Ultimo amore

 

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Premessa: Una volta Sonia chiese cosa sarebbe potuto succedere se Oscar fosse sopravvissuta ad André. Credo che separarli sarebbe come togliere Yanez a Sandokan ma per caso ho ascoltato una ballata di Vinicio Capossela "Ultimo amore" e ne ho utilizzato la fabula per tentare di rispondere alla domanda. In quello che leggerete c'è molto della canzone e chi la conosce se ne accorgerà facilmente; e sarebbe bello se chi non la conosce, incuriosito, l'ascoltasse. Ma quello che volevo era ritrarre le immagini che la musica mi faceva vedere, al di là della storia. Spero di esserci riuscita.

 

L'aria di quell'inizio luglio era fresca, quasi che l'estate volesse tardare ad iniziare, come se quell'anno fosse troppo stanca e triste per regalare ancora una volta i suoi doni al mondo. Ma chiunque poteva sentirla arrivare, l'estate, dai profumi dolci, dal colore dalla luce la sera. Solo una brezza, ancora primaverile, che increspava lievemente i campi appena imbionditi, ne annunciava il ritardo. Quella stessa brezza diffondeva nell'aria i suoni di una festa. In paese, in piazza, la gente beveva e ballava, chiacchierava e rideva. Coppie si abbracciavano a suon di musica e ragazzini si divertivano a farle inciampare, imitandone i movimenti e andandosi a nascondere sotto le sottane delle donne, e allora schiamazzi, rimbrotti e grasse risate si levavano dalla piazza. Gruppi di uomini, con i bicchieri in mano commentavano le scollature delle ragazze col vestito buono, suscitando occhiate indignatamente compiaciute di sé. Il vino sembrava non finire mai, se non nelle guance rosse ed accaldate della gente. Tutto, in quella sera di inizio luglio, invitava a bere a danzare; però se si festeggiava per una nascita, una ricorrenza, un santo patrono, per la speranza di un raccolto migliore di quello degli anni passati, l'uomo seduto curvo su un tavolo non avrebbe saputo dirlo. Anche se ormai era quasi un anno che si era trasferito in quel paese. In silenzio, tra i suoni dell'allegria, guardava, curioso, le coppie al centro della piazza che folleggiavano ebbre. Nulla di lui si muoveva, nulla indicava attenzione a ciò che lo circondava, se non uno sguardo ironico e disilluso, come di chi, in fondo, ha già perso tutto eccetto la necessità di vivere. Quella sera cercava una storia d'amore, una da poco, anche solo per qualche ora, ma che gli desse l'impressione di essere amato, desiderato, che gli togliesse di dosso, almeno per il tempo d'amare, la polvere del desiderio a pagamento. Cercava una storia d'amore che fosse anche solo una pallida ombra delle due che la vita gli aveva mostrato e che non gli aveva concesso, per sangue e amicizia. E intanto guardava le donne degli altri ballare e danzare.

La notte stava morendo, la luna, come una lacrima luminosa nel cielo, stava ormai bagnando l'orizzonte. Le poche coppie rimaste trascinavano stancamente le ultime danze, lente, nostalgiche, danze di chi forse, dopo aver suonato tutta la sera per far ballare gli altri, si concedeva, ormai stanco, il piacere di suonare se stesso, la nostalgia della casa, dell'amore, del riposo. Ormai era tardi. L'uomo era ancora lì, immoto, aspettava. E lei apparve. Uno sguardo li unì, per lo spazio di un ricordo. Poi lei, scherzando e ridendo, gli si avvicinò, in un turbinio di gonne e di capelli biondi.

- Ehi, tu, col fazzoletto rosso, ci verresti a ballare con me? -

Lui si alzò sorridendo, finalmente.

- Sapete che basta che mi comandiate qualcosa e io la farò, bella signora. -

Passarono gli ultimi brandelli di festa assieme. Lei ballava, volteggiava tra le sue braccia, rideva e beveva, senza posa, senza riposo. Rovesciava il suo candido collo all'indietro e mostrava al mondo la sua risata cristallina e forte, così intensa da farle spuntare le lacrime. Scherzando, si divertiva a mostrare il suo corpo, nello stanco abbandono della danza, come se in fondo, non le interessasse poi molto. Lo faceva avvicinare a sé e se ne allontanava ridendo, poi chiudeva gli occhi, abbandonava il corpo ad un sospiro, di nuovo tornava a guardarlo ammiccante, come se il sospiro fosse stato uno scherzo; e di nuovo si allontanava girando un po' più in là, come se lui non ci fosse, ancora lui seguiva quella figura efebica e fuggevole nel divertito e incuriosito tentativo di tenerla un attimo solo per sé. Senza posa, senza riposo, lei beveva, rideva, chiacchierava, volteggiava e ballava; ma sembrava soffrire.

