Nelle mani

parte VIII

 

Warning!!! The author is aware and has agreed to this fanfic being posted on this site. So, before downloading this file, remember public use or posting it on other's sites is not allowed, least of all without permission! Just think of the hard work authors and webmasters do, and, please, for common courtesy and respect towards them, remember not to steal from them.

L'autore è consapevole ed ha acconsentito a che la propria fanfic fosse pubblicata su questo sito. Dunque, prima di scaricare questi file, ricordate che non è consentito né il loro uso pubblico, né pubblicarli su di un altro sito, tanto più senza permesso! Pensate al lavoro che gli autori ed i webmaster fanno e, quindi, per cortesia e rispetto verso di loro, non rubate.

 

 

Aver preso quella decisione fece cambiare ancora il loro rapporto. Il sentimento che provavano acquistò una ricchezza maggiore, una stabilità nuova. Erano coinvolti da quel progetto, ansiosi e preoccupati di realizzarlo, attenti a prevedere ogni cosa. Ma una luminosità distesa sfiorava i loro sorrisi quando stavano insieme.

Non c’era bisogno di dire molte cose in quei momenti: erano divenuti spesso silenziosi, nel condividere il tempo.  Lui l’andava a chiamare bussando alla porta, lei apriva e sulle scale gli prendeva la mano. Poi si lasciavano subito, e scendevano vicini. Partivano insieme.

Talora, quando Oscar era di riposo, si allontanavano dalla casa e passeggiavano nel giardino, sotto gli alberi spogli. Avvolti nei mantelli guardavano il cielo vuoto senza parlare, lasciando che le dita fredde del vento s’insinuassero tra i capelli.

E certi giorni, se una circostanza favorevole permetteva di stare più insieme, accendevano il camino nella stanza di Oscar e passavano la sera sul divano, davanti al fuoco. Poi andavano a letto, e lei gli cingeva la vita mentre André le sfiorava il collo, posandole il braccio sulle spalle. “Potremo farlo ogni sera”, pensava allora. A volte lo diceva.

 

Nel salone di palazzo Jarjayes, nei pomeriggi d’inverno, trascorrevano qualche ora leggendo, seduti al tavolo di fronte alla vetrata che si colorava di un giallo sfumato ai raggi obliqui del sole. La luce tiepida carezzava il viso di lei, quando André la guardava: e allora, nonostante tutto, non riusciva a credere che la vita gli avesse fatto quel dono. “Vieni”, mormorava Oscar alzando gli occhi. E nel silenzio, dopo aver chiuso la porta, si nascondevano dietro un divano o si sedevano a terra, poggiando la schiena alla vetrata. Celati dalla grande tenda leggevano insieme lo stesso libro, che lui teneva tra le mani mentre l’avvolgeva in un abbraccio, accogliendo sulla spalla il suo capo abbandonato. Ripeteva piano le parole che leggeva, e spesso Oscar chiudeva gli occhi, ascoltandolo, perché le piaceva che fosse la sua voce a raccontarle le storie.

André faceva fatica a proseguire, allora, pagina dopo pagina, perché c’era troppa emozione nel suo cuore.

 

*

 

Quel mese era passato senza che accadesse nulla. E l’abbandono d’amore di quella sera nelle scuderie non aveva avuto conseguenze. Oscar si era quasi dispiaciuta scoprendolo, anche se avevano deciso di non farlo più, di aspettare ancora un po’. André ricordava il suo volto un po’ deluso quando gliel’aveva detto, e ricordava la tenerezza che aveva provato. Se fosse successo in quel momento avrebbero corso un grave rischio, e lo sapeva: eppure, sì, lo aveva desiderato anche lui.

Rendersene conto lo fece riflettere, lo rese consapevole di cose che prima sentiva senza poterle formulare con chiarezza. Erano pronti, tutti e due. Lui era pronto, e anche Oscar lo era. Presto anche il desiderio di un figlio sarebbe stato qualcosa di reale e forte, non solo una fantasia indefinita e piena di dolcezza.

