Kosovo e Metohija

nella storia serba e nello stato serbo

di

Zivota Djordjevic

1999

 

Le regioni di Kosovo e Metohija, abitate da Slavi nei secoli passati, diventarono parte dello stato indipendente della Serbia alla fine del 12° secolo, oltre ottocento anni fa. Lo stato indipendente della Serbia fu fondato dal Granduca (Zupan) Stefan Nemanja, che liberò i territori di Kosovo e Metohija e diventò il loro dominatore. Uno dei suoi figli, Sava Nemanjic, fondò la Chiesa serba autocefala divenendone il primo arcivescovo, consolidando in questo modo la fede cristiana tra i Serbi e aprendo la via all'unificazione del loro stato. L'altro figlio di Nemanja, Stefan Nemanjic, fu incoronato re dal Papa, confermando così l'integrità della terra serba e l'indipendenza dello stato serbo.

San Sava

Delle dieci diocesi della Chiesa serbo-ortodossa, tre erano situate in Kosovo e Metohija nelle città di Prizren, Lipljan e Pec, confermando l'importanza dei due territori per la Chiesa, lo stato e la cultura serbe. Nel 1284, Pec diventò la sede dell'arcivescovo serbo, rendendo la Metohija una delle terre serbe più importanti. Le fu accordato lo status di regione centrale nel 1346, quando l'arcivescovo di Pec fu proclamato patriarca e Prizren fu scelta come capitale dell'impero serbo. I governatori della dinastia Nemanjic avevano palazzi a Pristina, Prizren, Svrcin, Pauna, Nerodimlje e Vucitrn.

I Serbi, tuttavia, furono sconfitti dai Turchi nella battaglia del Kosovo nel 1389, e giurarono che avrebbero riconquistato la loro libertà nello stesso luogo. Il giuramento del Kosovo rimane tutt'oggi profondamente radicato nella coscienza storica serba.

Nonostante la sconfitta, Kosovo e Metohija non rimasero soltanto un ricordo tra i Serbi dopo la disfatta: i due territori restarono anche sotto il loro governo. Essi furono amministrati da Pristina da Vuk Brankovic, il cui figlio, più tardi, divenne governatore dell'intera Serbia. La terra era fertile e generosa, come lo erano le miniere d'argento di Trepca, Janjevo e Novo Brdo; quest'ultima, essendo la più grande miniera dei Balcani, era anche sede di una zecca. Le città erano altamente sviluppate e abitate da ricchi commercianti e artigiani. I commercianti più importanti provenivano da Dubrovnik, ed i migliori minatori erano Sassoni. La devozione dei Serbi alla fede cristiana e la loro ricchezza sono dimostrate dalle numerose chiese e dai numerosi monasteri che essi costruirono. Una grande tolleranza regnava tra Ortodossi e Cattolici.

Con alterne fortune, la Serbia continuò a difendersi dalla Turchia, con gli Ungheresi come suoi principali alleati. Col tempo, comunque, la resistenza serba fu schiacciata. Due anni dopo la caduta di Costantinopoli (1453), le forze del Sultano Mehmed II presero Novo Brdo, il 1° Giugno 1455. La maggioranza della popolazione fu ridotta in schiavitù o si stabilì altrove, e alcune chiese serbe furono trasformate in moschee. Questo fu l'inizio della pulizia etnica dei Serbi nel Kosovo e nella Metohija, che continua, dopo la caduta definitiva dello stato serbo nel 1459, con poche tregue, fino ai nostri giorni.

Geograficamente, Kosovo e Metohija sono due bacini nella parte centrale della penisola balcanica, circondati da alte montagne e in cui defluiscono parecchi fiumi, situati all'incrocio di importanti strade commerciali. Il nome Kosovo è serbo: deriva, infatti, dalla parola kos, che significa merlo (Kosovo Polje significa campo di merli). Il nome Metohija deriva dalla parola greca e serba metochion, che significa "proprietà o dipendenza di un monastero". L'attuale provincia nella Serbia del Sud comprende anche Kosovsko Pomoravlje (valle del fiume Morava) nella parte più orientale della provincia.

La regione di Kosovo e Metohija, delimitata dal Mare Adriatico ad ovest e dalla Macedonia ad est, era abitata da tribù di origine indeterminata, che vivevano secondo antichi costumi e, spesso, non avevano nessun legame reciproco. Poco si può affermare con certezza del loro modo di vivere durante il primo millennio d.C. Costantino Porfirogenito non menziona affatto Albanesi nel suo De administrando imperio, un trattato chiave per capire le relazioni nei Balcani tra la fine del primo e l'inizio del secondo millennio d.C. Non sono menzionate tribù neanche in nessun altro scritto storico del tempo. I toponimi in Kosovo e Metohija non sono albanesi, sono soprattutto pre-slavi e slavi, cioè serbi. Le tribù furono note per la prima volta nella metà dell'11° secolo sotto vari nomi che iniziavano molto spesso con "alb" o "arb". Il nome Shqiptare che esse preferivano usare fu registrato in scritti storici solo nel 15° secolo, quando Grecia, Serbia e Bulgaria cessarono di esistere come stati indipendenti.

