Dal
cofanetto dorato della nostra infanzia saltava fuori
a volte un gatto meraviglioso.
Compagno delle fate e degli gnomi nell'eterna foresta
delle fiabe… musicista o con gli stivali, genio o coscienza,
è il beniamino dei bambini!
C'era
una volta… Esopo, scrittore greco vissuto circa 2.500
anni fa, autore di favole i cui protagonisti sono
animali. E tra questi non poteva mancare il gatto,
ricco com'è di sfaccettature caratteriali.
Esopo non scrisse favole per bambini; il suo era un
pubblico adulto e la favola consentiva, servendosi
della metamorfosi, di divulgare idee e di fare considerazioni
che non potevano essere espresse esplicitamente e
liberamente. Utilizzando come personaggi gli "animali"
si potevano quindi delineare "caratteri" umani, descrivendo
ambienti e situazioni che potevano essere ridicolizzati,
criticati e contestati. Tutte le favole esopiane contengono
un messaggio ed una morale di fondo che si coglie
attraverso la lettura di tutto il racconto. In una
delle più belle favole scritte da Esopo si
narra di una gattina pazzamente innamorata di un bel
principe che non si dà pace e si dispera per
questo suo amore evidentemente irrealizzabile, finché,
un bel giorno, una fata, impietosita dalle sue lacrime,
non la muta in una bellissima fanciulla dai capelli
d'oro. Il principe, vedendola, se ne innamora e la
vuole sposare. Ma in una notte di luna piena, mentre
gli sposi riposano felici, ecco che un topo appare
all'improvviso nella stanza: nonostante le sembianze,
l'istinto prevale: la gattina imprudente scende la
letto e… zac! In un sol balzo uccide il topo. Il topo
acciuffato è però una magra consolazione,
visto che in questo modo la gattina viene smascherata.
Ah, poveri quelli che realizzano i propri scopi attraverso
l'inganno… e poveri i gatti che vengono sempre scelti
per rappresentare l'inganno e i tradimenti! Dovranno
farne di strada i nostri amici prima di riuscire a
convincere l'umanità a non considerarli solamente
"traditori".
Fedro nel I secolo d.C. riprese la tradizione favolistica
di Esopo e scrisse ben cinque libri di favole, molte
delle quali sono direttamente tratte da quelle del
suo predecessore: scorrendo i titoli, ci accorgiamo
che molte di queste hanno come protagonista il gatto.
La tradizione favolistica continua nel Medio Evo,
sul modello di Esopo e Fedro, sotto forma di bestiari
e di epopee animalistiche.
La favola, come genere originale, ritorna nel Cinquecento
(in Italia con l'Ariosto, il Firenzuola, il doni,
lo Straparola) e più ancora nel Seicento (Basile
in Italia), grazie soprattutto al genio di La Fontaine.
Nei dodici volumi di favole di questo grande favolista
francese, il gatto trova largo spazio. Per citarne
alcune: Il Gatto e un vecchio ratto; Il Gatto,
la donnola e il coniglietto; Il Gatto e i due passeri;
Il Gatto e la volpe; Il Gatto e il topo… e molte
altre.
Ma
il gatto più astuto e più abile
è senza dubbio quello "con gli stivali"
creato dalla fantasia di Charles Perrault nel
1680, ma già presente nelle favole di
Straparola e di Basile. E' in questa favola
che vengono descritte le doti peculiari ed innegabili
del gatto: l'astuzia, la lucidità mentale,
la velocità di azione, lo sfruttamento
adeguato di ogni situazione per portare a buon
fine il suo obiettivo, che oltretutto è
nobile. Il "Gatto con gli stivali" è
l'unica eredità del figlio più
piccolo di un mugnaio. Grazie alle sue doti
naturali, questo gatto farà del suo padroncino
un uomo ricco e nobile (il marchese di Carabas)
e lo aiuterà a diventare addirittura
genero del re. Nonostante l'umanizzazione del
protagonista, in cui persino l'abbigliamento
è quello di un uomo alla moda, il gatto
non perde la propria identità "felina"
e vi sono momenti in cui va a caccia di topi
nei granai, altri in cui diventa minaccioso,
per esempio quando si sente il più forte,
e altri ancora in cui fugge, come quando incontra
l'orco leone, come farebbe un vero gatto! Anche
in tempi moderni la morale è un punto
fondamentale delle favole ed in questa si dice:
"Fortunato chi si piglia per diritto di famiglia
una pingue eredità. Più felice
e più contento chi coll'opra e con talento
ricco e grande si farà!"
Stranamente nelle favole dei fratelli Grimm e di Andersen,
il gatto occupa un ruolo modesto e non diviene personaggio
popolare e di fama.
Sempre nell'Ottocento, nella benpensante Inghilterra
vittoriana anche il povero gatto si trova invischiato
in una parte quanto mai falsa e ridicola: quella dell'istitutore
cui è affidata, tramite storielle insulse,
l'educazione e l'edificazione morale di fanciulle
e giovinette. In queste favole, le micie rappresentano
a mo' di esempio edificante quelle virtù femminil-domestiche
che venivano richieste alle mogli ed alle madri di
puro stampo vittoriano.
"Spiegel fa un affare" è una favola
di lingua tedesca, del 1850, firmata dallo scrittore
svizzero Gottfried Keller. Narra di un gatto, Spiegel
(Spiegel, infatti, significa specchio), che deve il
suo nome al proprio pelo, lucente come uno specchio.
