Latte, miele e...

 

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E dopo "Pane amore e... fantasia" ecco qui, in esclusiva per voi, amici e amiche del Laura's Little Corner (rullo di tamburi)...

 

Latte, miele e...

 

E infine giungerete in una terra grondante latte e miele, gioia dei dentisti alla mia destra, via diritta per il diabete, popolo mio; dolcezze senza fine sul vostro desco dopo lungo soffrire, e gioia, canti, ed esultanza, nei vostri cuori. E quando l'acetone infine vi colpirà e cercherete raminghi un digestivo nei deserti del mondo, allora giunti sarete nel luogo sacro, dimora di dei, e intonerete canti di lode e rancore alla più pura, limpida fonte, da cui sgorgano, unici, eterni, piacere e dolore.

 

 

Latte +

 

Ti ho vista arrivare. Ti ho vista ancora. Ogni volta più bella, ogni volta nuova.

 

Mi vedi, mi hai visto, per te son venuta, e questa serata, per te è arrivata.

 

Mi vieni vicina, sorridi radiosa. "Ciao", ci dici, e io muto rimango. Ti vedo, ti guardo e non so pensar altro.

 

Allora dove andiamo, allora dove si va? Venite Comandante lasciamo questo qua: è talmente rintronato che non si smuoverà.

 

La prende per le spalle, lei ride divertita, Alain, che vuoi fare, iniziare una partita? Mia è quella donna e accanto a me starà, lasciala tosto stare, o danno a te verrà. Corro loro dietro, quasi inciampo e cado, ma guarda tu la sfiga di essere cecato.

 

*

 

E ora, caro il mio insieme N di web-readers, terminato l'effetto degli stupefacenti, torniamo a noi.

 

Adesso, Oscar, camminiamo vicini, cammini alla mia destra perché possa vederti e distinguo la pelle candida del tuo viso. Sei rilassata, tranquilla, e io sono sereno. Alain parla, dice, racconta del posto subito girato l'angolo in cui andremo, della gente che lo frequenta, della specialità che preparano. Tu lo ascolti, attenta e divertita, e sembra che per te sia la cosa più naturale del mondo, camminare nella notte, accanto a me, così vicina che potrei abbracciarti, e ridere intanto disinvoltamente con qualcuno che non sono io. Ti amo. L'aria della notte è così limpida... chissà com'è il cielo. Una notte che odora d'infanzia, per me, con te, insieme. Da quanto tempo non sentivo più questo odore. Parli, Oscar, parli con Alain, e ridi, e gli racconti passate avventure: risse, la passione comune, ahimè. Vi siete trovati, e adesso so per certo, ormai, che questa serata sarà tutto tranne che noiosa. Arriccio le labbra per trattenere un sorriso; te ne accorgi subito e io sono felice. Scuoto la testa ridendo piano: dirti a cosa pensavo realizzerebbe subito le mie visioni. Taccio e ti sorrido, va tutto bene, va tutto bene amore mio, stai tranquilla. Vi ascolto parlare; ascolto la tua voce limpida, stasera, raccontarne una delle tante, di risse, come parlando dell'esperienza più bella di tutta la tua vita; ascolto Alain commentare attento e interessato; e di nuovo la tua voce, come di bimba birichina e sventata che interrompe i suoi giochi al sole e nei prati per avventurarsi in una buia tana, alla ricerca di chissà quale bizzarro animale. E la buia tana è la mia anima, e il sole che ci porti dentro risuona, nella mia mente, in interminabili echi, e sbatte negli antri oscuri, sulle pareti, sulle volte, mi confonde, mi prostra, confuso, annichilito, e mi serro le orecchie con le mani perché la tua voce squarcia il velo del buio che mi nasconde, e mi acceca. Ascolto te che ti diverti, incurante e ilare:

-E poi sai, Alain, quella volta ne presi tante, ma tante, che ero quasi svenuta. E allora André mi ha baciata senza chiedere il permesso. -

L'aria fugge all’improvviso dai miei polmoni e imploro la terra che mi inghiottisca immantinente, se vuole essere dichiarata pietosa verso i suoi figli, e chiedo ai venti tutti di trasportarmi lontano, in terre remote e inaccessibili, se amano coloro che sulla terra strisciano, e supplico il fulmine di incenerirmi, se vuole vedere sparire la vergogna dal mondo, e al mio cervello, al mio cuore martoriato e alle mie orecchie domando di mettersi in salvo, se possono, prima della catastrofe: tengo troppo a loro per sottoporli a tale tortura. Amore, perché lo fai?

