Nelle mani

parte II

 

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La musica arrivava attenuata, scivolando sui gradini delle scale fino a sperdersi nel salone, dove lui restava ad ascoltarla senza decidersi ad andar via. Era un suono toccante, pieno di tante cose che prima non aveva, e ad André sembrava che fosse rivolto a lui, come se quella melodia potesse contenere delle parole importantissime, e lui dovesse decifrarle, per sapere che cosa fare.

Oscar stava suonando il piano nella sua stanza, ed erano due giorni che lo evitava.

Non era stato difficile, in realtà. Dopo quella tregua durata poche ore erano ricominciati i suoi impegni a corte, aveva dovuto indossare di nuovo l’uniforme e le era venuto naturale usarla come scudo contro di lui. Non si era nemmeno sorpreso, che avesse reagito in quel modo.

Era fuggita, dopo quel bacio, come se non potesse ammetterlo.

Non subito, però. All’inizio, anzi, ancora sotto l’incanto di quel momento fatto di meraviglia, aveva sostenuto il suo sguardo rapito con uno sguardo uguale, e quando lui aveva detto: “Oscar…”, senza aggiungere altro, lei aveva risposto in un tremito emozionato: “Oh, André…”

Aveva sentito le sue dita stringersi sulle sue braccia, e il suo silenzio pieno di tante emozioni, e quasi la richiesta muta di baciarla ancora, per non costringerla a ritornare in sé. Ma, appena si era accostato di nuovo alla sua bocca, lei l’aveva fermato resistendogli: e mentre la lasciava staccarsi, aprendo le braccia in una docilità dolorosa, mentre la sentiva scivolare sotto di sé dicendo “no, no…” in un ripetersi smarrito e tremante, e si girava sulla schiena con la testa abbandonata indietro, come per raccogliersi prima di affrontare quella battaglia nuova, allora aveva pensato che tutto l’amore che aveva dentro l’avrebbe ucciso, se lei non avesse più voluto baciarlo nello stesso modo, e aveva avuto il terrore di non avere forza abbastanza per saperla fermare.

“Oscar, ti prego…”, le aveva detto.

Lei non aveva risposto, e gli aveva rivolto uno sguardo con dentro una domanda su se stessa, più che su lui, piena di sofferenza stupita.

“Oscar, aspetta”.

Si era alzato ed era andato verso di lei, per trattenerla. Si era inginocchiato… proprio così… era caduto in ginocchio, dopo averle preso la mano. E l’aveva tenuta tra le sue senza dire niente, portandosela al viso.

“André…”

“Non andartene, Oscar – aveva mormorato in un soffio, con gli occhi nei suoi -. Non fuggire, ti prego, lo volevi anche tu…”

Poi si era rialzato, e anche se lei sembrava non volerlo ascoltare l’aveva trattenuta, e le aveva detto la verità: “Non andartene, io ti amo”. Sei tu quella che amo, le aveva detto, sei soltanto tu.

A lei si erano riempiti gli occhi di lacrime, come se già lo sapesse, e ne fosse sconvolta, tuttavia. Non era stata capace di rispondergli e aveva singhiozzato, liberandosi dalle sue mani. Era quasi corsa verso il cavallo, era montata in sella piangendo, e piangendo lo aveva incitato per partire al galoppo.

André era rimasto fermo, e non l’aveva inseguita.

 

A quel ricordo strinse la mano che aveva posato sulla maniglia, per uscire, e richiuse la porta, tornando indietro. Sarebbe salito da lei, adesso, per parlarle. Non poteva rifiutarsi di parlargli, dopo quello che era accaduto.

Doveva ascoltarlo, doveva ragionare. Doveva tornare a baciarlo, ancora.

Salì le scale, un percorso che conosceva bene, ormai.

Aspettò, dietro la sua porta, che finisse di suonare. Poi bussò.

La sua voce, da dentro: “Chi è?”

“Sono io, Oscar”, rispose piano, con un tono serio che non poté evitare. Sentì ricominciare la musica.

“Oscar, per favore”, disse.

