Shining

 

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Shining

 

Oscar quella notte dormì poco ma sodo e si svegliò di buon umore con in testa almeno tre o quattro piani diversi per rendere la pariglia a quell'approfittatore d'un André che non s'azzardasse mai più; quantomeno non senza preavviso ed esplicito consenso. Le venne da ridere, rincantucciata sotto le lenzuola: mai le era capitato di avere la coscienza di infilarsi in qualche enorme guaio con quell'allegria. Del complicarsi la vita era un'esperta, quell'approfittatore d'un André glielo ripeteva in continuazione, ma di solito era anche lui che la tirava fuori dai pasticci; questa volta invece ce la stava trascinando dentro per i capelli. Gli avrebbe fatto pagare anche questo, decise ghermendo un lembo di lenzuolo e soffocandoci dentro la faccia mentre tirava furiosi calci al resto della stoffa ancora innocente. E dire che non so se lo amo, le venne in mente placandosi; e poi immediatamente: sono impazzita, sono decisamente impazzita rischiare tanto per uno che... bo? Lo amo, non lo amo, ci andrei a letto... mah!

Scacciò quelle importune domande con la considerazione che la vendetta in fondo è una cosa da veri uomini e che è meglio sbrigarsi a portarla a termine.

Si vestì rapidamente e scese le scale trottando. Tanto per iniziare avrebbe fatto colazione: la sera prima tra una cosa e l'altra si era dimenticata di cenare. Per continuare l'avrebbe trascinato in una cavalcata poi si sarebbe visto il da farsi. Nonostante le apparenze sono una donna dalle molteplici risorse, io; tutto sta che le trovi, da qualche parte, accidenti. Se poi trovassi quell'approfittatore d'un André senza dover chiedere in giro sarebbe ancora meglio, pensò guardandosi attorno.

Solito viavai mattutino, oggi meno annoiato del solito, inchini e riverenze maliziose al suo apparire, la nonna che segnava il passo seguita da una delle cameriere più giovani: ecco dove ho imparato a marciare così bene, osservò, altro che gli urli di mio padre e le esercitazioni in accademia.

-Nonna, hai per caso visto André? - azzardò.

-Andato a fare commissione per il padrone. Non so quando torna. Buongiorno Madamigella. -

-Ma... e la sua licenza? - chiese allibita.

Quella però ormai era già lontana, mentre la povera ragazza che la seguiva, tra lo starle dietro, fare la riverenza e tenere in equilibrio non si sapeva bene che scatole, un altro po' e cadeva a faccia avanti inciampando nella sottana. Brutto affare essere sotto un comandante del genere, pensò Oscar osservando il vero generale in casa che si allontanava. Quanto a quell'approfittatore di un André, la giornata è lunga, la licenza... non altrettanto purtroppo, comunque di tempo ce n'è e non mi sfuggirà. In effetti se avesse voluto davvero scappare l'avrebbe fatto anni fa: non l’ho certo legato a me con contratto a vita. A meno che non lo faccia fuggire adesso con l'ardore della mia prossima vendetta. Rise sarcastica: se solo... Se solo servisse a qualcosa... Se solo non peggiorasse la situazione... Se solo riuscissi a sapere cosa provo per lui… se solo riuscissi a trovarlo senza farlo soffrire…

Con questi pensieri, dimenticando quasi l'appetito, entrò nel salottino dove di solito prendeva la colazione. Sorprese i suoi genitori in una discussione prontamente interrotta al suo ingresso: il padre a capotavola sorseggiava la sua bevanda, la madre aveva le mani compostamente posate in grembo mentre i suoi occhi non sapevano riposare.

-Buona giornata padre. Madre... - salutò chinando la testa. Già, pensò, c'è anche quest'altro impiccio da risolvere. Si sedette in silenzio concentrandosi per raccogliere tutto il suo autocontrollo.

-Hai dormito bene, Oscar? -

-Certo madre, grazie. Voi? - rispose mentre si versava la cioccolata. Dovevano aver discusso certamente di quello.