Per quanto tempo ci fosse voluto prima che decidessero di farlo davvero, tuttavia anche per questo dovevano andarsene al più presto: non potevano più rimandare il momento di vivere la loro vita in libertà, e obbedire solo ai comandi di quell’amore che li aveva uniti e non si accontentava più dei pochi spazi che riuscivano a ritagliare dalla facciata delle loro esistenze divise. Non si trattava tanto del volere un figlio, ma del non temere che potesse succedere, persino in una situazione come quella. Si trattava di un legame divenuto fortissimo. La quotidianità  non aveva altro senso, ormai, se non quello degli istanti vissuti insieme, e il trasporto che li aveva rapiti quel giorno, spingendoli con volere irresistibile al dono completo di se stessi, ne era la prova. Si era affidato totalmente al piacere che gli dava il corpo di lei, il suo respiro sulle labbra, il suo tremare appassionato e indifeso. E aveva goduto in lei, fin quasi a morire in lei: era così che si era sentito in quel momento. Lo aveva fatto perché lo aveva voluto con tutto il suo essere, con ogni fibra dei suoi nervi, con ogni barlume cosciente della sua anima. E non si era pentito neanche per un istante, nel tempo venuto dopo. Aveva desiderato farlo ogni altra volta, da allora, ogni singola volta.

Non poteva più dominare quell’amore.

Ed era così anche per Oscar. André la vedeva mutare ogni giorno, avvertiva sbocciare in lei stati d’animo e riflessioni e pensieri che non erano più quelli di quand’era solo una giovane determinata e fragile, una donna cresciuta in un ruolo maschile che non sapeva molto di se stessa. Non era cambiata nella sua natura, no, ma ne era diventata consapevole. Aveva imparato a viverla, a gioirne. Oscar era una donna innamorata e felice: lui lo vedeva, e presto lo avrebbero visto anche gli altri. Era solo questione di tempo.

Si capiva già, in effetti. Ma nessuno se n’era ancora accorto perché da una vita, ormai, erano tutti abituati a considerarla come fosse un maschio, e a vedere lui al suo fianco: in quel momento era un vantaggio per loro, ma non sarebbe durato. Sarebbe bastato che a qualcuno sorgesse un piccolo dubbio, che si ponesse ad osservarli meglio, e lo avrebbe capito nel giro di un’ora.

Senza contare il rischio quotidiano di abbracciarsi e baciarsi e far l’amore in una casa dove dietro ogni angolo poteva spuntare qualcuno, e rovinarli chiunque egli fosse.

Doveva portarla via, portarla via subito.

 

 

Per fortuna era arrivata un’altra lettera dalla Bretagna, l’aveva ritirata all’indirizzo di Parigi che per prudenza aveva usato per farsi spedire la posta. Philippe, suo cugino, si era dato da fare dopo che gli aveva scritto ancora, e in fogli pieni d’entusiasmo spiegava che se avesse voluto si sarebbe potuto trasferire lì anche subito, e che tutto era organizzato: bastava solo che gli desse la conferma. Aggiungeva anche, in tono scherzoso, che la città era piena di belle ragazze, e che non avrebbe avuto difficoltà a trovarsi una moglie. La cosa aveva un po’ irritato Oscar, quando l’aveva letta. Voleva persino che André rispondesse, dicendo che aveva già provveduto, per quello, e che suo cugino non si desse troppi pensieri per accasarlo. Ma si era dovuta arrendere, perché era troppo rischioso anche solo accennare a un fatto del genere, in quel momento.

Ad ogni modo tutto procedeva secondo i piani e nel giro di poche settimane sarebbero partiti. Avrebbero aspettato la successiva licenza di Oscar e si sarebbero allontanati da casa come molte altre volte, dicendo che andavano ad Arras per alcuni giorni. Questo avrebbe consentito loro di acquisire un vantaggio prezioso su chiunque volesse inseguirli, perché la loro fuga si sarebbe scoperta con molto ritardo. Oscar avrebbe scritto una lettera a suo padre per dirgli addio - che gli sarebbe stata recapitata dopo una settimana - ma senza accennare minimamente a cosa avrebbe fatto e dove. Non sapeva ancora che parole usare, e la cosa la preoccupava: ma aveva deciso, ormai, e non sarebbe tornata indietro. Alla governante, invece, che fino all’ultimo sarebbe stata tenuta all’oscuro di tutto, avrebbero lasciato un’altra lettera d’addio, contenente tra l’altro delle indicazioni false sulla loro destinazione, cosicché, se qualcuno l’avesse interpellata e costretta a parlare, quello divenisse un mezzo assolutamente credibile per depistare le ricerche. Era un provvedimento crudele, e se ne rattristavano: ma non c’era altro modo, e André sperava che sua nonna comprendesse, col tempo.