In questi anni, si stanno facendo alcuni tentativi tra gli Albanesi di autoproclamarsi discendenti degli Illirici, i primi abitanti dei Balcani. Si stanno facendo tentativi simili anche tra altre giovani nazioni nella penisola balcanica. Autoproclamandosi Illirici, gli Albanesi si inseriscono in una serie di tentativi falliti di imporre solamente ad alcuni l'eredità illirica, negandola ad altri. Nel 15° secolo, alcuni scrittori europei consideravano gli Slavi meridionali come "natio illirica", senza nessuna ragione valida. Alla fine del 17° secolo, il capo serbo Djurdje Brankovic cercò di ristabilire l'impero serbo come "regno illirico", ancora una volta senza una valida ragione. Nel 1809, Napoleone creò una provincia illirica lungo la costa orientale dell'Adriatico, in Slovenia e Croazia, di nuovo senza un valido fondamento e senza gli Albanesi. La provincia continuò a esistere fino alla caduta di Napoleone. Nella metà del 19° secolo, i Croati fondarono il loro movimento di rinascita nazionale sotto la designazione illirica, certamente senza un valido motivo per quanto riguarda l'uso del termine. Se simili tentativi furono frequenti durante mezzo millennio, la strategia Albanese attuale non giunge come una sorpresa: per giustificare aspirazioni ad espansioni territoriali si devono inventare origini profondamente radicate nei tempi antichi e si devono "stabilire" priorità storiche.

Un'autorità fittizia più che fattuale sulle regioni montagnose abitate dagli Albanesi fu esercitata in successione da Bisanzio, dai sovrani di Anjou, dalla Serbia e da Venezia, come pure da signori locali da poco indipendenti, a volte critici contro gli stati vicini. Si ritiene che Djuradj Castriot, conosciuto anche come Iskender Bey (Skender Beg), che guidò la resistenza contro il dominio turco - sebbene senza il sostegno di qualsiasi organizzazione con prerogative di stato - sia stato di origine albanese.

La maggior parte degli Albanesi si convertirono all'Islam piuttosto velocemente (come è dimostrato dal doppio nome Djuradj-Iskender), perpetuando un modo di vivere tribale all'interno della struttura della religione islamica e dell'autorità dello stato turco.

Di tanto in tanto gli Albanesi scendevano dalla montagne per risiedere permanentemente nel fertile bacino di Metohija anche prima dell'arrivo dei dominatori turchi, ma né il Kosovo né la Metohija né - specialmente - Kosovosko Pomoravlje potrebbero mai essere descritti come albanesi nel carattere.

In seguito all'arrivo dei Turchi e alla conversione all'Islam, gli Albanesi si volsero a perseguitare violentemente i loro precedenti vicini Serbi, o al servizio dei loro padroni o per personali interessi.

Sebbene la popolazione serba avesse già patito grosse perdite e avesse molto sofferto quando il Kosovo e la Metohjia caddero sotto il governo ottomano, il primo censimento, effettuato nel 1455 dai dominatori Turchi in circa 600 villaggi nei due territori, mostrò che nomi albanesi erano registrati solo in circa 80 villaggi, ma in nessun luogo essi erano la maggioranza.

Poco cambiò negli anni successivi.

Per di più il Patriarcato di Pec fu ricostruito nel 1557. La Chiesa serbo-ortodossa riguadagnò la sua sede in Metohija e le fu accordata la giurisdizione religiosa su 40 diocesi, alcune delle quali già esistenti, mentre altre furono ripristinate o create. L'autorità del Patriarcato si estendeva, all'incirca, su tutte le terre serbe, incluse Bosnia e Herzegovina e parti della Romania, Ungheria e Croazia. Documenti turchi del 17° secolo mostrano che gli arcivescovi ortodossi di Gracanica, Vucitrn, Prizren e Pec, tutti in Kosovo e Metohija, mantenevano l'alto rango di "Metropolitani". Molti monasteri, conventi e chiese furono costruiti o ricostruiti, l'attività letteraria serba e la vita politica fiorivano.

Sebbene fosse un'istituzione religiosa, il Patriarcato di Pec inevitabilmente doveva anche connotarsi come un'organizzazione di resistenza del popolo serbo. Alla fine del 16° e nel 17° secolo, i Serbi, come alleati dell'impero asburgico nella sua guerra contro l'impero ottomano, si sollevarono in armi sotto il comando dei patriarchi Jovan, Gavrilo Rajic e Maksim Skopljanac. L'insurrezione finì in una sconfitta nel 1737, e l'autorità del Patriarcato di Pec fu prima minata e poi formalmente annullata nel 1766.

 

 

La Grande Migrazione Serba

 

I cambiamenti demografici in Kosovo e Metohija, che durarono per decenni o addirittura per secoli, furono dettati dai seguenti fattori:

Primo: durante le guerre dell'impero ottomano contro gli stati europei cristiani, principalmente contro l'Austria, i Serbi si sollevarono in armi e combatterono dalla parte dei cristiani. Quando i loro alleati dovettero ritirarsi, i Serbi stessi furono costretti a ritirarsi verso nord, abbandonando la loro patria, soprattutto il Kosovo e la Metohija.

Secondo: i governanti turchi non desideravano mantenere una terra senza popolazione perché ciò li avrebbe privati di tasse e di reclute; di conseguenza, affrettarono l'insediamento degli Albanesi nelle aree abbandonate dai Serbi. Benché, in generale, i musulmani non fossero privati dei loro diritti come sudditi turchi, e gli Albanesi, in quanto allevatori di bestiame di montagna, non si dedicassero volentieri al pesante lavoro dell'agricoltura, i dominatori turchi, tuttavia, li insediarono con la forza nelle pianure.

Terzo: gli Albanesi, nelle montagne, avevano un altissimo tasso di natalità e soffrivano per carenza di cibo.

