Un'altra stagione

(dopo Autunno)

parte ottava

 

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Erano rimasti così, seduti davanti al fuoco. Insieme. Oscar si faceva cullare dal suo abbraccio. Lui non parlava, ascoltava le scintille crepitare e l’accarezzava piano.

Poi iniziò a baciarla, lentamente, e percorse con le labbra tutto il suo viso, tornando alla bocca. Le sollevò la camicia sfilandola con dolcezza dai pantaloni e le fece alzare le braccia per toglierla. Passò le dita delicatamente sulla sua pelle nuda, calda, chiudendo il palmo con un sospiro quando incontrò i seni. Si chinò a baciarli, a lungo, prima uno, poi l’altro. Aspettando i suoi gemiti, assaporandoli.

La stese sui cuscini, e baciandola finì di spogliarla. Si spogliò, la sentì vicina. Le accarezzò le gambe risalendo con le mani all’interno, a sfiorarne il sesso senza toccarla, e scendendo di nuovo. Più volte.

“Chiudi gli occhi”, le disse.

Poi si chinò su di lei e le fece di nuovo le stesse carezze, con le labbra. Salendo ancora, senza tornare indietro.

Ecco, iniziavano i suoi sospiri.

 

Farlo lo faceva morire di eccitazione, di piacere. Lo faceva a lungo, provando un brivido di gioia e desiderio a ogni gemito che avvertiva in lei, rimandando all’infinito il momento di prenderla. Lo faceva impazzire quel gesto così intimo, che l’univa a lei in modo totale e segreto. Ci erano arrivati col tempo, e aveva imparato bene.

Sapeva come tenerle i fianchi con le mani, come seguire i suoi tremiti con la lingua, e sapeva quando non ritirarsi e insistere, anche se lei sembrava voler fuggire. Tenne gli occhi chiusi, e dominò se stesso, perché adesso la voleva con un’ansia sfrenata. E continuò sempre più intenso, mancava poco.

E riconobbe l’irrigidirsi crescente del suo corpo, stretto tra le sue mani, il silenzio che anticipò d’un istante l’erompere dei sussulti. Li accompagnò con sicurezza e passione, fino alle grida, e oltre.

Rimase così, col viso su di lei, qualche attimo.

Poi si sollevò, e la sfiorò con la pelle, col suo calore, la labbra sul viso ancora, e unendosi alla sua bocca senza aspettare che rispondesse scivolò facilmente nel suo corpo.

 

Quando avvertì il piacere arrivare lei lo stringeva, le gambe intrecciate alle sue, e lo baciava moltiplicando i gemiti che gli uscivano dalle labbra. Gli serrava la vita in un flutto di sensazioni e sospiri e aderiva tutta a lui, supplicandolo di  continuare ancora. E quando la sentì venire stava venendo anche lui.

 

 

“André”.

“Sì...”

“E’ stato bellissimo, André”.

“Sì”.

Le aveva passato un braccio intorno alla vita, la teneva così, accanto a lei.

“André...”

“Mmm?”

“Tu mi ami, André?”

“Tu che ne dici?”

“E... stai bene con me?”

“Ma certo amore, stare con te è tutto per me, lo sai”.

“E non vorresti... non pensi mai... qualcosa di più...”

La abbracciava, sospirò felice.

“Più di questo, Oscar? Cosa può esserci più di questo?”

Lei sorrise, abbassò gli occhi a guardare la mano di André posata sul suo grembo, tenera e sicura. Avvertì con dolcezza il contatto delle sue dita.

 

 

Il giorno dopo, quando lui si svegliò, Oscar non era nel letto. Si vestì e scese, e con sorpresa trovò nella sala l’anziana donna che li aveva accolti il primo giorno. Quando lo vide gli andò incontro per salutarlo.

“Buongiorno, André. Volete fare colazione?”

“Oscar...”

“E’ andata in città, ma sarà qui per pranzo. Se avete bisogno di qualcosa chiedete pure a me”.

“In città?”

“Sì, me lo aveva detto qualche giorno fa, pregandomi di venire stamattina. E’ partita presto con una carrozza”.

“Ah...”

“Volete un po’ di cioccolata, André?”

“...No... No, grazie”.

Si sentiva inquieto. Gli succedeva sempre, fin dai tempi di palazzo Jarjayes: odiava quando Oscar andava via senza di lui, senza dirgli niente.

