Love fiction

(Esperimento di metascrittura oscariana)

 

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“Sì, è proprio questo che volevo dire”.

C’è una nota di stanchezza nella sua voce. Ne percepisce l’intensità ma ancor più la stanchezza. Qualcosa che viene dal profondo e che non le aveva mai mostrato, fino a questo momento. Una ciocca di capelli, scomposta dallo schiaffo che gli ha dato, gli copre parte del viso fino alle labbra, e lui non si preoccupa di spostarla.

È rimasta con la mano a mezz’aria racchiusa nella sua, le dita di André intorno al polso. Inaspettate, in un tremito lieve e paziente.

Non come la risposta che avrebbe potuto dare.

Come una risposta, invece, come se veramente lui ce l’avesse.

Avverte il calore del suo corpo. La sua presenza, come una cosa vera.  L’affanno silenzioso del suo respiro.

Chi sei, vorrebbe dirgli con un filo di voce mentre la sta guardando apertamente, con un dolore con cui non si era mai permesso di guardarla prima.

Sente le lacrime salire agli occhi e bruciare, la bocca troppo arida per riuscire a chiedergli scusa.

“Aiutami”, vorrebbe articolare disperatamente, ma neanche questo le riesce. Non c’è più voce che possa tradurre questo bisogno.

Solo silenzio, e il tepore della sua mano intorno al polso gelato.

Non è vero che non abbiamo bisogno di parole.

Ce ne vorrebbero moltissime, invece, parole per raccontarci e spiegarci, per sciogliere questo nodo che stringe il petto e lasciarlo scivolare via e liberarcene, e poter finalmente ridere con il cuore sgombro e non doversi portare dentro tutto questo dolore, scioglierlo nel calore di suoni fluidi e gentili.

Ma tu non sei mai stato un tipo eloquente. E nemmeno io, del resto.

Smettila di tenermi i polsi e di stare zitto.

 

Lui, all'improvviso, l'attira a sé.

 

È soffocato il grido con cui gli si getta addosso, i pugni stretti sul  suo petto. Lo stesso tipo di moto che ha originato lo schiaffo di prima. Ma stavolta non è un'aggressione, è una richiesta. È una preghiera, impellente.

André china il viso sul suo capo, accarezza la sua mano. È la prima volta che osa abbracciarla così.

È proprio questo che volevo dire.

“Volevo dire che non ti fa meno forte questo dolore. Volevo dire che non cambia chi sei”.

Volevo dire che se tu fossi minimamente riuscita in tutti questi anni a nascondere la tua natura, io non sarei a questo punto, ora.

Intanto, c'è la questione della mia costante reazione fisica alla tua presenza. Non posso farci niente, a parte allontanarmi quanto serve dal tuo corpo perché non debba darti questa testimonianza fin troppo tangibile della mia stima per la tua femminilità.

Poi ci sarebbe il fatto che ti amo disperatamente.

Ma è un dettaglio trascurabile, ora come ora.

“Volevo dire che Oscar è Oscar, e, a dispetto del nome che porta e di certi suoi conoscenti quanto meno distratti, è una donna meravigliosa, e non deve vergognarsi di questo”.

Poi Oscar è un nome da donna, per me.

 

L’avvolge con un braccio intorno alle spalle. “Vieni, sediamoci”, le dice piano. E, come se fosse cosa molto normale, per loro - un tempo, in fondo, lo era -, si siede sul bordo del letto accanto a lei, facendole posare il viso sulla sua spalla. Poi, sul suo petto.

Percepisce fin dall’intenzione il suo lievissimo irrigidirsi, e subito, obbediente, la lascia. Rimane seduto al suo fianco e con un sospiro incrocia le mani davanti al viso, i gomiti posati sulle ginocchia, il capo chino. Pensa che vorrebbe qualsiasi altra cosa, in questo momento, piuttosto che doverglielo dire. Pensa che, se dipendesse da lui, non lo direbbe affatto. A che pro scoprirsi, in questa situazione, e fare questa figura da poveraccio, e abbattere la comoda e rassicurante parvenza di normalità che li univa, affidandosi a un domani del tutto imprevedibile, ma verosimilmente peggiore? L’alibi dell’amicizia poteva reggere ancora per molto, considerata la fermezza con cui lei vuole crederci.

L’amicizia non è male, in fondo. L’amicizia è sempre meglio che niente.