-Bene, grazie. - Sua madre pareva molto imbarazzata, come sull'orlo di dire o fare qualcosa di indecente, come se fosse stata sorpresa in flagranza di reato. Chissà come la pensa al riguardo?

Oscar zuccherò la cioccolata, mescolò e vi aggiunse la panna con gesti lenti e misurati, gli stessi gesti che ne' suo padre ne' la nonna di André erano riusciti a modellare sui loro gusti personali e che, nonostante tutto, erano diventati una delle sue particolarità più invidiate dai cortigiani di entrambi i sessi. Che sciocchezze vado a pensare proprio adesso: come se fosse il momento di badare a come mi muovo, pensò mentre vedeva la sua mano prendere la cioccolata e il suo braccio sollevarla. Afferrò la tazza con entrambe le mani cercando di scaldarle nonostante fosse pieno giugno e si chiese se lei fosse l'unica persona che apprezzasse la cioccolata bollente anche in piena estate.

Nessuno nella stanza aveva più parlato. Se speravano che fosse lei ad riprendere la discussione avrebbero atteso fino alla fine dei tempi. Con spirito di rivolta soffiò sulla bevanda come se fosse una qualunque plebea lavoratrice che non ha il tempo di far raffreddare naturalmente ciò che porta alla bocca. Al diavolo le buone maniere: lei di tempo da perdere certo non ne aveva e ne era sempre andata molto fiera, aristocratica o plebea che fosse la cosa; ne era fiero anche quell'approfittatore d'un André che lei vivesse del suo lavoro senza prendere da chi non ha.  Figuriamoci se adesso, proprio adesso, con in testa sempre quell'approfittatore d'un André e con la domanda che la sua immagine si portava dietro, sarebbe rimasta immersa più dello stretto necessario in quel silenzio carico! Fu presa dalla voglia di mollarli tutti lì con un bell'"Arrivederci e grazie".

Sentì il padre posare la tazza:

-Oscar, il tuo comportamento è inqualificabile. -

E come no! Oscar continuò imperturbabile a soffiare sulla sua cioccolata.

Sentì altro silenzio teso poi un pugno che si abbatté sulla tavola e rumore di porcellane pericolanti; sentì anche un'esclamazione lievemente gemente di sua madre. Lei, invece mantenne un silenzio concentrato sul diverso comportamento di cioccolata e panna quando ci soffiava sopra.

-Oscar, non tollero un simile atteggiamento da parte tua nei confronti miei e di tua madre! -

Mentre lei, ovviamente, doveva tollerare, anzi, accettare deferente e grata, simili intrusioni nella sua vita. Ma questa volta aveva trent'anni, non trenta minuti! Posò la tazza lievemente come se si stesse parlando del tempo e guardò suo padre negli occhi con un'espressione equivalente: la vedremo chi la spunterà questa volta!

Il Generale non era uomo da farsi distrarre o spaventare da una difesa così apparentemente serafica.

-Oscar, esigo delle scuse per il tuo comportamento di ieri sera. Urlare tutte quelle cose, che tremo nel definire insulti, ad un ospite di riguardo del calibro del Conte di Fersen è stato un atteggiamento che ho ragione di ritenere insultante anche nei miei confronti, nei confronti della tua povera madre che tanto si preoccupa per te e, infine, nei confronti del buon nome del nostro casato che tu stesso, in prima persona, sei tenuto a difendere. Qualunque accadimento sia accorso tra te e il signor Conte di Fersen nulla ti dava il diritto di rinfacciare tali bassezze, la codardia addirittura, che saranno certo frutto della tua immaginazione, ad un uomo che così gentilmente è venuto ad offrirti di sposarlo. Mi sono vergognato per te, ieri sera, per quella reazione a dir poco scalmanata, eccessiva, assolutamente fuori luogo e fuori da ogni limite del buon gusto. Non posso tollerare, a prezzo della mia vergogna e del mio disonore, che mio figlio osi comportarsi come una qualunque femminetta isterica. Pertanto, dopo che ti sarai scusato con noi, ti ordino di recarti presso il Conte di Fersen a porgergli le tue più umili scuse. Mi sono spiegato?-