-Sulla bocca. - sottolinei, amore. E sembra una cosa divertentissima, amore, la più divertente che ti sia mai capitata. Ma, cara all'anima mia, l'onore di un uomo è fatto di piccole cose che le donne non immaginano neanche lontanamente. Lo sai, vero, amore? Dimmi che lo sai, tesoro mio, zuccherino, stella dolcissima del mio crepuscolo, usignolo delle mie notti (insonni), balsamo delle mie passioni, cuore, amore, dolore. Le mie mute richieste di tregua non ti smuovono dai tuoi propositi e perseveri, amore, nel distruggere la mia già vacillante credibilità, mentre comare Alain ha il sorriso soddisfatto delle persone satolle. Di nuovo la tua voce risuona, intensa, innocente, a precisare:

-Ma senza lingua, perché non gliel'ho di certo permesso, anche se ero sbronza da non stare in piedi. -

Ma brava! E tossisco, quasi soffoco, con quel filo di fiato rimasto che si ribella e si agita di fronte a cotanto scempio della mia affidabilità; ma più nessuno si cura di me, ormai, perché Alain ora commenta con il volto, serissimo, a te: "eh, già, avete tutte le ragioni, avrei fatto anche io così, non c'era altro da fare, poverina, dovevate difendervi, ma che mondo è mai questo in cui una ragazza per bene non può più andare a sbronzarsi e a fare un po' di sana attività fisica senza che qualcuno approfitti di lei: ma è roba da pazzi" e io lo strozzerei, perché lo so che sta ghignando di soddisfazione, tutte le sue teorie confermate, la mia dignità maschile a brandelli: bieco aiutante di uno stolido boia.

E cerco di attirare l'attenzione senza riuscire a parlare, senza sapere come cambiare argomento e chiedendomi: amore, perché lo fai? Ma più che altro: amore, ma ce l'hai con me, stasera? Ti volti verso di me come Stella del Vespro, fata, elfo, incantata creatura, lucente Diana, abbagli i miei sensi, e la ragione, povera ragione, si ottenebra dinanzi allo splendore del tuo sorriso mentre mi chiedi, serafica, come mai non camminiamo più fianco a fianco, e io, cretino, che ti raggiungo, dimentico di tutto, mentre state parlando, di cosa non so più, e stare accanto a te mi basta, e altro non chiedo, perché ci sei tu.

 

Adesso siamo seduti in questo locale dalle pareti intonacate di fresco, bianche, su cui si riflette tiepida la luce delle candele. E penso che forse, prima, in strada, avrei fatto davvero meglio a chiederti, Oscar, se ce l'hai con me, stasera, invece che rincitrullirmi come un coniglio in primavera all'apparir del sole. Sì, stasera ce l'hai con me, e quella frase che mi hai sussurrato quando ti sono passato vicino per entrare in questo posto mi fa ancora irrigidire. E' questa la tua vendetta, Oscar? Da quando siamo entrati un solo argomento: il sesso? Vendetta a doppio taglio, mia cara. E poi, vendetta per cosa? Per quel bacio rubato, per quella camicia strappata? E allora, tutti i giorni appena trascorsi, il nostro cercarci? E' vendetta anche quello, Oscar? Ma no, era vero, lo so, e tu sei emozionata stasera, lo vedo, e sei bellissima con questo vestito nuovo, mentre io non trovo il coraggio per dirtelo, che sei bellissima, perché siamo seduti troppo vicini su questa panca, nell'angolo della stanza, e le nostre gambe, le nostre braccia, non hanno mai smesso di sfiorarsi per tutto il tempo, e quando mi giro a guardarti gli occhi ti brillano e le gote si colorano, lo sguardo si abbassa. E allora, allora, perché? Non ho spiccicato parola da quando siamo partiti dalla caserma e sembra che nessuno si senta privato di qualcosa per questo. La conversazione prosegue vivace e già molti argomenti sono stati trattati: bocchini, connilinguus, posizioni (davanti didietro difianco); Oscar gioca a fare la donna vissuta e a me viene da ridere pensando a dove cavolo sarà andata a leggere tali e tante stupidaggini. Arriva quello che abbiamo ordinato, la specialità del posto, secondo Alain: miele sciolto nel latte, rafforzato da quattro dita di brandy e due di panna, mia nonna me lo dava contro il raffreddore ma evidentemente la nonna mia e quella di Alain non seguivano le stesse teorie su ciò che è adatto agli infanti e ciò che non lo è (ecco perché reggo bene l'alcool). Appoggio la schiena alla panca e mi svacco: la mia attenzione non è fondamentale; sorseggio il beverone caldo che non vuole sapere di scendere. Cerco di pensare ad altro, l'argomento è doloroso, e mi perdo ad osservare i riflessi dei tuoi capelli, amore. Ma come fai ad essere sempre così bella! E all'improvviso la tua mano sulla mia, morbida, e la tua voce dolce, come il latte, che afferma che non sono poi un caso così irrecuperabile come sembra, mentre mi guardi come a rassicurarmi, di cosa mi chiedo, perché se non mi è mai successo nulla sarà perché non ho voluto, non per altro, no? Ah, ho capito adesso: si sta parlando di verginità, la mia, in particolare; e a me scapperebbe da ridere, se qualcosa da ridere ci fosse sull'argomento. E mi viene in mente di dire ad Oscar che, impiegando solo qualche ora del suo tempo, potrebbe attribuirsi il merito di risolverne due, di casi irrecuperabili, e in una volta sola, con reciproca soddisfazione. Ma taccio. Taccio perché non si tratta di questo, perché non è questo che adesso mi fa giocherellare apertamente con le sue dita e non la fa fuggire. Così cambio argomento, cercando di rimanere comunque in tema per non farmi scoprire, e dico la prima sciocchezza che mi viene in mente, tanto...:

-Senti un po', Alain, tu che sei grande e grosso, spiega un po' a un novellino come fai a non schiacciare le donne in certe situazioni. -

Ma è lei che risponde, non me l’aspettavo, offesa come una Pentesilea ferita d'ignominia in battaglia e temibile ancora:

-Staranno sopra loro, no? Guarda che anche le donne possono stare sopra, lo sai, vero, pivello?- e d'improvviso solo ricci biondi su di me, sbattuto inerme contro il muro alle mie spalle, e bocche, e mani, e dita, tentacoli, sirena, squalo... piovra, e umido sul mio viso e sulle mie labbra, mare, aria, respiro, respiro... amore non respiro, per pietà, e tieni giù quelle mani, non lì, non lì accidenti a te, e dita che si intrecciano, lotta, amore, desiderio, fuga, e il mio volto a cercare salvezza, e labbra, ancora labbra, umide, chiuse, avide, sul mio volto, ovunque, soffoco, capelli, ancora capelli, ovunque capelli, onde immense di capelli, vortici, gorghi, Laocoonte tu puoi capirmi, e gambe, strette, e mani, e scivolo sulla panca, sprofondo, annego, un peso sopra, morbido, più in basso, sempre più in basso, no, ti prego no, no amore, no, non farlo, no, e un dolore lancinante, ahia cazzo, di legno alla nuca e di denti e labbra stritolati tra denti e labbra, e un palmo di lingua, umida, viscida, immobile, nella mia bocca, e una guancia sotto le mie narici, e aria, aria per pietà, grido d'aiuto in gorgoglii inascoltati, e mani, ancora mani, le mie, sulle tue braccia, amore, e ti allontano, con forza, amore, e parlo, finalmente, a sproposito, lo so, amore:

-Oscar, non voglio approfittare di te. -

Sì, amore, sono un pivello. Lo riconosco.

E lo scatto che hai fatto per rimetterti a sedere, e come ti ho vista, poi, con le braccia e la fronte abbandonate sul tavolo e la mano a chiudere forte l'altra stretta a pugno, mi feriscono più della mia vilipesa verginità. Ti amo, che posso farci? E Alain, volatilizzato; il suo bicchiere, vuotato, lui, sparito. E la vergogna che mi assale, e la tenerezza verso di te, così fragile, adesso, lontano da me, e il tuo silenzio chiuso; come ti stringerei a me, forte, da non lasciarti; non devi vergognarti di nulla, no, non dovrai vergognarti di nulla. Appoggio la mia mano sulla tua schiena esile, e mi soffermo a guardare la tua vita così sottile che stasera non hai nascosto. Ti accarezzo, piano, con tutta la mano aperta a sentire il tuo corpo, poi mi chino verso di te, verso il tuo volto, appoggio la fronte alla tua testa e ti sussurro se, ehi, ma petite, hai voglia di uscire da questo posto, di fare una passeggiata all'aria aperta, noi due soli, e continuo ad accarezzarti e risalgo sulla spalla, e ti stringo con la mano come se ti abbracciassi, e ti chiedo, in silenzio, per tutti e due, di perdonarti, perché io ti amo e stasera sarai mia.

