Nelle mani

parte XIV

 

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La notizia che non l’aveva trovata aveva peggiorato le cose.

Gliel’aveva detto subito, al ritorno a casa, riferendogli di aver parlato con la governante di palazzo Jarjayes. Il colonnello Oscar de Jarjayes non c’era, era in missione col suo reggimento e non sarebbe tornato per tre settimane.

 

André lo aveva guardato attonito, come se non ci credesse. Gli aveva anche chiesto se era sicuro, se diceva la verità. Gli aveva chiesto se avesse avuto l’impressione che gli stessero mentendo.

Ma no, aveva parlato con la governante… con sua nonna… sua nonna non poteva avergli mentito. Sua nonna che era quasi scoppiata a piangere, perché non l’aveva più visto. E lui non poteva tornare a dirle che era vivo, perché se fosse tornato avrebbero tentato ancora di ucciderlo.

 

E Oscar? Oscar era in missione. Oscar viveva ancora lì, a Palazzo Jarjayes. Oscar continuava la sua vita senza di lui, senza cercarlo… andava in missione tre settimane come se fosse tutto normale, faceva le cose di sempre senza chiedersi dove fosse lui, senza preoccuparsi… Com’era possibile, questo?

 

“Sei sicuro?”, aveva chiesto ad Alain fissandolo con uno sguardo costernato. “Sei sicuro di quello che hai detto?”

 

Poi aveva portato le mani al viso.

 

Cos’è successo, Oscar?

 

E gli era uscito un gemito dalle labbra, improvvisamente, mentre le mani scivolavano sulla bocca e nei suoi occhi si accendeva un’espressione di subitaneo terrore: “Che ti hanno detto? Dio mio, cosa ti hanno detto, Oscar…”, aveva mormorato senza curarsi del suo segreto, senza curarsi che non era solo, mentre lo diceva. Che Alain era lì, e lo aveva sentito.

 

Poi aveva cercato di alzarsi, immediatamente, ed era rimasto seduto sul letto, tremando, pallidissimo. Aveva stretto i pugni sopra il lenzuolo e si era alzato con uno sforzo incredibile. Aveva perso l’equilibrio, la testa che girava, e sarebbe caduto a terra se non lo avesse sorretto.

 

“André, calmati! Cosa vuoi fare?”

“Devo andare, ti prego…” aveva detto stremato, gli occhi chiusi.

“Lo sai che non sei in condizione di muoverti…”

“Aiutami ad andare, aiutami…”

“Non posso, André, ragiona, per favore. Stai troppo male per alzarti. Se ti aiutassi ti aiuterei a morire, non a trovarla”.

“Non importa se devo morire, non importa… ma lei deve saperlo. Deve sapere la verità, adesso…”

“André, ascolta… gliela dirò io la verità. Dimmi chi è questa donna. Se Oscar de Jarjayes non c’è vuol dire che faremo a meno del suo aiuto: cercherò di arrivarci in un altro modo. Le scriverai. Le scriverai una lettera, sì, e io gliela porterò, così lei saprà subito. Ma tu non devi alzarti, non puoi davvero, André… cerca di ragionare”.

Lo sentì mancare tra le sue braccia, allora, accasciarsi di nuovo sul letto. Lo guardò, e aveva un’espressione disperata sul viso, mentre scuoteva la testa. “No, non è possibile, non è così…”

S’inginocchiò vicino a lui, allora, e lo prese per le braccia: “Perché, André? Perché non è possibile? Dimmi chi è questa donna e io la troverò. Fosse anche un’arciduchessa o la regina in persona io riuscirò a parlarci, te lo prometto, e le darò la tua lettera. Posso farlo, André”.

“No Alain no…”. Continuava a scuotere la testa, disperato. “Tu non puoi sapere, non puoi… E’ Oscar… Oscar… non ci sono altri… soltanto Oscar. E’ a Oscar che dovresti dare la mia lettera… Ma se è davvero in missione io non so cosa sia successo, perché abbia potuto andarci… Se quello che mi hai detto è vero non vorrà parlare con te… e forse neanche con me… neanche con me…”

Di nuovo affondò il viso tra le mani: “Cosa le hanno detto… che le hanno detto di me…”

“Mi dispiace, io non ti capisco, André. Ma Oscar de Jarjayes non c’è, adesso, e se dobbiamo proprio parlargli, se non si può evitare, allora non si può fare a meno di aspettare. Non si può andare fin dov’è in questo momento, sarà lontano, e le destinazioni dei militari non le dicono al primo che capita, lo capisci? Anche se volessi trovarlo ora e portargli il tuo messaggio non potrei farlo, non ne sarei in grado. Devi accettarlo”.

Rimasero in silenzio, lunghissimi istanti.

“Riposati, e mangia qualcosa, André. Cerca di non agitarti, per favore. Non risolverai niente agitandoti. Devi aspettare, e mentre aspetti guarire. Poi sarai tu stesso ad andare a parlare con lei, o con Oscar. Potrai parlarci tu, perché starai meglio, allora”.

 

*

 

Non glielo disse. Stava per dire la verità ad Alain ma non lo fece, anche se sentiva che poteva fidarsi di lui. Era vero, in quel momento non poteva raggiungerla dove si trovava. E se non poteva raggiungerla era meglio che non sapesse: non sarebbe servito, e avrebbe solo aumentato i rischi, per tutti e due.