Oscar ascoltò tutto con silente compostezza evitando accuratamente che il suo sguardo potesse essere incrociato e preparando contemporaneamente una serie di risposte degne di cotanto discorso, ma quello che le uscì di bocca fu assolutamente, stupendamente, inaspettato, colpa forse del brutto vizio che stava prendendo con André:

-E magari, per rendere le scuse più gradite potrei anche allargargli le gambe. Che ne dite? -

Udì la sua voce chiara e nitida rifrangersi nelle orecchie dei presenti e le scappò un fugace, assurdo, sorriso, un sorriso all'Alain alle prese con i comandanti-cipolla, mentre, riprendendo in mano la sua cioccolata, sentì la rabbia di suo padre rovesciare sedia, tazza e teiera con un sottofondo accorato di gemiti affranti. Il giochino della sera prima si faceva sempre più divertente visto che, in fondo, di tutto quello che aveva nulla le importava realmente eccetto il suo lavoro e quell'approfittatore d'un André. Chissà che faccia avrebbe fatto lui a quella scena. Sorrise a quella verità che le era scappata di bocca ieri sera. Che mi diseredi pure, l’amato padre, mi cacci pure di casa: tanto ormai ho dimostrato di essere un bravo Comandante indipendentemente dai suoi meriti e poi... con André...

Il suo nome urlato, che rimbombò di furia domata nella stanza, interruppe le sue divagazioni e trattenne il respiro di sua madre che le sedeva davanti.

Oscar guardò di nuovo compostamente la faccia rossa e le vene gonfie del padre e le sembrò di vederlo per la prima volta per quello che realmente era: un povero vecchio, sfatto dall'ambizione di un sogno non realizzato che forse non era neanche il suo, un uomo sconosciuto anche a sé stesso, troppo militare per riconoscere la verità là dove si trovava e darle il nome che meritava. Per fortuna, con quell'approfittatore d'un André che le ronzava attorno coscienzioso come un moscone, poteva sperare di scampare quella fine e con un sorriso divenne più tenera e comprensiva. Tornò a guardare la sua cioccolata mentre disse con voce limpida:

-Avete ragione, indubbiamente: ho esagerato. Sia ieri sera che adesso. Ma, ad essere sincera rifarei tutto. -

Attese una qualche reazione; sentì la porcellana del servizio traballare ma neanche una parola. Bevve un sorso.

-Non vi interessa sapere  perché rifarei tutto, vero? - una breve pausa -Figuriamoci. - Bevve ancora.

Senza bisogno di guardarlo suo padre le parve disorientato; a lei sfuggì un verso sardonico e illecitamente rumoroso.

-Oscar esigo rispetto! – con il tono con cui un Generale, in tutta l’imponenza del suo grado, poteva chiedere che gli si passasse il sale a tavola; a Oscar scappò un istantaneo e brevissimo scoppio di riso cristallino.

-Anche io. – disse con la soavità con cui lei ragazzina avrebbe potuto comunicare ad André che si stava divertendo. Riprese serena a sorseggiare la sua cioccolata.

-Cos'hai da dire per scusarti? – l’estremo tentativo.

Oscar non riuscì a trattenere una gustosa e lunga risata: davvero la demenza senile avanza implacabile! Per dirla all'Alain "Generale non avete capito una benemerita sega!". Tra l'altro Oscar si era sempre chiesta come dovesse essere una sega per essere benemerita: le venne da ridere ancora peggio. Ci mancavano solo le parolacce di Alain a completare il definitivo degrado del promettente rampollo della migliore aristocrazia! Le venne in mente la faccia di suo padre se se ne fosse uscita con un'affermazione del genere e fece fatica a riprendere fiato. Solo che in quel modo stava ormai rischiando la sua incolumità, non solo il domicilio e si sforzò per contenersi. Recuperò i respiri arretrati e parlò, senza concedere altro tempo:

-Ve l'ho già detto una volta ma evidentemente è un discorso che non volete capire e quindi mi ripeterò: io non sono la vostra bambola. Potevo obbedirvi in tutto e per tutto da bambina, quando per me eravate una specie di idolo irraggiungibile, terribile e incomprensibile. Era naturale, quasi non potesse essere altrimenti, che eseguissi ogni vostro volere e ho continuato a farlo: vi ho soddisfatto in ogni ambizione per reverenza, rispetto, affetto e una grandissima dose di incoscienza giovanile. Poi sono cresciuta. Obbedivo sempre ma non più perché gli ordini mi venivano dalla vostra persona, bensì esclusivamente perché erano gli stessi che avrei dato io, quando questo accadeva. E voi non ve ne siete accorto. O forse vi ha fatto comodo non accorgervene. Sia come sia, se pensate che io continui a portare la divisa e a fare il militare per accontentare i vostri desideri avete preso la seconda grossa cantonata della vostra vita, dopo quella di confondere il maschile col femminile quando parlate. Sappiate una volta per tutte che faccio il militare perché mi fa comodo: voi non immaginate nemmeno quanto. Ho delle libertà che nessuna donna, oltre me, può neanche avere il diritto di sognare. Sono libera, grazie a voi e alla vostra decisione e, anche se grazie non ve l'ho mai detto, ve lo dico ora. Grazie. Grazie infinite. Ma proprio perché voi stesso mi avete concesso questa libertà non vi permetterò di togliermela con un matrimonio che non voglio. Che mi si venga pure a dire che questa libertà è frutto di una costrizione: la libertà non coincide con il libero arbitrio. E che mi si venga poi a dire che in questo modo mi sono negate le felicità di una donna: sono capace di decidere per conto mio cosa è per me la felicità e, quando l'ho individuata, sono altrettanto capace di andarmela a prendere. Pertanto non voglio più sentire parlare di matrimonio. Soprattutto non nei termini con cui mi è stato proposto ieri sera. Non sto dicendo che non mi sposerò mai: nella vita si cambia, ma sarò io a decidere quando, come, perché e sopratutto con chi. -

Ebbe un lampo malizioso:

-E non crediate che sia così ingenua da non essere capace di scegliermi da sola un uomo per il verso giusto. -

Tracannò il resto della cioccolata e si alzò dalla sedia, posò la tazza e si avviò verso la porta. Si sentì richiamare dal Generale e si arrestò: basta, basta, basta! Disse:

-Se dovete aggiungere qualcosa che almeno sia pertinente con quello che ho appena detto. - O quantomeno, amato padre, sia meglio del silenzio.

-Oscar, tu non hai capito. Non hai capito bene. - e la voce del Generale sembrava una supplica.

Probabile, pensò lei, con tutto il subbuglio che ho in mente; e in fondo si accorse che, impegnata com'era a cercarsi nel suo labirinto, mai si era presa la briga di domandarsi come suo padre ormai la vedesse, se l'aveva mai vista davvero. Aveva dato per scontate tante di quelle cose in vita sua... forse era troppo tardi, forse no. Ma adesso c'erano cose più importanti in ballo e non aveva altro tempo da perdere. Gli parlò dandogli le spalle, a testa china:

-Vedete, padre, è probabile che io non abbia capito le vostre intenzioni; nulla di più facile. Ma anche se voi vi spiegaste con la massima chiarezza io non cambierei quello che ho deciso: non voglio sposarmi con un uomo che non amo. E non mi interessa se poi ai vostri occhi dovessi fare la figura dell' eroina per educande. Non mi importa davvero. - Di nulla; di tutto ciò. Sospirò:

-Lasciatemi stare. Per una volta sola lasciatemi stare. - Si avviò verso la porta con un carico di fango rimosso che le gravava sulle spalle.