 

Così i giorni erano passati, e non mancava molto. La prospettiva che avevano davanti li riempiva di un entusiasmo venato d’ansia, che cercavano di superare stando vicini. Solo su una cosa non ebbero mai alcun dubbio: la necessità di compiere quel passo, la convinzione che fosse giusto.

 

 

***

 

 

“Da quanto tempo non ci vediamo, generale! Mi siete mancato…”

Madame de Surgis aveva usato un tono civettuolo, piuttosto inadatto, ormai, a una donna non più nel fiore degli anni: ma nel salotto di Versailles in cui si trovava nessuno se n’era stupito, dal momento che quello era il suo modo abituale di apostrofare i gentiluomini.

E anche perché - si diceva - lei e Jarjayes, un tempo, erano stati amanti.

Il padre di Oscar s’era inchinato in modo composto e cortese: “Ne sono dispiaciuto, contessa – aveva detto – ma il dovere mi tiene spesso lontano da Palazzo”.

“Lo so, ahimè…”, aveva risposto allora madame de Surgis, simulando un sospiro rattristato. Poi, dopo qualche minuto di conversazione, approfittando dell’allontanarsi degli altri cortigiani richiamati dall’arrivo della regina, si era fatta porgere il braccio e l’aveva invitato a uscire su uno dei balconi.

Fuori era una bella giornata, e l’ora che conduceva al meriggio riscaldava con un sole inconsueto i giardini assopiti nell’inverno. “Come vorrei che arrivasse presto la bella stagione…” aveva mormorato ancora la contessa, guardando il suo cavaliere con aria sognante. “E voi?”

“Oh, per un militare non fa molta differenza, signora: siamo abituati a tutti i climi”.

Madame de Surgis aveva sospirato davvero, allora, e lo aveva fissato con un tono di bonario rimprovero: “Mio caro Savinien, non si può certo dire che il vostro rigore s’infranga dinanzi ai vecchi amici… Voi indossate l’uniforme sul cuore!”

Il generale aveva avuto un breve sorriso, allora, seppur venato di disagio: “Non è così, e voi dovreste saperlo”, si era lasciato sfuggire.

“Oh, fatico a ricordarlo, se è per questo – era stata la facile risposta di lei -, e devo dire che me ne dispiace molto…”

Poi aveva cambiato argomento, perché sapeva che non era così che sarebbe riuscita a interessarlo.

“Ma ditemi, cosa mi raccontate della vostra coraggiosa figlia? E’ molto tempo che non la vedo: anche lei, come voi, si tiene lontana dai salotti. E’ sempre così bella?”

Il generale non aveva risposto.

“Ah, sì, è stata educata come un uomo… Ma Oscar è una giovane molto bella, e questo è sotto gli occhi di tutti. Anche se forse lei per prima non se ne rende conto”.

“Oscar non pensa a queste cose – disse Jarjayes -, ma solo al suo dovere”.

“Sì, lo so, e i suoi meriti vi riempiono d’orgoglio… Ma ciò non toglie che sia una donna, sono spiacente di dovervelo ricordare”.

Lo aveva detto con tono lievemente insinuante, senza troppa enfasi, perché sapeva che bastava un accenno vago a tale argomento per pungere sul vivo il generale. Non tardò a raccogliere i frutti di quella manovra:

“E cosa vorreste dire con questo?”, chiese Jarjayes con voce quasi severa, ma incrinata appena dall’ansia.

“Ma è molto semplice, Savinien. Che prima o poi se ne accorgerà, se non è gia successo… E allora…”

“Allora?”

“Allora, perdonate la franchezza, penso che fareste bene a trovarle un marito che sia di suo gradimento, se non volete che provveda da sola…”

Il generale non aveva risposto, ma era impallidito, e, voltando le spalle alla contessa, si era posto ad osservare il giardino sottostante il balcone. Madame de Surgis aveva sorriso dietro il ventaglio, e pochi istanti dopo l’aveva raggiunto, accostandosi a lui: “Perdonatemi – aveva mormorato con voce soave -, la vostra perfetta cortesia vi impedisce di dare la risposta che la mia indiscrezione merita. Ma mi conoscete, amo essere sincera con le persone che ho a cuore”.

Jarjayes si voltò, con uno sguardo preoccupato e sofferto: lo sguardo di un uomo che ha abbassato le difese. “Sono certo che vi sbagliate, madame”, disse.

“Oh, ma certo… le mie sono solo chiacchiere un po’ frivole, mi conoscete…”, rispose lei rassicurante.