 

***

 

 

Quel periodo trascorse molto lentamente, con giorni fatti di sgomento, di supposizioni, di angosce che non sembravano mai abbastanza nere. Nella immobilità forzata, nei gesti ripetitivi del sopravvivere quotidiano, nel senso d’impotenza frustrante che invece di scemare aumentava col passare del tempo, André pensò quasi d’impazzire. Sognava spesso di lei, e quando era sveglio la mente era rivolta a lei con dolore, con desiderio. Li contò, i giorni di quelle tre settimane. Uno dopo l’altro, sforzandosi di seguire tutti i consigli del medico, con il solo scopo di guarire, adesso, perché guarire significava vederla e poterle parlare, poterla abbracciare di nuovo, averla di nuovo con  sé.

Eppure qualcosa di terribile doveva essere accaduto: ne era certo. Cosa le avevano detto? Cosa poteva averla indotta a tornare a palazzo Jarjayes dopo la fuga? O forse a Parigi, in quella locanda, non era mai venuta?

Li avevano scoperti, non c’era dubbio. Era l’unica spiegazione possibile. Che però non spiegava niente della sorte di lei.

E se invece non fosse stato vero che era in missione? Se avessero detto anche a sua nonna una menzogna? Se avessero fatto anche a Oscar, in realtà, ciò che avevano cercato di fare a lui? L’orrore che provò a quel pensiero gli tolse il respiro.

Ed era una cosa verosimile, purtroppo. Terribilmente verosimile.

No, non voleva crederci. Non era un misfatto che si sarebbe potuto nascondere, comunque: Oscar era una persona troppo in vista, e se suo padre l’avesse uccisa non avrebbe potuto né voluto evitare le conseguenze. Sarebbe stata una tragedia familiare, e si sarebbe tolto la vita anche lui. Questo sì il generale era capace di farlo. Ma uccidere Oscar e poi farla sparire… no… no.

Si aggrappò alle parole di sua nonna per non credere a quell’eventualità. Si fece raccontare esattamente tutte le frasi che Alain aveva ascoltato, per filo e per segno. No, non poteva essere vero, Oscar stava bene. Quella cameriera – Julie, sicuramente – aveva detto che era fuori da due giorni: dunque fino a due giorni prima l’aveva vista. Fino a due giorni prima dell’arrivo di Alain stava bene. E la notte del suo ferimento era stata molto prima, invece. Se il generale avesse voluto uccidere anche sua figlia l’avrebbe fatto subito, quello stesso giorno.

O forse avrebbe aspettato il suo rientro dall’altra missione, quella da cui erano d’accordo che doveva assentarsi con una scusa? Ma, se così fosse stato, allora voleva dire che Oscar non aveva seguito i piani, non era venuta a Parigi. E perché non sarebbe dovuta venire? Poteva forse aver cambiato idea su di lui? No, no di certo. Non senza dirglielo, poi.

Allora era stata trattenuta, era dovuta rimanere col suo reggimento per forza, mentre suo padre lo faceva aggredire da due sicari a Parigi.

Certo, che il generale fosse capace di una cosa tanto spregevole non l’avrebbe creduto, nonostante tutto. Che era un uomo ostinato, orgoglioso, impulsivo lo sapeva. Che era facile all’ira, che disprezzava la gente comune, quelli come lui… sì… lo sapeva. Ma che potesse davvero volere la sua morte, mettendo in atto un disegno così vile, era una cosa che riusciva lo stesso a sconvolgerlo. Eppure lo  aveva fatto, questa era l’unica cosa certa.

Ma perché adesso Oscar non lo cercava? Perché non si preoccupava di cosa fosse successo all’uomo che amava, che diceva di amare? Che amava, sì, sì… che amava… Come poteva essere ancora a palazzo Jarjayes, fare le cose di sempre come se lui non fosse mai esistito?

Cosa le avevano detto? E come avevano potuto convincerla, farle credere qualcosa che la inducesse a dimenticarlo? Come?

Si guardava le mani, se le portava al viso, e pensava alla dolcezza della pelle di lei sfiorata dalle sue carezze. Cercava conforto in quel ricordo, e gli sembrava così lontano, quasi come se non fosse vero.

 

*

Eppure andava avanti. Sopravviveva. Mangiava quello che Diane, la sorella di Alain, gli portava ogni giorno sorridendogli in modo dolce, gentile. Era una giovane educata, e molto bella. Lo trattava con grande umanità, quasi con affetto: era una cosa che lo confortava, in certi momenti.

Anche lei, però, aveva capito che era tormentato da un segreto. Non gli chiedeva mai nulla, ma lo aveva capito. E sembrava che la cosa, più che allontanarla, aumentasse la sua dedizione.

 

*

 

Poi finalmente fu in grado di alzarsi in piedi, di uscire. Era passato un mese. Non poteva fare grandi sforzi, movimenti bruschi, ma recuperava velocemente.

La prima cosa che fece fu andare alla locanda di quel giorno, a cercar di capire cosa fosse successo.

L’oste non lo riconobbe subito, ma poi mise a fuoco il suo viso e si ricordò. Certo, monsieur Antoine Boucher. Lo aveva pagato in anticipo, e quel genere di clienti lo ricordava. Non esitò a rispondere alla sua domanda ansiosa: “Sì, signore, la persona che attendevate arrivò, quel giorno”.

“Siete sicuro?”, gli chiese.

“Certo”.

Se la fece descrivere. Sì, era lei.

Oscar era venuta, allora.

Avevano deciso che si sarebbe registrata con un nome maschile, per destare meno sospetti. Lo ricordava bene.

“Poi cos’è successo?”

L’oste lo guardò perplesso, non rispose subito.

“E’ che ho avuto un imprevisto che mi ha impedito d’incontrare quel signore – spiegò André –, e non vorrei che se la fosse presa”.

“Beh… in effetti… se proprio devo dirlo, mi sembrava estremamente contrariato di non avervi trovato”.

“Cosa vi ha detto?”