 

Forse fu lo stare in piedi, forse la barriera della porta, forse il sorriso furbo della vecchia cameriera di sua madre che le era passata davanti, forse il semplice stare nella luce che trapassava la vetrata, ma quel fango le cadde di dosso e lei lo lasciò stare lì dov'era. Che se ne vada al diavolo, con rispetto parlando. Tanto lei ora aveva due problemi da risolvere: primo vendicarsi di quell'approfittatore d'un André, secondo risolvere l'indovinello inventato la sera prima. Dei due non sapeva quale abbordare. Beh, visto che l'elemento fondamentale per l'attuazione di una vendetta, ossia l'offensore, non è al momento disponibile per cause di forza maggiore tanto vale dedicarsi all'indovinello, pensò. E pensando pensando preparò il suo cavallo, fece un giro per la tenuta, il parco, il canale, tornò a casa, aveva fame, pranzò con sua madre parlando del più e del meno, ossia della Regina, salì in camera sua, fece un pisolino, due ore circa, si svegliò, scese dabbasso, sempre pensando, fece il giro della fontana, del giardino, tornò in casa, prese un libro, lesse un po', si stufò, ruppe le scatole alla nonna di André, rubò della marmellata, di fragole, non le piacque, rubò quella di prugne, fu scoperta, cacciata dalla cucina di malo modo e con riferimenti a quel ladruncolo (approfittatore) d'un André, ma che c'entrerà lui, accidenti sempre tra i piedi, pensò, girò, pensò, girò, pensò, suonò (male), si esercitò con le spade, pensò ancora, ma dov'è, lesse, suonò, lesse, ma dove l'avrà mai spedito, si alzò, si sedette, si alzò, si sedette, si alzò: ma quando torna; si innervosì; scese di sotto: era ora di cena. Ma dove sarà mai andato a ficcarsi quel benedetto uomo a quest'ora!

 

Nella stanza da desinare privata la cena presenziata da Oscar, il Generale e Madame si svolse nel più lampante silenzio, anche per le comunicazioni riguardanti argomenti di stretta sopravvivenza. Le cameriere, il maggiordomo e la nonna di André in qualità di governante attendevano ai loro doveri con identico atteggiamento. Oscar fremeva, sfregando intenzionalmente le posate sul piatto nell'indifferenza generale; e questo pareva l'unico suono capace di diffondersi nella stanza. Il Generale mangiava metodicamente guardando esclusivamente il piatto, sua madre spiluccava in silenzio la poca roba che si era fatta servire. Oscar vedeva sua madre sempre più sfibrata: se devo sposarmi per ridurmi in questo modo... Col cavolo! Fulminò suo padre con odio e il coltello urlò sulla carne nel piatto. Sua madre le sorrise invitandola alla pazienza e Oscar non riuscì a risponderle che con una smorfia: la sua pazienza aveva i minuti contati. Se poi André non tornava...

Che diritto aveva? Che diritto aveva il Generale di spedire André a fare delle commissioni il primo giorno di una brevissima licenza? Se poi di commissione si poteva parlare viste tutte quelle ore di assenza. Un abuso! Un sopruso bello e buono! E senza prima chiederlo a lei. Senza che poi sua nonna protestasse o si preoccupasse. E poi perché tra tutta la gente che girava per casa a fare nulla proprio al suo André doveva assegnare 'sta commissione? Era il suo André e solo lei aveva il diritto di dargli... si, insomma, lo caricava di doveri anche troppo lei per addossargli anche gli ordini paterni. André sarebbe dovuto stare con lei: solo quello è il suo posto, non altri. Solo lui accanto a lei. Checché ne pensasse suo padre. Se ci provava al allontanarlo un'altra volta senza chiederle prima nulla se ne sarebbe pentito. E se poi fosse venuta a sapere che era stato allontanato, o sarebbe potuto esserlo un giorno, per lasciare campo libero a qualche contino imbellettato sia padre che contino avrebbero passato un brutto quarto d'ora: li avrebbe fatti ballare; oh se li avrebbe fatti ballare!

Un pezzo della sua carne, dal nervosismo che ci mise nel tagliarlo, decise di fare un tuffo dritto filato nel bicchiere di vino del capo di casa farcendosi accompagnare durante il volo da uno stridere assordante di posate e stoviglie. Adesso scatta la rissa! Oscar durante tutta la cena non aveva fatto altro che affilare le sue lame affilate all'uopo.