Poi si pose a osservare il giardino, con aria lieta, e notò qualcosa che attrasse la sua attenzione. Poco oltre le siepi, in un vialetto laterale, Oscar e André stavano parlando. Il sole risplendeva tra i capelli biondi di lei, mentre, poggiata appena a un muretto, volgeva il viso verso il calore e sorrideva. André la guardava, ascoltandola parlare, e rispondeva ogni tanto con un’espressione distesa sul volto. A un certo punto sorrise anche lui, e scosse appena il capo.

“Certo, mi sbaglio…”, mormorò tra sé a voce bassissima madame de Surgis, chiudendo il ventaglio in una mano con un gesto misurato. “Oh, guardate, Savinien – esclamò con aria innocente -, vostra figlia è proprio qui sotto! Proprio lì, dall’altra parte del cortile”.

“Sì, vedo”.

“E ditemi, chi è quel bel giovane che le è accanto?”

Il generale spalancò gli occhi: “Quello? Quello è il suo attendente, André…”

“Ah… - disse con tono deluso la contessa -. Così da lontano avevo creduto che fosse un gentiluomo. Sapete, il fare confidenziale con cui sembravano parlare…”

“Confidenziale?”

La contessa rise: “Che buffo, non è vero? Scambiare un servo per un corteggiatore… Devo aver smarrito la ragione, quest’oggi. O forse è il mio temperamento sentimentale, che mi fa vedere anche ciò che non c’è. Temo di essere inguaribile, ormai…”. Avvertì un fremito di piacere dentro di sé: il suo compagno era sempre più allarmato, l’aveva quasi in pugno. “E ditemi, per curiosità: da quanto tempo è presso di voi questo André?”

Jarjayes era a disagio: “Beh… da molti anni – rispose interdetto -. Lo prendemmo in casa fin da bambino, era orfano, perché svolgesse questa mansione al servizio di Oscar…”

“Pare molto compito, per essere un servitore”.

“Ha ricevuto un’educazione che lo mettesse all’altezza dell’incarico”.

“Educazione andata a buon fine, vedo. Dunque… si potrebbe quasi dire che lui e Oscar siano cresciuti insieme, se l’assiste da tanti anni…”

“…Sì… presumo di sì… prese le dovute distanze”.

“Oh, ma certo”, approvò madame de Surgis, con un tono rassicurato che tranquillizzò per un momento il generale. Poi aprì il ventaglio, e gli sorrise coprendosi appena il viso: “Sono cresciuti insieme… è per questo che mi ero confusa, guardandoli da qui. Quella familiarità così evidente mi aveva tratto in inganno…”

“Familiarità?”

“Ma certo, non vedete? Sembrano quasi due innamorati…” Rise garbatamente: “Che assurdità, non è vero? Ma ora è chiaro il motivo: si conoscono da sempre…”

Il padre di Oscar guardò verso il giardino con un’espressione terrea. Sua figlia e André parlavano in modo lieto e sereno, senza accorgersi di essere osservati: “Ma non stanno facendo nulla…”, obiettò con un filo di voce.

“Appunto, non stanno facendo nulla – concluse con un tono malizioso e leggero la contessa, godendosi il suo trionfo in cuore -. Non vedete che armonia c’è tra loro, anche se non fanno nulla?”

 

 

 

*

 

 

Quella sera il generale arrivò inaspettatamente a casa poco prima dell’ora di cena. Giunse a cavallo, senza servitori al seguito. La sua venuta provocò grande scompiglio: ma, stranamente, nessuno ricevette disposizioni particolari. Jarjayes si limitò a lasciare l’animale a uno stalliere e si incamminò, a piedi e da solo, verso il palazzo.

 

Voleva vedere Oscar.

Ma non parlarle.

Voleva guardarla, e guardarla insieme ad André.

Madame de Surgis era una cortigiana intrigante, e lui lo sapeva. La conosceva bene. Ma conosceva anche il suo intuito fuori del comune, e i discorsi che aveva fatto quel mattino l’avevano turbato profondamente. Indubbiamente si era comportata così per attrarre la sua attenzione, però… c’era qualcosa, in quelle parole piene di malizia, che – a sentirle con davanti agli occhi sua figlia, nel parco di Versailles con André - suonava di una verità inquietante. Non l’aveva mai notato: ma per un attimo - solo per un attimo – gli era apparso davanti agli occhi con evidenza incredibile un quadro inatteso e sconvolgente.

Non poteva essere. No.