“Ecco, non ricordo di preciso… quel giorno c’erano molti clienti ed ero assorbito dal lavoro… ma a un certo punto è sceso, con un’aria sconvolta, e ha chiesto se fosse passato qualcuno. Poi è risalito, mi pare, e dopo una mezz’ora è uscito. Non l’ho visto più”.

“Ed è uscito da solo?”

“Sì, da solo”.

André ascoltò tutto con estrema attenzione, sempre più inquieto.

“Bene, vi ringrazio”, disse alla fine, mettendo in mano all’uomo una moneta d’argento.

“Oh… grazie, signore… aspettate… un momento…”

“Dite”.

“Mi sono ricordato che il vostro amico, andando via, ha lasciato qui alcune cose. Aspettate, ve le prendo, così potrete restituirgliele”.

Si assentò un momento, e tornò poco dopo. Posò sul bancone i suoi guanti di pelle, e il mantello di Oscar.

 

*

 

Appena fu fuori, da solo, premette quel mantello sul viso, col cuore che batteva. Profumava di lei, ancora. Lei era stata là, era venuta.

Aveva detto che lo avrebbe fatto ed era venuta.

Realizzò all’improvviso quanto gli mancasse, quanto disperato bisogno di lei avesse dentro.

Ma cos’era successo?

Non lo aveva trovato nella locanda, certo, e aveva pensato che fosse stato lui ad abbandonarla. Per questo era sconvolta, quando era andata via.

Aveva pensato che lui l’avesse illusa, le avesse mentito.

Dio mio…

Ma perché? Perché avrebbe dovuto credere a una cosa del genere dopo tutto quello che c’era stato? Dopo tutte le volte che si erano stretti, di nascosto, che si erano giurati di amarsi, che avevano fatto progetti per l’avvenire?

Perché non aveva pensato subito, invece, che gli fosse accaduto qualcosa? Qualcosa di brutto? Che qualcuno li avesse scoperti, e separati? E perché non lo aveva cercato dappertutto, non era corsa a casa come una furia affrontando il generale, che era l’unico che avrebbe potuto mettersi tra loro, e che già lo aveva fatto, una volta? Se Oscar avesse solo sospettato una cosa come quella che gli era accaduta non avrebbe esitato a prendere di petto suo padre, ne era certo: la conosceva troppo bene.

Ma non lo aveva fatto. Quindi non aveva avuto sospetti. Perché?

Era così facile per lei credere che potesse averla lasciata? In quel modo ignobile?

No… no. Non poteva persuadersene. C’era qualcos’altro, di sicuro.

Le avevano detto qualcosa di lui, certo. Dio solo sapeva quale menzogna si erano inventati. E l’avevano convinta. Ma come potevano averla convinta? Chi mai al mondo avrebbe potuto convincere Oscar che lui non l’amava?

Eppure doveva essere andata così. Proprio così.

 

Per questo era tornata a casa, e aveva ricominciato a vivere come prima. Dove altro sarebbe potuta andare, se non a casa?

E cosa aveva avuto nel cuore per tutto quel tempo che li aveva separati? Ormai ne era trascorso tanto, di tempo.

Dio, Oscar. Cosa hai pensato di me? Cosa pensi adesso, in questo momento? Com’è possibile che tu lo pensi dopo tutto l’amore che ci siamo scambiati?

Ma era l’unica spiegazione: lei si era persuasa che l’avesse lasciata. Nient’altro l’avrebbe fatta arrendere, ne era certo.

Neanche se avesse pensato che era morto si sarebbe arresa: se fosse morto il giorno che doveva fuggire con  lei, Oscar avrebbe capito subito quel che era successo.

 

C’era qualcosa che non tornava, in tutto quel ragionamento. Qualcosa di gravissimo, che André non sapeva e non riusciva a immaginare.

Doveva vederla, doveva andare da lei e trovare il modo di parlarle. Subito.

 

 

***

 

 

“Oscar… vi prego… non bevete più…”

 

Era tardi, molto tardi. Ma non sapeva risolversi ad andarsene, lasciandola così. Si era recato a palazzo Jarjayes a farle visita dopo aver esitato a lungo, per vedere come stava, e ora era solo con lei, nel suo salottino privato. In casa non c’era nessuno oltre a loro, solo la servitù.

Oscar l’aveva accolto con un sorriso, il primo che faceva da tanto tempo, ma nei suoi occhi aveva letto la stessa disperazione di quando l’aveva salutata, guardandola partire dalla sua casa, dopo averla trovata fradicia di pioggia in mezzo a una strada e averla ospitata per giorni, senza dire niente.

Aveva sentito il bisogno di parlare con lei.

 

Non era mai stato in quel salottino al primo piano, e si vedeva che recava l’impronta di lei. Doveva essere un luogo molto privato, molto intimo, dove difficilmente Oscar riceveva qualcuno. Probabilmente quella porta dava sulla camera da letto. Eppure l’aveva fatto entrare lì, e gli aveva offerto da bere davanti al camino. C’era una sola finestra e lui aveva fissato lo sguardo oltre il vetro, dandole le spalle, per non metterla in imbarazzo mentre beveva.

 

Era iniziata così, amichevolmente. Gli aveva offerto del cognac e sembrava quasi tranquilla. Oscar era sempre stata controllata, nei suoi comportamenti, ed era controllatissima adesso, a corte, quando svolgeva il suo compito o restava silenziosamente in attesa che la regina la congedasse. L’aveva osservata, in quel periodo, pur senza poterle parlare, e non l’aveva mai vista avere un cedimento, un attimo d’abbandono.