Poi, siccome lei non rispondeva, aprì ugualmente la porta ed entrò, chiudendosela alle spalle. Rimase fermo sulla soglia.

“André!”

Si era alzata di scatto dal piano, e c’era un tono adirato nella sua voce.

“Scusami, Oscar, scusa se sono entrato lo stesso, ma ho bisogno di parlarti”.

Lei non rispose, e gli voltò le spalle.

“Hai suonato meravigliosamente”, le disse. Lei chinò il capo. Poi si girò, e quello sguardo ostile era divenuto triste, e improvvisamente fragile.

“Ti prego, André…”, mormorò.

Ma non seppe dire se lo stesse pregando di andarsene, e di lasciarla in pace, oppure di andare da lei, e abbracciarla di nuovo.

Preferì il secondo caso, e si avvicinò lentamente.

“Oscar, ascolta…”

“No, no, André…”. Le sfuggì un singhiozzo, quando la sfiorò prendendo la sua mano, e voltò il viso per non guardarlo, ma non si mosse.

“Perché no, Oscar?”. Le posò lieve le dita su una spalla, facendola girare. Aveva occhi lucidi, che brillavano di sofferenza, e toni rossi tra i capelli sfiorati dal tramonto, che filtrava dai vetri.

“Ti prego”, le disse.

Lei pianse, allora, lasciando che vedesse le lacrime rigarle il viso. “Ma non capisci? Non capisci?”, sussurrò, senza nessuna forza. E con una nota appena avvertibile di rabbia, tuttavia. “Non capisci…”

“Sì, Oscar, capisco – le rispose -. Io capisco tutto quello che provi”.

Si accorse improvvisamente che lei non era in grado di respingerlo, in quel momento, e che tuttavia lo stava pregando in silenzio di non approfittarne.

“Lo so, Oscar. Sei confusa – disse piano, per non ferirla con le sue parole -. Mi dispiace, anch’io lo sono, anch’io non me lo aspettavo. Ma non possiamo fare finta che non sia vero”.

Le prese l’altra mano, e sentì che stava tremando.

“Io non posso far finta che non sia accaduto, Oscar. Non posso proprio. Perché sono felice che sia accaduto. Ero serio quando ti ho detto che ti amo. E tu stavi baciando me, e non un altro, sotto quegli alberi”.

“André, ti prego…”

“Oscar…”

“No André, non farlo…”

“E voglio baciarti ancora – disse avvicinandosi a lei -. Ancora…”

L’avvolse con le braccia, anche se lei gli aveva posato i gomiti e le mani sul petto, per trattenerlo, e le sfiorò la guancia con due dita. “La tua voce sta dicendo no – mormorò pianissimo, con un tono quasi triste, intenso -. Ma tutto, di te, invece, dice sì. Anche il tuo corpo sta dicendo sì, Oscar… Non te ne accorgi?”

“André, ti prego… ti prego… no…”

Ma lui la stava baciando di nuovo, adesso, e di nuovo lei rispondeva al suo bacio, e di nuovo tremava, e teneva gli occhi chiusi, e lasciava che le sue mani la carezzassero piano, mentre quel bacio diveniva più appassionato ancora, ancora più di tutti gli altri che le aveva dato. Lasciò che la portasse baciandola fino al letto, e che si sedesse accanto a lei, baciandola ancora, e la stendesse dolcemente, poi, e l’abbracciasse forte, col corpo vicino al suo, continuando a coprirla di baci sempre più intensi e rapiti su tutto il viso, in una febbre bruciante, piena di desiderio.

E non smetteva di dirle ti amo, mentre la teneva a sé. Non smetteva, non smetteva mai, non si vergognava di dirlo. E anche se quel “ti amo” era inconcepibile, in quel loro mondo e in quella loro vita, anche se gli anni, l’educazione, gli eventi le dicevano che era inaccettabile, tra loro due, anche se quella storia era una follia e non aveva un senso, un futuro, mentre la baciava a lei sembrò la cosa più logica del mondo, quel suo “ti amo”, e la più vera, e la più travolgente, e rimase lì.

