All'Assemblea della RSFJ,
all'Assemblea della RS di Serbia

21 gennaio 1986

 

 

 

 

Nell'ottobre 1985, 2.016 Serbi del Kosovo e della Metohija, a cui si sono associati in seguito migliaia di firmatari, hanno indirizzato alle Assemblee della RS di Serbia e della RSF(1) di Iugoslavia una Petizione in cui era esposta la situazione insopportabile del popolo serbo che vive in Kosovo, e che chiedeva di assicurare con misure radicali tutti i loro diritti costituzionali, come anche di mettere fine all'espulsione dei loro nuclei familiari.

Tutti coloro che sono sconvolti dalle sofferenze dei Serbi e delle persone di altre nazionalità viventi in Kosovo e nella Metohija, tutti coloro che sono preoccupati per il destino della Serbia e della Iugoslavia, tutti coloro la cui coscienza umana non è ancora congelata e che hanno il senso delle loro responsabilità, sono stati stupefatti e atterriti dalla reazione che hanno avuto le autorità davanti a quella petizione: una risposta e un atteggiamento minacciosi tanto da parte dei potentati del Kosovo che da parte dei più alti responsabili della Serbia e della Iugoslavia.

Coloro la cui prima preoccupazione sarebbe dovuta essere il destino del loro proprio popolo restano sordi al suo grido di disperazione e al risveglio della sua coscienza, non hanno compassione per il suo martirio, non hanno la volontà di opporsi alle sue sofferenze, negandogli allo stesso tempo il diritto di testimoniare dell'impasse storica in cui è stato posto senza esserne colpevole, e addirittura di chiedere allo Stato, che riconosce come suo, aiuto e protezione.

La rivendicazione di giustizia e uguaglianza contenuta in quella Petizione-plebiscito è stata condannata come atto di ostilità e qualificata d'insurrezione, senza per questo incitare le autorità a riesaminare la loro posizione, ad arrendersi all'evidenza e a comprendere che coloro che sono privati dei loro diritti non possono più accordare proroghe temporali, che essi tentano di organizzarsi da soli per prendere in mano il loro destino. Giacché nessun popolo saprebbe rinunciare alla propria sopravvivenza, e su questo punto il popolo serbo non è e non sarà un'eccezione.

Più di 200.000 persone sono state espulse nel corso dei venti ultimi anni dal Kosovo e dalla Metohija. Più di 700 agglomerazioni sono state etnicamente “ripulite”, le deportazioni continuano con violenza inaudita, il Kosovo e la Metohija diventano “etnicamente puri”, l'aggressione deborda addirittura le frontiere della provincia.

La storia si ripete:
popolazione Rom costretta all'evacuazione (1999...)

La storia si ripete:
Incendio di una casa serba a Pec (1999...)

La storia si ripete:
Serbi pronti per l'esilio (1999...)

 

Ecco allora che la condanna politica della Petizione è stata per noi, firmatari del presente testo, un motivo diretto per rivolgerci all'opinione pubblica al fine di chiamarla a sostenere l'esigenza di un cambiamento fondamentale della situazione in Kosovo e nella Metohija. Il buon senso politico esige che le Assemblee della RSFJ e della RS di Serbia esaminino al più presto, in sessioni straordinarie, la petizione dei Serbi del Kosovo, e che esse prendano misure urgenti ed efficaci aventi lo scopo di mettere fine a un genocidio storicamente già troppo lungo e troppo sanguinoso sul suolo dell'Europa. Le scienze storiche come la memoria sempre viva ci insegnano che l'espulsione del popolo serbo dal Kosovo e dalla Metohija dura già da tre secoli. Sono cambiati soltanto i protettori dei nostri oppressori: al posto dell'Impero ottomano, della monarchia degli Asburgo, dell'Italia fascista o della Germania nazista, ci sono ora lo Stato albanese e le istituzioni dirigenti del Kosovo. Al posto dell'islamizzazione forzata e del fascismo, c'è uno sciovinismo staliniano. L'unico elemento nuovo è la congiunzione degli odi tribali e del genocidio sotto la copertura del marxismo.

I metodi sono sempre gli stessi: sono state messe nuove teste su tronchi già utilizzati un tempo. Il nuovo diacono Avakum2 si chiama Djordje Martinovic, e la madre dei fratelli Jugovic(3) è diventata Danica Milincic. Si violentano le vecchie e le monache, si picchiano a morte bambini in tenera età, si cavano gli occhi del bestiame, si costruiscono stalle con pietre tombali, si profanano e si lordano le chiese e i monumenti storici sacri, si tollerano i sabotaggi economici, si forza la gente a vendere i loro beni a prezzi irrisori…

Questo pericolo non minaccia soltanto la popolazione, minaccia la Serbia, la Iugoslavia e la pace nei Balcani. Se fosse realizzato un “Kosovo etnicamente puro”, nuovi confronti nazionali e tra stati diventerebbero inevitabili, il che trasformerebbe il suolo dei Balcani in un focolaio di potenziali guerre e minaccerebbe la pace in Europa.