Quarto: sebbene essi non avessero autorità in ciò che riguardava affari di terra, lingua, religione, costumi o politica, gli Albanesi formarono parte delle truppe irregolari ausiliare turche che saccheggiarono le proprietà serbe e scacciarono i Serbi dalle loro case e dalla loro terra.

Questi fattori combinati assieme ebbero come risultato un cambiamento del carattere etnico del Kosovo e della Metohija; in questo modo i Serbi persero e gli Albanesi vinsero.

La guerra, che iniziò nel 1683 con la campagna turca contro Vienna, fu un punto di svolta nelle relazioni tra il potere islamico che minacciava l'Europa e le nazioni cristiane. Gli Austriaci, aiutati dalle forze polacche, ruppero l'assedio di Vienna, dopo il quale fu stretta la "Santa Alleanza" tra Austria, Polonia, Venezia ed il Papa, cui si aggiunse più tardi anche la Russia. Le truppe austriache uscirono vittoriose da parecchie battaglie e penetrarono profondamente nel sud, liberando Pec nell'ottobre del 1689, dopo di che il patriarca Arsenije III Carnojevic inglobò i rivoltosi serbi nell'esercito regolare del generale Piccolomini. Le truppe austriache e serbe liberarono Mitrovica, Zvecan, Novo Brdo e Kacanik, come pure Skoplje, che dovette essere incendiata a causa di un'epidemia di peste. In seguito alla morte del generale Piccolomini a Pristina e al consolidamento delle forze turche, l'esercito austriaco fu sconfitto nel gennaio del 1690 a Kacanik e costretto a ritirarsi. I combattenti serbi, i loro comandanti, il patriarca stesso e una grande parte della popolazione serba del Kosovo e della Metohija si ritirarono assieme agli austriaci. In una assemblea tenutasi nel giugno del 1690 a Belgrado, i Serbi chiesero ed ottennero dall'imperatore austriaco Leopoldo il permesso di insediarsi nelle aree spopolate in Austria e la concessione di alcuni privilegi religiosi e nazionali.

Durante la guerra, la maggioranza degli Albanesi rimase neutrale, un numero considerevole combatté al fianco dei Turchi ed alcuni si unirono alle forze austriache e serbe. All'inizio del ritiro austriaco e della migrazione dei Serbi e di alcuni dei loro alleati albanesi, la maggioranza degli Albanesi assalì la popolazione in fuga e quei Serbi che erano rimasti nelle loro case, competendo in brutalità con i Tartari portati dalle truppe turche.

Seguì una catastrofe demografica da un capo all'altro della Serbia ed in particolare in Kosovo e Metohija, accompagnata dalla distruzione di chiese e di monasteri serbo-ortodossi e dall'annientamento di ogni segno di esistenza serba. Alcuni effetti di questa pulizia etnica sono tuttora visibili.

I dominatori Turchi non poterono accettare a lungo di tenere una terra senza sudditi che pagassero le tasse. Le città di Prizren, Pec e Pristina, abbandonate dai Serbi, furono occupate dagli allevatori di bestiame Albanesi. Nel Marzo del 1690, fu ordinato ai comandanti Turchi e ai capitani Albanesi di mettere fine a questo regno di terrore. Nel settembre dello stesso anno, ai rivoltosi Serbi fu concessa l'amnistia e, con garanzie da parte delle autorità che non sarebbero stati perseguitati, furono sollecitati a ritornare. L'invito, comunque, rimase inascoltato.

La schiacciante maggioranza serba che abitava il Kosovo e la Metohija prima della Grande Migrazione fu così sostituita dagli immigranti Albanesi.

Quando scoppiò un'altra guerra tra l'Austria e la Turchia nel 1737, che durò fino al 1739, i Serbi ancora una volta insorsero contro il dominio turco, furono sconfitti e, di conseguenza, dovettero emigrare dall'altra parte del Danubio. La Turchia all'epoca era percorsa da un'ondata di anarchia, in cui le truppe albanesi che saccheggiavano giocarono un ruolo attivo.

La terza grande migrazione, di circa 100.000 persone, avvenne nel 1790, quando l'Austria uscì dalla guerra e smobilitò circa 10.000 rivoltosi Serbi. Questa volta, il Kosovo e la Metohija, già profondamente feriti, rimasero lontani da lotte, insurrezioni e migrazioni.

 

 

La strada verso la libertà

 

L'anarchia amministrativa ed economica in Turchia culminò tra la fine del 18° secolo e l'inizio del 19°. I contadini serbi furono colpiti molto duramente dall'annullamento del loro status, relativamente libero, sotto proprietari terrieri turchi e dalla trasformazione in servi sotto signori feudali turchi, giannizzeri scatenati e furfanti che proclamarono come propria la terra imperiale. I Serbi si sollevarono in armi nel 1804, nella prima e nella seconda Insurrezione, liberandosi dal giogo e continuarono a lottare per la liberazione da tutti i mali turchi.