 

 

Guardava in basso. Era terrorizzata dall'idea di incrociare il suo sguardo e la vergogna per il suo colpo di mano le pesava sul collo come il basto di un mulo. La vendetta sarà pure una cosa da veri uomini ma non per questo è una cosa intelligente. Anzi... E per di più non aveva risolto nulla. In verità aveva rovinato tutto quel poco che restava da rovinare: di questo ormai era certa, considerava con le spalle curve. E lui camminava ad un passo da lei e non si toccavano più. Era così fondamentale ormai toccarlo! Così imprescindibile e necessario! Così assolutamente ineluttabile come il morire! Sospirò, sbirciando dal basso in direzione di lui, cercando di non farsi scoprire. Ma a che cosa penserai adesso, eh? Che penserai di me? Penserai che sono una troia? Penserai che volevo solo un... oh mamma... stallone? Ma io non volevo farlo solo per... cioè: era uno scherzo quella volta sulle scale! E sarebbe andata avanti ancora un po' con siffatti pensieri se non le fosse balenata in mente l'immagine di André a mo' di satiro-stallone che se ne andava zompettante su un paio di zoccoli nuovi fiammanti. Le venne da ridere ma non lo fece, e concluse, con assoluta certezza, che quella non era la sua serata. Lui sembrava assolutamente sotto controllo, come al solito. Le faceva venire un nervoso quando lo vedeva così! Nessuno avrebbe mai detto che la donna che lui sosteneva di desiderare da una vita, poco prima gli aveva messo le mani addosso ed era stata respinta. Tra l'altro si era anche ferita un po' il labbro nella botta contro i denti di André e adesso le bruciava. Sono proprio impedita, constatò con amarezza. Una cosa però l'aveva imparata: non è così che vanno fatte certe cose. Era stato un tentativo venuto male, malissimo e pensava con terrore a che cosa avrebbe fatto se, quell'approfittatore d'un André avesse smesso di cercare d'approfittarsi di lei. Uomini: bravi solo a tirarsi indietro all'ultimo minuto! Che poi: "Oscar non voglio approfittare di te"... ma sarà una frase stupida da dire considerando che, per una volta, era lei ad approfittarsi di lui!? Prima o poi se la sarebbe fatta spiegare. Quell'uomo sarebbe sempre stato per lei un mistero insondabile. Sbirciò di nuovo nella sua direzione, rischiando il torcicollo nel tentativo disperato di non farsi scoprire. Era alla sinistra di lui perché, una volta alzati, non aveva avuto il coraggio di fare il solito sfarfallamento per poterlo guardare in faccia. Maledettissima ciocca di capelli! Sospirò più forte, sconsolata. Il suo indovinello l'aveva sciolto non appena l'aveva visto quella sera e, una volta avuta la soluzione in mano, si era sentita un po' ottusa tanto era banale. La luna era color del miele e lei la trovò splendida. Riuscì a sorridere nonostante ogni secondo che passasse lontana dal corpo di André la facesse sentire immensamente, incomparabilmente, irrimediabilmente, incredibilmente, stupida. Avrebbe voluto accarezzarlo ma aveva paura. E sentirlo camminare a un passo da lei la faceva quasi morire dal desiderio di toccarlo. Ad un tratto lui si fermò, le fece un sorriso furbo e scherzoso assieme, la prese per un braccio e se la tirò contro:

-Andiamo, vieni qui vicino a me! - e sentì il suo, di braccio, sulle spalle, sicuro, lieve e rilassato, si irrigidì, stringendosi, abbassando il capo, con le braccia tese e le mani giunte, terrorizzata e impotente per non saper che fare e volere, mentre camminavano lenti nella notte. Poi lo sentì chinarsi leggermente su di lei, e percepiva il volto di lui vicino al suo, ancora, legata dalla paura e dal desiderio, e tutto quello che rimase del mondo in quegli istanti furono, per lei, solo il suo cuore e la vicinanza di lui come una torcia calda vicino al viso. E infine André parlò:

-Ma che hai tanto da sospirare stasera? Ti mancherà il fiato, prima o poi, e dovrò raccoglierti svenuta a quattro di spade sul selciato. - Lei arrossì.