Il suo destino diviene misero alla morte della vecchia
padrona. Si sa che la necessità aguzza l'ingegno
e così, magro e affamato com'è, Spiegel
non può far altro che stringere un patto "mefistofelico"
con lo stregone Mastro Pineiss. In cambio di un vitto
succulento per tre mesi, promette al mago di cedergli
alla scadenza pattuita il suo grasso, che servirà
da prezioso ingrediente per incantesimi. Chiaramente
Spiegel, da buon gatto, impiega i tre mesi di vitto
gratuito per inventare un modo per salvarsi la pelle
(e il grasso, naturalmente!) e, allo scadere del patto,
svela al mago il nascondiglio di un favoloso tesoro,
dote di una bellissima principessa per l'atteso principe
azzurro che, altri non è, a detta del gatto
ovviamente, che il mago Pineiss in persona. Questi
dunque ringrazia il gatto e lo lascia libero, ma nel
talamo nuziale la bellissima principessa si rivela
un'orribile megera, degna moglie di un crudele, ma
ingenuo e poco furbo, stregone. Inutile dire che Spiegel
se la spassò per molto tempo con la pancia
piena! L'insegnamento della favole si tradusse in
Austria nel detto "Poveraccio, credeva di aver comprato
il grasso del suo gatto!", che si usa tuttora quando
qualcuno crede di aver fatto un buon affare e rimane
invece gabbato.
Anche come personaggio secondario il gatto riesce
ad essere importante come in "Alice nel paese delle
meraviglie" di Lewis Carrol (1865). Chesire Puss
,
il gatto di Cheshire (lo Stregatto, nella versione
italiana), tigrato, paffuto e sghignazzante, diviene
infatti uno dei personaggi più amati e popolari
di questa incredibile favola. Sarà perché
viene descritto come un brillante cabarettista, che
tra un atto di illusionismo e l'altro esordisce
con battute e scherzi degni del più puro nonsense
inglese. Simpatico e burlone, ad Alice che educatamente
chiede: "Quale strada devo prendere, per favore?",
giustamente risponde: "Dipende in genere da dove si
vuole andare!". O forse la sua popolarità è
dovuta alla sua logica ed al suo humour sottile come
quando spiega ad Alice perché i gatti sono
pazzi. Sostiene infatti lo Stregatto che, poiché
i cani, notoriamente saggi, muovono la coda quando
sono contenti mentre i gatti lo fanno quando sono
arrabbiati, questi ultimi sono senz'altro pazzi.
Il più sincero nel rappresentare il gatto "com'è
e per quello che è" è però certamente
il nostro Collodi, che per primo descrive il gatto
rispettandone la vera natura senza volerne arricchire
la personalità con virtù e vizi umani.
Degno di rispetto è dunque il povero, malandato,
sporco, lacero e affamato gatto di Pinocchio, un vero
gatto randagio che si barcamena come può, lontano
dal conforto di una casa, senza cibo assicurato, senza
carezze e comodi cuscini. La sua vita è piena
di insidie, la strada è dura, fatta di imbrogli,
di mezzucci, di cattive compagnie. Collodi però
se ne serve per descrivere la corruzione e la tentazione
al male di giovani sventati e senza cervello e anche
in questa occasione, ahimè povero gatto, finisce
per essere di nuovo etichettato come vile, ipocrita,
truffatore, bugiardo e traditore come vuole la più
antica tradizione.
Un altro povero gatto, nero per giunta, è Black
Cat di Edgar Allan Poe. Questo però si fa interprete
della giustizia divina quando, sepolto vivo inavvertitamente
assieme al cadavere della moglie di un vecchio ubriacone
assassino, rivela ai poliziotti la precisa ubicazione
della prova del reato commesso, che altrimenti sarebbe
rimasto impunito. Nei racconti popolari che non hanno raggiunto
la celebrità, trovano spazio numerose ed interessanti
vicende aventi naturalmente come protagonista il gatto.
Gatti amici fedeli delle streghe come in "Jorinda
e Joringel", in cui la fata cattiva Carbosse assume
l'aspetto ora di un gufo, ora di un gatto, o come
in una antichissima leggenda indiana che narra le
vicende di Patripan, in cui nonostante si dica che
egli "è il più virtuoso di tutti i gatti,
l'unico che sia salito in cielo" si finisce poi per
dubitare che il suo cuore sia davvero puro quanto
il suo setoso e candido pelo di gatto d'Angora. Il
candido Patripan possiede in realtà un harem
di 365 gattine, è capriccioso ed assiste ai
giochi erotici della corte di Salmgam, è vanitoso
ed esigente quanto mai nelle sue richieste agli dei
di costosissimi regali, tanto da imporre la censura
sui piccanti dettagli delle sue vicende.
Il gatto si riscatta in Russia, dove invece è
amato e non tacciato di essere un traditore: e come
si potrebbe definirlo tale quando si comporta come
nel "Il Gatto della Baba Yaga", in cui proprio
il gatto della strega aiuta una fanciulla a sfuggire
alla strega stessa che la teneva prigioniera, ricordando
quanto ella si era dimostrata gentile e premurosa
con lui?
Questa
pagina è stata liberamente tratta da "Grande
Enciclopedia del Gatto" - De Agostini - volume 2°.