“Oscar…”, disse in un soffio sollevandosi sul suo viso, passandole una mano tra i capelli, ansante. Il suo sguardo era carico di desiderio, i loro corpi erano avvinghiati in un abbraccio appassionato, pieno d’istinto e di naturalezza, e sulla stanza era discesa la sera, in un solo istante. “Oscar, io voglio restare qui…”.

Lei aprì gli occhi, allora, e lo vide sopra di sé, e si vide sul suo letto con lui, con le sue mani sul suo corpo, ed ebbe paura.

“No, André. No, ti prego, no…”

“Oscar, amore…”

“No… io non lo so, André… non lo so… ti prego…”

Si sentì piangere, e girò il capo, scossa dai singhiozzi. Lo sentì tacere, e rimanere fermo, allora, lottando contro se stesso. E sollevarsi, infine, da lei, e percepì con sofferenza il contatto del suo corpo che si allontanava. Ma non seppe trattenerlo, non fu capace.

“Io ti amo”, gli sentì dire di nuovo. Ma lontano da lei, stavolta, in piedi davanti a lei, distesa sul letto. “Non fuggire da me, ti prego. Non farlo. Non uccidermi”.

Lo vide allontanarsi, andare verso la porta, aprirla. “Aspetterò, Oscar”, disse.

Lei non rispose.

 

 

***

 

 

Il pavone bianco, ultima rarità che Maria Antonietta aveva voluto aggiungere alla bellezza del suo giardino all’inglese, faceva la ruota solitario accanto al marmo di una fontana. La regina e Fersen passeggiavano vicini, scambiando poche parole, con la familiarità silenziosa di chi è abituato a intuire i pensieri dell’altro. C’era un cielo di un azzurro chiaro, con poche nuvole, e Oscar li guardava poco distante, com’era suo dovere, appoggiata a una colonna del Petit Trianon.

Erano passati altri giorni, e lei era stata richiamata alla reggia dal suo compito di comandante della Guardia Reale. Ci era tornata quasi con entusiasmo, per la prima volta dopo tanto tempo, come a un luogo sicuro in cui la fissità dei ruoli e la rigidità dell’etichetta potessero tenerla lontana da ogni sconvolgimento. Persino rivedere insieme Fersen e Maria Antonietta le aveva fatto piacere, e l’avevano rassicurata il saluto rivoltole dai suoi soldati, la deferenza con cui tutti continuavano a trattarla, l’autorevolezza e il prestigio di cui godeva a corte. Anche dopo che André l’aveva baciata, senza che lei fuggisse.

A Versailles, con addosso la sua uniforme e al fianco la spada, si sentiva protetta. Era da un po’ che si sforzava di tornare a casa il più tardi possibile, e aveva fatto in modo che André non potesse accompagnarla, impegnandolo in mille mansioni che gli impedivano di stare con lei.

Non era stato facile, no… lui aveva capito subito che quella era una strategia per tenerlo lontano, e si era rifiutato, all’inizio, di assecondarla. Si era nuovamente avvicinato, nelle scuderie, l’aveva affrontata da sola, addolorato e fremente, e nuovamente lei si era sentita incapace di negargli qualunque cosa. Ma aveva resistito, stavolta, e l’aveva avuta vinta. O forse era stato lui che l’aveva lasciata fare, per non imporle se stesso e quel sentimento che la spaventava. Non aveva più detto niente ed era tornato al suo posto. E la mattina, quando lei usciva, la guardava partire a cavallo dal giardino senza parlare, senza salutarla, fissandola in un modo che le faceva tremare il cuore, e le faceva paura.

Poi arrivava a corte e le passava, per fortuna.

Era una bella giornata, e si sentiva quasi tranquilla. Più tranquilla persino di quando aveva iniziato a pensare a Fersen. Le sembrava addirittura difficile credere che pochi giorni prima si fosse ubriacata da sola per dimenticarlo: il suo animo adesso era pieno di sentimenti che non riusciva a distinguere, e che stavano lì, tutti insieme, neutralizzandosi l’un l’altro senza che nessuno prendesse il sopravvento. Era confusa, era vero.