 

Tornò dopo mezzogiorno, fuori soffiava il vento, ed entrò in un turbine di capelli e di gonne. André si alzò da davanti al fuoco e lei venne a baciarlo, il viso freddo e affannato, raggiante. Gli gettò le braccia al collo.

“Ciao, amore...”

Ritrovare il suo abbraccio lo confortò, e chiuse gli occhi un istante. Ma era ancora crucciato.

“Da dove vieni...”

“Dalla città”.

Poi si accorse degli abiti femminili che indossava, e trasalì.

“Sei andata in città vestita così?”

Lei lo baciò di nuovo: “Ti assicuro che una donna vestita da donna non dà affatto nell’occhio, André”.

Perché questo buonumore ostentato? Gli nascondeva qualcosa?

“Oscar...”

Dovette fare uno sforzo per non mostrare il suo turbamento.

“Perché sei partita senza dirmelo? Dove sei stata, Oscar? Stamattina non c’eri...”

Lo abbracciò un’altra volta, affettuosa.

“Oh, povero amore mio... che si è svegliato da solo e non mi ha trovato...”. Lo aveva detto in un sussurro carezzevole e lamentoso, parlando tra le sue labbra.

“Oscar, sei strana stamattina. Sei diversa...”

“No, amore, non c’è niente. Sono stata a fare compere”.

“E perché senza di me, e con questi vestiti... Te li mettevi solo in casa con me...”

Lei lo guardò con tenerezza e sorrise, rispondendogli mentalmente: non potevo andarci vestita da uomo, da quel dottore.

“Dai, andiamo a mangiare”, gli disse.

 

Il pranzo trascorse quasi in silenzio. André non diceva nulla e Oscar sembrava molto presa dal susseguirsi delle pietanze. Ogni tanto usciva in commenti entusiastici sul sapore del cibo. E non gli aveva risposto.

Anzi, nemmeno sembrava preoccuparsi del suo disappunto, che a lui pareva di manifestare in modo più che evidente.

 

All’improvviso ebbe paura.

 

“Oscar...”

“Sì, amore?”

“Usciamo, dopo pranzo?”

“André... è che sono un po’ stanca, veramente. Perché non ce ne stiamo qui, invece? E magari poi andiamo a dormire?”

“...Certo... Certo, come vuoi”.

Lei si alzò, e si sedette sulle sue ginocchia, avvolgendolo con le braccia al collo nel gesto che conosceva bene. Accostò affettuosa la fronte a quella di lui. André l’attirò e la strinse forte, d’impulso, tenendola a sé con gli occhi chiusi.

“André...”

“No, non dire niente. Non importa. Ti amo, Oscar”.

 

 

Si era svegliato prima di lei, e scese dal letto in silenzio. Potevano essere passate due ore, e Oscar era ancora lì, profondamente addormentata: sembrava non avere alcuna intenzione di destarsi. Quando fu fuori di casa l’aria più mite lo avvertì che il tempo era migliorato. Era pieno pomeriggio e non c’era più vento. Percepì anzi il calore tenue del poco sole che rimaneva.

Una breve passeggiata, pensò. Senza andare lontano. Sellò i cavalli come quel primo giorno, nelle scuderie: poi rientrò, per chiamarla.

 

“Oscar...”

Non gli rispose, ma avvertì tra le braccia il suo corpo girarsi, stirarsi contro di lui.

“Amore, svegliati”.

Emise un mugolio appagato, ma nient’affatto convinto.

“Oscar, vuoi dormire tutto il pomeriggio?”

Gli si fece più vicina e si strofinò al suo corpo: “Mmm...”

Rise, la scosse delicatamente: “Dai Oscar, c’è ancora un po’ di giorno da sfruttare. Alzati”.

Lei si mise a sedere sul letto, si stirò ancora. “E cosa facciamo?” chiese in uno sbadiglio.

“Ho sellato i cavalli. Andiamo un po’ in giro qui intorno, che dici?”

Non poté vedere il suo volto ritornare vigile, repentinamente. Ma avvertì il suo silenzio, e il respiro che trattenne.

“André... scusa, è meglio di no. E’ meglio non andare a cavallo...”

Lo vide impallidire, divenire subito serio.

