Un'altra stagione

(dopo Autunno)

parte terza

 

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Settembre stava morendo, e si portava via quelle giornate dolci e difficili. C’era quiete nel cielo, come se le storie degli uomini fossero solo un rumore vago di sottofondo. Dalla città salivano voci remote. André le ascoltava, sulla terrazza della sua casa.

 

Era sereno, da un po’ il cuore non gli faceva più così male. Sentiva la brezza leggera sul viso, passargli tra i capelli, e aspettava con un po’ d’impazienza l’arrivo del tramonto. Era sempre dopo il tramonto che i passi di Oscar si avvicinavano sulle scale.

 

Non era fuggita, nonostante le cose terribili che le aveva detto. L’aveva abbracciato piangendo, accettando il suo dolore, e aveva cercato di consolarlo e consolare se stessa. Da quella notte veniva a trovarlo ogni sera.

Cenavano, parlando a bassa voce, a volte ridendo. Spesso era lei che portava la cena da fuori. Ed era sempre lei che voleva sparecchiare, rimettere in ordine. Aveva imparato ogni cosa di quella piccola casa, la collocazione giusta di ogni oggetto. E metteva grande cura nel non spostare mai nulla dal suo posto, per fargli ritrovare le cose. Se n’era accorto, e l’aveva apprezzato senza dirle niente.

Era stato davvero crudele, quella notte, le aveva rovesciato addosso tutto il male accumulato in una vita, senza darle la possibilità di difendersi. Lui non pensava quelle cose di Oscar: aveva sempre capito quanto fosse difficile la sua esistenza. Lo sapeva bene che un sentimento come l’amore doveva essere una cosa proibita, per lei, cresciuta come un maschio e come un soldato. E anche il matrimonio. Quando gliel’avevano imposto, come se questo da solo potesse curare tutta la sua vita, le avevano indicato una strada tradizionale, rassicurante. Era più che normale per tutti che lei sposasse un nobile. Lei era disperata e stanca, e si era lasciata convincere.

“Io non volevo amare...”: ripensò alla frase che gli aveva detto, incalzata dal suo dolore. E poi, quando lui aveva chiesto perché, esasperato, aveva risposto ancora: “Perché c’eri tu...”. Com’era insieme illogica e coerente, quella frase. André ne era stato toccato nel profondo, ricordando le sue parole, dopo. Certo, c’era già lui, nel suo cuore. Non voleva amare perché amava lui: quella frase sfuggitale in un filo di voce era una prova chiara, tangibile, dei suoi veri sentimenti.

Ma lui non poteva essere, lui non era possibile, per tante ragioni che André comprendeva bene, vissuto così a lungo in quel mondo, con lei educata in quel modo. Aveva odiato quelle ragioni e le loro conseguenze: ma si rendeva conto benissimo delle pressioni che l’avevano schiacciata.

L’aveva pagata molto cara, questo André lo sapeva. Lo capiva, perché riusciva a sentire anche senza vederla gli sguardi avviliti che le passavano sul viso, quando sospirava da sola, senza dire nulla. Perché era cambiata, non aveva più un minimo di spavalderia, quella sicurezza quasi infantile che le faceva prendere, a volte, decisioni senza riflettere: con lui sembrava si preoccupasse enormemente di ogni cosa gli stesse a cuore. E lo accettava.

Era sempre forte, molto forte, sì: ma era la forza di chi ha imparato a sopportare.

Gli sembrava quasi che adesso le parti si fossero rovesciate, nella relazione con lei: come se il precario equilibrio che era sempre stato nei loro rapporti dipendesse da lui, ora, e che Oscar facesse di tutto per comporre le disarmonie.

Gli voleva bene, André lo sapeva. Faceva di tutto per dimostrarlo.

Sorrise.

Gli aveva detto che lo amava, la sera prima: lo aveva fatto apertamente, stavolta. Con una delicatezza quasi ritrosa, per paura di ferirlo, e tuttavia come se non potesse farne a meno. Non gli aveva mai detto di amarlo. André alzò il viso e respirò l’aria dolce che ricordava ancora l’estate. Si accorse che stava contando i minuti.

