene di bimbo.

"Ma come farò senza di te?

"Hai una nuova amica, o no?!"

"E dove ti potrò trovare?" chiese, sul punto di piangere

"Dillo alla quercia e lei mi chiamerà"

"Sara, tu eri la mia miglior amica!"

"Anche tu André sei e sarai sempre il mio migliore amico" Gli diede un lievissimo bacio sulla guancia che lo lasciò stupefatto. E corse giù dalla collinetta. André l'accompagnava con lo sguardo velato dalle lacrime. Non era facile per lui dire addio a Sara, sarebbe stato di nuovo solo in quel palazzo. Solo con la sua tristezza, a desiderare gli abbracci dei suoi genitori. Solo con i suoi castelli di carte.

La vide sparire nel bosco. Sentì il fruscio delle foglie della quercia che dondolavano al vento. Scoppiò in un singhiozzo violento e corse ad abbracciare il tronco. Il calore che emanava era simile a quello della mano di Sara e allora capì che quella bambina era nel crepitare di quelle fronde che gli raccontavano fiabe e storie di mondi lontani, nel profumo di rose portate dal vento dell'est, nel sorriso solare di una pannocchia, nella leggerezza di un papavero e nella tenerezza dei fili d'erba novella. Nella freschezza del bacio della rugiada e in quell'arcobaleno che si perdeva nel bosco, nelle nuvole giocose che correvano nel cielo. Sara era in tutto questo.

"Grazie Sara!" pensò mentre le lacrime scorrevano copiose

 

Corse giù dalla collina, più veloce che poteva, triste e gioioso insieme, e si diresse a palazzo. Entrò come una furia nella camera di Oscar, rosso in viso, ansimando per la corsa.

Oscar era a letto con la febbre, avvolta nelle coperte. Si destò dal sonno e guardò André come se avesse lanciato una manciata di biglie in aria.

"Come stai Oscar?" mormorò senza fiato

"Meglio."

"Scusami se non sono stato con te, ultimamente. " Abbassò il capo mentre il rimorso gli serrava lo stomaco.

"Perdonami se non ho capito quanto ti sentivi solo. E per non essermi comportata da amica con te." Gli rispose illuminandosi in volto, con gli occhi le scintillavano.

André sorrise sollevato da quelle parole. In cuor suo avvertiva che quello era l'inizio di una nuova amicizia che avrebbe investito pienamente la sua vita. Si sedette accanto al letto di Oscar e cominciò a raccontare le storie della quercia che aveva sentito da Sara. Pensava agli ultimi avvenimenti che avevano dell'irreale e percepiva un invisibile filo che percorreva la sua esistenza e misteriosamente la legava a quella di Oscar.

 

12 luglio 1789

Il giorno volgeva al termine e la luce si stemperava nella notte.

André sedeva sotto la quercia. La mattina dopo avrebbe dovuto accompagnare Oscar a Parigi, sapeva che forse non sarebbe più tornato a casa ma stranamente era tranquillo… Si era perso nei suoi pensieri ripercorrendo i momenti salienti della sua vita.

Decise di rientrare. Si alzò barcollando. La sua vista era peggiorata notevolmente ma con gli occhi dell'anima ripercorreva quel paesaggio che si perdeva in un tramonto di zucchero.

"Addio Sara e grazie di tutto." Se ne andò sorridendo tra sé.

Un vento umido correva sulle fronde della quercia che gettavano sulla stradina ghiaiosa un'ombra liquida. Si udivano in lontananza larghi rintocchi di campana e sembrava propagarsi nell'aria, con l'onda del suono, un'onda di gelo.

Alcuni pensano che gli oggetti inanimati, e a volte i luoghi, abbiano uno spirito, un cuore, altri lo negano. Altri, ancora, non osano pronunciarsi, ma questa è una delle tante storie che la grande quercia si diverte a raccontare al vento giocoso che investe le sue foglie e agli uccelli che popolano i suoi rami.

 

 

Mail to elisabetta.dragotto@comune.mantova.it

 

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