 

“Oscar, vi vedo assorta stamani”.

Hans aveva salutato la regina, e si accingeva ad andar via. Le faceva delle visite brevi, adesso, e in pubblico si incontravano pochissimo. Mai nelle occasioni ufficiali, comunque: era la regola cui avevano deciso di attenersi per evitare troppi pettegolezzi.

“Ah… sì, in effetti ero soprappensiero”, rispose.

Il conte le si avvicinò, e le rivolse un sorriso singolare. Curioso, si sarebbe detto: “È strano – insinuò -, sono alcuni giorni che vi vedo come… distratta, Oscar… Cosa vi è accaduto?”

“Niente, assolutamente niente”, replicò lei con uno sguardo severo e gentile, drizzando automaticamente le spalle. Ma non lo convinse: “Eppure avrei detto che qualcosa ci fosse…”

Lei uscì in una risata, allora, un po’ sincera e un po’ accentuata dall’imbarazzo: “Non avrei mai creduto che mi osservaste tanto attentamente, conte…”

“Oh, vi sbagliavate, allora… io vi osservo sempre con attenzione, mademoiselle”.

“Non fate che stupirmi, oggi – gli rispose -. E ditemi, le vostre osservazioni vi hanno condotto a qualche conclusione interessante?”

“Diverse, comandante, diverse… ma non so mai se è il caso di mettervene a parte… non vorrei sembrare indiscreto. E questo non è il luogo né il momento, oltretutto”.

“Già – sospirò lei -. E io non sono la persona giusta per questo tipo di conversazione”. Si fissò la mano, un po’ irritata e un po’ triste. Fersen lo capì, e se ne dispiacque.

“Perdonatemi, Oscar, non volevo inquietarvi – le disse con un tono più serio -. Ho frequentato troppo i salotti, in questi ultimi tempi, e la mia conversazione è diventata frivola. Mi rincresce molto”.

Lei alzò gli occhi, e lo guardò assolvendolo con un’espressione rasserenata e dolente. Un’espressione consapevole, che lui non aveva mai visto passare sul suo volto.

Si inchinò leggermente, per congedarsi da lei: “Verrò a farvi visita, uno di questi giorni – mormorò -. Così forse potrò farmi perdonare, e dimostrarvi che so essere anche ponderato e virtuoso, con accanto le persone giuste”. Le sorrise.

“Ne sarò lieta, Fersen”, rispose senza scomporsi.

 

Lo vide allontanarsi, e pensò che non stava provando quel senso di perdita che per tanto tempo le aveva fatto male, mentre lo guardava andar via. Si sentiva come più forte, adesso, nei suoi confronti. Più capace di tenergli testa, anche. Di giocare come giocava lui.

Ma cosa c’entrava questo con l’amore? Era una cosa che non aveva mai capito, eppure era così.

 

 

*

 

 

Quando tornò, quella sera, la prima cosa che notò era che André non era lì ad aspettarla. Non era in casa e nemmeno nelle scuderie, anche se il suo cavallo non mancava. E, dunque, non poteva essere andato lontano. Si accorse che, invece di essere sollevata dal non dover incrociare il suo sguardo, era delusa.

Non lo vide nemmeno a cena, e quel sentimento si mutò in nervosismo.

Non c’è bisogno che tu ceni sempre nelle cucine, adesso. Puoi benissimo continuare a mangiare con me: non lo abbiamo fatto per anni senza problemi?

Ma André non c’era, e non le rispose.

Al termine della cena, che aveva consumato sola, il nervosismo era divenuto tristezza, e la tristezza voglia di vederlo.

André, cosa ci succede, André… Perché è tutto così difficile, ora…

Cosa voleva da lui? Non stava forse facendo quello che gli aveva chiesto? Non la stava lasciando in pace, libera di vivere come meglio credeva? Ma allora perché quello stato d’animo, quel senso di mancanza, di timore? E perché, se ripensava al suo “aspetterò”, sentiva nascere in sé una specie di speranza, che la sollevava da quel timore?

