Il ritorno

 Parte I

 

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Parigi, gennaio 2000.

Oscar François de Jarjayes camminava velocemente, incurante del freddo pungente che stringeva la città in una morsa. C'era del nevischio nell'aria, che si posava come un velo sui suoi lunghi capelli biondi, ma lei pareva non accorgersene, immersa com'era nei suoi pensieri. Le piaceva camminare da sola, impadronirsi delle strade della sua città, scoprire nuovi angoli. In fondo, la sua era stata sempre un'indole solitaria. I suoi genitori erano morti alcuni anni prima, lasciandole ben poco oltre al titolo nobiliare. "Siamo una famiglia ricca di storia Oscar, non dimenticarlo mai", diceva spesso suo padre, nelle lunghe sere passate a rievocare le gesta della famiglia Jarjayes. Oscar sorrise ripensando al giudizio di suo padre sulla rivoluzione del 1789: "Hanno distrutto tutto ciò che c'era di bello e sano in questa nazione, erano soltanto una banda di malfattori e delinquenti!". Forse sul suo giudizio pesava anche il fatto che dopo la rivoluzione le proprietà della famiglia Jarjayes fossero state espropriate, e che il magnifico palazzo di famiglia fosse ora diventato un albergo di lusso. "Una vergogna!" tuonava suo padre inorridito. In eredità le era toccato anche quel nome così inusuale per una donna: Oscar. Era una tradizione della sua famiglia quel nome, a cui suo padre aveva obbedito. Pareva che tutto risalisse a prima della rivoluzione, quando un tale Generale Jarjayes chiamò così una delle sue figlie, educandola poi come un uomo. Oscar avrebbe voluto saperne di più su quella sua antenata così singolare, ma era come se fosse stata cancellata dalla storia della famiglia. Non esisteva neanche un suo ritratto, ed Oscar non sapeva neanche che aspetto avesse avuto quella donna di cui portava il nome. Pare che si fosse schierata dalla parte del popolo nel 1789, e che avesse addirittura partecipato alla presa della Bastiglia. Nella sua famiglia si preferiva pensare che non fosse mai esistita, ma Oscar sentiva una profonda simpatia per quella sua antenata che aveva vissuto come un uomo, così diversa dalle donne del suo tempo. Oggi era diverso. Lei, ad esempio, aveva sempre preferito abiti di taglio maschile, nonostante la sua figura alta e sottile le consentisse qualunque tipo di abbigliamento. Metteva sempre i pantaloni ed ampie camicie, preferibilmente bianche. Per il suo aspetto così singolare ed affascinante, all'inizio le persone erano sempre un po’ intimidite da lei, ma poi rimanevano inevitabilmente conquistate dalla sua semplicità, dalla sua profonda bontà d'animo, e dalla sua innegabile classe. Dopo gli studi, Oscar aveva preferito dedicarsi alla sua grande passione di sempre: i cavalli. Possedeva un piccolo maneggio un po’ fuori Parigi a cui si dedicava con amore, approfittando dei pochi momenti liberi per lunghe cavalcate solitarie. Era in quei momenti che si sentiva veramente in pace con se stessa. Eppure…quando cavalcava, fin da piccola, a volte sentiva come la presenza di un compagno invisibile accanto a lei, qualcuno che condivideva la bellezza di quei momenti, la stessa sensazione che aveva avvertito spesso camminando da sola sulla spiaggia di Arras, un luogo che amava particolarmente senza sapere perché. Fu interrotta nei suoi pensieri dallo squillo del cellulare. Odiava quell'aggeggio, ma le era indispensabile per il suo lavoro. Guardò il numero: era Gérard. Decise di non rispondere, e quando smise di squillare, lo spense. Gérard…una storia senza senso, ormai. Doveva chiuderla definitivamente. Neanche questa volta era riuscita a sentirsi realmente coinvolta. "Forse in me c'è qualcosa che non va, dopotutto" pensava spesso. Aveva avuto poche storie, ed in ognuna aveva sentito una parte di sé, la più profonda, ritrarsi inevitabilmente. Spesso si sentiva come se stesse aspettando, aspettando qualcuno…ma chi? Il misterioso compagno invisibile? Già, quello che a volte in sogno aveva udito chiamarla da lontano, senza mai riuscire a vedere il suo viso. Peccato che non esistesse. No, era solo un modo per fuggire la realtà, lo sapeva. Ci teneva troppo alla sua libertà, alla sua indipendenza, ed odiava sentirsi fragile ed indifesa. Ormai aveva quasi trent'anni, e pensava di conoscersi abbastanza bene. "Una rosa sarà sempre una rosa…", come continuava? Probabilmente era una vecchia poesia che doveva avere letto da qualche parte, anche se non ricordava mai dove. Quasi dimenticava perché fosse uscita, quella mattina. Si frugò in tasca alla ricerca dell'indirizzo. Eccolo. "Antoine Grandier - Antiquario - Rue de Lunain, 8". Le avevano detto che il signor Grandier era uno dei maggiori esperti sull'arte francese del '700, che era un periodo che l'aveva sempre affascinata. Magari avrebbe trovato qualcosa di non eccessivamente costoso, per arredare il grazioso appartamento dove viveva da sola. Grandier…eppure quel cognome le ricordava qualcosa…o qualcuno? Era abbastanza comune, dopotutto, ma non era quello. Forse un vecchio compagno di scuola? No. Qualche amico di suo padre? Non le sembrava. Eppure…dalla prima volta in cui l'aveva sentito le era sembrato stranamente familiare, come un vecchio ricordo che non sapeva identificare. Ormai era quasi arrivata, Rue de Lunain era un po’ più in là, e probabilmente il signor Grandier era solo un vecchio signore che non aveva mai avuto nulla a che fare con lei. "Andiamo a conoscerlo", si disse Oscar, ed affrettò il passo.