Il Kosovo e la Metohija restarono lontani dall'esplosione centrale della lotta serba; la loro popolazione di etnia serba era troppo debole demograficamente per unirvisi. Rimasero alla mercé dei pasha locali (che nemmeno Costantinopoli poteva controllare) e degli Albanesi che scaricavano sui sudditi la loro rabbia per le vittorie serbe nel nord. Jashar Pasha, amministratore del distretto di Pristina, perseguitò i Serbi e depredò le loro chiese con l'aiuto degli Albanesi. Abbatté quattro chiese e saccheggiò i monasteri di Gracanica e Samodreza, che rappresentavano i custodi sacri della memoria del santo martire principe Lazar e dell'idea di liberazione dopo la Battaglia del Kosovo (1389). Mentre l'impero turco soffriva l'agonia della decadenza, i Serbi, in Kosovo e Metohija, furono soggetti a torture, saccheggi, conversioni forzate all'Islam, stupri, incendi dolosi e massacri. Alcuni fuggirono verso la salvezza nel Principato di Serbia. Il principe Milos Obrenovic cercò di dare protezione a coloro che rimanevano. Per mantenere alto lo spirito nazionale, il principe ricostruì e sovvenzionò chiese e monasteri in Kosovo e Metohija. Gli Albanesi ed i Turchi stavano saccheggiando e distruggendo, il principe ricostruiva e faceva doni.

Le riforme della Sublime Porta, compiute sotto la pressione delle grandi potenze, diedero uguaglianza legale all'intera popolazione senza tener conto della fede. Ai cristiani furono garantiti i diritti di vita, proprietà e tasse eque. La condizione della popolazione cristiana migliorò nelle province dove le riforme furono rese effettive. Comunque, le riforme incontrarono grande difficoltà. Il Sultano dovette mandare spedizioni militari per schiacciare la resistenza sia dei signori locali che della popolazione musulmana (inclusi gli Albanesi), resistenza che stava assumendo le dimensioni di una vera guerra inter-musulmana. Il monastero Visoki Decani e il Patriarcato di Pec furono saccheggiati e profanati nelle battaglie tra le truppe regolari turche e gli Albanesi che si erano ribellati alle riforme.

Nel 19° secolo, i Serbi non potevano contare sulla protezione né delle grandi potenze che, formalmente, erano i difensori dei cristiani in Turchia (dapprima solo la Russia e dopo il 1856 anche Inghilterra, Francia e Austria) né dell'opinione pubblica di illuminate nazioni europee, risvegliate dal crescente numero di umanisti che scrivevano sui loro viaggi in Turchia.

Nelle guerre dal 1876 al 1878, la Serbia liberò l'area compresa tra i suoi precedenti confini e il Kosovo e la Metohija; da quell'area gli Albanesi emigrarono verso le zone vicine nel rifiuto dell'autorità cristiana. Sconfitti e assetati di vendetta, essi intensificarono il loro terrore sul popolo serbo. Parecchie decine di migliaia di rifugiati provenienti dal Kosovo e dalla Metohija si registrarono nel Principato di Serbia. L'archimandrita Sava Decanac presentò al congresso di Berlino un memorandum sulla situazione e il destino dei Serbi in quella parte della Turchia, richiedendo inutilmente protezione dal fanatismo islamico e dalla crudeltà albanese.

Il periodo tra le guerre serbo-turche del 1876-1878, attraverso le guerre balcaniche del 1912-1913 e fino alla prima guerra mondiale, fu un periodo di avversità per il popolo serbo. Consapevoli che il potere del Regno di Serbia stava aumentando e che l'esercito serbo aveva raggiunto la soglia della terra che essi sapevano bene di aver preso ai Serbi, gli Albanesi, in gran numero e in modo ben determinato, fecero ricorso al terrorismo. Gli spietati Albanesi misero a ferro e fuoco le case dei loro stessi compagni che stavano tentando di proteggere i loro vicini serbi. Il Patriarcato di Pec fu attaccato e saccheggiato di nuovo nel 1902. Ai Serbi in Turchia non fu dato lo status di nazione né addirittura di minoranza etnica. I diplomatici delle grandi potenze, pur implorando di risparmiare i cristiani, non riuscirono a mettere fine al terrore. Una dopo l'altra, ondate d'esausti rifugiati Serbi fluirono in Serbia.

La prima guerra balcanica, combattuta dagli stati cristiani per espellere le forze turche dai Balcani, fu una svolta decisiva. I due regni serbi di Serbia e Montenegro liberarono il Kosovo, la Metohija, la Macedonia e il distretto di Raska (chiamato Sandzak). L'esercito serbo, inoltre, sconfisse i Turchi e i loro sudditi Albanesi nella stessa Albania, guadagnando l'accesso all'Adriatico. Alcune tribù Albanesi (soprattutto quelle di fede cristiana) aiutarono i loro vicini cristiani nella lotta, come fecero i Malisori durante la liberazione della Metohija.

L'avanzata dei Montenegrini dal nord, dei Serbi dal nord e nord-est e dei Greci dal sud fu fermata dalle grandi potenze che, a Londra, proclamarono l'indipendenza dello Stato albanese nel 1912. Le forze vittoriose dovettero ritirarsi, ma Kosovo e Metohija rimasero parte integrante della Serbia e del Montenegro come regioni indiscutibilmente serbe.

Durante la prima guerra mondiale, l'esercito montenegrino fu allontanato e quello serbo dovette ritirarsi in Grecia attraverso l'Albania. Nemmeno in queste circostanze i capi Albanesi furono capaci di preservare e consolidare lo stato albanese, consegnato loro su di un piatto d'argento.

Terrorizzare i Serbi fu considerato dalla maggior parte di loro l'obiettivo principale. Dopo il ritorno e il ricompattamento del vittorioso esercito serbo, Kosovo e Metohija, come parte del preesistente regno di Serbia, furono incorporati nel Regno di Serbi, Croati e Sloveni proclamato l'1 dicembre 1918.