Era stanca, era davvero stanca. La giornata era stata lunga e la tensione durava da troppo tempo. Era stanca e non aveva sonno: da quanto non riusciva più a dormire come prima?

Chiuse gli occhi e rivide quel giardino col prato verde e lucente, quel pavone triste, la regina e Fersen che passeggiavano e se stessa guardarli insieme. Li aveva sempre guardati insieme… era anche lei un arredo del giardino, in fondo, come il pavone. Poi le parole di Fersen che la stuzzicava e il suo viso colpito dalla sua frase malinconica, e le scuse che le aveva fatto, e la promessa di venirla a trovare. Solo poco prima quella promessa le avrebbe scatenato dentro giorni d’attesa agitata. E inutile, perché lui poi non sarebbe venuto. Ora invece le avrebbe fatto visita davvero, ne era certa. E lei se ne sentiva quasi contrariata. Che veniva a fare, se tutti i giorni passeggiava al Trianon con Maria Antonietta?

Sospirò. Anche Fersen era in cerca di qualcosa, si vedeva bene. Forse per questo s’era innamorata di lui.

 

Le rivenne in mente quella radura, e quella piccola cascata, e André.

Io ti amo, Oscar.

 

Com’era semplice, quella frase, com’era bella. Ed era solo per lei, e lui gliel’avrebbe ripetuta mille volte, se glielo avesse chiesto. Probabilmente era per questo motivo che aveva ceduto così, che lo aveva lasciato fare, che non si era sottratta al suo abbraccio: aveva bisogno di sentirsela dire, una cosa come quella, ne aveva sete da sempre. Soltanto per lei, senza l’immagine di nessun’altra donna con cui doversi confrontare, che le rendeva ancora più penoso il confrontarsi con se stessa; senza paura di non essere abbastanza, di mancare di qualche cosa perché qualcuno potesse amarla davvero. André glielo aveva regalato, quel suo “ti amo”, senza aspettarsi niente da lei, senza che lei dovesse sforzarsi di meritarlo. E non riuscirci, comunque.

Forse era per questo che lo aveva baciato, che aveva accolto le sue carezze, che non aveva saputo dirgli subito di no. Aveva bisogno di essere amata, e lui l’amava. Non se n’era accorta, prima, ma ora sapeva che era davvero così. Era stata lei ad approfittare di André, in realtà, non il contrario. E si sentì come se l’avesse usato: aveva bisogno di quella conferma e se l’era presa, senza nessun rispetto per lui, per i sentimenti che le aveva mostrato.

Era così triste.

Ed era più triste ancora che nonostante questo lo volesse vicino, che del suo abbraccio avesse quasi nostalgia. Perché aveva nostalgia del suo corpo, se non lo amava? Perché sentiva ancora sul viso le sue labbra che tremavano? Perché avrebbe voluto quasi che la baciasse di nuovo, e la stringesse nello stesso modo di quel giorno, su quella coperta… e perché si era sentita leggera, insieme a lui, senza nessuna pena, mentre la carezzava nella sua stanza, e stava per dire sì quando le aveva chiesto di farlo restare, la notte?

Si può arrivare ad usare un altro per non stare più male?

Sì, si può. Lei aveva potuto. E proprio André, che era la cosa più cara che aveva, da tutta la vita.

 

Ma era davvero così? O c’era di più, qualcosa di più, che le faceva paura? Qualcosa che provava per lui? Per André? Per il suo amico, per suo fratello? Per il suo attendente, che suo padre aveva messo in casa da piccolo perché la servisse, e che poteva buttare fuori quando voleva?

Ma André non era solo questo. Non lo era mai stato.

 

Qualcosa che provava per lui…

Ma Fersen, allora?

 

Si coprì il viso con le mani, e chiuse gli occhi.

No, era meglio non cercare André, stasera.

 

Uscì in giardino, a passeggiare da sola.