Il Generale osservò per bene il boccone che era sulla sua forchetta, lo portò alla bocca e lo masticò con signorile disinteresse per un tempo interminabile.

Lei sbottò:

-Basta così! – sbattendo violentemente il coltello colpevole sul tavolo.

Il Generale terminò di mangiare:

-Figlio mio, sarei io a questo punto che dovrei dire basta. –

E Oscar, a occhi sgranati e a dispetto della sua irritazione, non riuscì lì per lì a far altro che lasciare la mandibola in balia della forza di gravità: che cosa?

-Non sei stato tu a chiedere di essere lasciato stare? – chiese, a conferma e senza rivolgerle uno sguardo, mentre faceva cenno che gli cambiassero il bicchiere.

Oscar boccheggiò e, nell'imbarazzo di riuscire a coordinare correttamente respiro, lingua e cervello, prese tempo appoggiandosi allo schienale della sedia. Formalmente nulla da eccepire.

Considerò a tentoni:

-A volte il significato delle parole è proprio aleatorio. -

Lui fece come per replicare ma, tra lo sconcerto di tutti, fu Madame a parlare, imponendo con un gesto il silenzio al marito:

-Oscar, ti prego, non equivocare. Tuo padre esagera indubbiamente. L'ha sempre fatto e sempre lo farà. Ma quello che vuole ora non è altro che il tuo bene. Ti prego di credere alle mie parole. Siamo entrambi molto in ansia per te e il tuo futuro in... - Un'occhiata del Generale mise a tacere quella presa di posizione quasi come fosse una vergogna.

Oscar sorrise: tutti e due le fecero quasi tenerezza, come se fosse lei la madre e loro i figli ribelli che cercavano di giustificarsi. Davvero non valeva la pena arrabbiarsi e così, dolcemente, rispose:

-Madre, mi sembra che alla mia età avevate già ampiamente partorito le sei incriminate, o sbaglio? -

-Ma cosa importa ora? -

-Si suppone quindi che alla mia età si sia in grado di provvedere a dei piccoli e di guidarli verso ciò che, in buona fede, appare la cosa migliore per loro. Dico bene? -

-Oscar, dove vuoi arrivare? -

-Voglio arrivare a dire che, visto che potrei, per età, essere capace di discernere il meglio per dei bambini, si può a ragione supporre e dimostrare che sono in grado di discernere anche il meglio per me stessa. E questo è tutto. -

Vide i volti tirati dei suoi genitori e si sentì in colpa:

- Mi dispiace, non so proprio più come dirlo e come farmi capire meglio. Me ne dolgo sinceramente ma le cose stanno così. -

Avrebbe voluto aggiungere esortazioni a fidarsi di lei ma seppe, nello stesso momento in cui le nacque il desiderio, che era perfettamente inutile e, appena le apparse davanti l'immagine di André, anche falso. Ma non poteva più acquistare la serenità dei suoi genitori a prezzo della sua libertà: quel genere di moneta l'aveva esaurita, se mai l'aveva avuta.

Terminarono la cena così come l'avevano iniziata.

 

La prima cosa che fece Oscar finto di magiare fu chiedere notizie di André.

-E' tornato più o meno un'ora fa. E’ passato dalle cucine e adesso dovrebbe essere in camera sua. - fu quello che venne a sapere.

Fece di corsa le tre rampe di scale che separavano le stanze di rappresentanza dagli alloggi dei domestici. Andare da lui: per spiegare, chiedere, tentare; se solo riuscissi a sapere... se solo riuscissi a fare… E poi che si prepari una scusa valida per aver accettato di lavorare. Che non si permetta mai più. Mai più una giornata così senza sapere dov'è. Mai più lontano da me… senza avvertire. Arrivò in poco tempo e con il fiatone. Irruppe nella sua stanza senza bussare; André si voltò con la faccia allucinata dalla stanchezza e dallo stupore:

-Oscar! - Tesoro! Luce della mia vita.

Lo vide.