Dirglielo ora è, garantito, un salto nel vuoto. Anzi, un suicidio, perché perderla sarebbe come morire. L’istinto di conservazione sconsiglia vivamente di farlo.

Ma il suo istinto di conservazione è sempre stato mandato al diavolo con una rapidità drastica, di fronte al rischio che succedesse qualcosa a lei, anche questo è un fatto.

 

E il silenzio di Oscar è abissale, in questo momento. Quasi privo di vita. Se lascerà passare un altro minuto sarà perduta, e non ci sarà più modo di afferrarla per un braccio e tirarla su. André lo sente con una chiarezza incredibile.

Scuote piano la testa, con una mano sulla fronte.

“Adesso ascoltami -, mormora, e lei non l’ha mai sentito così provato -. Ascoltami, e non muoverti, non dire niente finché non ho finito”.

André ha uno strano modo di dare ordini. Piegato in due dal dolore, quasi distante, come se parlasse all’oscurità, non a lei.

E mentre parla piano, con voce profonda e triste, dicendo parole che Oscar non aveva mai sentito, parole dolcissime e reali, che non aveva mai neanche immaginato potessero essere combinate insieme, men che meno che qualcuno potesse rivolgerle a lei, mentre parla i minuti scorrono lenti, implacabili, portando a ogni suono un’emozione diversa, un tremare nuovo. Non è solo quello che dice, che è fatto di carne e sangue, non di poesia: è il suo tono arreso e sincero, l’amarezza trattenuta del suo esserle accanto, senza quasi sfiorarla, la sua voce che sta toccando corde così intime, nel cuore di lei, che Oscar non può fare a meno di mettersi a piangere silenziosamente, a dirotto, fino quasi a non vedere più. Sono le profondità a cui la sta turbando, è come la ferisce e la cura, come dimostra di sapere esattamente ogni cosa, mentre scioglie poco a poco con attenzione quel grumo inestricabile di male che la soffoca, prestandogli una voce per lei, straziando accuratamente se stesso, con coscienzioso dolore. È la passione sconvolgente che c’è in ogni sillaba, l’amore scoperto e ferito nella sua nudità, l’amore assurdo e senza speranza, devastante e oltraggioso che brucia il suo essere senza che lui abbia mai voluto porvi alcun argine. L’amore che fa sacrificio di sé sapendo che col rivelarsi si farà uccidere, ma potrà salvare ciò per cui vive. André mormora pianissimo al suo fianco, senza ritrarsi fino a che ha finito, fino al fondo del pozzo. Con limpidezza spietata, con tenerezza feroce. Come chi non abbia più nulla da perdere, o sia stato costretto a perdere tutto, per cui nulla gli può far male di più.

Sta dicendo che se ne andrà, se lei vuole, o che rimarrà, senza mai più parlare. Non lo dice, ma sta intendendo che accetterà di non contare niente, di non contare più, come non ha mai contato. Che si tratta, soltanto, di continuare a morire.

Ma che lei deve vivere. Deve vivere.

 

Infine tace, esausto, e rimane seduto accanto a lei, con le mani intrecciate sul viso. Immobile, perduto, come il loro rapporto cui ha appena dato una mazzata letale. Ne è così conscio che non ha la forza di dire e fare più nulla. Sa che tra poco dovrà alzarsi ed andarsene, ma al solo pensiero gli viene da piangere. Non si muove per risparmiarle la scena.

 

Il silenzio che cade su di loro dopo la confessione di André dura molto tempo, fino a smorzare anche i suoni  fuori e trasformarli in calma totale. Non si sentono più neanche i piccioni che volano in alto per trascorrere la notte.

È un silenzio sobrio e doloroso, pieno di rispetto.

Di sentimento, anche. Non è arido come quello che separa due persone divise, che non sentono il cuore l'una dell'altra. È un tacere straziato, senza imbarazzo.

È un silenzio bagnato di lacrime, e a un certo punto Oscar prende a singhiozzare senza vergognarsi, il viso tra le mani, vicino a lui.

Sa Dio se vorrebbe farlo anche André.

È riuscito nel suo intento, sospira sommessamente. E ora vorrebbe soltanto piangere.

 

Ma sa che non può permettersi di piangere, adesso.

Sa anche che dovrebbe alzarsi, scuotersi discretamente la polvere dai calzoni, assumere un tono neutro e dire: “Non è colpa tua, non devi fare proprio niente. Nessuno di noi due può farci niente, è la vita”. Cose così.