 

Era un po’ di tempo che le sue giornate avevano cambiato ritmo. Continuava, sì, a fare ciò che faceva prima, ma le ore senza di lei gli sembravano solo una lunga pausa tra un battito del cuore e l’altro.

Quando Oscar arrivava lo abbracciava sempre, per prima cosa. Restava un istante così, stretta al suo corpo, come se ritrovarlo ogni sera fosse un regalo insperato, e lei lo sapesse. Poi si sedevano insieme da qualche parte e si raccontavano la giornata, come per unire delle loro vite anche le parti che non vivevano insieme. La immaginava, in quella caserma, a dare ordini e fare le cose che così bene conosceva di lei. E sorrideva, quasi scherzando, quando, accogliendola tra le braccia, la consolava dei sospiri demotivati che sempre più spesso le sentiva fare: “Il mio povero soldatino stanco...”, diceva con voce buffamente tenera e protettiva. Lei rideva piano e si abbandonava a quell’abbraccio, lasciandosi prendere in giro.

 

Ogni volta che stavano così, abbracciati e vicini, a tutti e due mancava quasi la voce. Non l’aveva baciata più da quella sera, e lei non lo chiedeva, anche se si vedeva benissimo che lo desiderava immensamente. Quando capitava che si sfiorassero per caso la sentiva sempre trasalire, non preparata a quel contatto; e se invece si abbracciavano, tremava di un amore trattenuto che diceva tutto senza parole.

Aveva voglia di lei, da impazzire, ogni giorno di più. E da un po’ di giorni non aveva più paura che, abbandonandosi al suo amore, quella rabbia dolorosa e cattiva potesse assalirlo a tradimento e annientarlo, come l’ultima volta.

Ieri sera gli aveva detto che lo amava. Lo aveva detto così, stando abbracciata a lui, su quel divano in terrazza, mentre il cielo risuonava dei canti degli uccelli al tramonto. Gli cingeva la vita e aveva il capo abbandonato sul suo petto, mentre André teneva il viso nei suoi capelli, ne aspirava l’aroma. “Ti amo”, aveva mormorato Oscar semplicemente, senza muoversi da quella posizione. Aveva avvertito il cuore accelerare, e battere all’impazzata, contro l’orecchio accostato di lei.

 

 

Bussarono alla porta, delicatamente. “André...”, disse la voce timida di Rosalie, da fuori.

Andò ad aprire. “Ciao, Rosalie, entra”.

“Ero solo passata a vedere come stavi - disse -, se avevi bisogno di qualcosa”.

“No... non ho bisogno di niente, grazie Rosalie. Sto bene, bene...”

Il tono di lei si fece più serio, e insieme più esitante, mentre si sedeva davanti a lui spostando una sedia di quella tavola apparecchiata per due. “André, senti...”

“Dimmi, Rosalie”.

“Tu stai veramente bene? Davvero non ci sono problemi?”

“Che problemi dovrei avere?”, chiese, ma sapeva già cosa voleva dire.

“Non so, è che ho notato che da un po’ di tempo ogni sera viene qui Oscar, e... André, scusa, io non dovrei intromettermi, ma... io so quanto le sei legato, e ricordo cos’è successo allora, André. Non voglio che tu soffra ancora, non sarebbe giusto...”. Ecco, aveva detto tutto. Quasi tutto.

André ebbe un sorriso consapevole, un po’ malinconico. “Già, ti ricordi”. Ripensò ai primi giorni in cui si era ritrovato cieco, senza nessuno al mondo, alla sua disperazione. A come erano stati proprio loro, i suoi amici, a trovargli un tetto, ad aiutarlo. “Tu e Bernard lo ricordate bene. Senza di voi chissà dove sarei, ora... Mi avete sostenuto in tutto. E soprattutto tu, Rosalie”.

“André... è che avevi trovato un equilibrio, una vita nuova, un lavoro... Io venivo volentieri ad aiutarti, se avevi bisogno di ripassare le cose, prima delle lezioni... Sei così bravo, sai tante più cose di me, era così bello sentirti parlare... E adesso invece sembra che tutto questo non conti più, io lo vedo che pensi a lei, pensi soltanto a lei...”

“Rosalie, cosa stai dicendo?”