 

 

*

 

La luna non era ancora piena, ma bastava a illuminare i vialetti. Non aveva voglia di dormire, tanto valeva respirare il fresco, e ascoltare i rumori della notte nel parco.

Le era sempre piaciuto farlo, e non aveva mai avuto paura, neanche da bambina.

André invece sì… un po’ sì, forse. Ma doveva farle vedere che era più forte, e andava avanti a lei. Sorrise, a quel ricordo.

 

Stanotte però era diverso, e un po’ di paura se la sentiva addosso.

Di che cosa, poi…

 

Si allontanò parecchio dal palazzo, e arrivò allo stagno. Era un bacino artificiale, che serviva per le esigenze della casa. Da quanto tempo non ci veniva più…

Avvertì un rumore sull’acqua, un piccolo tonfo. Non forte. Poi un altro, e ancora altri tonfi.

Si avvicinò in silenzio, incuriosita e agitata, non seppe bene perché. E lo vide.

 

André…

 

Era seduto di spalle, sulla riva, e lanciava dei sassi nell’acqua. Li faceva rimbalzare sulla superficie illuminata dalla luce lunare. Lo faceva con una regolarità quasi efficiente, sasso dopo sasso, e alla fine di ogni lancio si fermava in ascolto. Oscar sorrise: stava contando i rimbalzi. Lo facevano sempre, da ragazzini, quando giocavano a quel gioco: vinceva chi ne faceva di più. Ma lui era più bravo, e non perdeva mai. Aveva braccia più forti, certo, e faceva lanci più lunghi: un tempo lei non lo capiva, ma adesso sì.

 

Rimase in silenzio a osservarlo. Era consolante guardarlo mentre non si accorgeva di lei. Senza dovergli spiegare nulla, giustificare la sua presenza. Lo osservò per una decina di minuti, rasserenata. Poi mise un piede sopra un ramoscello caduto, che si spezzò.

 

“Chi c’è…”

Lo aveva detto voltandosi di scatto, e aveva intuito la sua sagoma, senza distinguerla, nel buio.

“André…”

“… Oscar… cosa ci fai lì?”

“Non lo so, camminavo. Poi ti ho sentito, e…”

Lui chinò lievemente il viso, e si girò di nuovo verso lo stagno. Prese un altro sasso, e lo lanciò. Si avvertì un unico tonfo più forte.

“Hai sbagliato”, gli disse.

Non le rispose.

 

Fu lei a raggiungerlo, allora.

Si sedette accanto a lui, in riva allo stagno: “Non eri in casa, stasera”.

“No”.

“Come mai?”

Una domanda più stupida non la potevo fare, pensò.

Lo vide prendere un altro sasso, senza dir nulla.

“André, non devi evitarmi, ti prego”.

Lui ebbe una risata quasi divertita, ma amara: “Non sono io che ti evito, Oscar”.

Lei rimase in silenzio.

“Io vorrei… che non fosse tanto difficile – disse -. Che tornasse come prima. Prima stavamo bene”.

“Non si può, mi dispiace. E non stavamo bene”.

“André…”

Gli si fece vicino, gli sfiorò una mano, ma lui la ritrasse, chiudendo le labbra.

“André, perché non ceni più insieme a me, perché dici che non si può… Siamo stati insieme per tanti anni, e adesso…”

Si voltò per la prima volta a fissarla, con un moto sofferto: “Adesso non è più come prima – le disse a bassa voce -, e tu lo sai”. Il suo sguardo la passò da parte a parte, e le vennero i brividi.

“Mi dispiace André… tu non sai quanto mi dispiace, ti prego… è anche colpa mia quello che è successo, e anzi, devo chiederti scusa…”

Continuava a fissarla, senza dir nulla. Lei chinò il capo.

“… Ma io non voglio che questo ci allontani, André… Sono troppi anni… Io non voglio rinunciare a te, non voglio…”

Gli sfiorò di nuovo la mano, e lui non si mosse, stavolta. E poi rispose, e la prese, la sua mano, tremando, e risalì fino al braccio, avvolgendolo piano. E all’altro braccio, con l’altra mano, guardandola intensamente: “Anch’io non voglio rinunciare a te”, disse, e significava tutta un’altra cosa.

