Un'altra stagione

(dopo Autunno)

parte seconda

 

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Fuori del palazzo del Corpo di guardia l’aria era serena e animata. Oscar spronò il cavallo con un po’ di fretta verso casa: voleva prepararsi, fare un bagno, magari anche scegliere cosa mettersi. Rise un po’ di se stessa, a quell’idea, ma con indulgenza: era vero, in fondo, perché negarlo? Era tanto tempo che non le veniva un pensiero come questo, che non aveva voglia di dedicarsi al suo aspetto per piacere a qualcuno. E non era stato sempre così, sebbene fosse stata tirata su fin da bambina come un militare. Quando André era con lei, tanti anni fa, lei le sceglieva con cura, le cose da mettersi. Si spazzolava i capelli, voleva camicie bianchissime, leggere... Non era vero che non le importavano, queste cose. Ancora se lo ricordava quello sguardo di lui, così turbato e stupito, quel giorno che, al termine dell’allenamento con la spada, si erano seduti in riva al ruscello, e lei si era tolta la camicia dalla pelle accaldata scoprendo una sottoveste di seta, bordata appena di pizzo. A ripensarci adesso comprendeva tante cose di sé...

E si odiava, anche, pensando a come fosse crudele, allora, la sua innocenza.

 

Voleva piacergli, mettersi qualcosa per lui. E scoprì che non importava che lui ora non potesse vederla. Non importava affatto.

 

Quando bussò alla sua porta era l’imbrunire, ormai. Contò i passi che si avvicinavano, da dentro. Non gli aveva detto a che ora. Non gli aveva detto neanche in che giorno. E nemmeno che sarebbe tornata. Così sentire che c’era la sollevò, perché all’improvviso aveva avuto paura di non trovarlo.

 

“Oscar”.

 

Lo aveva detto sorridendo, semplicemente, prima che lei parlasse. Una constatazione, quasi. Non sembrava sorpreso, di averla lì: ma contento sì, questo si capiva.

 

“Vieni, la cena è pronta”.

 

Rimase ancora più stupita. “Sono tanto prevedibile?”, domandò. E poi si detestò per averlo detto: era proprio il caso, di fare la preziosa.

 

Ma lui non sembrò dispiacersi. Rise, anzi: “Per me sì...”

 

Solo per un attimo ebbe l’impulso di buttarglisi al collo. E fece fatica, a controllarlo.

 

La tavola era apparecchiata, c’era una tovaglia celeste. Un buon odore nell’aria.

“Hai preparato tu...”. Non proseguì, le sembrò improvvisamente indiscreto.

André si accorse di quella esitazione: “Si imparano tante cose, con un po’ d’esercizio - rispose tranquillo -. E d’organizzazione. Comunque mi sono fatto dare una mano”.

“Rosalie...”

“Sì”, disse lui, e un’ombra perplessa gli passò come sul viso. Oscar pensò allo sguardo di Rosalie quella mattina: quasi contrariato, si sarebbe detto, in mezzo allo stupore e alla confusione.

 

“Prego, generale, accomodatevi...”, la invitò offrendole la sedia.

“Dio mio, André, ti prego! Se mi chiami un’altra volta così mi metto a piangere!”. Era una battuta, ma davvero le erano salite le lacrime, all’improvviso.

“No, per carità, stavo scherzando”, rispose lui. Poi, divenuto serio: “Scusami”, disse.

 

Le versò vino rosso in un calice, prima di cenare. “Il mio preferito - disse Oscar -. Ti ricordi”.

“Ricordo tante cose di te”, rispose, mentre, di spalle, prendeva il vassoio e lo portava in tavola. Cenarono parlando quasi come un tempo, in una confidenza crescente piena di tepore. Lei osservava i suoi movimenti composti e precisi, nel prendere i piatti, nel versare da bere. Mentre cercava di rendersi utile capì che ogni cosa aveva un posto suo, su quel tavolo, dove veniva sempre rimessa, perché André la trovasse senza difficoltà. E imparò a farlo anche lei, memorizzando gli oggetti. Tutta la casa era organizzata così.

Le loro mani si sfioravano, talora, e tutti e due indugiavano un po’, prima di ritrarsi. Accadde anche alla fine della cena, e André prese la sua mano, questa volta, e la carezzò piano sul dorso coprendola con le dita, abbassando il capo in un sorriso. “Andiamo fuori?”, propose.

Oscar si alzò, e tenendo quella mano nella sua lo guidò in silenzio sulla terrazza.