Certo, la contessa aveva toccato un tasto dolente: doveva essere anche questo che lo agitava tanto. Era molto tempo che le sue certezze sul destino che aveva scelto per Oscar vacillavano. Non voleva ammetterlo, e forse fu proprio quella sera che lo riconobbe di fronte a se stesso per la prima volta: aveva forzato la natura di sua figlia, ma quella natura esisteva, e si sarebbe ribellata. Era vero ciò che diceva Madame de Surgis: Oscar era una donna, e una donna molto bella. Ed era sensibile, profonda. Aveva un mondo interiore ricchissimo, che faceva di tutto per nascondere, persino a se stessa.

Era una donna.

Ed era un essere umano, come tutti gli altri.

Avrebbe avuto bisogno di qualcuno cui appoggiarsi. Di qualcuno che la capisse, che le volesse bene.

Si sarebbe innamorata. Come tutti. Era impossibile che non succedesse.

E si sarebbe innamorata di un uomo.

 

Quel pensiero, e la certezza con cui gli si presentò alla mente, lo fecero fermare mentre con passo deciso si dirigeva verso casa. Si appoggiò a un albero del giardino, e si portò una mano alla fronte.

Sicuro, sarebbe successo.

E quando? E come?

E con chi, soprattutto?

E se invece fosse successo già? C’era stato un periodo, un anno prima, in cui Oscar era molto più cupa e nervosa del solito. Che avesse incontrato qualcuno? Che avesse provato proprio allora quel genere di sentimenti? In fondo lei frequentava tante persone, svolgendo il suo compito.

Certo erano stati sentimenti dolorosi, se li aveva provati davvero: aveva colto nei suoi occhi, un giorno, uno sguardo tristissimo. Che era scomparso subito, controllato da lei.

Adesso sembrava ritornata serena, però.

Cos’era accaduto?

Perché?

E come poteva lui, l’uomo che le aveva dato il nome di Oscar François e le aveva messo addosso un’uniforme e in mano una spada, come poteva lui che l’aveva chiamata per anni “mio figlio” trovare il coraggio di affrontare quella questione?

L’aveva sempre accuratamente evitata, nei suoi  pensieri. L’aveva ignorata volutamente.

Ma c’era qualcosa, nel suo animo, che non lo lasciava sereno. Da diverso tempo, ormai.

La verità era che si sentiva in colpa.

Fu in quel momento, appoggiato a quell’albero, che lo realizzò per la prima volta.

 

Sì, aveva creato una situazione assurda. E una situazione terribilmente instabile. Sentì quasi la testa che gli girava, le ginocchia che cedevano.  Portò anche l’altra mano al tronco, per sorreggersi.

Cosa passava per la mente di Oscar? Non lo sapeva, non l’aveva mai saputo. Per quanto ne sapeva lui sua figlia avrebbe potuto avere anche decine di amanti: era libera come un uomo, da sempre, e andava dove voleva.

In mezzo ai soldati, poi…

Ma non era così, lo sentiva. Oscar non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

Però era un essere umano, come tutti. E come tutti aveva bisogno d’amore.

Dio, come aveva potuto ignorare una cosa tanto evidente? Pensava forse che sua figlia si sarebbe votata alla solitudine perpetua?

Certo, se era per questo, il mondo era pieno di persone sole per forza. Le giovani costrette a prendere il velo, ad esempio: era mai stato un problema, quello?

Ma le monache stanno chiuse in convento, non passano la loro vita in mezzo agli uomini.

E con un uomo come compagno di giochi fin dall’infanzia.

Già, un uomo.

Ma André non era un uomo, era un servo.

Un servo con cui Oscar trascorreva le giornate, andava a cavallo, beveva cognac… un servo da cui si faceva dare del tu.

Cos’è che aveva detto, quando aveva ordinato alla governante di portare quel suo nipote orfano a palazzo Jarjayes? “In mezzo a tante donne mio figlio avrà una compagnia maschile”. Questo aveva detto, tanti anni fa.

Ed erano cresciuti insieme. Madame de Surgis aveva ragione. Avevano studiato insieme, avevano imparato a usare la spada insieme… Oscar aveva passato molto più tempo con André che con lui, che con chiunque altro. Si conoscevano bene e lei lo trattava da pari a pari. Da sempre.

Ma era così severa con tutti, anche con lui… Così corretta, così rigorosa, inflessibile…

No, non poteva essere.