Oscar imboccò Rue de Lunain, che era una tranquilla strada residenziale. "Numero 8…dove sarà? Ah, eccolo!". Si fermò davanti alla vetrina del negozio. L'insegna diceva: "Antoine Grandier - Antiquario". Sembrava non ci fosse nessuno, dentro. Spinse la porta ed entrò. Un vero disordinato, questo signor Grandier, si disse guardandosi intorno. Gli oggetti più disparati erano ammucchiati alla rinfusa, ed il suo occhio esperto ne individuò subito alcuni di grande valore. "C'è nessuno?" chiese ad alta voce. "Sì, un attimo e sono da lei", rispose qualcuno da una stanza sul retro. "Dalla voce non si direbbe un vecchio" pensò Oscar mentre attendeva. Si voltò ad osservare una graziosa scatola di porcellana, presumibilmente della fine del '600, ed improvvisamente una voce dietro di lei disse: "Le piace?". Oscar si voltò e si trovò di fronte un giovane. Fu come se il tempo si fosse fermato. Lui aveva i capelli neri, gli occhi verde intenso, era alto ed elegante, e lei sapeva di averlo già visto prima. Io ti conosco, disse una voce dentro di lei, riconosco il tuo viso…il tuo sguardo su di me…mi riconosci anche tu? Per un istante che sembrò eterno rimasero a fissarsi, poi lui lentamente, come riscuotendosi da un sogno, disse: "Mi scusi, forse l'ho spaventata, mi dispiace". "No, si figuri" disse lei ritrovando la voce. "Volevo…vedere il signor Antoine Grandier, se possibile" disse sentendosi un po’ sciocca. Lui sorrise: "Antoine Grandier è mio padre, ma adesso è in viaggio per affari, e quindi mi occupo di tutto io. Sono André Grandier". "Che meraviglioso sorriso" pensò lei, e si accorse che lui la stava fissando intensamente. "Mi scusi"…disse il giovane, "ma noi…non ci siamo già conosciuti, per caso? Non mi fraintenda, ma da quando l'ho vista ho come l'impressione…di averla già incontrata". "No, non credo" disse lei in tono volutamente freddo, per nascondere l'inquietudine che l'aveva assalita. Lui sorrise nuovamente, e questo la irritò, e disse: "Allora, cerca qualcosa in particolare?". "Sì, cerco qualche oggetto d'arredamento della seconda metà del '700, come ad esempio quella coppia di candelabri". Ed indicò due piccoli candelabri in argento dietro di lui. "Ah", disse lui prendendone uno in mano, "vedo che ha un ottimo gusto. Questi sono databili a fine anni '60. 1760", precisò con un sorriso malizioso. "L'avevo capito!" scattò Oscar, ma subito si pentì perché si accorse che lui la stava prendendo in giro. Gli tolse di mano il candelabro, e cominciò ad osservarlo attentamente, quando lui improvvisamente disse: "Il quadro!". Lei lo guardò senza capire, e lui aggiunse: "lei mi ricorda un quadro che avevamo nel negozio, tanto tempo fa". "Che quadro?" chiese lei. "Oh, era un quadro bellissimo, che raffigurava una giovane donna a cavallo, rappresentata come il dio della guerra. Ricordo che aveva dei bellissimi capelli biondi…proprio come i suoi. Da bambino passavo ore ad ammirarlo, ero profondamente attratto da quel quadro, da quella donna così fiera…confesso di esserne stato un po’ innamorato!". "Ma cosa c'entra con me?". "Lei sembra la donna del quadro. Le somiglia tantissimo…gli stessi occhi…gli stessi capelli…persino la stessa espressione!". "E dov'è ora questo quadro?". "Purtroppo fu venduto molti anni fa, e da allora non l'ho più visto, ma è rimasto perfettamente impresso nella mia memoria". "La memoria a volte gioca strani scherzi, sa? Non bisognerebbe darle troppo credito. Sono passati molti anni…e forse non ricorda bene", disse lei allontanandosi con aria indifferente. In realtà si sentiva turbata dal signor Grandier e dai