 

Non c’erano luci, lì, ma il bagliore soffuso che proveniva dal basso, dalla città. Rari rumori salivano a fatica, fin lassù, in un’eco ovattata.

“Vuoi un altro po’ di vino?”, le chiese dopo averla fatta sedere sui cuscini di un divanetto che stava fuori. Lei accettò il bicchiere che le porse, per non dovergli dire no e per prendere più coraggio.

Parlarono ancora, seduti vicini, in un’atmosfera dolce, scherzosa a tratti. Ricordi, commenti. Bevendo. A Oscar sembrò di essere tornata indietro di tanti anni, perché quel clima di familiarità confidente non l’aveva sentito da giorni infiniti, anche da prima di perdere lui, perché gli ultimi periodi con lui erano stati sofferti, pesanti, senza più poter restare insieme a parlare e sorridere, come da ragazzi. Sembrava un miracolo che annullava il tempo, quella sera e quella cena e il volto di André che aveva la stessa espressione di quand’era un giovane uomo pieno di emozioni da donare, quando ancora la vita e lei non lo avevano annientato, scaricandogli addosso un cumulo di dolore. E lo vide inebriarsi al profumo dei suoi capelli, e vibrare al contatto delle sue vesti leggere, e quei colori così vivi dipinti sul suo viso, sulle sue labbra, nei suoi brevi sorrisi, nelle sue ciglia abbassate, li accolse come una ricompensa per i suoi preparativi agitati dalla nostalgia.

Era tutto come allora e più leggero insieme. Più libero, senza prigioni, perché dalle catene invincibili che trattenevano i loro cuori a quel tempo era stata la vita, il disinganno, a scioglierli. A sciogliere lei, ora che lo aveva ritrovato, e che gli stava vicino nella sua casa. E anche lui, forse.

“Credo che ci ubriacheremo - le disse -, se andiamo avanti così...”. Lei sorrise, ripensando a tutte le volte che erano tornati a casa sorreggendosi l’uno con l’altra, nella notte.

“Ma io ci metto molto meno di te a sentire gli effetti – gli rispose -. Tu l’hai sempre retto meglio, l’alcol...”

André sorrise: “Ho un lungo passato da bevitore”, scherzò. Poi divenne più serio, e il tono della sua voce si velò appena di un’amarezza dolce: “Ma adesso non reggo più come prima. L’alcol... e altre cose cui non resisto”.

Si era avvicinato. “Quali cose, André...”, sussurrò piena d’emozione.

“Te, per esempio...”

Chiuse gli occhi, sentì le mani di lui prendere le sue, in un tremito, e le sue labbra e il suo respiro sfiorarle il viso, poi le dita che risalivano a carezzarle le guance e infilarsi tra i suoi capelli. Fu un bacio lento, indugiante, e poi sempre più intenso, appassionato, col suo corpo sempre più vicino, il cuore pieno di carezze. Rispose a quel bacio, provando una gioia che non aveva mai provato prima, in tutta la vita. E una passione, un brivido dolcissimo e ignoto, sulla pelle.

“André...”

Lui scostò un attimo il viso, e chiuse gli occhi, come ad assaporare quel bacio. Poi si avvicinò ancora, e ancora la sua bocca la prese, e le sue braccia l’avvolsero più stretta e sentì il caldo dolce del suo sapore e il morbido delle sue labbra e un desiderio profondissimo, nel suo circondarla e respirare il suo respiro, come volesse farla sparire dentro di sé. E con gioia cedette al peso del corpo di lui che la spingeva piano, adagiandola con la schiena sui cuscini, e rispose ancora, e ancora, ai suoi baci. Le sue mani la sfioravano, ora, percorrendola ardenti, e le sentì accostarsi al suo seno trattenute e febbrili, come se non osasse e non potesse evitarlo. Si chiusero su lei, finalmente, e si fermarono quasi, e lui trattenne il fiato, prima di baciarla di nuovo. Scivolarono a terra, sul pavimento tiepido dal sole del giorno, gemendo. Poi le fu sopra, e la seguì mentre lo guidava a sfiorarla, sotto la stoffa della camicia leggera, il suo corpo forte e appassionato, e lei avvertì la sua emozione, il suo desiderio che le dava alla testa, e non desiderò altro che darsi a lui, in quella febbre bruciante, dolce. Era eccitato, e si eccitò terribilmente anche lei nel sentirlo, le gambe intrecciate alle sue, e si plasmò sui movimenti del suo corpo come materia disposta a prendere qualsiasi forma lui volesse darle. Così, travolti, sul pavimento, rimasero fermi un istante eterno respirando la notte. Quasi in silenzio lui accarezzò il suo corpo, lo risalì poggiando la mano sul suo grembo.