Eppure ora…

Stava bevendo lentamente, in un silenzio inframmezzato da poche frasi. Non sembrava avesse intenzione di dirgli molte cose, e lui aveva anche fatto per congedarsi, a un certo punto. Ma lo aveva fermato, pregandolo di restare, come se la sua presenza potesse in qualche modo confortarla. Da quando aveva pianto davanti a lui, quel giorno nella sua casa di Parigi, da quando l’aveva tenuta lì e condiviso il suo segreto, sembrava che il loro rapporto si fosse fatto più profondo.

Non se n’era andato, ma si sentiva molto triste. Guardò il bicchiere ancora pieno che teneva in mano, dal quale aveva bevuto pochi sorsi, perché gli faceva troppo male darle un pretesto per ubriacarsi.

Chissà se lo faceva spesso.

Ma no, probabilmente no.

Probabilmente quella sera soffriva molto.

Soffriva atrocemente, sì.

 

“Oscar… vi supplico. Non fate così. Non posso…”

Lei allontanò il calice dalle labbra, allora, e lo posò a terra, di fianco alla poltrona su cui sedeva. Si passò una mano dietro la testa, sollevando i capelli, ed ebbe un sorriso inaspettato. Disilluso e dolce.

“Non potete cosa, Fersen? Vedermi mentre abbasso la guardia? E perché? Siamo buoni amici, ormai…”

“Sì, Oscar, lo siamo. Ed è proprio per questo… Io vorrei…”

La vide alzarsi e andare verso il camino, poggiare lieve una mano sul ripiano, mandare indietro il capo facendo ondeggiare una massa di capelli morbidi, biondi.

“Vorreste fare qualcosa - la sentì dire concludendo la sua frase -. Ma non potete, Fersen. Nessuno può”.

Poi gli sorrise, e abbassò lo sguardo: “Ma perché volete rattristarvi, stasera, e rattristare anche me?”

Fersen pensò, allora, che aveva movenze tremendamente femminili, e che, se solo quel dialogo tra loro si fosse svolto qualche mese prima, dopo una frase come quella lei si sarebbe trovata tra le sue braccia.

Eppure adesso non poteva. Non poteva più.

“Siete voi che mi state rattristando”, le disse pianissimo, senza alzare gli occhi dal liquore nel bicchiere, che aveva ripreso a fissare.

“Avete una voce calda, Hans. Calda come questa stanza, come il fuoco in questo camino, dentro questo inverno…”. Il suo sguardo si sollevò stupito verso lei, aveva un sorriso morbido e disperato sulle gote, e parlava osservando la legna ardere, come seguendo il filo di un suo pensiero. Come se lui non fosse lì a sentirla, mentre lo diceva. “Ho sempre amato il tono della vostra voce, sapete? C’è stato un tempo in cui sentirvi parlare  mi bastava”.

“Oscar…”

“Un tempo più felice di questo, nonostante tutto…”

Fersen posò il bicchiere sul davanzale della finestra, e per un attimo dovette restare in silenzio, le labbra chiuse, perché le lacrime gli erano salite agli occhi senza che potesse arrestarle. Poi le si avvicinò, lentamente, e le prese le mani, in piedi di fronte a lei.

“Un tempo più felice – le disse -, che però è passato, senza che noi lo fermassimo”.

La fissò, tenendole le mani nelle sue. Erano calde e tremavano.

“Un tempo che non tornerà, vero, Oscar?”

Le aveva rivolto questa domanda mormorandola in un sussurro triste, e lei aveva pianto, allora, lasciando le lacrime scivolare rapide lungo il viso. Si era abbandonata a lui, facendosi abbracciare, e aveva posato il capo sul suo petto. Era esile e profumata, e piangeva in un silenzio irreale, scandito dal crepitio del camino.

“Oscar, vi prego…”

Avvertì il suo viso bagnato sul collo, sul viso, mentre la stringeva, la sua pelle tenera e delicata, il suo profumo che non aveva mai sentito. Chiuse gli occhi e fu come se per un momento quel tempo che non sarebbe tornato, lo sapeva, non fosse ancora andato via lasciandoli lontani e soli. Ma non fu lui a muoversi, fu lei: le sue labbra sfiorarono morbide il suo viso come in un’involontaria carezza, e in un moto abbandonato e dolcissimo si posarono come per caso sulla sua bocca. Allora sentì il cuore battergli all’impazzata nel petto come da mille anni non gli accadeva più, sentì la volontà cedere e un gemito disperato sfuggirgli. Per un istante, dimenticando ogni cosa, non poté resistere al desiderio che lo invadeva. La strinse tra le braccia e la baciò, cercando con tutte le forze d’illudersi che il suo abbandono fosse un abbandono d’amore. La baciò, e mentre lo faceva fu felice come non era mai più stato da una vita intera. E per un istante, per un istante così fulmineo che gli sembrò, poi, di non poterlo neanche ricordare, Fersen smarrì se stesso in quel bacio e pensò come in un delirio di amarla.

“Oscar… Oscar…”

“Smettete di piangere, Oscar…”

Lo aveva detto piangendo lui, invece. Si era staccato allontanandosi da lei con un sacrificio immenso, le teneva il viso in una carezza delicata e tremante tra le mani, vicinissimo a lei: “Oscar, vi prego… io non posso, Oscar… voi state male… male…”. Si avvicinò di nuovo, trattenendo all’ultimo istante l’impulso di sfiorarla ancora con le labbra: “Come siete bella… io… oh, se solo lo voleste davvero, Oscar… se foste felice di questo…”. Poi chinò il capo e si allontanò, in un moto lento e pieno di sofferenza, stendendo le braccia e tenendole piano le mani sulle spalle. “Ma voi non lo siete. Non lo siete… no…”

La guardò, guardò i suoi occhi grandi e confusi, colmi di dolore stupito per come si era lasciata andare, ancora incapaci di riprendersi, di tornare in sé, di capire e accettare su di sé la responsabilità di ciò che le era successo. La guardò e si sentì pieno di rimorso, di dolore, perché era lui il più forte, tra loro, e aveva ceduto. Si portò le mani al viso, in un singhiozzo sommesso.