Lui la stringeva, l'abbracciava, ballava con lei e la seguiva nei suoi volteggi, con amore ne osservava i movimenti delicati e evanescenti, l'alzarsi e aprirsi delle braccia come bianche corolle di fiori, i ricami dorati dei suoi capelli nell'aria, quando con le mani e il volto al cielo girava su se stessa piangendo ad occhi chiusi dal gran ridere. La guardava e cercava di capire quale fosse il dolore che animava il suo corpo di una vitalità spenta e abbandonata.

Parlavano, ballando, del bel tempo che non arrivava e di quello che non sarebbe tornato, di vita, di battaglie, di serate passate a bere assieme agli amici.

Il suono metallico e solo di una chitarra, cantava di un cuore, stanco di vagare, stanco di desiderare, stanco di sperare, di un cuore che vuole soltanto un luogo in cui fermarsi a morire in pace.

Lui disse:

- Mi avete spezzato il cuore, dolce signora. -

Lei guardò lontano, oltre lui, nel passato.

- Il cuore del mio amore non batterà mai più. -

Ad un tratto capì quale era il dolore di quella donna. Era quel dolore che spezza le vene e il respiro, che piange sul tuo corpo abbandonato e sulla tua anima arida di stoppie. Era lo stesso dolore della terra d'estate, quando urla la morte del suo amore, del seme di vita cresciuto e custodito nel severo inverno, fiorito e sbocciato nella timida primavera, il dolore della terra d'estate, quando grida per dell'acqua che non arriva, a placare il suo cuore.

Era il suo stesso dolore.

Lei abbassò il volto per qualche istante, fece ondeggiare i capelli, rialzò la testa e lo guardò sorridendo, comprensiva e grata.

Ballarono e parlarono ancora per qualche tempo, finché gli uccelli annunciarono l'inizio del giorno.

-Non dovresti più stare da sola. -

Lei aveva perso ogni cosa, l'onore, la famiglia, l'amicizia, l'amore. Raccolse le sue gonne e i suoi capelli biondi e lo seguì.

 

E in quella pallida alba si unirono. Unirono i pianti e le urla, il dolore e la disperazione di due vite vissute a metà, la fame di due corpi per troppo tempo senza carezze. Lui la strinse, si spinse dentro di lei e l'amò; amò i suoi gemiti, i suoi sospiri, le sue urla e il suo pianto. Amò i suoi gemiti perché erano il suo stesso piacere, amò i suoi sospiri perché erano i suoi stessi rimpianti e la sua stessa nostalgia, e amò le sue urla perché erano il suo stesso dolore. E amò il suo pianto, perché era il suo stesso pianto, il pianto per un amico perso troppo presto e per un'amica troppo amata, troppo desiderata. Lei e il suo amore. Continuò ad amarla, ancora e ancora, e ogni volta l'amava di più. Nei vortici dei suoi capelli, nell'abisso dei suoi occhi, quell'uomo cadde, abbandonò se stesso, perse se stesso, nell'anima di quella donna. Di nulla più gli importò, dell'onore, del rispetto per il suo amico e per la sua donna, della sua anima già troppo tormentata. Si donò a lei e gli sembrò che l'estate fosse finalmente arrivata.

Di giorno lui andava a lavorare nei campi, come sempre, e la terra gli sembrava amica. Lei passeggiava, si arrampicava sulla scogliera vicino casa, nel punto più alto, e guardava il mare rumoreggiare davanti ai suoi occhi; e forse, guardava il passato. A volte, fissava il promontorio e due croci vicine nella morte, e forse anche nella vita.

Di sera, dopo aver mangiato assieme, si sedevano a prendere il fresco, davanti alla casa, di fronte al mare e ai campi. Lui le parlava di sé, della sua famiglia, dei suoi amici di un tempo, piccoli aneddoti che sceglieva con cura ed affetto. Lei a volte ascoltava e sembrava divertirsi, anche. A volte distoglieva lo sguardo dal mare, abbassava gli occhi e accennava ad un sorriso. Lui la guardava ogni tanto, timidamente, quasi timoroso di rompere lei, di rompere quello che in lei sembrava ancora vivere. E allora parlava, circondato dalla luce della sera e dal mormorio del mare. Osservava il cielo, la luna che diventava di sera in sera più sottile, le stelle che continuavano indifferenti il loro viaggio. E le raccontava delle storie che aveva sentito da bambino, le stesse storie che aveva tanto tempo fa raccontato alla sua sorellina morta per amore, così tanto tempo fa che quasi non gli sembrava reale, il suo passato. Trascorrevano così le serate, ad aspettare che le stelle del crepuscolo si abbassassero sull'orizzonte. Poi rientravano in casa.