“Vuoi dire che preferisci domani...”. Non aveva mai rifiutato questo.

Ma lei non rispose.

“Domani mattina, sai, vorrei andare nuovamente in città...” , disse infine, esitando.

 

André si staccò, allora, rimase seduto sul letto, distogliendo il viso da lei.

“E’ successo qualcosa”, constatò terreo. Portò una mano alla fronte, lo vide scuotere la testa: “No, no...”, lo sentì mormorare, pianissimo, gli occhi chiusi.

“André...”

“No, Oscar, dimmelo subito, adesso”. Aveva parlato con un tono improvvisamente deciso e pieno di dolore. Che non ammetteva obiezioni. “Dimmi cosa è successo”.

“Ma niente, niente di male, André, davvero!”. Gli si era fatta accanto, a toccarlo, ma lui sollevò una mano nell’aria, per fermarla.

“Non è solo oggi, Oscar, è un po’ che l’ho capito. Tu non mi dici la verità, stai nascondendo qualcosa”. Non l’aveva mai visto così turbato. “A volte ti alzi improvvisamente e vai via, poi torni stravolta, le mani fredde, sembra che tu stia male... come se avessi pianto. E non mangi più. A volte sei euforica, e subito dopo dici che sei stanca: non vuoi più fare le cose che facevamo prima, non solo andare a cavallo... sembra che tu preferisca evitare tutto, adesso. Oscar, stai evitando me? E anche quando siamo insieme, quando ti tocco... sembra che tu mi voglia trattenere, che tu abbia quasi paura. E quella cosa che mi hai detto ieri, che vorresti di più...”.

“André! No, no! Cos’hai capito, amore...”

“E poi oggi vai ad Arras senza dirmi niente, con quel vestito, e mi rispondi con una bugia se ti chiedo dove sei stata... e domani ci ritorni...”.

“André, basta, io...”

 “Dio, Oscar, dimmi cosa succede, adesso! Adesso...”. Teneva il capo tra le mani. Tremava.

Lei gli si buttò addosso, allora, prese quelle mani, lo fece girare verso di sé, quasi forzandolo. La sua voce era profonda e seria, piena d’amore.

“Ascolta, ascoltami André. Non è quello che pensi. Io ti amo, capito? Ti amerò sempre. Non hai niente da temere, davvero”. Gli baciò il viso, tenendolo stretto.

“Dimmi cosa succede, Oscar”.

“Va bene, sì... va bene. E’ vero, c’è una cosa che non ti ho detto, ma era perché...”

“Cosa?”

“Sono stata dal dottore, André”.

Lui sollevò il capo, subito. D’istinto strinse le mani che lei gli dava. Allarmato.

“Dal dottore?”

“...Sì”.

“E perché, Oscar? Cos’hai?”. Le cercò le braccia, le prese. La tenne stretta, aspettava la sua risposta. Era stata tanto malata, una volta, e non gliel’aveva detto. Era stata sul punto di morire, e glielo aveva nascosto.

“Io devo sapere, Oscar, tu devi dirmelo, mi hai già tenuto all’oscuro, una volta... non devi farlo, no... Tu stai male, sei...?”

“No, amore, no, sto bene, benissimo, te lo giuro André”. La sua voce era tenera e commossa, lo fece tornare in sé.

“E allora perché...”

“André, ma è possibile che tu non lo immagini nemmeno un po’, amore?”

Lo vide fermarsi, tacere.

“Io volevo esser sicura, André”.

“Oscar...”

“Scusa, scusa se ti ho fatto preoccupare, non era così che pensavo di dirtelo, io...”

“Tu...”

“Io sono incinta. Aspetto un bambino, André. Un bambino nostro. Tuo”.

 

Lo guardò, seduto immobile, le labbra schiuse. Con le sue mani intorno alle braccia, ferme. Furono attimi,  ma le sembrò che non finissero mai.

“André...”

“Un bambino...”

“Sì, amore... Sei... sei contento, André?”

“Oscar... aspetti un bambino... un bambino...”

Sentì la carezza sulle sue braccia, scivolare fino alle mani. Gliele prese, delicato e tremante.

“André, lo so che non ne avevamo parlato, che forse è presto... ma io sono felice, così felice... dimmi che sei felice anche tu, ti prego”.

“Oh, Oscar!”. Si portò le sue mani alle labbra, sul viso: “Oscar, Oscar...”