 

 

Lo Stato Albanese

 

Gli Albanesi furono l'ultimo dei popoli balcanici assoggettati al dominio turco a giungere alla consapevolezza di una identità nazionale. La loro prima organizzazione nazionale, la Lega di Prizren, fu fondata solo nel 1878, sebbene non allo scopo di combattere il dominio turco ma per paura della Serbia (le cui truppe avevano raggiunto il Kosovo), del Montenegro (il cui esercito era sceso in Metohija) e della Bulgaria, a cui la Russia aveva promesso una gran parte dei Balcani fino alle montagne Albanesi e al Mare Egeo. Per quanto riguarda lo status degli Albanesi in Turchia, la Lega cercò una moderata autonomia pro-islamica e pro-turca e, nella stessa misura, pro-albanese. Le idee di un piccolo numero d'intellettuali, mercanti e di un considerevole numero di capi tribali, che non approvavano le aspirazioni pan-albanesi, non furono ben accolte tra il popolo albanese, la cui lealtà alla tribù, all'impero e all'islam erano più forti della loro lealtà alla nazione.

Vent'anni dopo, al fine di mobilitare gli Albanesi per la guerra contro i Greci, la Turchia fondò nel 1897 la Lega di Pec, presumibilmente come un'estensione della Lega di Prizren; ma nemmeno questa ottenne un appoggio massiccio.

A Urosevac, nel 1908, fu fondato un movimento nel tentativo di assicurare l'autonomia a tutti gli Albanesi. Nel 1911 i leaders, che avevano trovato rifugio nella capitale montenegrina di Podgorica, organizzarono un'insurrezione nel nord dell'Albania, ma Costantinopoli respinse ogni possibilità di autonomia. Il movimento armato per l'autonomia raggiunse il suo picco nel 1912. Fu fondato in Kosovo e annoverava 30.000 rivoltosi, coprendo inoltre alcune aree dell'Albania etnica. Naturalmente i rivoltosi Albanesi cercavano l'autonomia solo per se stessi, non per altri gruppi etnici che vivevano in quello che immaginavano fosse il loro paese.

Anche se non ottennero niente, i leaders Albanesi decisero, in un'assemblea a Skoplje, di combattere a fianco della Turchia e, di conseguenza, ricevettero armi dalla Sublime Porta. In ogni modo le truppe serbe e montenegrine liberarono in fretta il Kosovo e la Metohija e presero il controllo dell'Albania etnica. Poco propensa a concedere tale espansione serba, l'Austria-Ungheria, attraverso i suoi agenti, convocò un'assemblea di capi albanesi, che proclamò l'indipendenza dell'Albania il 28 novembre 1912 a Valona (Vlore), sebbene quattro pascià e un bajraktar continuassero a governare il paese come stati separati. Il 30 Maggio 1913 fu riconosciuta l'indipendenza di questo stato, furono tracciati i suoi confini, fu data in regalo la sua Costituzione, la sua amministrazione e gli affari finanziari furono affidati ad una commissione internazionale. Qualche tempo dopo, il capitano tedesco Wilhelm von Wied fu nominato principe (knez), ma abbandonò il suo scomodo trono e la sua cupa "patria" per tornare in Germania dopo pochi mesi. Nessun'autorità poté essere stabilita e l'Albania passò l'intera prima guerra mondiale senza un governo, nel caos, con molti governatori "indipendenti" e truppe straniere.

Sebbene avessero formalmente fatto tutto ciò che potevano, perfino le grandi potenze furono incapaci di creare uno stato albanese; il paese rimase sotto il regno del caos.

Benché gli occupanti austro-ungarici e bulgari accettassero l'aiuto dei leaders Albanesi (come Hassan Pristina, Bajram Tsuri, Dervis Beg e altri) nella lotta contro l'esausto esercito serbo (aiutati da Azem Beita da Drenica e Pascià Essad Toptani nell'Albania centrale) e contro le forze russe in Galizia, anch'essi respinsero le richieste di una amministrazione albanese autonoma.

Nel 1920 le truppe serbe e italiane uscirono dall'Albania, priva ancora di reale autorità e di potere; il suo status internazionale rimaneva oscuro. Il 9 novembre 1921, a Parigi, le grandi potenze concessero nuovamente l'indipendenza all'Albania, all'interno dei confini tracciati nel 1913, e riconobbero il particolare interesse dell'Italia nello stato futuro. La Società delle Nazioni ammise l'Albania tra i suoi membri alla fine del 1920, prima che il paese fosse riconosciuto da qualsiasi governo.

Tra le due guerre, l'Albania fu inizialmente una monarchia, poi una repubblica e di nuovo una monarchia, con, nel mezzo, colpi di stato, ma l'Italia fascista continuò ad essere responsabile della sua amministrazione e del suo esercito. Nella primavera del 1939, il re d'Italia fu proclamato re d'Albania.

Il regime comunista, introdotto alla fine della seconda guerra mondiale, fu rapidamente trasformato da Enver Hoxha nel regime più fedele a Stalin. Dopo la morte di Hoxha, esso divenne il solo regime maoista d'Europa, caratterizzato da un brutale terrore e dall'assenza di qualsiasi sviluppo economico.

Durante quel periodo, in quello post-comunista e anche oggi, l'Albania è vissuta sotto il regno del caos (aperto o attenuato), avendo solamente energia sufficente per atti di aggressione contro i vicini, specialmente contro la Serbia ed in particolare il Kosovo e la Metohija.