“No, ecco, volevo dire che io... non lo so cosa volevo dire, André. Io... noi ci siamo affezionati a te, ti vogliamo bene. Anche a Oscar voglio bene, sì, tu lo sai. Ma lei è sempre stata così difficile, così presa dai suoi problemi. Io mi ricordo quando stavate insieme a Palazzo Jarjayes, quando le eri sempre vicino: allora non lo capivo, ma adesso sì, capisco. Io  non voglio, non voglio che tu debba affrontare di nuovo tutto questo. Io lo so che non reggeresti, stavolta, lo so”. Si asciugò una lacrima, sperando che non avesse capito che le era spuntata.

André sospirò, le prese la mano. Aveva capito, sì, aveva capito anche più di quanto lei dicesse. Ripensò a certe sue risposte un po’ brusche degli ultimi giorni, a come diventava scontrosa sentendo il nome di Oscar. All’affetto che Rosalie aveva sempre avuto nei suoi confronti, e a come forse questo affetto avesse rischiato di trasformarsi in qualcosa di diverso... nonostante la loro antica e leale amicizia, nonostante Bernard che era come un fratello, per lui. Persino nonostante un figlio. Succedono cose inaspettate nella vita, André ormai l’aveva imparato fin troppo bene.

Le strane vie del cuore.

Non gliene volle. Ne fu, anzi, toccato e riconoscente. Ma quella cosa andava chiarita, subito. Proprio perché teneva a lei, alla sua amicizia.

“Rosalie, ascolta... – parlava lentamente, sceglieva le parole con cura -. Io voglio bene a te, e a Bernard, moltissimo. Voi mi avete salvato quando avevo bisogno di tutto, quando nemmeno io volevo salvarmi più. Mi avete dato sostegno, fiducia, aiuto materiale. Tutto. Mi avete ridato una vita”. Continuava a tenerle la mano nelle sue.

“Ma io non vivevo veramente, Rosalie. Semplicemente andavo avanti. Anche se ti sembravo più sereno, più calmo, e adesso invece lo so che appaio più nervoso, anche più vulnerabile, per te che mi conosci bene... Ma allora non ero sereno, Rosalie, ero soltanto rassegnato. Avevo rinunciato a sperare. Adesso invece spero di nuovo, per la prima volta dopo tento tempo. Forse per la prima volta davvero, nella mia esistenza, io vivo”. Non si era mai aperto con lei così, parlandole con questa sincerità dei suoi sentimenti. E di Oscar.

“E fa male, hai ragione, a volte fa male, lo so. E’ doloroso, perché credere di nuovo, affidarsi a qualcuno, e qualcuno che ci ha fatto soffrire già, in passato, significa rischiare moltissimo. Mettere in gioco davvero tutto. Non credere che io non lo sappia, Rosalie. Lo so molto bene, te lo assicuro”. Ripensò a Oscar stesa sul suo letto, ansante tra le sue braccia, e a lui che invece di prenderla le piangeva accanto.

“Ma io amo Oscar, Rosalie. Io l’amo moltissimo, l’ho sempre amata, è stato sempre così, davvero”.  Sentì la mano di lei tremare, ma continuò, glielo doveva. “Ed è così ancora, adesso che l’ho ritrovata e ci siamo avvicinati in un modo che non avrei mai creduto possibile. E devo viverlo, questo sentimento, io devo correre questo rischio, capisci?”.  Fu come, improvvisamente, se lo stesse spiegando a se stesso, oltre che a lei. “Perché, se fuggissi, niente avrebbe senso, mai più. Nessuna vita sarà mai una vera vita senza Oscar, per me. E’ questa la verità, anche se la temo anch’io, tu non sai quanto la temo. Ma è l’unica strada possibile, non ce ne sono altre: stiamo solo cercando di percorrerla, se ci riusciamo”.

Tacque. Restarono qualche minuto in silenzio. Poi lei si alzò, sciolse la mano dalle sue. “Ho capito André - disse seria, asciugandosi gli occhi -. Ho capito, e hai ragione... su tutto. Grazie per avermelo detto, davvero... grazie, anche se mi hai fatto male...”

André chinò il capo, un po’ triste. Lei si accostò, gli diede un bacio leggero sulla guancia. Poi fuggì.