“Perdonatemi, Oscar, è colpa mia, è solo colpa mia. Perdonatemi vi scongiuro, non accadrà più. Perdonatemi…”

Lei rimase a fissarlo, muta, stordita.

La fece sedere, allora, con delicatezza. Le chiese di nuovo perdono.

“E’ stata colpa mia, Oscar. Perdonatemi, vi prego. Non accusate voi stessa per ciò che è accaduto, vi supplico, non lo fate mai. Non eravate in voi, Oscar… è tanto tempo che non siete più in voi…”

Lei si portò una mano alla fronte, e pianse silenziosamente. Poi gli rivolse uno sguardo affranto, desolato, come se non avesse più alcun motivo per vivere. Fu Fersen a sentirsi morire, davanti a quello sguardo. Capì che doveva aiutarla, doveva assolutamente aiutarla, subito. Doveva trovare il modo. Cercò di recuperare la lucidità, la ragione: trovò una sedia e sedette davanti a lei, prendendole le mani e tenendole tra le sue in modo protettivo, commosso:

“Parlatemene, Oscar. Vi prego, parlatemene. Ditemi cosa vi è successo: io sono qui, e vi ascolto”.

 

 

*

 

Era come pensava, dunque: si trattava di André. Oscar aveva avuto una relazione con lui, e ne era ancora innamorata. Non era stato facile per lei raccontarlo, ma alla fine lo aveva fatto: con voce bassa e come arresa, cedendo alla fine ai singhiozzi di un pianto quasi liberatorio.

Era stato vero amore, nonostante la differenza sociale. E proprio per quello, soprattutto per quello, avevano dovuto nascondersi, accettare di rimanere divisi perché non li scoprissero. Avevano vissuto quella relazione lì, a palazzo Jarjayes. Un rischio grandissimo, enorme: la distanza che li separava era incolmabile.

Ma Fersen di distanze incolmabili ne sapeva qualcosa.

Che coraggio, però, Oscar…

Certo, che coraggio a sfidare così secoli di convenzioni sociali, di distinzioni di classe, di pregiudizi. Il rischio di perdere ogni cosa, di trovarsi contro tutti. Per fuggire con lui.

E che coraggio anche André.

Oscar aveva messo in gioco l’onore, lui la vita: se le cose stavano proprio come lei gli raccontava, se la loro era stata davvero una storia seria, duratura, non il capriccio di una notte, un’avventura senza conseguenze… beh… allora lui doveva amarla davvero molto, moltissimo. Certo doveva conoscere meglio di lei i rischi che correva uno della sua condizione sociale ad amare un’aristocratica, a volerla addirittura come compagna. Oscar era una contessa, e della più illustre nobiltà. Uno scandalo del genere a lei sarebbe costato molte chiacchiere sul suo conto, forse la perdita della reputazione. Ma André l’avrebbero ucciso, senza dubbio.

 

Col generale Jarjayes, poi… e la vita che aveva scelto per Oscar…

Sì, di sicuro lui era consapevole del rischio che correva.

 

Eppure si erano amati, e volevano fuggire insieme.

 

Però, all’improvviso, l’aveva abbandonata. Proprio il giorno della fuga.

Lasciandola distrutta, naturalmente.

 

C’era qualcosa di strano, di molto strano in quella storia. Oscar era sconvolta e non se ne accorgeva, ma da fuori era abbastanza chiaro, per chi fosse appena un po’ al corrente dei metodi che si usavano in certi ambienti per risolvere problemi come quelli.

Lei i salotti non li frequentava, ma Fersen sì.

 

*

 

“Ecco, ora sapete cos’è successo”.

Lo aveva detto con voce sconsolata, lasciando andare lentamente il braccio sul cuscino che aveva accanto. Il fuoco stava morendo, e Fersen aggiunse un po’ di legna. Poi le versò un bicchier d’acqua e glielo porse, insieme al suo fazzoletto: “Prendete, asciugatevi le lacrime, amica mia”.

 

“Oscar… sentite…”

Lei alzò il capo a guardarlo.

“Scusate, so che ricordare è una cosa penosa per voi, e che la mia domanda può sembrare indiscreta, ma vi assicuro che non si tratta di curiosità o insensibilità al vostro dolore. Oscar… posso chiedervi in che modo André vi ha lasciato?”

Lo fissò stupita: “Cosa volete dire?”

“Voglio dire… vi ha parlato e ve lo ha detto apertamente? Ha mandato qualcuno al posto suo? Se n’è semplicemente andato senza farvi sapere nulla?”

Oscar sospirò, e rispose a voce bassissima: “Mi ha scritto una lettera”.

“Una lettera?”

“Sì”.

“E come ve l’ha consegnata? Dove?”

Lei scosse il capo, allora, e gli raccontò della locanda, di quella sera di attesa, di come aveva sentito un fruscio e aveva visto il proprio nome su quel plico passato sotto la porta. Di quello che aveva letto sul foglio, di come era uscita, sconvolta, vagando per le strade della città, finché non l’aveva raccolta lui, svenuta, di ritorno dall’Opera.