suoi strani discorsi, ma non voleva darlo a vedere. Improvvisamente la sua attenzione fu attratta da una splendida spada, posta in una vetrina. "Quella spada…posso vederla?", chiese, e lui la prese con delicatezza. "Questa è databile intorno al 1770, apparteneva ad un nobile, sicuramente", disse André. "Ma questo…è lo stemma della mia famiglia!" disse Oscar stupita. "Sì, la famiglia de Jarjayes, a cui appartengo!". "Oh, allora ho davanti una fanciulla di nobili natali!" disse lui sorridendo "sono davvero colpito, madamigella", ed accennò un inchino. "Divertente! Piuttosto…ci sono le iniziali del proprietario, e sono proprio le mie: O.F.d.J, Oscar François de Jarjayes". "E allora?" disse lui, "potrebbero significare tutt'altro…". Oscar impugnò la spada, e disse: "Che strano, sembra fatta proprio per me…per la mia mano. Forse è appartenuta ad una mia antenata di cui so molto poco, che si chiamava come me e visse in quel periodo. Pare che fosse a capo dei soldati della Guardia". "Cosa? Una donna a capo dei soldati della Guardia nel '700? Mi prende in giro, vero?", disse André scoppiando a ridere. "La smetta!" esclamò Oscar indignata ". "Va bene, va bene, mi perdoni", disse lui alzando le mani in segno di pace, "però deve ammettere che è un po’ strano…va bene la smetto, non mi guardi così, la prego". Improvvisamente squillò il telefono ed André andò a rispondere. "Salvato in extremis", disse ridendo. "Pronto? Ah, ciao Lucille, sei tu? Sì, ne avrò ancora per un po’…no, non molto credo…". Oscar si allontanò con discrezione. "Sicuramente la sua fidanzata", pensò, e fu stupita di avvertire una fitta d'irritazione. "Che diavolo mi succede, oggi? Questo negozio mi fa uno strano effetto…devo andarmene". André mise giù il ricevitore, e lei disse: "Allora, signor Grandier, e se io volessi acquistare questa spada?". "E' un oggetto molto raro e molto bello…e non è in vendita", rispose lui fissandola. "Perché?". "Perché appartiene alla mia famiglia da anni, ed è qui solo in esposizione". Oscar si sentì irragionevolmente arrabbiata, e dominandosi a stento disse: "Bene, la mia era soltanto curiosità, al momento sono più indirizzata verso gli oggetti di arredamento, come i due piccoli candelabri di prima, per esempio". "Certo", rispose lui continuando a sorridere. "Quelli posso venderglieli, la valutazione si aggira intorno…", e disse un prezzo ragionevole. "Va bene", disse freddamente lei, "allora li prendo". "Solo che stiamo per chiudere…ed avrebbero bisogno di essere puliti. Potrei chiamarla quando saranno pronti…se lei mi lascia un suo recapito". Oscar esitò, poi, dandosi della sciocca, gli porse un suo biglietto da visita. Lui lo studiò un attimo, poi disse sorridendo: "E' incredibile, lei si occupa di cavalli! Lo sa che i cavalli sono sempre stati la mia passione, fin da bambino?". Oscar lo guardò con scetticismo. "Davvero, sa? Appena ho un po’ di tempo libero, la cosa che preferisco è cavalcare". Ad Oscar passò rapidamente davanti agli occhi l'immagine di lui a cavallo, nitida come un ricordo mai cancellato. "E' sicuro di non essere mai venuto prima nel mio maneggio, signor Grandier?", chiese all'improvviso. "Sicuro, non l'avrei certamente dimenticato". "No, è che mi sembrava…mi sarò sbagliata. Bene, allora io vado, la ringrazio ed attendo sue notizie…", disse lei porgendogli la mano. Lui la strinse, e ad entrambi sembrò che una corrente li percorresse. Dammi la tua mano ed io ti seguirò ovunque, nella luce del sole e nel buio della notte…Oscar si ritrasse come se si fosse scottata ed uscì, lasciando André immobile a guardarla.