Poi l’abbracciò, in un impeto tenerissimo, il respiro che mancava, il cuore impazzito. “Sì, Oscar, sì...”. La sfiorava col viso, la guancia toccava la sua. Lo sentì scuotere il capo, pieno d’emozione, la mano a carezzarle i capelli, a tenerla a sé, trattenendo lacrime di gioia:  “Amore, amore mio... amore mio...”

“André... André...”. Fu lei a piangere, mentre lui l’avvolgeva, le sfiorava il volto con le labbra, commosso.

La baciò con una tenerezza infinita, seduto sul letto, stringendo il suo corpo dolce nella camicia mentre la sentiva tremare, protesa a lui, in ginocchio sulle lenzuola.

“Ti amo, ti amo”, le disse, e non poté evitare di baciarla e baciarla ancora, accarezzandola con una dolcezza struggente, che Oscar non aveva ancora conosciuto, sulla sua pelle. “Oh, André...”, le sfuggì in un ansito, mentre avvertiva il proprio corpo sciogliersi, attirare il suo. “André...”

 

Fecero l’amore in silenzio, nel pomeriggio, piangendo di gioia.

 

 

*

 

 

Era sempre doloroso, quando si svegliava, aprire gli occhi e non vedere nulla. Si era abituato a convivere con quel sentimento, eppure ne soffriva ogni volta.

Anche stavolta ne soffrì. Ne soffrì di più.

Perché era felice, felice come mai era stato.

Oscar era vicino a lui, abbandonata tra le sue braccia. L’accarezzò lasciandola dormire. Sentiva il cuore traboccare d’amore. Sentiva, con un’intensità ignota, il bisogno di proteggerla.

Era lì, addormentata e incinta.

Oscar, Oscar... quanta felicità sei capace di darmi, Oscar?

Un bambino. Aspettava un bambino da lui. La quattordicenne che era fuggita a cavallo per indossare un’uniforme, mentre lui la chiamava sapendo che non si sarebbe voltata. Il comandante della Guardia Reale, pericolosa e imbattibile, con la spada. L’aristocratica desiderata da tutti e conosciuta solo da lui, l’unica donna che avesse mai amato, in tutta la vita, consapevole che non l’avrebbe mai avuta. Ora era lì, nel letto con lui, e aspettava suo figlio.

Un bambino.

Certo, un bambino. Perché non ci aveva pensato?

Facevano l’amore pieni di passione: da mesi, ormai. Perché quella notizia lo aveva sorpreso così? Si era spesso abbandonato dentro di lei, nei momenti più intensi: lei glielo chiedeva, e lui lo faceva senza pensare a niente. Era così bello godere nel suo corpo, dicendole che l’amava, riuscire a darle lo stesso piacere, insieme. Lo aveva fatto tante volte, anche la prima volta. Era iniziato così.

Un bambino. Doveva succedere, certo.

Eppure non ci aveva mai pensato. Perché?

Rifletté su se stesso, le ciglia chiuse. Era sempre stato molto maturo, meno impulsivo di lei. Molto responsabile... Lui sapeva sempre quel che faceva, quali erano le conseguenze delle sue azioni. Soprattutto con Oscar. Non si lasciava mai andare senza pensarci.

Prima, almeno.

Ma adesso? “Sono diventato più irresponsabile di un ragazzino – pensò -. Con gli anni invece di maturare sono tornato indietro”.

Era così preso da lei, da quell’amore sognato tutta la vita, con desiderio e disperazione infinita, e che si realizzava improvvisamente quando ogni speranza era dovuta morire...

Dalla gioia di averla, da quella nuova fiducia, così difficile da trovare e da dare, un’altra volta...

Dalle paure intermittenti che gli turbavano il cuore.

Dal non vederla, non vederla più.

Tutto quel dolore. E quella gioia nuova, assoluta.

 

E aveva perso il suo equilibrio. Era stato questo.

Anche con lei, si disse. Adesso era lei quella che manteneva stabile la loro vita.

 

Anche le sue paure di poco prima.

Aveva avuto il terrore che lo lasciasse. Ne era stato persino certo, per un momento. E lei invece era incinta di suo figlio.

Oscar, quanto poco mi sono fidato di te, amore mio?