Però non può. Non può fare neanche questo. È come svuotato.

A volte certe cose costano troppo.

 

“André, io...”

 

Si gira verso di lei, attonito. Cielo, si è prodotta in un altro dei suoi celebri: “André io” che riserva per le grandi occasioni, quelli seguiti da un oceano di niente.

Mi rifiuto di risponderti. André io cosa? Io non pensavo, non sapevo, non immaginavo, io ti consideravo come un fratello, o in alternativa tu non ne hai il diritto perché sei solo il mio scudiero fedele? André io cosa? Io non sono una persona migliore, solo diversa? Io non vorrei che mio padre ti sparasse ma non è educato interromperlo, io sono lieta che non ti abbiano impiccato e di aver scoperto all'improvviso che conti qualcosa per me ma te lo dirò in un altro momento, tanto, con tutto il tempo che abbiamo perso, un anno in più o due che differenza vuoi che faccia? Non è ancora successo ma di sicuro succederà, se continui così. André io che? Io non mi sento adatta, non mi sento donna, non mi sento degna, sento che mi può partire la brocca solo per degli amori impossibili, irraggiungibili, indefinibili e innamorati di un'altra, così almeno starò sempre al sicuro a macerarmi nel mio dolore senza mai dovermi mettere in gioco sul serio? Cosa succede dopo quei tuoi “André io”, nella realtà in cui ci siamo davvero, qui, adesso, io e te? Te lo dico io cosa dovrebbe succedere, che ti sbatto sul letto e ti  divoro di baci e ti strappo tutti i vestiti e ti faccio felice e mia, mia per sempre, per sempre, per sempre come so che sei sempre stata e sarai, perché solo se stai con me puoi essere felice, e sei tanto cieca da non vederlo mentre io lo vedo, lo vedo, lo vedo, non vedo più niente ma vedo solo questo e lo so come se fossi Mosè e Dio in persona, anzi in spirito, mi avesse appena dettato i comandamenti, e al primo posto ci fosse scritto che tu sei mia, tu sei mia, sei soltanto mia e non sarai mai di un altro, per nessuna ragione, giammai.

 

Naturalmente si guarda bene dal dire tutto ciò, e riserva il delirio mistico a eventuali successive occasioni.

Viene buono per un eventuale suicidio, ad esempio.

 

“André. Perdonami, André. So di averti fatto soffrire. Ma hai ragione, avevo paura, tanta paura”.

Lo ha detto con un tono serio e quasi sereno, dopo tanto pianto. Un tono che gli fa alzare lo sguardo, incredulo, a osservare i suoi occhi limpidi e azzurri.

“Tu lo sapevi?”, mormora stupito.

“Certo che lo sapevo, André. Come potevo non saperlo? Perdonami perché ti ho fatto del male, ma non volevo farne a te, solo a me”.

Ha pronunciato questa frase in un sussurro carezzevole, con una voce che nemmeno lui le aveva sentito mai usare.

“Perché?”, le chiede in un tremito.

“Perché non riuscivo a essere come mi avevano voluto, perché la mia vita non aveva alcun senso logico. Perché era più facile fare quello che gli altri si aspettavano, che farsi delle domande e rispondere. Perché la scena era allestita e il sipario aperto, e bastava solo che recitassi la mia parte per accontentare tutti e poi sparire, dimenticata o magari morta. Perché lui era lì, perfettamente integrato e in sintonia col copione e con la partitura. E tu invece eri fuori dal coro e fuori dagli schemi, mi provocavi con battute di cui non sapevo mai la risposta, perché erano frasi vere, cui la risposta avrei dovuto trovarla io. Perché avevano assegnato un ruolo anche a te, ma tu palesemente non lo rispettavi”.

“Non lo rispettavo perché c'eri tu. Forse l'avrei rispettato se non ti avessi conosciuta, credo proprio di sì. Ma da quando ti ho incontrato non ho potuto fare altro che volerti, e tutto il resto non ha contato più nulla, per me”.

 

È il momento della verità, dunque. Il cielo di carta si è strappato, l'ho strappato io, e adesso lei è lì, con la sua ferita, davanti a me, e io dovrei saperle proporre una via d'uscita. Una soluzione. Un seguito.

 

“E adesso, cosa dovrebbe succedere, André?”