 

 

Regno di Iugoslavia e seconda guerra mondiale

 

Divenuti cittadini del Regno di Serbia e, successivamente, del Regno di Iugoslavia, la minoranza etnica albanese si trovò in un ambiente istituzionalmente e culturalmente più progressista, che portò, tra le altre cose, all'abrogazione del feudalesimo. Le masse etniche albanesi non istruite, devote all'Islam e al modo di vivere tribale, non apprezzarono i vantaggi della loro nuova condizione e resistettero allo stato iugoslavo appena esso fu creato. Nel dicembre 1918, parecchie migliaia di Albanesi attaccarono una colonna dell'esercito serbo vicino al paese di Junik, nelle vicinanze di Djakovica. Nel febbraio 1919, oltre 3.000 terroristi Albanesi s'infiltrarono in Metohija dal nord dell'Albania ed altri 600 attraversarono a Rugovo e si diressero verso Rozaje. Concentrandosi vicino al confine iugoslavo, i terroristi tesero imboscate ad individui e gruppi, misero a fuoco i villaggi serbi e tennero anche sotto assedio alcune piccole città. Dopo il gennaio del 1919, tutte le azioni in Macedonia, Metohija e Kosovo furono dirette dallo Skadar (Shkoder) - Comitato di base del Kosovo. Secondo i suoi piani, la cosiddetta "Grande Albania" doveva includere Kosovo e Metohija, Skoplje, Bitola, Novi Pazar, ecc. Nel 1919 scoppiò una rivolta a Plav e Gusinje e nel 1920 ebbe luogo un conflitto di più ampia portata nella zona di confine. Il governo di Ahmed Zogu bandì il Comitato del Kosovo nel 1923, obbligando all'esilio i suoi capi e domò fino a un certo grado il caos nel nord dell'Albania.

La riforma agraria, iniziata in Kosovo e Metohija dopo le guerre balcaniche, continuò dopo il 1918, rappacificando fino ad un certo punto la popolazione etnica albanese colpita dalla povertà, che aveva ricevuto una parte di terre, precedentemente appartenute ai capi turchi. Allo stesso tempo, comunque, assegnando la priorità ai combattenti poveri colonizzati in Kosovo, la riforma agraria incoraggiò anche un conflitto tra i contadini di etnia albanese e i Serbi e Montenegrini stabilitisi lì di recente.

Degli approssimativi 230.000 ettari, di terra arabile e non, destinata per la ripartizione, 50.280, precedentemente posseduti dai proprietari terrieri turchi, furono ridistribuiti a 11.636 famiglie di contadini che avevano la priorità. Circa 180.000 ettari furono distribuiti a 10.394 famiglie insediate in modo sistematico, e a 5.326 famiglie che vennero spontaneamente in cerca di terra e mezzi per guadagnarsi da vivere. Gli abitanti dei nuovi insediamenti ricevettero tanta terra quanta una famiglia era in grado di coltivare e furono esonerati dal pagare le tasse per un periodo da tre a cinque anni. Dapprima furono occupate le aree fertili, poi ci si insediò anche nelle aree di foresta e in quelle difficili da arare.

La popolazione etnica albanese in Iugoslavia ammontava a 439.657 persone nel 1921, 505.259 nel 1931 e si ritiene che abbia raggiunto circa 560.000 persone alla vigilia della seconda guerra mondiale; la maggior parte di esse viveva in Kosovo e Metohija.

ll Comitato del Kosovo, ora di base a Vienna, fu ricreato nel 1939. Uomini ed armi furono portati illegalmente in Kosovo e Metohija dal nord dell'Albania. Ferhat beg Draga progettò di espandere l'Albania fino a Nis e nelle librerie albanesi si vendeva una carta geografica della "vera Albania" che comprendeva Nis, Skoplje, ecc.

Dopo il crollo della Iugoslavia nel 1941, Kosovo e Metohija furono spartiti, l'area più grande fu assegnata alla "Grande Albania" dell'Italia, tre distretti alla Germania e parte del territorio alla Bulgaria. Il modo di amministrare il territorio cambiò parecchie volte durante la guerra, specialmente dopo la resa dell'Italia, ma due processi continuarono costantemente:

Primo: i Serbi stabilitisi nella regione tra le due guerre mondiali furono immediatamente espulsi; i Serbi nativi furono, successivamente, fatti uscire in maniera sistematica con la forza e sostituiti dagli immigranti Albanesi;

Secondo: il numero di organizzazioni che lavoravano al servizio delle forze di occupazione fascista cresceva costantemente. Una milizia albanese fu costituita dagli amministratori italiani, si introdussero da Vienna i rappresentanti del Comitato del Kosovo, si crearono partiti politici e unità militari, inclusa la Lega Nazionale Albanese, il Fronte Nazionale, la Seconda Lega di Prizren, il Partito della Legalità, la Divisione SS Skenderbeg (nella cui prima azione perirono tutti gli Ebrei di Pristina), il Reggimento del Kosovo, il Giuramento Nazionale ecc. Tutte queste formazioni presero parte alla guerra fascista contro il mondo libero e alla pulizia etnica di Kosovo e Metohija dai Serbi, Montenegrini ed altri gruppi etnici non-albanesi. Decine di migliaia di persone cercarono scampo nella Serbia del nord. Allo stesso tempo, il numero di persone di etnia albanese che combattevano contro il fascismo in Kosovo e Metohija era molto più basso di quello di coloro che si univano alle unità fasciste palesi o celate. La dimensione del potenziale umano dei collaborazionisti di etnia albanese si dimostrò nelle loro ribellioni dopo la liberazione di Kosovo e Metohija, cui parteciparono tra i 20.000 e i 30.000 fuorilegge.