-Oppure confessa che lo fai apposta perché io ti baci ancora e tu possa avere una scusa per fare finta di niente, piccola furfante. - E lei lo guardò allibita, ma rideva, e sorrise anche lei per un attimo, prima di abbassare gli occhi e continuare a sorridere tra sé. Poi lui si raddrizzò e camminarono ancora vicini così, e lui sembrava rilassato, e lei no, e lui sembrava sicuro, e lei no; e lei rise dell'effetto che dovevano fare a chi li avesse visti. Ma andava bene così, in fondo. Camminarono ancora.

E ad un tratto, improvvisamente, in un moto istintivo e felice, lei si aprì ad abbracciarlo forte sul torace, stringendolo tanto da farsi male, da non farlo più allontanare, perché gli voleva bene e voleva stare con lui, sempre, amore non mi lasciare; e spinse il volto sul suo petto, come a nascondersi per poterlo vedere meglio, e quando infine lui la strinse sulla vita e posò il capo sulla sua testa, camminarono così, vicini, sotto quella luna di miele. E in quell'abbraccio, mentre lo stringeva a sé, mentre ne sentiva i contorni con le mani e col corpo per non dimenticarlo mai più, e mentre aveva il suo petto snello protetto tra le sue braccia, capì che l'ultima barriera era ormai caduta dal suo cuore, capì finalmente, percependolo così, nel suo abbraccio, che il limite dell'amore di André era la sua stessa esistenza, perché non poteva essere più ampio della morte e della vita in questo mondo, e che la morte, e solo lei, ne avrebbe decretato la fine, prima o poi; ne fu felice. Le sembrò un limite tanto ragionevole e rassicurante quanto esclusivo e immenso, e ne varcò i confini con un'ansia gioiosa da farla sentire completamente pazza. Va bene, va bene così, così sono contenta. E le venne un'insopprimibile voglia di correre, di ridere, di farla sapere al mondo intero la sua felicità con lui, come mai era stata felice e mai, mai più, sarebbe tornata ad esserlo, così, come quella sera di dolce e d'amaro. Si staccò da quell'abbraccio, lo prese per mano e lo trascinò dietro di sé, urlando.

-Dai André, dai, corriamo! -

E corse ascoltando ogni fibra del suo corpo e ogni profumo della sua risata, come una menade presa da gioia terribile. Sentiva la mano di André che stringeva fiducioso la sua, senza fare domande, correndo, insieme, senza meta, senza direzione. Sì, così andava bene, andava bene.

-Corriamo, dai corriamo André! -

Lo sentì ridere dietro di sé e perse del tutto la testa. Avrebbe voluto andare sempre più veloce, ancora più veloce: era del tutto impazzita, ma era felice. Vide una lucciola:

-André! André! Una lucciola a luglio! - urlò ridendo dalla sorpresa,  batté le mani gridando e saltellò come bimba, sentendo André sempre dietro di lei a carezzarla senza toccarla. E rise forte, e le sembrava di girare in tondo, abbandonando le braccia in un incontrollabile capogiro. Sì, così andava bene. Corse ancora con André nella mano dietro alla lucciola ritardataria; chissà, forse aveva ritardato per lei. La perse. Continuò a correre cercandola nel labirinto di strade della vecchia Parigi, infilando tutte le viuzze, cambiando direzione ad ogni bivio, a caso, senza smettere di ridere forte come non aveva mai riso, senza più alcun tipo di controllo. Saltava, rideva, si girava verso André e gli urlava:

-Dai André, dai corriamo ancora! - si sentiva assolutamente folle ma sì, andava bene così, era così che doveva essere.