 

Capì quello che avrebbe fatto ancora prima che si muovesse.

 

“André…”

Sentì il suo corpo contro il suo corpo, e le sue mani che le risalivano le guance, e le tenevano il viso piano, e lo portavano alle sue labbra. E sentì il suo bacio, che aveva dentro un’urgenza e un desiderio intensissimo, più della prima volta, più di quel giorno nella sua stanza, di più di tutto, come se ogni istante che aveva passato lontano da lei dall’ultimo bacio si aggiungesse alla passione, alla bramosia di questo. Lo sentì addosso a sé, contro di sé, sentì la sua bocca nella sua bocca, aprirsi e cercarla, con un ardore incredibile, che la travolse. Fu lei a stendersi sull’erba, attirandolo a sé quasi senza rendersi conto: “André, André… che ci succede… che cosa…” disse in un soffio, ansimando.

“Quello che doveva succedere da tanto tempo, Oscar, da tanto…”

La baciava ancora, e il suo corpo reagiva a quell’abbraccio in un abbandono rapito, senza che potesse frenarlo. Non voleva frenarlo, non lo voleva, no. E avvertì le sue labbra sul collo, mentre la baciava, scendere sul petto, sopra la camicia, e poi trovare i bottoni e aprirla, completamente, alla luce della luna, e fermarsi all’improvviso, a contemplare il suo seno in uno stupore pieno di gioia e di desiderio. E si accorse che faceva forza su se stesso per accostarsi piano, pianissimo, per non farle paura. “Sei bellissima – disse vicinissimo a lei, sfiorandola con le labbra – sei bellissima…”. Sentì quelle labbra percorrere la sua pelle delicata e chiudersi piano sul capezzolo, e iniziare a succhiarlo con una dolcezza e un ardore infinito, senza fermarsi mai, mentre la sua mano sfiorava l’altro seno, leggerissima e irresistibile, con la stessa passione trattenuta e assetata. Non era mai stata toccata così, e fu scossa da tremiti di piacere, alle carezze della sua bocca, e iniziò a gemere, sotto quei baci, muovendo ansiosamente le mani sulle sue spalle.

 

“André… oh… sì… André. Oh… ti prego…”

 

Non sapeva nemmeno lei da dove le venissero quelle parole, quelle frasi spezzate, e come non provasse alcun ritegno a dirle. Ma lui sembrava non stupirsene affatto, e continuava a baciarle il seno con una passione profonda e tenera, sempre più vicino a lei. Sentì il suo corpo contro il proprio, e si accorse che per la prima volta non le nascondeva la sua eccitazione, come se non potesse farne a meno, come se volesse trasmetterle tutto il suo desiderio.

Era una cosa che non conosceva, ma che capì. E ne fu travolta.

Lo sentì ansimare, baciandola, tornando alla sua bocca, mentre anche la sua camicia si apriva, e il suo petto si posava sul suo seno nudo.

“Oscar… lo vedi cosa mi fai, Oscar…”

Avvertì le sue labbra baciarle il viso, le sue mani carezzarla, arrivare a tutto il suo corpo, le sue gambe intrecciate alle sue, in un abbandono completo, pieno di fiducia, e di voglia di lei.

“Oh… sì, André…”

Non riusciva a dire altro, soltanto sì mentre la stringeva e la carezzava in quel modo, e per la prima volta capì cosa volesse dire davvero desiderare un uomo, e si sentì pronta a donargli  tutto di se stessa, senza tornare indietro.

“Ti voglio…” lo sentì dire mentre su di lei la carezzava socchiudendo le sue gambe, anche se erano vestiti, tutti e due, e quasi farsi strada alla ricerca del suo corpo, anche se non la spogliava, e premere contro di lei baciandola profondamente, stringendo la mano sul suo fianco, a sfiorarla, e chiudere le dita, poi, per tenerla vicinissima, unita a sé.