André si sedette. Quella donna…sembrava che tutta la luce fosse andata via con lei. No, non era solo la sua bellezza ad averlo colpito, ma la sensazione così forte di averla già conosciuta. Non potrei mai dimenticare la tua vera bellezza…cos'era, una poesia? Chissà. Certo, la somiglianza con la donna del quadro era incredibile, nonostante fossero passati tanti anni lo ricordava perfettamente, aveva passato tante ore a fissarlo. Eppure…gli sembrava di conoscere anche le espressioni del suo viso, quei suoi splendidi occhi apparentemente freddi, ma con una scintilla pronta ad accendersi nel profondo. Si sentiva turbato, come se avesse riascoltato una vecchia canzone ormai dimenticata, e non riuscisse a capire dove e quando l'avesse udita. Sapeva soltanto una cosa, pensava guardando il biglietto che gli aveva lasciato: doveva rivedere quella donna.

Oscar, Oscar…coraggio, vieni, chiamò la voce lontana. Oscar si trovava nel bel palazzo che aveva visitato tante volte in sogno, circondata da splendidi oggetti. Sapeva di essere a casa. Ma era sola, come sempre. La voce…perché non riusciva mai a raggiungerla? Ma questa volta era più vicina, lo sentiva. "Chi sei?" chiese "perché non riesco a vederti?". Sono qui, Oscar. Forse sei tu che non vuoi vedermi, forse mi hai dimenticato. "No! Non ti conosco nemmeno…come potrei averti dimenticato?". A volte i ricordi fanno male, Oscar… "Perché? Cos'è successo? Forse ti ho fatto del male?" E si accorse di stare piangendo. Non devi piangere. Io sono stato felice, credimi. "Allora…ti ho reso felice? Davvero?". Certo Oscar, mi bastava vedere il tuo sorriso... E mentre udiva queste parole Oscar sentì una mano prendere la sua, ed ora lui era davanti a lei, ma il suo viso rimaneva indistinto…"Voglio vedere il tuo viso…ti prego, fammi vedere il tuo viso…", disse stringendogli la mano, ma lui si allontanò nell'ombra, lasciandola sola, e lei si svegliò di soprassalto, sentendo il cuore batterle furiosamente.

Ancora quel sogno. Ma stavolta era quasi riuscita a vedere l'uomo del sogno, ad udire più chiaramente la sua voce. Gli aveva preso la mano, l'aveva sentita viva nella sua…ma lui era svanito ancora una volta, lasciandole quell'amaro rimpianto che ormai conosceva così bene. Quel sogno l'accompagnava da anni, ma negli ultimi tempi si era fatto più frequente, più vivido…come un ricordo sepolto che torni alla luce. "Ma io non ho mai conosciuto quell'uomo, eppure mi sembra così familiare…la sua voce sembrava quasi quella…sì, quella di André Grandier!", pensò Oscar stupita. André Grandier…cosa c'entrava lui con quell'immagine che la perseguitava? L'incontro con lui l'aveva colpita stranamente, ma quel sogno era qualcosa che le apparteneva fin da bambina, per quanto potesse ricordare. Sentiva che c'era qualcosa che le sfuggiva…come se tante tessere di un mosaico non riuscissero a trovare il loro posto…"Basta, mi sto facendo suggestionare come una sciocca. Domani tornerò nel negozio, e tutta questa storia sarà finita". Si alzò e spalancò la finestra, ma l'aria fresca del mattino non riuscì a dissipare le ombre dei sogni della notte.