“Fatemi capire, Oscar: André progetta nei minimi dettagli un piano di fuga, vi dà indicazioni precisissime su come rintracciarlo alla locanda, vi dice di usare un falso nome, vi fa fare un viaggio piuttosto rischioso a cavallo, da sola, perché non c’è altro modo, esce per cercare una carrozza e dà all’oste disposizioni attentissime perché vi faccia salire anche in sua assenza… e poi non si presenta? Vi lascia attendere tutta la sera? Vi passa una lettera sotto la porta e fugge senza che possiate trovarlo?”

“Hans, ma cosa…”

“Ma scusate, Oscar, a parte il fatto che André – per quel poco che lo conosco – non mi sembra proprio il tipo di persona che fa una cosa del genere, e credo che voi possiate dirlo molto meglio di me, ma… soprattutto, Oscar, perché? Per quale motivo avrebbe dovuto farvi venire in quella locanda per abbandonarvi poi con una lettera? Quale crudeltà dovrebbe averlo spinto, per farlo? E quale utilità ne avrebbe ricavato, soprattutto? Se voleva lasciarvi, non gli bastava fuggire senza darvi appuntamento a Parigi, lasciandovi una lettera a casa, se proprio doveva scrivervi? O, va bene, farvi venire da sola in città, sebbene sia un’azione vigliacca, ma senza correre il rischio di venire anche lui alla locanda? Invece alla locanda c’è stato, no?”

“Sì… c’erano i suoi guanti nella stanza… aveva dormito nel letto… Fersen, ma che volete dire?”

“Oscar.. non lo so, ma… mi chiedo perché. Non ha senso. A meno che… vi ha forse rubato dei soldi? Si è fatto dare del denaro da voi e lo ha portato via con sé?”

“No! Ma cosa dite, no!”

“Eppure, credetemi, che volesse derubarvi era l’unica motivazione plausibile per fare una cosa come quella. Altrimenti non c’è nessuna logica nel suo comportamento. Un grosso rischio inutile per lui, se voleva abbandonarvi, e una cattiveria mostruosa nei vostri confronti. Voi pensate che vi odiasse al punto di farvi questo?”

“No… no… io non credo, Fersen”. Si portò le mani al viso, affranta. Parlò con voce flebile: “Me la sono fatta anch’io questa domanda, sapeste quante volte… ma no… io non posso credere che mi odiasse. Non mi odiava, no… forse non mi amava… ma non aveva motivo di odiarmi, di volermi fare del male deliberatamente… e poi lui non era quel tipo di persona… no…”

“E allora, Oscar… perché?”

“Io… ho pensato che abbia avuto paura all’ultimo momento, che non abbia avuto il coraggio… che sia fuggito… Sulla lettera c’era scritto che… mi amava… Che mi amava e lo faceva per me, che era tanto tempo che si chiedeva se fosse giusto indurmi alla fuga, portarmi via dal mio mondo, che aveva capito di no, che non era giusto…”

“E torniamo al punto di prima, allora: era tanto tempo che pensava di lasciarvi e decide di farlo proprio all’ultimo momento? Dice che non è giusto indurvi alla fuga e poi vi fa fuggire, per lasciarvi? Oscar… è strano… strano… non ve ne accorgete? Un uomo che ha tanta paura delle conseguenze da scappare in questo modo non può avere abbastanza coraggio da portare avanti per tanto tempo una relazione con voi, nella vostra casa”.

“Hans, ma dove volete arrivare, dove?”

“Scusate, Oscar, io esito a dirvi questo, perché non sono sicuro e non voglio crearvi altri inutili turbamenti, ma… io devo chiedervelo, perché voi mi sembrate molto confusa, e non in condizioni di ragionare a mente fredda. Siete troppo coinvolta e lo capisco, ma io da fuori, ora che so… ho capito subito che qualcosa non quadra, non quadra proprio…”

“Fersen…”

“Oscar, siete sicura che quella lettera fosse proprio una lettera di André?”

“Come…”

“Una lettera scritta da lui, voglio dire?”

La vide sollevare il capo e guardarlo, attonita, come ridestata all’improvviso. E poi scuoterlo di nuovo, invece, con le lacrime agli occhi.

“Sì, Fersen, era la sua scrittura, e… c’erano cose, in quella lettera, che solo lui poteva sapere. Soltanto lui”.

“Capisco, ma questo non è risolutivo, Oscar. Le grafie si possono contraffare, basta avere un originale. Se poi la vittima dell’inganno è molto coinvolta emotivamente, è ancora più facile che ci creda”.

“Inganno? State dicendo che si tratta…”

“Oscar, io mi sto sbilanciando molto, e ho paura di sbagliare, perché se avessi ragione la cosa sarebbe molto più grave di quanto possiate immaginare, ma… io non ci credo, scusate: c’è qualcosa che non va in tutta questa faccenda. Per come si è svolta, per tutti i dubbi che lascia. Pensateci: voi stessa siete sconvolta, e non solo per la fine di una storia così importante. No, il fatto è che non potete credere che l’André che vi ha scritto quelle cose sia la stessa persona che conoscevate. Lo avete detto voi. Non è così?”

“Sì… è così…”

“Bene, io ho la stessa impressione, e su questo credo che le vostre sensazioni siano anche più attendibili delle mie. E se… se davvero non si trattasse della stessa persona?”

“Volete dire…”

“Non voglio crearvi illusioni inutili, però… se tra voi c’è stato ciò che dite… perdonate, Oscar, ma io credo che lo conosceste bene, molto bene. Inoltre avete passato una vita insieme, non è vero?”

“Sì”.