“Oscar, dimmi che mi vuoi, Oscar…”, mormorò ansimando.

E lei sentì la propria voce obbedire a quella richiesta, pazzamente felice: “Sì… ti voglio, André…”

“Sì, è così, io lo sapevo… lo  sapevo…”, lo sentì ripetere in un empito esultante e pieno d’ardore, mentre tornava al suo viso, prendendo la sua bocca con baci appassionati e caldi, con parole frementi e piene di dolcezza. Oscar si perse, dentro quell’abbraccio, smarrì lucidità e ragione, dimenticò chi fosse e ogni altra cosa, insieme. Sentì solo il suo corpo, e il corpo di André, e la luna splendente sul suo petto nudo che toccava il suo seno, e lui che si alzava per guardarla di nuovo, e baciarla ancora. Trascinata da un’emozione mai provata prima, eccitata dal movimento lentissimo dei loro corpi, travolta dall’eccitazione di lui e dal sapere che la stava toccando, perse la testa e si abbandonò ai gemiti di un piacere ignoto che l’avvolse quasi all’improvviso, mentre André la stringeva senza staccarsi da lei e la baciava trepidante d’amore.

 

Poi riaprì gli occhi, e trovò i suoi occhi, su di lei, che la guardavano. Avvertì il proprio corpo tra le sue braccia.

“Oh, André…”, sospirò, lasciando andare il capo di lato.

Lui aveva uno sguardo serio e profondissimo, e continuò alcuni istanti a fissarla senza parlare, quando volse di nuovo gli occhi a cercare i suoi. Poi ebbe un sorriso inatteso, che divenne tenero e pieno di lei. La baciò piano. “Sei meravigliosa”, mormorò, sfiorandole le labbra, lieve.

“André…”

“Ssss… è stato bellissimo, Oscar. E’ bellissimo che sia successo così. Sapessi quanto è stato bello guardarti…”

Le diede un altro bacio, delicatissimo. Poi la fissò: “Lo vedi? Noi due siamo nati per questo”.

Lei fece un sospiro sommesso, e lo guardò in un modo che significava sì.

“Io ti amo”, le disse poi, serissimo, fissandola come l’aveva fissata il primo giorno.

“Io…”

“Anche tu mi ami”, mormorò. Poi ebbe un sospiro venato di tristezza, e le passò le dita sulle labbra. “Sai, io per tanti anni non ci ho quasi creduto, anche se lo sentivo… perché avevo paura. Paura che una cosa come questa non ci accadesse mai: io l’ho temuto fino a poco tempo fa”. Le sfiorò la guancia, leggerissimo. “Ma adesso non ho più paura, Oscar. Da quando ti ho dato quel bacio e tu mi hai risposto io ho capito”.

Lei gli rivolse uno sguardo che era dolce e timoroso insieme.

“Forse… devi solo imparare a comprenderlo, Oscar. Lo so che non è facile, per te, che sono tante le cose con cui devi scontrarti, per accettare questa. Ma non ci sono altre strade, non ce ne sono… Io non ho avuto il coraggio di toccarti per tutta una vita, e adesso se mi sei vicino non posso farne a meno. Mi sembra incredibile solo pensare che per tanto tempo ho rinunciato a te”.

Le diede un bacio pieno di passione, struggente, che la fece tremare, e l’avvolse tra le braccia: “E anche tu lo vuoi, Oscar, io lo sento, quando sei con me, io lo so”.

“Sapessi quanto ti desidero – sussurrò, passandole una mano tra i capelli -. Ti desidero da sempre. Voglio fare l’amore con te più di ogni altra cosa al mondo. Tranne di una, Oscar: che tu lo voglia come me. Che tu sia sicura, che tu mi dica che mi ami”.

Lo fissò, e nel suo sguardo silenzioso vide profondità che non aveva mai visto.

“Ma non farmi aspettare tanto, ti prego… Impazzisco, senza di te”.

 

 

Continua...

mail to: imperia4@virgilio.it

 

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