Anche lei, allora, lo toccò.

La sua mano s’insinuò su lui e l’avvolse in lente, appassionate carezze.

 

“Oscar...”, lo sentì dire.

E poi avvertì la mano di lui intorno al suo polso, prendere la sua e trattenerla, portarla via da sé con lento dolore.

C’era un desiderio bruciante, nel suo respiro. Ma si era fermato, e le stringeva la mano, in silenzio. Tacque a lungo, così, steso sul pavimento, sopra di lei. Sembrava lottare contro qualcosa, e Oscar avvertì, come se fosse in lei, l’onda maligna che si stendeva sul suo cuore. Poi fu un singhiozzo, e il suo capo appoggiato sul seno, piangendo indifeso, ferito. “Scusa, scusami Oscar...”, mormorò come mortificato, con una voce che era piena d’amore per lei, ma di un amore senza più forze. “Scusami”.

 

“André...”

“Cosa c’è, André?”

“Ho sbagliato, ho sbagliato qualcosa?”

“Che cosa ho fatto di sbagliato, André?”

 

“Niente, niente Oscar... - rispose subito, pieno di cura, lasciando andare un respiro sofferto, quasi un lamento -. Non sei tu, davvero, non sei tu... Sono io. Io”.

 

“André...”

“Perdonami”, le disse ancora, e poi seduto, i gomiti sulle ginocchia, il capo tra le mani. Oscar sfiorò quelle mani, e le sentì bagnate.

 

“Io non riesco a non pensarci, non ci riesco” aveva detto quasi con rabbia verso se stesso. Un dolore cattivo, che non sapeva affrontare, pur comprendendone la vanità, l’ingiustizia.

Oscar capì.

 

“Perdonami Oscar, ti prego, è colpa mia. Non dovevo arrivare a questo, non dovevo farlo”. Si interrompeva, a ogni frase, come trattenendo il pianto. “Io lo sentivo che non dovevo - disse -, ma è stato più forte di me... tu sei qui di nuovo, e improvvisamente mi baci anche tu, e mi rispondi, e non sei più lontana, sempre lontana... io non so controllare i miei sentimenti per te... Ho avuto voglia di sentirti, da impazzire, ho avuto bisogno di abbracciarti, di toccarti”.

 

“Ma anch’io, anch’io, André!”

 

“Dio, Oscar, ma perché, perché...”. Era come se cercasse di spiegarle, di trovare le parole per spiegarle la sua sofferenza. E non ce ne fossero, tuttavia. Teneva la testa tra le mani, ancora.

“Da sempre, da quando siamo nati, io ti ho sentito mia. Soltanto mia, Oscar, qualunque cosa tu dicessi o facessi per sfuggirmi, qualunque barriera ci dividesse, nonostante il mondo, le persone, le cose che mi gridavano che non era così. Tu lo sai, ti ricordi, Oscar?”

“Sì André. Lo so”.

“Io ci credevo davvero, Oscar, io credevo in te. Era per questo che continuavo ad amarti, perché mi sembrava di sentire il tuo cuore, perché era come se sapessi da sempre che anche tu mi volevi bene, e avevi bisogno di tempo per capirlo, soltanto questo, perché ti costringevano a una vita non tua, a regole che facevano male... Ma quando tu eri con me, Oscar, tutto questo non contava più nulla. Tu eri mia, eri soltanto mia...”

“Ma è vero, André, è vero. Era così, è così...”

 

“No, no, non è vero, invece”. Lo disse con un moto amaro, avvelenato, che all’improvviso subentrò alla dolcezza di quei ricordi, come impossessandosi di lui. “Non è vero e io sbagliavo. Per tutta la vita ho sbagliato, tutta la vita... e sto sbagliando ancora...”. Il suo tono era disperato, il tono di chi è caduto di nuovo in un abisso.

“No, André, ti prego... Tu non sbagliavi affatto. Era vero quello che sentivi, era vero. Io appartenevo a te, da sempre, da sempre...”. Gli sfiorò le spalle.

Lo vide stringere i pugni, contro il viso. E tremare di rabbia, di un dolore infinito.