“Non ne ho idea, Oscar. Immagino che debba essere qualcosa di graduale. Che dovremmo cominciare a muovere i nostri passi poco a poco, ogni volta cercando di capire se la direzione è quella giusta. Immagino che saranno molti a volerlo impedire, soprattutto a te. E non è detto che tu faccia bene a darmi retta, tienilo presente”.

“Non sarà peggio di com'è andata finora”.

Be', non c'è dubbio. Non è che innamorarti di Fersen ti abbia dato grandi soddisfazioni. Però nel caso di Fersen avevi un motivo valido, eri appunto innamorata di lui. Ma io? Cosa mai potrei prometterti io se tu non mi ami?

“Io sposterei una montagna per te, amore mio (mi piace chiamarti amore ora che non puoi opporti, perché sai che sono pronto a rinunciare a te). Ma avrebbe senso solo se tu lo volessi. E tu non puoi certo volerlo adesso, siamo onesti. Lo vedo bene e lo capisci anche tu”.

“Sì, è vero, non potrei volerlo adesso”.

 

Lo sapevo, ma fa malissimo che tu lo dica. Non lo dire, ti prego. Non lo dire più.

 

“Scusa, André”.

“Non importa, è solo la verità”

“Ma io ti voglio bene. Ti ho sempre voluto bene anch'io”.

 

Sì, lo so che mi vuoi bene, lo so. Potrebbe essere un abbozzo di soluzione. Potremmo andare a letto in amicizia per un certo periodo, e alla fine magari ti affezioneresti e potresti accontentarti di me. Il problema è che non mi accontenterei io, temo.

Oppure potremmo separarci e cercare di vivere ognuno la sua vita, ricominciando da zero. Sarebbe la soluzione più logica, se non fosse che probabilmente ne morirei.

E poi cosa intendi esattamente con: “Ti voglio bene”, Oscar? Che non sei innamorata ma potresti innamorarti di me? Che in fondo sei sulla buona strada, ora che ti ho aperto gli occhi, e hai solo bisogno di tempo? Fosse vero potrei aspettarti una vita ancora. Ma tu come potresti mai dire una cosa simile, e fare profezie sul tuo amore, a meno che non lo provassi già?

 

“Forse dovremmo ricominciare tutto da capo, Oscar. Tu dovresti schiaffeggiarmi e io dirti qualche frase botanica, poi potrei baciarti con rabbia e spingerti sul letto, strapparti la camicia e in conclusione andarmene piangendo e chiedendo scusa, perché tanto finirebbe allo stesso modo, visto che comunque non ti importa di me”.

“E poi cosa succederebbe, André?”

“Che ci separeremmo, io soffrirei le pene dell'inferno e probabilmente anche tu. Poi chissà, fra qualche anno, prima di morire, potremmo far pace e scoprire che ci amiamo da sempre,  meglio tardi che mai”.

“Non sembra molto allettante, raccontata così”.

“Già, però forse così tu mi ameresti, e poi avrei visto cosa c'è sotto la tua camicia”.

Oscar si mette a ridere: “Ed è tanto importante, per te?”

Lui sorride: “Direi di sì. Tutte e due le cose”.

“Oh, André...”

“Vieni qui”.

La cinge per la vita e la porta sé, lentamente. Lei china il capo commossa e sospira, gli posa la fronte sul petto, nell'incavo tra il collo e la spalla, languidamente. Sembra un gesto perfettamente naturale ad entrambi.

André sente la sua vita esile tra le mani e chiude gli occhi. Non potrà trattenersi, se restano così. Tutti i suoi buoni e civili propositi andranno a farsi benedire entro pochi secondi, se continuerà a starle attaccato e a ad avere nelle narici il profumo delicato della sua pelle, ad essere così consapevole che la sua bocca è tanto vicina da poterla cogliere solo voltando il viso, in una carezza.

Forse, Oscar, stiamo parlando troppo, mentre tu hai bisogno solo che qualcuno ti tenga stretta e ti consoli, e chi potrebbe farlo meglio di me? Forse hai bisogno solo di essere baciata, e di sicuro anch'io, tanto per cominciare. Forse avrei dovuto da tempo smetterla di rispettarti e di farti da cagnolino fedele e lasciarti condurre il gioco, che se aspettiamo te qui fa in tempo a crollare tutto mentre noi stiamo ancora a ululare alla luna e chiederci perché. Forse dovrei solo mostrarti quello che sono e che voglio, perché non l'ho mai fatto per paura anch'io, e in questo ho sbagliato, e se lo avessi fatto tu mi avresti visto e mi avresti non dico amato, ma ritenuto possibile. Mi avresti guardato come si guarda un uomo e rispettato, forse più da lontano ma ci avrei pensato io ad avvicinarti, in quel caso. Forse dovevo solo baciarti, tanto tempo fa.