Sotto la copertura della lotta contro l'“egemonia gran-serba”, ciò che accade da decenni è un processo politico montato contro il popolo serbo e contro la sua storia. Il primo obiettivo è un “Kosovo etnicamente puro”, e in seguito la conquista di nuovi territori, serbi, macedoni e montenegrini. Non esiste in questo mondo minoranza che goda di più vasti diritti costituzionali dell'albanese - ciononostante i suoi leader o i suoi ideologi la conducono verso un'avventura nazionale in cui essa ha tutto da perdere.

Accettare l'assenza di legalità e la benevolenza delle autorità verso il crimine e i criminali, allo stesso modo che qualificare come delitti minori gravi atti criminali o l'organizzazione dei soprusi, dissimulare le ingiustizie e passarle sotto silenzio, tollerare le ineguaglianze tra cittadini nell'impiego e negli studi e praticare l'“acquietamento dell'opinione pubblica” con comunicati menzogneri, mettere sullo stesso livello d'uguaglianza le lamentele della vittima con la premeditazione del criminale e altri fatti simili, tutto ciò significa alla fine abusare del diritto costituzionale all'autonomia. Il caso di Djordje Martinovic diventa il caso del popolo serbo tutt'intero in Kosovo. È già difficile immaginare un crimine simile tra i crimini; ma che tutto il sistema giuridico di un paese si metta in movimento per nascondere questo crimine, di certo non ne esistono altri esempi.

Si incoraggia il nemico e si legittimano i suoi "argomenti" e i suoi piani, come se la verità si trovasse dall'altra parte e come se non avessimo una convinzione ferma e un obiettivo preciso. Facendo finta di credere alla menzogna e di dubitare della verità, si induce in errore l'opinione pubblica internazionale che, sembra, testimonia più comprensione per il genocidio perpetrato dai persecutori che per la sopravvivenza dei perseguitati.

Nel 1981 era stato riconosciuto pubblicamente che la situazione reale in Kosovo era dissimulata e falsificata; eravamo stati spinti a sperare che ciò non si sarebbe più riprodotto. Ora da cinque anni, noi siamo testimoni di un'anarchia ininterrotta e del crollo di ogni speranza di cambiamento nei rapporti sociali inter-etnici in Kosovo e in Metohija. Per mantenere la loro posizione i dirigenti cercano di costruirsi un alibi attraverso sanzioni draconiane prese contro la gioventù, attraverso la pratica del doppio linguaggio e la chiacchiera ideologica.

Tutte le persone di questo paese che non sono rimaste indifferenti hanno capito da molto tempo che il genocidio in Kosovo non conoscerebbe possibilità di arresto senza profondi cambiamenti, sociali e politici, nel paese tutt'intero. Tali cambiamenti sono impensabili senza mutamenti nei rapporti tra la provincia autonoma del Kosovo e la repubblica di Serbia, se non addirittura con la Federazione Iugoslava stessa. Il genocidio non può essere bloccato da quella stessa politica che l'aveva reso possibile, una politica di cessione progressiva del Kosovo e della Metohija all'Albania: non può essere bloccato da una capitolazione non firmata che porterebbe difilato a una politica di tradimento nazionale.

Se il Kosovo dovesse rimanere unicamente un problema della Serbia, diventerebbe allora la più profonda delusione del popolo serbo nella comunità iugoslava.

Il popolo serbo si è battuto anche per gli Albanesi al momento delle guerre di liberazione, e con il suo aiuto materiale disinteressato dal 1945 fino ad oggi ha dato prove a sufficienza che tiene alla libertà, al progresso e alla dignità del popolo albanese.

Noi dichiariamo che non desideriamo disgrazia alcuna né ingiustizia per il popolo albanese, e preconizziamo per esso diritti democratici; quando chiediamo l'uguaglianza per il popolo serbo e gli altri popoli in Kosovo, noi vediamo il popolo albanese tra questi popoli. Noi sconfessiamo e condanniamo tutte le ingiustizie che avessero mai potuto essere commesse da parte di Serbi nei confronti del popolo albanese. Noi esigiamo il diritto all'identità spirituale, alla difesa delle basi della cultura nazionale serba e alla sopravvivenza fisica del nostro popolo sulla sua terra.

Noi esigiamo che attraverso misure ferme, attraverso la sollecitudine e la volontà della Iugoslavia tutta intera, si metta fine all'aggressione albanese in Kosovo e nella Metohija, che si stabilisca attraverso riforme democratiche un ordine giuridico forte che assicuri diritti uguali a tutti i cittadini, che cessi l'azione di logoramento subdolo delle frontiere della Iugoslavia, che garantendo la sicurezza dei suoi cittadini e le loro libertà politiche essa ritrovi la fiducia e ottenga il sostegno dell'Europa e del mondo.

Belgrado, 21 gennaio 1986 (Nuovo giornale della Gioventù, il 16 marzo 1986)

(Fanno seguito 212 firme, tra cui quella di A. Jevtic).

 

Note

1. RS = Repubblica socialista; RSF = Repubblica socialista federativa.

2. Il diacono Avakum fu martirizzato dagli ottomani nel XVIII secolo. Condotto all'impalamento andava al supplizio portando il piolo cantando.

3. Nelle canzoni medievali del ciclo del Kosovo si trovano il racconto della morte dei nove fratelli Jugovic e la lamentazione della madre.

 

(traduzione di Fidelio Bonaguro)