Si fermò all'improvviso davanti ad un bivio: a forza di proseguire senza badare alla direzione si era persa come una scema in quel dedalo di viuzze: non aveva perso il vizio. Guardò perplessa André, una persiana sopra di loro si aprì minacciosa:

-Scappiamo Oscar! -

E si sentì prendere la mano e trascinare via, poco prima che del liquido puzzolente si rovesciasse nel posto in cui si era fermata, e una serie di improperi lo seguisse. Forse aveva svegliato qualche buon parigino con tutto quel ridere. Rise ancora, però più piano, sentì ridere anche André. Che bello! Con la luna piena riusciva a vedergli le spalle perfettamente. Bello, bello! E se ancora non erano andati a sbattere voleva dire che proprio del tutto cieco ancora non era. Sì, così andava bene. Le stringeva forte la mano, dimmi che non la lascerai mai, mai! Corsero ancora, in silenzio, in quella notte di luna color del miele. Non ho idea di dove tu mi stia portando, amore, ma va bene, va bene, se mi perdo con te non ho paura, siamo insieme. Svoltarono bruscamente a destra e si sentì d'improvviso appoggiata ad un muro, sotto l'ombra di un arco. Sentiva i loro respiri pesanti. Sorrise, erano vicini, così vicini. Sì, così andava bene. Avvertì il petto di André che premeva sul suo: era bello. Provò a dirlo: "che bello..."

Ma la frase si perse nell'espressione dolce e ardente di André, che le aveva preso il volto tra le mani e con i pollici le carezzava delicatamente gli zigomi.

-Io ti amo, Oscar. -

Lei chiuse gli occhi, e lasciò che quelle parole penetrassero nella sua anima e si sciogliessero nei suoi sensi. Rimase col volto in attesa, muta, protesa, e l'anima bruciante. Lo sentì così vicino a lei, così vicino...

-Oscar, io... io... -il volto di lui, perso nel buio, la cercava – Ti amo, Oscar. Ti amo! - imperiosamente, implorava un suo cenno: parla, parla ti prego amore mio.

-Anch'io, André, anch'io. - Non ebbe il coraggio di aprire gli occhi.

Attese, attese... la fronte di lui sulla sua e le mani che le stringevano il viso, di più.

-Dillo, Oscar, dillo. - in un sussurro: non resisto più.

-Ti amo. -

E nella notte si abbandonarono agli abbracci.

 

Brandy!

 

Bene, bene, proprio un bella serata: per quello che c'è stato e per quello che ci sarà. Una bella serata, una bella serata del cazzo. Non ci sarebbe potuto essere niente di diverso: nulla di più, nulla di meno. E io che vado a chiedere in giro perché le donne si sposano e la gente si innamora. Belle domande del cazzo, davvero, anche queste. Proprio delle belle domande del cazzo. La gente si innamora perché, invece di dire "andiamo a scopare", può dire "cara, facciamo all'amore". Fa più fico, indubbiamente. "Facciamo all'amore"! Frase del cazzo. E anche questo è un brandy del cazzo: finisce subito. La bottiglia era piena; era, una volta; fu. Defunse. Mi viene da ridere. Vorrei una donna, stasera. Cioè, la vorrei quasi sempre. Ma stasera la vorrei di più. Bell'amico! Combinare con la sua donna senza avvertire e lasciarmi a reggere il moccolo. Che almeno concludesse qualcosa, stasera. Coglione! Se non conclude stasera giuro che lo picchio. Se non conclude stasera, che lei è partita con quell'intenzione, lo svergogno davanti a tutta la caserma. Già, lo svergogno.

No, non lo svergogno, ci ho ripensato. Cosa lo svergogno a fare? Per svergognare anche me? No. Meglio di no.

Avrei bisogno di altro brandy; e anche di una donna con cui "fare all'amore", e la scarsella è vuota, soldato, o l'uno o l'altra, quindi. Che domande del cazzo: l'altra; e poi troppo alcol inceppa i meccanismi del fare all'amore. Già: li inceppa del tutto e poi non si possono più recuperare.  Già.