“E allora perché hai sposato Girodel, perché! Perché mi hai lasciato solo, senza una parola... Come hai potuto Oscar? Come hai potuto... Io non riuscivo a credere che fosse vero. Perché mi hai fatto questo? Tu non lo amavi nemmeno, tu volevi solo fuggire. Come hai potuto sposare un uomo qualsiasi pur di rifiutare me? Non ero abbastanza importante neppure per essere scacciato da qualcuno che amavi? Come hai potuto farti toccare da un altro, farti spogliare da lui, perché quell’uomo che non sapeva niente di te ha potuto prendersi la mia donna, il mio amore...”

Stava gridando, quasi. Un grido profondo, che veniva da dentro.

“Io non volevo qualcuno da amare... non... non volevo amare...”

“Perché, Oscar, perché?”

“Perché c’eri tu...” rispose, con un filo di voce.

André restò in silenzio, un istante. “Certo, perché c’ero io - disse poi amaro -. Tanto io c’ero sempre, no?”

Adesso stava piangendo anche lei, le lacrime le rigavano il viso. Riusciva solo a ripetere il suo nome, in un lamento flebile. “André, basta André...”

“Ed era vero, sai? Avevi ragione. Io non ho avuto neanche la dignità di andarmene. Sono rimasto così, annientato, a guardarti, senza dire niente pur di rimanere con te. Per quante notti avete dormito insieme, Oscar, quante volte sei entrata in quel letto, ti sei fatta toccare dalle sue mani, lo hai toccato come toccavi me, stasera... in che modo hai risposto ai suoi baci, cosa provavi quando entrava dentro di te... quanto ti piaceva, quanto? Io ho passato ogni notte a chiedermelo, da quella notte. Tu non hai idea di cosa vuol dire, Oscar...”

Tacque. Nel silenzio si udiva solo il pianto di lei.

Poi nuovamente André parlò, e la sua voce era più bassa, adesso, più tormentata ancora.

“E poi ti ho perso del tutto, ho perso anche i miei occhi. Non sono più stato nemmeno capace di badare a me stesso. Io avevo bisogno di te, Oscar, avevo un bisogno disperato di te... e tu non c’eri. Dov’eri, Oscar, dov’eri?”

Scoppiò in singhiozzi, distrutto da quel dolore, da quello sfogo cattivo, mentre lei, annichilita, a terra, non riusciva nemmeno più a piangere, come se il rumore del suo pianto potesse essere una prova troppo forte della sua esistenza.

 

Rimasero così per tanto tempo, mentre la luna avanzava. Per la prima volta nella sua vita, davvero, Oscar desiderò morire.

 

Poi André sembrò tornare in sé, si asciugò le lacrime. Era addoloratissimo, pieno di rimorso. Le accostò la mano al viso e la tenne così, sulla sua guancia, ascoltando il silenzio di lei.

 

“Dio mio, Oscar, ho distrutto tutto. Ho rovinato tutto, scusami, scusa... la solitudine mi ha fatto diventare un mostro. Non fare così, ti prego”. Respirò. Era come se, passato quel momento terribile, fosse di nuovo lì, adesso, l’André di prima, quello di sempre, che si preoccupava per lei. “Non potrai mai perdonarmi, lo so, ho detto cose tremende, ingiuste. Ma io non le pensavo, Oscar, io non penso questo di te, non l’ho mai pensato, davvero. Ero pieno di rabbia, di rabbia...”

Era vero, era stato uno sfogo rabbioso, che era andato al di là di ogni sua intenzione. Non aveva mai avuto l’animo di vendicarsi, di fargliela pagare. André la capiva, l’aveva sempre capita, anche quando faceva delle scelte opposte a quello che lui avrebbe desiderato, anche quando sbagliava, quando fuggiva. E ora invece l’aveva devastata con la sua amarezza, la sua paura.

Le prese la mano. “Avevi ragione a non volermi - disse -. So soltanto renderti infelice. Dico che ti amo e poi ti faccio questo, dopo che sei venuta qui, in casa mia, così dolce, col tuo profumo... Dico che ti amo e non sono capace di amarti. Non lo sono mai stato...”

 

“Non è vero, André”.

Non disse niente, reclinò il viso sulla sua mano, in silenzio. Poi si abbandonò a lui e lo abbracciò, stringendosi al suo corpo, il capo sul suo petto. Si abbracciarono forte, con tutte le forze che avevano, per resistere insieme alla notte.

 

 

Continua

mail to: imperia4@virgilio.it

 

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