 

Ma puoi sempre farlo adesso, André.

Perché credi che stia appoggiata a te in questo modo? Mi credi così ingenua da non avere la minima idea di cosa potrebbe passarti per la testa, dopo quello che mi hai detto, poi, o così fredda da non sentire anch'io il calore del tuo abbraccio e il tuo odore e il piacere di stare così addosso a te? Non sono mica di ferro né di ghiaccio, nonostante quello che sembrate pensare tutti. Arrivata a questo punto e dopo che ne ho viste tante nella mia vita sarò anche vergine per cause di forza maggiore ma non sono affatto verginale né pura, puoi starne certo. Non è vero che non ti ho mai visto come un uomo, cosa credi, intanto ti ho visto nudo più di una volta, se vuoi saperlo, e non solo quand'eri piccolo: se c'è un'idea platonica di maschio nel mio immaginario è modellata senza dubbio su te, la qual cosa tra l'altro mi ha reso impossibile modellarla su me stessa. E poi sì, non voglio pensarci adesso perché pensare non mi ha mai portato fortuna in amore, ma tante, tante volte ho pensato a te. E mi sono resa conto da tempo che mi eri necessario come il respiro, che se non c'eri tu era come se mi mancasse un braccio o una gamba o un pezzo di cuore. Ma tu c'eri sempre, e grazie a Dio almeno la paura di perderti mi è sempre stata risparmiata, non cominciare a farmela venire adesso, per favore. Non voglio dire che questo significhi per forza qualcosa, io non lo so, ma la mia non è stata una vita tanto normale, sono stata allevata come un uomo e mi chiamano signor Oscar, per mestiere tiro di scherma e puoi ben concedermi che abbia avuto a lungo le idee confuse. Fersen mi ha fatto battere il cuore perché ha cercato di sedurmi appena ha saputo che ero una donna. Ho trovato il coraggio di provare a essere donna per lui e lui come donna mi ha distrutto, e non importa che mi abbia scopato o no, sarebbe stata addirittura meglio la prima, almeno mi avrebbe dimostrato che qualcuno poteva desiderare di farlo solo per il gusto. Ma rifiutandomi lui ha disprezzato ciò che di più fragile e intimo c'era in me, nascosto con ogni cura sotto l'uniforme e portato fiduciosamente alla luce perché potesse meglio farlo a pezzi. Ha colpito in profondità, purtroppo. Non lo ha fatto con intenzione, ma questo non cambia i fatti. E ora sono qui.

Spezzata delusa ferita e probabilmente me lo merito pure.

Cosa puoi fare di me?

Cosa vuoi fare di me, adesso, André?

 

Non le ci vuole molto per scoprirlo, perché è come se, a ogni pensiero che ha formulato, il cuore di André si fosse accostato al suo un po' di più. Volge il viso verso il suo viso, in un lieve movimento che lui intercetta, come fosse un segnale in codice o come se anche lui lo avesse voluto fare nello stesso momento. Le tiene la mano nella sua e si china a baciarla, sfiorandole la guancia in una carezza.

“Voglio baciarti, amore”.

Lo ha detto lui, in un ansito cupo e dolce mentre coglie il sapore delle sue labbra. Le sfiora le tempie con le dita intrecciandole ai suoi capelli e ha gli occhi chiusi e perduti, sospira piano. È un bacio tenerissimo e illogico, senza passato e futuro, senza spiegazioni. Le labbra di André sono morbide e il suo sapore è buono mentre le prende per la prima volta la bocca con la sua, e a Oscar balza il cuore in un battito pieno d'emozione e stupore quando sente la sua lingua toccarla, in un gesto intimo e audace, dolce e inaudito, che la sconvolge come il fatto che lui si stia permettendo di farlo così, così a lungo e con tanto ardore, con desiderio e appassionata naturalezza, perché è la cosa che più ha voluto fare in tutta la vita, trattandola come fosse da sempre sua.  È un bacio intenso che la cattura e la porta a lui, al suo corpo tremante nell'abbraccio che la racchiude, che l'accoglie e che la protegge e le fa sentire un fuoco struggente e languido invaderle il ventre, mentre la sfiora, mentre le dice che non può fare a meno di lei, quando sono vicini, anche se questa è la prima e forse l'ultima volta che lo può fare. Anche se dopo si dovranno lasciare, anche se dopo dovranno ancor più soffrire, per questo. Anche se la cosa, forse, non ha alcun senso.