 

 

 

“Sei silenzioso stasera, André...”

Glielo aveva detto con un po’ d’esitazione, mentre come tutte le sere sedevano all’aperto, dopo aver cenato. “Cosa c’è?”

Lui le aveva sfiorato la fronte, scostandole i capelli.

“Niente, Oscar”. Poi, al suo silenzio inquieto, aveva sentito il bisogno di rassicurarla: “Niente che possa crearci delle preoccupazioni, stai tranquilla”.

“André, ha qualcosa a che fare con Rosalie?”

Lo sentì bloccarsi un istante, stupito. “Da quando leggi nel pensiero?”

“No, è che l’ho incontrata per le scale, aveva una faccia triste”.

Non era l’unica cosa, in realtà. Rosalie l’aveva salutata in fretta, quasi fuggendo via, come se non volesse incontrare il suo sguardo: poi invece aveva avuto uno dei suoi moti impulsivi, quelli che Oscar aveva imparato a conoscere, quando abitava con loro a palazzo Jarjayes, e si era fermata un istante, quasi tornando indietro. Le aveva rivolto uno sguardo strano, contraddittorio, partecipe ma anche vagamente ostile: “Non fargli del male, Oscar”, aveva detto senza preamboli, fissandola un istante. Poi se n’era andata, senza darle il tempo di rispondere. E la cosa che aveva stupito di più Oscar, che l’aveva turbata davvero, anche più della frase, era che le aveva dato del tu, per la prima volta in vita sua.

Non perché a lei importasse qualcosa d’esser trattata con deferenza: ma la Rosalie che conosceva bene non avrebbe mai fatto una cosa del genere, in condizioni normali, questo era certo.

Cosa era successo? Oscar aveva salito le scale impaurita.

 

E André non l’aiutava a fugare quella paura, neanche adesso. Sembrava non voler rispondere alla sua domanda: c’era una sorta di riserbo discreto, nelle sue parole. Era sereno, ma stranamente non si confidava con lei.

“André...”

Lui sorrise al tono ansioso che avvertì in quel richiamo: l’attirò a sé e la circondò con le braccia. “Che ne dici di stare un po’ più tranquilla, eh?”

Oscar era sempre più all’erta, invece, anche se quella stretta dolce aveva un po’ calmato la sua ansia.

“Ti ha detto qualcosa che non vuoi che io sappia... - tentò -. C’è stato qualche problema tra voi?”

“No, Oscar, Rosalie è una brava ragazza e io le voglio molto bene”.

“Oh, questo sì che mi rassicura - rispose -. Hai davvero un interessante concetto di tranquillità...” Aveva usato un tono ironico, ma era un po’ agitata, dentro.

André sembrava sempre più divertito. Sorrideva con le labbra chiuse, sempre di più, come se quasi gli costasse fatica rimanere serio.

“Sono molto comica?” chiese, un po’ pungente e un po’ sconfortata.

“Oh, sei stupenda...”, disse lui con un tono compiaciuto, lo stesso sorriso sul viso.

“André!”

La strinse con tenerezza, affondò il viso tra i suoi capelli, con un sospiro: “Che bello, sei gelosa...”

Oscar fece finta di respingerlo, allora, sorridendo anche lei: “Non è vero!”, protestò. Poi cedette a quell’abbraccio abbandonandosi sul suo petto: “Ti prego...”, disse con voce lamentosa.

Per tutta risposta ricevette un bacio dolcissimo, inaspettato, in un silenzio che le sembrò non finire mai. Non l’aveva più baciata da quella sera, e adesso c’era solo gioia, in quel suo gesto.

Quando si staccò da lei André era diventato serio: “Non devi temere niente, Oscar, niente - sussurrò -. Era solo preoccupata per me, non voleva che soffrissi, tutto qui”.

“Ma...”

“Ehi... mi hai sentito?”. Lei capì che non le avrebbe detto nient’altro, ma anche che, davvero, non doveva aver paura. “Ti fidi di me, Oscar?”

“Sì, André, sì”. Sentiva quel bacio ancora sulle labbra, di tutto il resto non si ricordò più.

 

 

Continua

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