“E proprio per questo siete convinta dentro di voi, nonostante tutto, che non può averlo fatto. Più che convinta, lo vedo bene. Talmente convinta che la cosa vi ha distrutto, ha cambiato tutto il vostro modo di vedere il mondo, vi ha annientato…”

“Hans…”

“Oscar… perdonate la franchezza, ma… perché non vi fidate di voi stessa e di quello che sentite? Perché non vi siete fidata del vostro amore per lui? E’ mai possibile che abbiate sbagliato fino a questo punto, nel giudicarlo?”

Lei lo guardò costernata, e singhiozzò: “Perché mi fate questo, Fersen? Perché? Non credete che me lo sia già chiesto abbastanza da sola, se era possibile che avessi sbagliato fino a questo punto? Ma André non c’è, capite? E’ scomparso, non è più tornato, e questo è un fatto, un fatto!”

Le strinse le braccia, allora, e le asciugò il viso, serissimo.

“No, non piangete. Non piangete adesso: non è il momento. Io vi capisco, ma c’è altro che potete fare per affrontare questa questione. E dovete farlo”.

Aspettò che i singhiozzi cessassero, poi le parlò con dolcezza, ma con gravità: “Ascoltatemi bene, adesso, e pensateci attentamente. André vi aveva scritto altre lettere?”

“Non ho bisogno di pensarci: sì”.

“E non è possibile che qualcuna di queste lettere sia stata trovata da qualcuno? Se vi avessero scoperto, Oscar, sarebbe stata la fine”.

“Lo sapevamo bene. E’ per questo che le distruggevo ogni volta”.

“Ogni volta, Oscar? Le avete distrutte tutte, le sue lettere? Siete sicura?”

Lei esitò, prima di rispondere: “No… una non l’ho distrutta, in effetti. L’ho conservata nella mia stanza”.

“E se… supponiamolo solo come ipotesi… se qualcuno avesse visto quella lettera, avrebbe potuto capire cosa c’era tra voi e André?”

Oscar ebbe un brivido: “Sì, certamente sì”.

“E non è che per caso da quella lettera avrebbe potuto trarre qualche indicazione utile per scriverne un’altra, che so… con dei contenuti che potessero convincervi che fosse stata scritta dalla stessa persona? Insomma, le cose che dicevate che solo André poteva conoscere? Pensateci bene, senza fretta. Nella lettera ricevuta alla locanda si parlava delle stesse cose che erano nella lettera di André che non avete distrutto? Non lo so, è solo un’ipotesi, Oscar, forse è sbagliata. Forse semplicemente siete stati visti da qualcuno e non ve ne siete accorti…”

Le vide uno sguardo attonito negli occhi, mentre si portava le mani alla bocca: “Sì, Fersen… Dio mio… erano le stesse cose…”. Quella notte nella cucina. Quella notte, sì…

“Hans, ma cosa vorrebbe dire, se fosse vero, Dio mio… Che qualcuno può aver frugato tra le mie cose, trovato quella lettera, scritto un’altra lettera piena di menzogne con la scrittura di André… cerchiamo di ragionare freddamente, vi prego… ammesso che possa essere vero tutto questo, che qualcuno abbia voluto trarre in inganno me con quella lettera… perché lo avrebbe fatto proprio in quel modo… perché? Aiutatemi a capirlo, vi prego, io non riesco più a pensare, non ci riesco…”

“Se volete un ragionamento freddo eccovelo, Oscar: se foste stati scoperti voi non avreste mai accettato di lasciare André, comunque. Ma avreste dovuto accettare se fosse stato lui a lasciare voi”.

Lei sembrava non riuscire a crederci. Sconcertata.

“Dio mio… Hans, ma… ma vi rendete conto che se questo è vero l’unica persona che avrebbe potuto farlo è… mio padre? Solo mio padre, Hans? Solo lui avrebbe potuto volere che ci separassimo. No, non è possibile, è questo che lo rende impossibile, che rende tutto privo di senso. Non solo perché è mostruoso, e io non posso credere che mio padre possa aver fatto una cosa così mostruosa… ma… Hans, mio padre non è persona da comportarsi in questo modo, io lo conosco… lui mi avrebbe ucciso, piuttosto, se avesse scoperto tutto… ci avrebbe uccisi, me e André, il giorno stesso: questo sì posso crederlo, senza difficoltà… Ma una cosa come quella che voi dite non può averla fatta. No, non può averla fatta, non è proprio da lui”.

“E’ vero, Oscar. Concordo con voi, su questo. Completamente. Vostro padre è l’unico che poteva davvero avere un motivo per separarvi, ma non è nemmeno il tipo d’uomo che possa fare una cosa come questa. Concordo con voi: vi avrebbe ucciso, forse, questo sì. Ma una macchinazione del genere…”. Gli sfuggì un sospiro: “Per quanto, sapete… forse sconvolto dalla notizia e in preda all’ira… Certo, è strano… è strano comunque”.

La guardò negli occhi. “Cercate di ricordare. Avete notato qualcosa di insolito, intorno a voi? Nella vostra casa, o a corte? Qualche persona che vi è sembrato strano vedere, negli ultimi tempi? Oppure prima che accadesse tutto? Qualche episodio anomalo? Curioso? A cui magari non avete dato peso ma che ora, alla luce di tutto questo, potrebbe aiutarci a capire? Rifletteteci bene”.

“Ecco… no… non mi pare… non mi pare proprio. E stavo attenta a tutto, in quel periodo, ve lo assicuro”.

“Certo… posso immaginare perché. Ma vi prego, concentratevi bene. Qualsiasi cosa, anche la più insignificante… Non dovrebbe essere difficile per voi, Oscar, col mestiere che fate… sono certo che se non foste così coinvolta potreste dirlo voi a me, cosa bisogna notare per risolvere casi simili”.

“Eppure non mi viene in mente nulla, Hans. Nulla. A parte una cosa, forse… ma del tutto insignificante, in effetti…”

“Dite: non potrà nuocere, comunque, no?”