Aveva ricambiato la sua poca fiducia con un amore immenso. Lo amava davvero, non perché si sentiva in colpa. Gli stava vicino, era con lui. Viveva per lui.

Aveva sopportato che dubitasse di lei, del suo amore. Lo aveva sopportato per mesi, ripagandolo con una dedizione infinita. E lui lo capiva davvero soltanto ora.

Era stato sicuro che volesse lasciarlo. E lei era incinta.

Quanto profonda era stata quella ferita, per fargli questo?

Un figlio. Oscar gli dava un figlio.

 

Era stata una ferita profonda.

Ma ora non c’era più.

 

*

 

Quando lei si destò avvertì l’abbraccio dolcissimo che l’avvolgeva. La stava vegliando, e aspettava che uscisse dal sonno, senza muoversi, senza dire nulla. Avvertì il tepore dei loro corpi nudi e vicini, sotto le coperte, e la mano di André posata intorno alla vita.

Si sentì improvvisamente piccola, e desiderò che la cullasse come una bambina.

Così provò una gioia intensa quando lui lo fece.

“Amore...”

Portò una mano a sfiorargli il petto, la posò piano.

“Amore, amore...”

L’aveva circondata con le braccia, dicendolo, e ora il suo viso era su di lei. Le dava piccoli baci sulle labbra, sospirava ogni tanto.

“Oscar”.

“Sì...”

“Ti amo. Ti amo tanto”.

Gli passò una mano tra i capelli, piano.

“Oscar...”

“Dimmi”.

“Mi perdonerai, amore?”

“Dammi un altro bacio, ti prego”.

Non si abituava mai a quant’erano morbide le labbra di André.

“No Oscar, davvero... Mi potrai perdonare?”

“E di cosa devo perdonarti? Di avermi reso felice?”

“Di non aver avuto fede nella nostra felicità”.

“André...”

“Mi perdoni? Io ti amo, Oscar”.

“Anch’io...”

Le carezzò il viso. “Non dovrai più stare in pena per me, Oscar. Te lo prometto”.

“Oh, André...”

“Io veglierò su di te”.

“Lo hai sempre fatto, amore”.

“E sul bambino...”

Lo vide sorridere, col volto verso il soffitto.

“Oscar, è bellissimo, è bellissimo... avremo un bambino”.

“Sei contento, André?”. Voleva che lo dicesse ancora.

“E’ la cosa più bella che... E’ come un dono, Oscar. Un dono. Un bambino nostro...”

“Anche se non l’avevamo deciso?”

“Non lo so se non l’avevamo deciso, Oscar... Io non ci pensavo, davvero non ci pensavo, e non so perché. Ero così preso da te, da noi... Però... forse l’avevamo deciso, invece, anche senza averne parlato. Forse lo volevamo, sai? Tu cosa dici, Oscar?”

Sorrise, e si strinse a lui. “E’ vero... forse è vero, André. Io... l’ho sempre voluto”.

“Davvero? Davvero amore?”

“Sì, davvero. Io l’ho voluto da quella prima notte”.

André sospirò. Quella prima notte. Era stata la prima volta che aveva fatto l’amore. Era pieno di gioia, di desiderio. L’aveva guidato lei, gli aveva dato un piacere infinito. Gli aveva fatto perdere completamente la ragione, implorandolo di restare in lei. Ne era stato travolto, preso, fino a volersi annullare in lei.

 

“Io ti amo”.

 

Intrecciò le dita a quelle di lui, girò il capo contro il suo petto.

 

“E quando nascerà?”

“La prossima estate”.

“La prossima estate... E in che mese?”

“Agosto”.

“Sarà piccolo...”

“Sì”.

“Come vorrei poterlo vedere, Oscar”.

“André...”

“Ma tu mi dirai tutto, me lo descriverai...”

“Sì, sì André”.

“Io sarò un buon padre per questo bambino, Oscar”.

“Sì amore, lo sarai, sì...”

Lo baciò, trattenendo una lacrima.

 

*

 

Andarono ad Arras insieme, il giorno dopo. Oscar voleva comprare delle cose.

Nella carrozza la teneva stretta, il capo appoggiato al suo.

“Tu come lo vorresti, Oscar?”

Lei sorrise: “Io so già come sarà. Sarà come te. Io mi ricordo com’eri da piccolo, lo sai, André?”