Rimase immobile piantata a gambe larghe in mezzo alla porta con il respiro pesante che le si era bloccato in gola; sbiancò urlando:

-Copriti screanzato! Come ti permetti di mostrarti in queste condizioni! Spudorato! Incivile! - una pausa per descriverlo meglio -Maniaco! - e con un ultimo acuto uscì fragorosamente dalla stanza.

André si rinfilò al volo la camicia meglio che poté e aprì la porta a controllare che la povera vergine scandalizzata non avesse subito traumi irreparabili; Oscar, che a quella porta era pesantemente appoggiata pensando alla sua difficilissima vendetta, caracollò all'indietro e cadde di sedere.

-Accidenti, se avessi saputo che bastava farmi vedere senza camicia per farti cadere ai miei piedi l'avrei fatto molto prima. - commentò lui mentre la raccoglieva.

-Ti sei fatta male? - si preoccupò.

Lei lo guardò a bocca aperta con gli occhioni sgranati e, appena in piedi, gli si rivoltò furibonda agitando il pugno:

-Non t'azzardare mai più! Hai capito? Perché io una cosa... -

André sorrise e le posò l'indice sulle labbra:

-Ahi ahi ahi, Comandante! Vi ricordo che non avete bussato, che ero in camera mia e che mi pare esagerato scomodare l'Inquisizione per il torso nudo di un amico d'infanzia. -

Lei arrossì vistosamente e distolse lo sguardo:

-Sei uno stupido. - sussurrò. Lo sentì distendere il braccio verso lo stipite dietro di lei e appoggiarcisi. Non lo aveva mai sentito così intensamente vicino e pericoloso: neanche quella notte, quella era tutta un'altra cosa, allora lui le faceva paura, ora era lei ad avere paura… Si confuse con simili pensieri, mandando al diavolo la sua vendetta con il torcersi nervoso delle dita tra di loro.

-Grazie, troppo buona. A cosa devo l'onore? - sentì la sua voce calda accarezzarle i capelli. Alzò il viso e lo guardò; un occhio solo, mio Dio! E alzò la mano per scostargli la ciocca di capelli con cui nascondeva quello cieco. Lui si scostò e si ricompose:

-Immagino tu sia venuta fin qui per dirmi qualcosa. -

Ora lui le stava distante e Oscar si confuse ancora di più: la guardava seriamente calmo e corazzato, mentre sembrava che, per lui, lei fosse limpidamente nuda. Nuda… Avrebbe voluto che quell’aggettivo non le fosse mai venuto in mente quando si accorse, suo malgrado, di star formulando il desiderio di saltargli al collo con buona pace di indovinello e vendetta.

Masticò delle vocali per un po' finché non riuscì finalmente ad articolare qualcosa del genere:

-Non t'azzard... Cioè, non devi più... - prese fiato e lo guardò per bene in viso –Insomma: non sei tenuto ad obbedire agli ordini di mio padre, visto e considerato che non sei più un dipendente di questa casa ma dello Stato. Quindi, se ti dovesse spedire di nuovo chissà dove a fare chissà che... -

-Ore e ore di almeno cinque diverse anticamere. -

-Appunto. Non sei tenuto assolutamente a farlo. Anche se lui è un Generale e tu un soldato semplice, rimane sempre il fatto che sei in licenza. Quindi... -

-Quindi rimane il fatto che, in quanto dipendente dello Stato, in questa casa in cui torno sempre non sono altro che un ospite e che quindi è mio dovere ricambiare. -

Oscar si alterò e gli si fece minacciosamente più vicina:

-Rimane il fatto che, se è così, sei un mio ospite - sottolineò il possessivo indicandosi con l'indice il petto - non di mio padre, e che quindi, al massimo, è a me - stesso gesto ma in punta di piedi -che devi rendere il favore. Capito? - e suggellò il discorso dandogli una testata leggera sulla fronte.