“No, è vero. Ecco… pochi giorni prima della fuga che avevamo progettato, mentre rientravo in casa la sera, la governante mi disse che era stata qui una persona. Una persona che in casa mia non era mai venuta, per quanto ne so”.

“Che persona?”

“Mi è sembrato strano, perché desiderava incontrare mia madre, mi hanno detto… e tutti sanno che mia madre risiede a Versailles… Così l’ha accolta mio padre. Ma non ci ho più pensato, da allora…”

“Chi era questa persona, Oscar?”

“Una dama che forse conoscete: madame de Surgis”.

Gli occhi di Fersen si aprirono in un’espressione sbigottita e allarmata, improvvisamente consapevole: “Madame de Surgis, avete detto?”

“Sì. Perché…”

“Oscar, Dio mio, madame de Surgis è nota per aver ordito più di un intrigo di questo genere, in passato... Solo voci, sospetti, niente di certo, ma ho sentito spesso dire questo di lei, potete credermi. E le lettere falsificate non sarebbero una novità, ve lo assicuro. Santo cielo, Oscar… ma allora è proprio vero… vi hanno ingannato…”

“Fersen…”

“Devo dirvelo, Oscar, mi dispiace doverlo fare io, ma a questo punto è necessario e corro il rischio. Perdonatemi, e ricordatevi che l’ho fatto per un fine che ritenevo giusto. Oscar, io non so come trovare le parole, ma…”

“Ma?”

“Ecco… si mormora che madame de Surgis sia… o, per meglio dire, si mormora che sia stata, in passato… ecco… molto amica di vostro padre, capite?”

Lei non rispose e lo fissò, stupefatta: “Volete dire che era l’amante di mio padre, Hans? Parlate chiaro, sono abbastanza grande per saperlo, e voglio saperlo adesso”.

“… Sì… sì, Oscar, mi dispiace… Volevo dire proprio questo, sì”.

Oscar si alzò in piedi di scatto, le mani a coprire le labbra dischiuse dallo stupore, gli occhi aperti a cercare nel passato alla ricerca di pensieri, ricordi che potessero spiegare: “Ma allora… allora…”

“Allora, Oscar, se madame de Surgis è stata qui a parlare con vostro padre poco prima che André sparisse nel nulla lasciandovi una lettera… ecco, io non credo proprio che si tratti di una coincidenza. Non credo proprio”.

“Dio mio…”

“Pensate bene a quella sera, Oscar. A quella lettera di André che avevate conservato in camera vostra. Era ancora lì, al vostro ritorno? Avete controllato?”

“Sì… controllai subito, mi ricordo. Fu la prima cosa che feci: ero stata in ansia tutto il giorno, in realtà… mi ero pentita di averla lasciata lì. Usavo prudenza in queste cose, di norma”.

“E la lettera c’era”.

“Sì, c’era. Ricordo anzi di aver sospirato di sollievo”.

“Ed era intatta? Era nello stesso posto? Siete sicura?”

“Sì… nello stesso posto… sì… nella tasca dell’uniforme… nell’armadio… dentro l’uniforme… l’ho ritrovata lì, mi ricordo…”. Si bloccò all’improvviso: “Dio… oh, Dio… no…”

“Cosa? Cosa vi siete ricordata, Oscar?”

Lo fissò atterrita, quasi incapace di parlare: “Fersen… era nell’altra tasca… Santo cielo, è vero… è vero… era nell’altra tasca… nell’altra tasca… ne sono certa…”

 

Rimasero a fissarsi in silenzio, sbigottiti. Nessuno dei due sapeva cosa dire. Poi all’improvviso negli occhi di lei si accese un subitaneo terrore. Lo guardò sconvolta:

“E André?”, disse. “Dio mio, ma se tutto questo è vero… Fersen… cosa gli è successo? Cos’hanno fatto ad André?”

Lui non seppe cosa rispondere, allora, ed esitò a lungo, prima di parlare. “Oscar, amica mia, perdonatemi… io spero che ci sbagliamo, che abbiamo sbagliato tutto. Che non ci sia niente di vero in tutto quello che abbiamo detto, stasera”.

“Perché…”

“Io… io credo che sia molto meglio per la sua sorte se davvero André vi ha lasciato come credevate. Perché se invece quello che abbiamo detto è vero, se non vi ha lasciato di sua iniziativa e da allora non si è fatto più sentire, non l’avete più visto… ecco, Oscar… io temo che possa essergli accaduto qualcosa di molto brutto. Qualcosa di terribile”.

 

 

 

***

 

 

Il vento negli occhi, il freddo gelato sulla pelle mentre correva a cavallo, non li sentiva più.

“Oscar… perché? Perché?”

La strada per Parigi era buia e deserta, sentiva solo gli zoccoli al galoppo sul terreno.

L’aveva vista.

Aveva corso un rischio enorme per andare lì. Di notte. Non stava ancora bene, ma aveva a tutti costi voluto farlo… doveva vederla, vederla…

Aveva preso il cavallo di Alain, era riuscito a entrare senza essere scoperto nel cortile di palazzo Jarjayes, per parlare con lei. Aveva aggirato l’edificio e si era arrampicato in silenzio fino al primo piano, dov’era la sua stanza.

Di notte.

Proveniva una luce, dalla finestra vicina. Aveva scalato quei pochi metri aggrappandosi al fusto dei rampicanti che da sempre ricoprivano il muro. Aveva guardato dentro.

E l’aveva vista. Aveva visto Oscar.

Stava baciando il conte di Fersen.

 

 

Continua...

mail to: imperia4@virgilio.it

 

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