 

 

***

 

E adesso, cos'è rimasto di noi, ora che sei steso su questo letto da campo e io sto piangendo perché ti perdo, ed i tuoi occhi non possono più vedermi e cerco parole per riempire questi tuoi ultimi istanti con le cose più dolci, amore mio che sei la mia vita e la mia ragione e sei sempre stato la risposta e il rifugio, e ora mi dicono che stai morendo, invece, e che te ne vai? Come farò adesso, senza di te? Cosa farai, senza me, da solo, se te ne vai?

Amore, che non mi hai mai ascoltato, se si trattava di rimanere al sicuro, che hai fatto tutto pur di restare con me. Una volta che avevo avuto un'idea sensata io, di non farti venire a Parigi e rimanere a casa, perché potesse curarti tua nonna, tu, naturalmente, hai detto di no. Se mi avessi dato ascolto, almeno questa volta, ora staresti bene e non avresti una palla in petto, e io non sarei qui, ad assistere incredula alla tua morte, in mezzo alla strada, in una piazza di questa schifosa città.

Non ho potuto nemmeno portarti a casa, nel tuo letto.

Non ho nemmeno potuto dirti fino in fondo quanto ti amo.

Che quella notte, quella notte, amore, quando mi hai dato il nostro primo bacio nel silenzio commosso della mia stanza, quando mi hai sciolto le ginocchia tenendomi nel tuo abbraccio e ho sentito tutto il tuo essere trasferirsi in me; quella notte, quando hai fatto uno sforzo immenso e mi hai lasciato lì sola, seduta sul mio letto, a vibrare di passione e di desiderio e a pensare che ti avrei dato immediatamente quello che volevi se tu solo l'avessi chiesto, e che avrei dovuto piuttosto chiederlo io per non farti andare, supplicarti di restare con me; quella notte io ho capito davvero cosa potesse voler dire per me l'amore, ed è stato definitivo ed irreversibile, fin da allora. Te ne sei andato per lasciarmi libera, perché volevi che avessi tempo, perché non sopportavi che non ti amassi come mi amavi, perché non ti bastava che ti concedessi il mio corpo, volevi anche il mio cuore. Ma io quella notte, fin da quella notte, ho saputo con certezza che mi appartenevi, che ti appartenevo da sempre.

Ho cercato di dirtelo, nei giorni e nei mesi che sono venuti dopo. Ho sempre cercato di superare la barriera che avevi eretto per proteggermi da me stessa e da te, perché eri troppo puro, troppo sicuro della grandezza dei tuoi sentimenti per accettare in cambio qualcosa in meno. Per accettare che mi accontentassi di te.

E solo con fatica, dopo molto tempo, sono riuscita a convincerti.

Solo ieri notte, che è stata la nostra prima notte d'amore, in mezzo a un bosco, vicino a un fiume, in una danza di lucciole.

Ho pagato un prezzo altissimo, e lo hai pagato anche tu.

Solo ieri notte, quando ho avuto di nuovo i tuoi gemiti, le tue mani che mi accarezzavano il viso, il tuo abbraccio forte, e caldo, e fiducioso e fedele, il tuo corpo dentro al mio e l'abbandono completo del tuo piacere, quando mi hai sorriso ansimando e mi hai stretto a te, e mi hai baciato di nuovo come quel primo giorno, ma con un sospiro felice, quando mi hai riempito di carezze e mi hai premuto sull'erba incalzandomi, potente e languido, e con un grido che hai spento sulle mie labbra sei venuto in me, solo allora, amore mio, solo allora, sono stata certa che lo avevi sempre saputo. E che, finalmente, ci credevi anche tu. 

FINE

 P.S. I celebri “André, io...” di Oscar sono una formulazione di Laura che ho sempre trovato irresistibilmente geniale. Il racconto è dedicato a lei, con il mio grazie perché c'è sempre.

 Fine

pubblicazione sul sito Little Corner giugno 2016

 

mail to: alessandra1755@yahoo.it

 

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