Non una donna stanotte si fida di me. Non una. E tante ce ne sono, tante, in questo quartiere di sans-souci. Bel nome “sans-souci” per un quartiere di beoni, ladri, e mendicanti. E giullari e artisti squattrinati. E puttane e ballerine.  Ma già, porto la divisa, e nessuno si fida più delle divise. Chi, sano di mente, al giorno d'oggi si fiderebbe più di una divisa? Non io. Io non mi fiderei di me stesso. Solo un coglione come André può sostenere che facciamo un servizio per il bene comune. E forse solo la sua donna ci può credere, al bene comune, alla libertà. Bella matta anche lei. Dio li fa e poi li accoppa, ah, no, li accoppia: ci mancherebbe altro che finissero accoppati tutti e due. Bella farsa. Una gran bella presa per il culo, sarebbe. La verità è che noi usiamo la forza per far schiattare di cibo dei pezzi di merda, e questo mi fa incazzare, mi fa incazzare da morire. E per aiutarli a rubare meglio. E verrà quel giorno in cui ci chiederanno anche di picchiare, e sparare alla gente che chiede solo cibo e tranquillità, perché loro possano continuare a fare i loro porci comodi. Bene comune: bella frase del cazzo anche questa. E mi fa incazzare ancora di più perché, per colpa di questa divisa, non c'è una donna che si farebbe avvicinare da me, stasera. Si nascondono, e non riesco a chiedere. E non mi resta che un'ultima arma, sono una merda, stasera, e urlo:

-Ma dico! Secondo voi una Guardia, da sola, a quest'ora, viene qui per fare una retata? Da sola? Le Guardie girano sempre in due, non lo sapete? Uno sa leggere e quell'altro sa scrivere, lo dite sempre, no? Credete che non lo sappia? E io da solo che ci farei, secondo voi? Che ci faccio, io, qui, da solo? -

Ho finito. Non ho più nulla da dire o da urlare dopo di ciò. E va già bene che non mi sono saltati alla gola per ammazzarmi come meriterei, da solo, in questo luogo, a quest'ora, con questa sporca divisa. E forse non sono mai caduto così in basso. Mai. Mi viene da ridere: bah, potrei solo risalire, in fondo. E lo spettacolo che vedo ha del ridicolo: puttane scandalizzate, offese. Troie perbeniste. Urlo ancora, non mi resta altro che le mie urla e il mio fiato, stanotte:

-Perché, eh? Perché? Certe cose non si dicono? Certe cose non si fanno? Cos'è che non si fa? Cosa! E chi decide cos'è che non si fa? Chi! Chi decide che cosa sta bene e che cosa sta male? Chi! Chi! -

Ho finito di scandalizzare. Ridono, adesso, e fanno bene, riderei anche io, e mi danno dell'ubriacone fuori servizio: e bravo, bravo il soldatino a caccia, che è finito miseramente rantolante in terra come un quindicenne alla sua prima sbronza. Bravo! Mi faccio quasi schifo. Schifo mi faccio, schifo. Perché faccio domande del cazzo, perché lo so che chi decide cosa è bene e cosa è male sono io stesso, cara mamma Eva,  e perché, quella cosa, sono io che ho deciso che non sta bene farla, e quelle parole non sta bene dirle. No, ancora domande del cazzo, stasera! Basta!

Una brunetta mi raccoglie da terra, compassionevole, cara ragazza, buona cristiana.

-Ti pago, ma non so se arrivo in fondo. - le ho gorgogliato.

Ridono, fottutissimi, strafottutissime. Non vedo la pelle di lei bruna nella notte, mentre mi faccio trascinare in un vicolo, seguendo solo il suono dei suoi molti bracciali. Nulla più di questo, nulla più. Una ragazzina fuggita da chissà quale miseria, nata da chissà quale violenza, in chissà che diavolo di parte del mondo, come c'è finita in questa via puzzolente, come ha potuto. Mia sorella. Mi sembra improvvisamente bella, tremendamente bella, Cristo se è bella, mentre l'ebbrezza dell'alcol cambia e non mi abbandona, e sale, in me, fino a farmi girare la testa. E potrebbe fare di me quello che vuole adesso, con questa sua pelle che non sa di luna e latte ma di cenere e d'ombra, e le sue sottane scarlatte sulle gambe nude, e i piedi piccoli, e agili, e il seno appena coperto, scuro nella notte, pungente sul mio petto. E le tiro su le gonne, in piedi, senza aspettare, ed è già umida, e che cosa le avrò fatto, che cosa le avrò fatto mai perché sia così, così, e non mi interessa, non mi interessa più, non mi interessa ora, non mi importa, no, di niente, di nulla, mai più, mai più. Subito le sono dentro, cretino che sono, e non riesco a fermarmi, non riesco, mentre mi spinge con i suoi pigolii di scricciolo caduto dal nido, senza più speranza, senza più famiglia. E mentre lei sussurra e geme, che cosa le avrò mai fatto mio Dio, mi chiede, mi implora, urla e pretende, che cos'è l'amore, che cos'è l'amore? Che cos'è, ancora, l'amore?

