Ti scrivo con un cielo brillante sopra la mia testa, un blu tappeto orientale, un vento caldo mentre cammino verso la metropolitana, che mi aspetta con i suoi sedili freddi e un soffitto di luci al neon: è gennaio e fa caldo qui e se esiste la possibilità che mi venga freddo, freddo non sento.
Ti scrivo come scrivere una lettera a me stessa, con la certezza che qualcuno leggerà ma, lo so, non risponderà, è come cacciarti negli occhi e nelle orecchie parole e pensieri che non torneranno più indietro.
Torno a casa adesso, ma non volevo raccontarti questo, volevo ricordarmi di quando l'altro giorno per strada mi sono sentita leggera. Felice solo perchè ero felice, avrei voluto dirtelo, e invece quel momento è rimasto solo mio, perchè nessun altro, forse neanche tu, avrebbe capito.
Non ho cercato nessuno a cui dirlo, ho pensato a quando Ale diceva che un pezzo dei nostri pensieri deve rimanere dentro di noi e basta, l'ho tenuta dentro, allora, quella strana sensazione, una libertà sbilenca, un equilibrio tra il mio patologico bisogno degli altri e la sensazione che gli altri adesso siano troppo lontani, andati troppo via da me per poterne sentire anche solo la presenza.
Sono un'equilibrista in bilico ma questo stato durava, è durato giorni, e oggi per la strada con le cuffie nelle orecchie avrei voluto sdraiarmi, smettere di andare e muovere solo gli occhi, solo la bocca sulle parole di Eddie Vedder (I just want to say hello).
E stare bene, bene, bene.
E stare male.
Perchè in fondo anche se se ne è andato, in punta di piedi, in quel silenzio che non amo, i suoi gesti rimangono appiccicati addosso, anche se non mi ricordo più la sua voce.
Ma sono felice sto bene, davvero.
Ci siamo visti. Ho aspettato come tutte le volte in cui ci siamo visti, mi sono immersa in lui come la prima volta, nei suoi sorrisi inaspettati, nei monosillabi o nella camminata lenta e leggera come se il mondo fosse di cristallo e non si dovesse romperlo assolutamente, tutto da capo per una due cento quante altre volte ancora?
Abbiamo parlato, come al solito, e dimenticato come al solito la mia la sua vita per andare verso quel nulla che mi fa male.
Esistiamo in uno stato di mezzo, non mi tocca mai, lo sai cosa vuol dire? Che tra noi due stanno ingombranti le nostre vite.
Abbiamo parlato, sì, come facciamo di solito e a guardarlo bene confondevo chi ero io, chi lui, dimenticavo il motivo per cui ero lì con lui e volevo tornare a casa.
Volevo restare e spiegarli di me, farlo entrare nel mio mondo e entrare io nel mio.
Quando mi ha chiesto se valeva la pena rivederci avevamo consumato tutti gli argomenti e stavamo cominciando a girare su noi stessi, quando me l'ha chiesto ho pensato che le domande che facciamo agli altri desideriamo solo che gli altri le rivolgano a noi. Così gliel'ho chiesto.
Lui è stato zitto ma tanto sapevo già la risposta, così mi sono messa a ricordare...
Sai che mi sono cresciuti i capelli? che ogni tanto li lascio sciolti e mi sembra strano vederli arrotolarsi sulle punte.
Mi ha detto che non valeva la pena che era difficile. Ho perso il filo del discorso mentre guardavo la linea che separa asfalto e cielo, gli ho dato ragione.
Le persone se ne vanno, come hai fatto tu, e io non riesco nè a tenermele vicine, nè a dimenticarle del tutto.
Mi ha detto ci vediamo.
Avrei voluto chiamarti subito, raccontarti rapida e confusa e poi rivedere tutto con i tuoi occhi, ma tanto tu non ci sei.
Non mi ha telefonato, non l'ho cercato. Qualche volta mi abbandono all'idea che mi piacesse ancora, qualche altra mi dico che dobbiamo riincontrarci in qualche modo.

Ma stringevo i denti e chiudevo gli occhi forte.

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