Lui l'amava, l'amava sempre più. E ogni giorno che passava capiva la follia del suo amico, sacrificato per lei. Il suo amico morto per amarla troppo, per poterla amare di più, sempre di più, ogni giorno di più, ogni respiro un po' di più, fino all'ultimo respiro. L'amava, l'amava ogni notte, amava la sua pelle, il suo profumo, il suo modo di abbandonarsi completamente; amava la sua vita, i suoi fianchi, il suo seno, li amava come chi, finalmente felice, ama ogni giorno che nuovamente nasce, ogni volta che il sole sorge e scopre di nuovo un mondo in cui è bello vivere. Amava i suoi silenzi e, quelle poche volte che lo guardava negli occhi quasi a chiedergli "perché", l'amava ancora di più. Poi attendeva il sonno sul suo seno, come un bambino, finché non fosse arrivato un nuovo giorno, finalmente un altro giorno, in cui sarebbe uscito di casa salutandola, e la sera, tornando avrebbe potuto mangiare con lei, parlare con lei, amarla ancora.

Lei aspettava che si addormentasse, si girava nel letto e piangeva, piangeva, e nulla più. La luna compiva il suo giro, il sole la rincorreva invano. Un nuovo giorno, finalmente un nuovo giorno, ancora un nuovo giorno.

 

Già diverse volte il sole era arrivato ad asciugare il pianto di lei. Lui si alzava a e la trovava a respirare l'aria, il mare e la terra di quel dolce luglio senza rabbia né rancore, le sorrideva e lei ricambiava abbassando lo sguardo. Poi l'uomo si avviava a curare la sua terra, grato a quell'estate ritardataria che gli risparmiava le roventi sferzate sulla schiena e il disordine di un cielo cupo e arrabbiato, grato a quella dolce estate che rendeva la terra sempre più bionda e feconda. Quell'anno tutto sembrava essere  clemente con l'uomo, il cielo, la terra, la vita stessa, dopo anni di sterili silenzi. Ma il cielo, lui, lui non era clemente con la terra, non ascoltava la sua sete e il suo dolore, e la lasciava lì, implorante un po' di refrigerio: ma lui, il cielo, solo un effimero vento sapeva e poteva donarle, un vento che la riscuoteva appena dalla sua angoscia per il suo lutto imminente, un vento che sapeva soltanto far suonare l'oro delle messi, per quegli ultimi loro giorni di vita. Ma all'uomo tutto questo non importava. Per tutto il giorno si prendeva cura del grano, figlio della sua terra, in attesa di strapparlo alla madre per farlo suo e potersene nutrire. E non gli interessava se la terra avrebbe pianto per il suo amore strappato alla vita. Al tramonto tornava a casa  e pensava che almeno per quell'anno il raccolto sarebbe stato buono e che avrebbe potuto fare un regalo alla sua donna. Ripensava ad ogni volta che l'aveva vista quel giorno nel canto abbandonato delle spighe e nel silenzio del cielo terso. Non gli importava della terra, del cielo e del mare, solo voleva rivederla, al più presto, voleva rivedere il biondo dei suoi capelli abbandonato al vento, l'azzurro dei suoi occhi persi nel passato, voleva di nuovo ammirare la sua figura sottile e forte stagliata sul promontorio dietro casa ad ascoltare il mare. Di null'altro si curava. E intanto il cielo, che così spesso gli ricordava i suoi occhi, si tingeva del rosso caldo del sangue e del fuoco, nella sera; ma neanche di questo gli importava.

 

L'aspettò, quella sera. L'aspettò sul promontorio, tra le croci delle tombe della sorella e della madre, l'aspettò davanti casa.  Chiese urlando al cielo, alla luna, alla terra e al mare dove fosse, dove l'avessero nascosta, che l'aiutassero a trovarla, per pietà, era tutto il suo bene. Ma solo il mare gli mormorò qualcosa che lui non capì. La cercò nel buio della notte, la chiamò nel silenzio della sera, e non trovò altro che la sua rabbia e la sua paura che credeva aver dimenticato. E continuò a cercarla, a chiamarla, continuò ad urlare il suo nome aspro e secco ma così dolce alle sue orecchie e alla sua bocca, quando lo pronunciava con ancora il sapore dei baci. La chiamò disperato nel vento, e al vento chiese di raggiungerla e di dirle quanto la voleva con sé.