“Anch’io ricordo com’eri”.

L’aveva amata sempre, lei era dentro i primi ricordi che gli sembrava di avere.

“Oscar... abbiamo passato una vita insieme”. Circondò con le braccia le braccia che lei teneva in grembo. “Io ti volevo bene da allora, Oscar. E anche dopo, sapessi quanto ti ho amato, quanto ti desideravo quando stavamo in casa, a parlare, a prendere il tè vicino alla finestra... E quando ci allenavamo con la spada... a volte lo facevo apposta ad arretrare, perché nell’assalto mi cadessi addosso”.

“Davvero... E cosa avresti fatto se fosse successo, André?”

“Ti avrei baciato fino a farti dimenticare chi eri”.

Le passò un brivido sulla pelle. “E come avresti fatto, André...”

Sentì le sue braccia che la stringevano, mentre la girava verso di sé, risalendo la schiena e portandola contro il suo corpo. Poi il suo viso che s’inclinava piano, sulle sue labbra, e la bocca prima tremante, poi appassionata, su lei, a non permetterle di separarsi un istante. E quel desiderio, fortissimo, ardente, che aveva sempre per lei, anche quando le sfiorava solo una mano, quando le parlava per carezzarla con le parole: “Io ti avrei fatto desiderare di non staccarti più da me, Oscar”.

Glielo aveva detto in un ansito, tornando a baciarla.

“Sì... Tu me lo hai fatto già desiderare, André. Anche allora”.

Si arrestò: “Quando...”

“Quella sera, quando mi spingesti sul letto”.

“Oscar...”

“Io volevo che non ti fermassi, André”.

“Tu piangevi...”

“Avevo paura di quello che stavo provando. All’improvviso tu eri una cosa diversa... e il mio corpo era come se fosse impazzito. Come se ti avesse riconosciuto...”

“Dovevo continuare a baciarti...”

“Non lo so... io avevo paura della mia reazione. Stavo per stringerti”.

Risentì le mani di lei sulle sue spalle, risentì il suo tremare.

“Ho avuto paura di ferirti, Oscar”.

“Sì, lo so, André. Ed è vero, mi avresti ferito”.

“E mi avresti odiato”.

Sì, pensò: avrei fatto l’amore con te e ti avrei odiato.

“André, tutte le volte che pensiamo a quei tempi c’è dentro un dolore”. Lo aveva detto quasi sconsolata.

“No, non c’è più nessun dolore, Oscar. Non c’è più”. La baciò di nuovo, pieno di desiderio e d’amore. “Voglio baciarti fino a farti impazzire”, disse.

 

*

 

Passeggiare insieme per Arras era bello, non c’era il movimento caotico di Parigi. Tanti anni prima ci venivano sempre, a cavallo. Conoscevano quasi tutti.

Ora camminavano vicini, lui le cingeva la vita con tenerezza, per riscaldarla, e nessuno li riconosceva. Era meglio di allora.

“Fermiamoci un momento – le disse -. Riposati un po’”. C’era un muretto, al riparo dal vento che iniziava a soffiare.

“André, non ti sembra di esagerare?”

“No”, rispose tranquillo.

 

“E come vuoi chiamarlo, Oscar?”

“Non so, dovremo scegliere un bel nome”.

“A me piacerebbe...”

“Cosa, André?”

“No, dillo prima tu”.

“Ne parliamo come se fosse un maschio. Ma se è una bambina, invece?”

“In tal caso un nome bellissimo ce l’abbiamo già”.

“E quale sarebbe?”

“Oscar, naturalmente”.

“André!”

Lui rise, gettando il capo all’indietro. Poi l’abbracciò, sfiorandole l’orecchio con le labbra: “Ma io lo penso davvero, amore... Oscar è il nome più bello che io conosca”.

 

“André...”

“Mmm?”

“Stiamo bene qui, vero?”

“Sì, siamo stati sempre bene qui”.

“E se... se...”

“Cosa?”

“Se rimanessimo qui? Se decidessimo di vivere qui? Questo è un bel posto dove far crescere un bambino...”

Chiuse gli occhi, avvertì il caldo del suo respiro sulla guancia, il suo abbraccio: “Voglio che tu sia mia moglie, Oscar. Voglio che tu sia mia moglie”.

 

 

Continua

mail to: imperia4@virgilio.it

 

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