E poi cosa poteva mai trovare in un servo la figlia del generale Jarjayes, che se solo avesse voluto avrebbe avuto ai suoi piedi mezza Versailles? Se proprio doveva legarsi a qualcuno avrebbe saputo bene verso che genere di persona indirizzare il suo interesse. Non certo uno che le sellava il cavallo ogni mattina, per quanto potesse essergli affezionata.

No, era ridicolo.

Oscar non aveva nessuno. Nessuno. Anche se ormai era adulta.

 

Ma André? Anche lui era adulto. Non si era sposato, e che lui sapesse non aveva relazioni con cameriere o sarte della sua casa. Anzi, gli altri servitori non lo consideravano come uno di loro, perché era l’attendente di Oscar. Stava sempre con Oscar, tutto il giorno.

Erano cresciuti insieme.

Era come un fratello, per lei. Prese le dovute distanze, certo.

Un fratello.

Ma non era suo fratello.

Ed era un uomo.

Certo, Oscar era bellissima, e non poteva non vederlo. Lei era cresciuta negando la sua natura, ma lui no.

Un uomo che le era molto devoto, anche.

Aveva accettato il compito di proteggerla con una convinzione assoluta. Da quando gliel’aveva messo accanto non c’era mai stato bisogno, nemmeno una volta, di ricordargli questo suo dovere: si vedeva chiaramente che quello non era un dovere, per lui, ma una scelta che partiva dal profondo del suo essere. Per questo motivo si era sempre fidato di André: era certo che avrebbe dato la sua vita per Oscar, e senza esitare un attimo. Saperlo l’aveva sempre reso più tranquillo, quando pensava ai pericoli che sua figlia correva adempiendo ai suoi compiti.

Le era devoto.

Le voleva bene, indubbiamente. Il bene senza richieste, certo, che si può volere a qualcuno tanto più in alto di noi. A qualcuno che è irraggiungibile.

Ma non avrebbe mai osato innamorarsi di lei… No, era assurdo il solo pensiero.

E poi, anche se fosse stato così… quand’anche fosse stato così pazzo da coltivare un’illusione simile… Non avrebbe avuto alcuna speranza, per mille motivi che certo non ignorava. André conosceva bene le distanze sociali del loro mondo.

Se anche fosse stato così pazzo da… innamorarsi di Oscar… No, non gliel’avrebbe mai nemmeno confessato.

Senza contare che a lei, aristocratica e per giunta vissuta come un militare, una cosa del genere sarebbe parsa semplicemente inconcepibile.

No, decisamente non poteva essere.

 

 

“Adesso ti faccio vedere io! Attento!”

La voce cristallina di sua figlia, che giungeva da poco distante, lo ridestò dai pensieri in cui era assorto. Sentì rumore di lame che s’incrociavano e si diresse in pochi passi verso il luogo da cui quel suono proveniva. Dietro le siepi del giardino Oscar e André si battevano con la spada, nel consueto allenamento serale.

“Non penserai di farmi paura!”, diceva lui ridendo, mentre rispondeva alle sue stoccate precise con altri attacchi, e poi, arretrando, parava i suoi colpi sempre più veloci.

Erano concentrati e rilassati nello stesso tempo. Il generale li osservò non visto per alcuni minuti, affascinato dall’armonia e dall’intensità di quello scambio. Era uno spettacolo magnifico, non se n’era mai accorto prima.

Si avvicinò un po’ di più, e fu in quel momento che André percepì la sua presenza, mentre si batteva con Oscar. Si distrasse per una frazione di secondo, e lei, che dava le spalle al padre, ne approfittò all’istante: con uno scatto rapidissimo lo disarmò, facendo volare la sua spada in aria.

“Hai visto?”, disse poi con un tono divertito mentre andava a riprenderla, afferrandola per l’impugnatura ed estraendo la lama dal terreno in cui s’era conficcata. “Te l’avevo detto che ti avrei dato una lezione, André – ripeté trionfante -. Era parecchio che non succedeva, eh?”

Poi si avvicinò per ridargli la spada, con un fare affettuoso. Si fermò davanti a lui e gli sorrise: “Vieni a prenderla…”, disse.

André si accostò con un’espressione seria e, porgendo lentamente la mano, la indusse con uno sguardo a cedergli l’arma. Lei allora si girò, e vide il generale.

“Ah, padre… eravate qui… come state?”

 

No, non poteva essere. Non era possibile.

 

 

Continua...

mail to: imperia4@virgilio.it

 

Back to the Mainpage

Back to the Fanfic's Mainpage