Amore mio, amore mio dove sei, perché ti sei allontanata, la notte è pericolosa e tu sei troppo triste per tenerle testa. Amore mio, amore mio dove sei, torna qui, dimmi che mi hai fatto uno scherzo, e io sarò felice, perché se scherzi ridi, e se ridi vivi, amore mio. Voglio veder vivere te, voglio veder rivivere il tuo cuore, amore mio. Amore mio, torna da me, torna a casa, amore mio.

E questo, e altri messaggi affidò al vento, perché il vento, no, lui non l'avrebbe abbandonato, l'avrebbe aiutato a trovarla. E desiderò quella donna come mai, credette, nessuno avrebbe mai potuto desiderarla: con l'ardore del corpo, con l'ansia degli abbracci, e con l'angoscia per non vederla ritornare. Vagò come un lupo affamato nella campagna, col cuore che urlava sempre il suo nome.

Amore, dove sei, voglio scaldarti, voglio abbracciarti, voglio guarire le tue ferite, amore, torna da me. Quando stavo per dimenticarmi di essere un uomo, dopo che mia sorella troppo amata si uccise, fosti tu, amore mio, con il mio amico, il tuo amore, a farmi sentire ancora il calore della vita. Senza di te, senza lui, ora sarei soltanto una bruciante carcassa. E ora, vita mia, permettimi di aiutarti, permettimi di ricordarti che sei viva, che tu sei viva e che devi vivere, devi ridere, perché sei bella. Torna, ritorna, voglio averti con me, dove sei? Dove sei? Amore...

E all'alba, finì per cercarla nella fiamma fioca di una candela, nel buio di una triste cucina, con i gomiti sul tavolo e le mani nei capelli corvini già un po' imbiancati dal freddo del dolore. E insistentemente tormentava il fazzoletto rosso che da sempre portava al collo, e ricordava di come lei, prima che il suo amore la lasciasse, ridendo lo prendeva in giro per quel fazzoletto: ma quando imparerai a vestirti da persona civile. Ma adesso, nulla gli restava, finché lei non fosse tornata, nulla all'infuori del rimpianto per non averla saputa tenere con sé. Fissava con occhi vuoti la candela e, in quel tenue, tremolante bagliore, riconobbe per un attimo lei, la sua luce di adesso; e non poté fare a meno di paragonarla all'alto falò invernale che era stata un tempo, al fuoco caldo e dirompente che si innalzava dalla sua anima, capace tanto di scaldare quanto di distruggere.

Amore mio, la tua fiamma ricrescerà, tornerà di nuovo ad ardere alta, forte in un cielo di scintille. Amore mio, torna, torna, e io saprò ravvivare la fiamma bruciante della tua vita e della tua volontà. Torna, torna, e ritorna a vivere in pienezza, vivi per te, vivi per lui, e, se vuoi, se puoi, vivi per me.

Udì di nuovo il mare mormorargli qualcosa, un indizio, una richiesta, una supplica, un pianto; che lui non capì. Il vento venne a trovarlo e spense la candela.

 

Non vide le donne negli abiti da lavoro, scompigliate dall'aria, stringersi rassegnate negli scialli, non riconobbe i modi bruschi dei soldati che allontanavano sbrigativamente i curiosi, come non badò al vento caldo che cercava di spingerlo lontano da lì. Vide soltanto un corpo abbandonato a se stesso sulla spiaggia, cui il mare accarezzava inutilmente i piedi, vide solo dei lunghi capelli biondi inariditi dal mare e dal troppo piangere. Ascoltò solo l'aprirsi del suo cuore e il silenzio che vi entrò, invadendo anima e corpo. E solo allora comprese quello che il mare aveva voluto dirgli, e lo odiò, perché la sera prima lei gli si era donata e lui gliel'aveva portata via per sempre.

Si avviò verso casa con più nulla e nessuno da accarezzare, se non il suo silenzio e il suo rancore. Attorno a lui il grano era già alto, forte e biondo. Vide avvicinarsi un mietitore, vestito di scuro e col viso coperto da un cappellaccio, la falce da poco affilata brillava nella sua mano, una bimba bionda lo seguiva tutta seria. Attese atterrito che i due lo superassero. La bimba si voltò sorridendogli. Lui cadde in ginocchio e pianse per la terra.

 

 

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