 

 

Repubblica di Serbia

 

Dopo che la guerra finì nel 1945, Kosovo e Metohija rimasero all'interno della struttura della Serbia, ma questa volta con uno status che essi non avevano mai avuto prima - quello di regione separata autonoma.

Le autorità Iugoslave proibirono ai Serbi e Montenegrini, espulsi da Kosovo e Metohija durante la guerra, il ritorno alle loro case.

Le stesse decisero di lasciare nella regione gli Albanesi dell'Albania, specialmente del nord, stabiliti là durante la guerra dalle forze di occupazione e dai collaborazionisti. Inoltre, nel 1959, oltre 20 villaggi serbi sulle colline, ai piedi del Monte Kopaonik, furono annessi alla Regione Autonoma di Kosovo e Metohija, cui essi non erano mai appartenuti. Questa procedura, nei primi anni dopo la guerra, diede ai secessionisti di etnia Albanese la speranza di realizzare, nella nuova federazione Iugoslava, i loro vecchi scopi di pulizia di Serbi e Montenegrini in Kosovo e Metohija, mettendo altre comunità etniche sotto la loro autorità e separandosi dalla Repubblica di Serbia e Iugoslavia. Le loro speranze non erano infondate.

La situazione complessiva dopo la seconda guerra mondiale era influenzata anche dalla crescita naturale della popolazione. Il popolo di etnia albanese aveva un altissimo tasso di natalità (il più alto in Europa, terzo nel mondo e più alto, perfino, rispetto all'Albania). Secondo il censimento del 1961, i Serbi e i Montenegrini incidevano per il 27,5 per cento della popolazione di Kosovo e Metohija, scendendo al 14,9 per cento nel 1981 e ad un approssimativo 10 per cento nel 1989. La migrazione di Serbi e Montenegrini dal Kosovo e Metohija e l'esplosione della popolazione tra l'etnia Albanese causarono dei cambiamenti drammatici. Si deve comunque notare che un'alta percentuale di terra rimane in possesso dei Serbi e che essa crescerà dopo la restituzione della terra precedentemente nazionalizzata. Inoltre, la provincia è abitata non solo dalle etnie albanese, serba e montenegrina (come rivendicano i separatisti di etnia albanese), ma anche dalle etnie turca, goranci, cattolica… e da un gruppo che si dichiara egiziano nel censimento.

La nuova Costituzione Iugoslava e la Costituzione Serba, adottate nel 1963, elevarono l'autonomia di Kosovo e Metohija ad un livello ancora più alto di quello di regione: quello di provincia. I separatisti di etnia albanese conclusero che, da questo cambiamento dello status, nella Iugoslavia federale c'erano fattori politici che avrebbero appoggiato una ripresa di pressione sui rimanenti Serbi e Montenegrini e di aggressione sulla Repubblica di Serbia. Dimostrazioni di massa scoppiarono a Pristina, Urosevac, Gnjilane e Podujevo alla fine del 1968, con la richiesta che a Kosovo e Metohija fosse concesso lo status di repubblica, naturalmente al di fuori della Repubblica Serba, uguale alla Serbia e alle altre repubbliche Iugoslave.

La ribellione produsse risultati: lo Statuto di legge generale provinciale suprema fu sostituito da una Legge Costituzionale (a metà strada verso una vera Costituzione) e la provincia non portò più il nome delle due regioni diverse, (geograficamente e storicamente) ma solo il nome di Kosovo, come avevano richiesto i separatisti di etnia albanese.

La Costituzione del 1974 diede alla provincia prerogative quasi identiche a quelle di una repubblica, ed anche più grandi all'interno della Repubblica di Serbia - i cittadini di Kosovo e Metohija partecipavano alla legislazione che interessava le altre parti della Serbia, mentre i cittadini delle altre parti della Serbia non avevano parola per quanto riguardava le leggi dello stesso livello valide per il Kosovo e la Metohija. Alla provincia fu anche data una corrispondente autonomia per quanto concerneva i poteri amministrativo e giudiziario. Solo un passo rimaneva da fare verso la rottura dello stato serbo - una secessione formale del Kosovo.

La situazione si era sviluppata in questa direzione, con gli effetti descritti, durante la presidenza - a vita - di Josip Broz Tito. Un grande numero di persone di etnia albanese proseguì le proprie attività distruttive, ricorrendo ad atti di violenza e banditismo simili a quelli che avevano caratterizzato il periodo precedente il 1946. Un'agitazione di massa si mobilitò tra l'11 marzo e il 30 aprile 1971, accompagnata da ripetute richieste di trasformare il Kosovo in una repubblica e da atti di vandalismo contro i simboli della cultura serba e cristiana. La reazione del comando iugoslavo fu blanda. I separatisti di etnia albanese intensificarono il loro terrore contro la popolazione serba, senza trattenersi da incendi dolosi, saccheggi, torture e assassini, poiché erano convinti, generalmente a ragione, che i loro crimini sarebbero rimasti impuniti. La loro organizzazione fu designata come marxista-leninista, come fu il regime maoista in Albania.

I Serbi e i Montenegrini che erano rimasti nella provincia nonostante la persecuzione durante la guerra erano ora soggetti a nuove pressioni; fu loro negata la protezione dello stato iugoslavo e della repubblica di Serbia, e di conseguenza iniziarono ad abbandonare le loro case alla prima occasione. Dopo le rivolte del 1981, le migrazioni fuori della provincia si intensificarono - circa 50.000 Serbi partirono in poco tempo.