E a me che me ne importa, le rido in un orecchio, mentre, metodico, continuo a scoparmela.

 

 

 

 

 

Primo lettore     Alessandro M.

Prima lettrice     Laura Luzi

           Seconda lettrice     Alessandra                       

Terze lettrici pari merito     Mamma, Fiammetta

           Edizione     Laura Luzi

   Pubblicazione     Laura Luzi

Istigatrice di pulci nell’orecchio     Laura Luzi

Special thanks to La Mansarda

                                    Cartney

 

Vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno scritto per questo lavoretto, tutti in bene, per fortuna, quelli che lo hanno fatto: per i complimenti che fanno sempre piacere e per avermi, a volte, fatto vedere significati di quello che scrivevo, che io stessa non avrei mai colto.

Vorrei ringraziare Laura per quella sua splendida mansarda, per avermi spinto a conoscere Camilleri, per gli spaghetti alla bottarga, per le visioni di film in dvd in televisione e per i suoi servizi di piatti. Ma soprattutto, mia cara, per essere fonte inesauribile di incoraggiamenti d’ogni genere e grado che tirano sempre su di morale. Grazie.

Volevo poi ringraziare gli amici del “L’Arte”, Ordo Protectionis Artium in Rxxxxxx, perché voglio loro bene e perché, loro malgrado, hanno fornito il miglior materiale per questa storia con le loro, nostre, mirabolanti avventure.

E infine, last but not least, Alessandro, mio compagno di strada, perché, pur non amando il genere, si è gentilmente prestato a fungere da termometro di prova per queste pagine: se piacevano a lui, c’era speranza che piacessero anche a qualcun altro lettore assiduo di fanfic, no?

 

E non dimenticate, signori e signore, quando uscirete dal cinema, di acquistare i prestigiosi gadgets di “Notturno (senza lucciole) & seq.”!

Notturno ( senza lucciole) & seq.” il cappellino, “Notturno (senza lucciole) & seq.” la maglietta, “Notturno (senza lucciole) & seq.” il lanciafiamme! In ogni confezione troverete la cartolina per partecipare al fantastico concorso: “Acchiappa la citazione!”. Partecipate numerosi!

Acchiappa la citazione!*

Nel testo appena letto ci sono, sparse qua e là, diverse citazioni, i cui autori,  in rigoroso ordine di apparizione, sono:

Gigi Proietti, Franco Battiato, Shakespeare, Jerome K. Jerome, Alessandra, Dante, Laura, Elio e le Storie tese, Alessandro Manzoni, Alex Britti, il granchio Sebastian, Italo Calvino, Alessandro Baricco, San Francesco, Lorenzo Da Ponte, Stephen King, Jack Nicolson, Fiammetta, Qohelet, Ecclesiaste, Stanley Kubrik, Lewis Carrol, J.R.R.Tolkien, Walt Disney, Victor Hugo, Vinicio Capossela.

Da quale opera sono state tratte?

La prima persona che fornirà le risposte esatte riceverà in premio "Le carte della Guardia": esclusivo mazzo di carte aromatizzato al sudore di soldato, polvere da sparo, pasta e fagioli del martedì, carne della domenica, unto di tavolino, forfora, cimici schiacciate, lardo. Il prestigioso mazzo è autografato, in esclusiva per voi da: André Grandier sulle carte di cuori, Oscar François de Jarjayes su quelle di fiori, da Alain de Soisson su quelle di quadri e da Hans Axel von Fersen su quelle di picche.

E a chi indovinerà anche la citazione fantasma, oltre a tutte queste, un simpatico omaggio!

Dimenticavo:l'autografo si trova sul verso delle carte. ^_____^

 

*Aut. Min. Ric. Tutti i diritti sui personaggi e sulle citazioni utilizzate spettano ai legittimi proprietari. La direzione si scusa per tutte le eventuali citazioni involontarie che possono esserle sfuggite e, in seguito a comunicazione raccomandata, si impegna a renderne conto pubblicamente nei luoghi deputati a tale scopo (la gogna).

 

Ciao!

Made with a Mac

 

Mail to brumilde@libero.it

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