Ad André scappò da ridere e si mise sull'attenti facendo il saluto:

-Agli ordini mio bel Comandante! -

Lei lo freddò con odio poi, come se si fosse ricordata di qualcosa, scosse la testa sconsolata. Tornò a guardarlo come se avesse esaurito le speranze di salvezza:

-Non era questo quello che volevo dire, André.  – implorò. Poi, in un sussurro come se non volesse realmente farsi sentire:

-Come posso fare? -

Lui tornò ad essere un uomo:

-Ho capito, stai tranquilla. - sorrise -Cercavo solo di non farne una tragedia greca. - e si infilò la mano tra i boccoli sulla nuca mentre si chinava verso di lei con aria ammonitrice e sapientemente birichina.

Si sorrisero.

-Poi? Che altro devi dirmi? - e se la rideva.

-André! - tra lo scandalizzato e il terrorizzato. Ma come fa lui? E perché non mi ha mai insegnato?

-Dai, avanti, sputa il rospo. Non ci credo che tu sia venuta fin quassù di corsa solo per ordinarmi di non ubbidire a tuo padre. - e aggiunse con scherzo maligno strascicando tutte le vocali:

-Cosa posso fare per voi, Comandante? -

Un pugno terribile lo colpì sul bicipite:

-Stupido! - e ancora una raffica di colpi -Stupido stupido stupido stupido!-

Oscar ora nascondeva il viso con tutti i capelli; André, pentito, stava allungando la mano in una carezza di scusa quando sentì dei passi che si avvicinavano; si allontanò da lei freddo e senza scuse. Un lacchè percorse il corridoio in cui erano guardandoli curioso.

A Oscar non restò altra scelta, rapidamente:

-Domani mattina mi accompagni: vado a parlare con il Conte di Fersen. Buonanotte. - e si girò, andandosene, senza mostrare il viso: non era così che volevo chiederglielo; e si lanciò giù per le scale.

Fu necessario qualche attimo perché André digerisse l'informazione e le corresse dietro urlandole dall'alto:

-Allora hai visto che avevo ragione? -

Imbecille che non è altro! Un dietro front di corsa per arrivare a stampargli il dito medio tra gli occhi e tornare di nuovo giù.

Un altro urlo, più reattivo del primo, la seguì di nuovo:

-Se continui a comportarti così malamente, non troverai mai marito. -

Ah, beh: ma allora se le va a cercare!

Risalì le scale fluidamente e con ostentata signorilità finché non si trovò uno scalino sotto di lui che la osservava curioso e divertito.

-Vedi, mio caro, - disse mimando le gran dame da ventaglio mentre gli girava attorno lentamente per esaminarlo nei particolari e da diverse angolazioni -se il marito in questione dovesse essere un buzzurro come te... meglio zitella! - concluse tornando la solita Oscar con un energico pizzicotto sul braccio del povero candidato; candidato peraltro totalmente inamidatosi da capo a piedi a quell’inaspettata prova. Ma lei non aveva ancora finito e gli si rimise davanti, affabile e molle, carezzandolo sotto il mento e sussurrandogli:

-Per una scopata... forse... - lo squadrò dall'alto in basso per un ultimo esame –Ma no: troppi rischi… troppa fatica... Chi me lo fa fare... No, no. Grazie. – con un ultimo buffetto lieve.

Ridiscese con calma le scale sogghignando: non male come assaggio di vendetta, non male. Si sorrise di nascosto complimentandosi con se stessa: ce l’ho fatta, ce l’ho fatta! L’ho spiazzato io per una volta. E per fortuna non è passato nessuno! Rise tra sé e sé notando quanto tardava la reazione di quello che si permetteva di predirle l'eterna zitellaggine: lui... a lei! Ma non c'è più religione! Finalmente udì un confuso balbettio alle sue spalle:

-Quando vuoi, Oscar, quando vuoi. Basta chiedere. -

Sì sì, come no! Scoppiò a ridere:

-Buonanotte, André, buonanotte và! –

Si voltò improvvisamente:

-Dimenticavo! Domani mattina sveglia presto: da quello ci voglio andare a mente fresca, quindi vedi di non  poltrire. -

-Nessun problema. –  E chi dorme stanotte?

-Ciao allora. -

-Ciao. -

 

 

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