Le autorità dell'etnia albanese in Kosovo e Metohija non tentarono più di nascondere la loro alleanza con i separatisti militanti Albanesi. L'alleanza fu approvata da Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Slovenia, che erano tutte pronte a smembrare non solo la Iugoslavia ma anche la Serbia. Aiuto ed incoraggiamento vennero anche dal campo maoista di Enver Hoxha.

 

Serbo picchiato dalla milizia che vuole ostacolare l'esodo dei Serbi – vittime degli estremisti Albanesi – da Batuse, Kline e Kosovo Polje
(20 giugno 1986)

 

 

Trovandosi sotto una pressione insopportabile, i Serbi ed i Montenegrini cercarono di difendersi con i mezzi legali a loro disposizione, sebbene inutili. Nel gennaio 1986 fu firmata una petizione da 2.000 Serbi e Montenegrini come aperta protesta civile contro il crescente terrorismo e separatismo dell'etnia albanese. Nel febbraio dello stesso anno, un gruppo di Serbi e Montenegrini vennero a Belgrado per la prima volta per esprimere la loro protesta. Le forze democratiche e l'opinione pubblica serba e montenegrina in tutta la nazione diventarono sempre più preoccupate. Come conseguenza di ciò, l'Assemblea serba (parlamento) emendò la Costituzione repubblicana il 28 Marzo 1988, negando alle province il diritto di mettere il veto alle sue decisioni. La provincia del Kosovo fu privata anche di una considerevole parte dei suoi poteri legislativo, giudiziario ed amministrativo che erano le prerogative delle istituzioni repubblicane nelle altre repubbliche.

 

Porta della cattedrale di Prizren: le croci sono state imbrattate con escrementi umani da albanesi musulmani estremisti (1988)

 

Tra il 24 gennaio ed il 3 febbraio 1990, i separatisti di etnia albanese organizzarono violente dimostrazioni con la partecipazione di circa 100.000 persone. Le unità militari furono schierate nelle strade, e ciò ebbe come conseguenza una serie di scontri in cui morirono 27 persone.

Dopo di ciò, la Presidenza SFRJ attivò l'esercito da un capo all'altro di Kosovo e Metohija e impose il coprifuoco. Nel marzo 1990, i separatisti inscenarono una farsa con i mezzi di comunicazione su un presunto caso di avvelenamento di bambini di etnia albanese. Le immagini registrate su pellicola in quella occasione servirono più tardi come modello per futuri complotti dei mezzi di comunicazione progettati per screditare i Serbi e la Serbia.

Il referendum tenuto nel luglio 1990 in Serbia si concluse con la decisione di passare a una nuova Costituzione repubblicana e tenere delle elezioni multi-partitiche. I precedenti delegati di etnia albanese dell'Assemblea del Kosovo reagirono immediatamente emanando la cosiddetta dichiarazione d'indipendenza del Kosovo. Il 5 luglio 1990 l'Assemblea serba sciolse l'Assemblea e i Consiglio Esecutivo della Provincia Autonoma del Kosovo a causa dell'illegalità dell'assemblea.

Il 7 settembre 1990, a Kacanik, i separatisti di etnia albanese adottarono una costituzione proclamando la cosiddetta "Repubblica Indipendente del Kosovo". Il 28 settembre 1990 si adottò una nuova Costituzione della Repubblica di Serbia, che definiva la Serbia come stato democratico di tutti i suoi cittadini e negava la condizione di stato alle province, che furono di conseguenza trasformate in territori autonomi.

Dopo che la Repubblica Federale Socialista di Iugoslavia cessò di esistere e che fu costituita la Repubblica Federale di Iugoslavia, la situazione in Kosovo e Metohija fu caratterizzata per parecchi anni da una dualità di governo. Durante il 1998, i terroristi di etnia Albanese addestrati e armati in Albania e infiltrati in Kosovo e Metohija iniziarono una guerra. La ribellione del sedicente "Esercito per la liberazione del Kosovo" fu schiacciata nell'autunno del 1998 e le autorità Serbe e Iugoslave acconsentirono alla richiesta della comunità internazionale di negoziare con i rappresentanti dei separatisti di etnia Albanese. Per sistemare la situazione in Kosovo e Metohija fu costituito un Consiglio Esecutivo Provvisorio che comprendeva rappresentanti di tutte le comunità etniche.

Si deve notare, infine, che il Kosovo e la Metohija hanno ricevuto, dopo la seconda guerra mondiale, un generoso aiuto economico da Iugoslavia e Serbia, prevalentemente dai Serbi che erano la nazione più numerosa in Iugoslavia e la maggioranza all'interno della Serbia. Grazie a questi sussidi, Kosovo e Metohija sono stati aiutati ad uscire dal sottosviluppo; hanno ricevuto, inoltre, sistemi di educazione e sanità relativamente sviluppati, una completa autonomia culturale e prospettive indubbiamente buone. Per esempio, oggi (1999) in Kosovo e Metohija si pubblicano 65 quotidiani e periodici in lingua albanese, più che in qualsiasi altra regione di simili dimensioni in Serbia. In ogni caso, gli Albanesi etnici in Kosovo e Metohija sono vissuti incomparabilmente meglio degli Albanesi in Albania. Anche oggi, essi costituiscono la parte più emancipata del popolo albanese.

 

(traduzione di Daniela Bonato)