In quel momento anche André Grandier si svegliava, turbato da un sogno. Non riusciva a ricordare bene. Gli sembrava di aver sognato quella donna…Oscar François. Nel sogno lei gli dava degli ordini, e lui obbediva. Assurdo! Perché mai avrebbe dovuto obbedirle? Non lo aveva mai fatto in vita sua! "Chissà, forse il mio sogno segreto è sempre stato quello di essere comandato da una donna", rise tra sé. Si affrettò ad alzarsi. Lo aspettava una giornata molto impegnativa, avrebbe anche dovuto incontrare Lucille, la sua fidanzata. Ultimamente aveva capito che lei si aspettava qualcosa in più da lui, un maggiore impegno. Ma per quanto le volesse bene…sapeva di non amarla. Era inutile continuare. Non si era mai innamorato davvero, forse solo da bambino…della donna del quadro. "André, smettila di fissare quel quadro! Quella donna, se mai è esistita, sarà morta da almeno duecento anni!" gli aveva detto suo padre un giorno, sorprendendolo per l'ennesima volta a guardarlo affascinato. "Non è vero, da qualche parte esiste, lo so!". Suo padre aveva scrollato la testa rassegnato. "Sì, certo. E quando l'avrai trovata che farai?". "La sposerò, è chiaro!" aveva risposto lui con un gran sorriso. Quanti anni aveva, allora? Forse otto, ma da allora l'aveva cercata in ogni donna che aveva incontrato, senza mai trovarla. O forse no? Oscar François…come le assomigliava. Avrebbe voluto rivedere il quadro, per esserne certo. Ma dov'era adesso? Aveva intenzione di fare delle ricerche, da qualche parte dovevano esserci ancora i vecchi registri…avrebbe chiesto a suo padre. "Devo ordinare delle rose per Lucille, oggi", pensò. Voleva farlo per farsi perdonare qualcosa…non sapeva neanche bene cosa. Le avrebbe mandato delle rose rosse. Lucille amava le rose rosse. Lui no, preferiva le bianche, aveva sempre amato le rose bianche.

L'indomani Oscar camminava speditamente per Rue de Lunain, diretta verso il negozio di André. "Stavolta sarò rapida", pensava, "ci vorranno solo cinque minuti, e poi il signor Grandier sarà solo un ricordo". Giunta davanti alla vetrina, sentì il cuore batterle come dopo una corsa. Che diavolo le succedeva? Aprì la porta con decisione, ed un giovane alzò gli occhi verso di lei. Non era André. "Salve, desidera?" disse lui. "Io…io dovrei ritirare dei candelabri. Sono Oscar François de Jarjayes". "Ah, sì, certo. Io sono Xavier. Oggi il signor Grandier è impegnato, ma i suoi candelabri sono pronti. Ora glieli prendo". "Sì, e questo è l'assegno, grazie", disse lei porgendoglielo. Perché si sentiva così delusa? Probabilmente il signor Grandier non le aveva rivolto più di un pensiero, da quando era uscita dal suo negozio. Era meglio così. Eppure si sentiva inspiegabilmente depressa. Mentre il giovane preparava il pacco, Oscar guardò la spada nella vetrina. Era così bella…ed era appartenuta alla sua famiglia. Probabilmente proprio a quella sua antenata così misteriosa. Sentiva che doveva averla. Ma non era in vendita, purtroppo. E poi non aveva nessuna intenzione di tornare, non l'avrebbe più fatto. In quel momento squillò il telefono, e Xavier si precipitò a rispondere. "Ah, è lei signor André, buongiorno. Sì, quel pacco è arrivato, l'ho ritirato io…mentre il signor Jacquart ancora non si è visto. C'è qui la signora de Jarjayes, per i candelabri…sì, ora gliela passo", e le porse il telefono "Il signor André vorrebbe parlarle". Oscar prese il microfono cercando di tenere a bada l'agitazione che l'aveva presa. "Pronto?" disse freddamente. "Signorina de Jarjayes, mi dispiace che non mi abbia trovato, oggi ero impegnato altrove, purtroppo". La voce…quella voce sembrava quasi…no, non era possibile, era ancora suggestionata dal suo sogno. Si riscosse e disse: "Non c'è problema, signor Grandier…è tutto a posto". Sentì che lui esitava. "Ecco, io…va bene, allora spero che tornerà a trovarci presto. Me lo auguro", "Se passerò ancora da queste parti…può darsi". Lui rimase in silenzio, e poi disse: "Allora la saluto, Oscar François de Jarjayes", "Arrivederci, signor Grandier" disse lei, ed abbassò il ricevitore. Oscar prese il pacco, salutò Xavier ed uscì. "Sembrava dispiaciuto di non avermi incontrato…o forse voleva solo essere gentile, tutto qui. La sua voce…è assurdo, ma sembrava proprio…". Scrollò le spalle ed affrettò il passo. Che importava? Tanto era sicura che non avrebbe rivisto mai più il signor Grandier in vita sua.

 

 

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