SAGGIO SULLA FOTOGRAFIA

di Stefania Odoni


Mi sono sempre chiesta quanto la genetica abbia a che fare veramente col carattere di una persona, la sua personalità, i gusti, le sue passioni terrene. Ormai, dopo anni di soggiorno sulla terra, questa enorme sfera in movimento, ho trovato anche la risposta alla mia domanda. Tutto o quasi (lasciamo sempre almeno un 1%di dubbio, come si addice allo scienziato e al credente!) sta scritto nei nostri geni. Ed è nostro il compito e la libertà di far germogliare questi piccoli semini del DNA in frutti maturi e saporiti. Siamo noi i responsabili dello sviluppo delle nostre capacità e il nostro talento, logicamente con l’aiuto di tutto ciò che è esterno a noi e ci circonda, e con cui ogni giorno, dalla nostra nascita alla morte, interagiamo in continuo movimento…proprio come la terra in cui viviamo. Così ho scoperto le mie passioni, le mie predilezioni, ciò che amo fare e che faccio con amore. Per sviluppare le nostre capacità, conoscere i nostri talenti, occorre lo studio, la ricerca, la sete di conoscenza, che dovrebbe accompagnare ogni persona nella sua vita. In questo percorso scoperta e presa di coscienza, mi sono avvicinata alla musica, alla pittura e letteratura, fino alla modernissima fotografia.

Fotografare, una passione nuova, è oggi l’hobby di milioni di individui, ancor più in questo XXI secolo consacrato all’immagine. Questo interesse per la fotografia l’ho ereditato da mio padre, pittore in gioventù, che possiede almeno quattro bellissimi esemplari di macchine fotografiche, analogiche e digitali, delle marche più sofisticate. E ogni momento libero di gioie familiari, di riflessione e nuovi viaggi di scoperta, si diletta ad immortalare il mondo e la vita in ogni sua forma. “Fotografia” significa “scrittura con la luce” (dal greco: phos e graphis), non è altro che l’immagine di un oggetto che viene fissata, attraverso proiezione ottica, su di un supporto sensibile alla luce. Per cui è grazie agli studi nell’ambito dell’ottica, con lo sviluppo della camera oscura, e della chimica, con lo studio delle sostanze fotosensibili, che nasce la fotografia. Fu verso la fine del XVIII, quando l’inglese Thomas Wedgwood, figlio di una ceramista, sperimentò l’uso del nitrato d’argento sul fondo di recipienti ceramici. Dopo aver immerso al loro interno fogli di carta, su cui depose degli oggetti, li espose alla luce. Così si accorse che dove la luce colpiva il foglio, la sostanza si anneriva, mentre le parti del foglio coperte dagli oggetti restavano bianche.

Da allora fino ad oggi, nell’arco di tre secoli, la tecnica della fotografia si è evoluta e perfezionata, fino ad arrivare alla creazione di macchine fotografiche piccole e veloci, per soddisfare le esigenze più diverse. La pittura e la scultura, le due forme più antiche di espressione e riproduzione della realtà, non sono più sufficienti a descrivere la natura, le passioni umane, gli stati d’animo, le esperienze e vicende di ognuno di noi. Vi siete mai chiesti se il Bacio di Hayez avrebbe avuto lo stesso successo nel caso in cui fosse stato catturato dallo scatto di una macchina fotografica invece che dai pennelli delicati immersi nei colori ad olio del grande pittore? Beh, la risposta a questa domanda ve la do io: sì. Perché il compito della fotografia è proprio questo, cogliere quell’attimo magico che ha colpito i nostri sensi e riportarlo, in pochissimi secondi, sulla pellicola. O sulla memoria di una foto camera digitale. Ogni fotografia rappresenta un momento di vita, unico e irripetibile, perché limitato a livello spaziale e temporale. Ma quell’immagine ci consente di rivivere quel momento, vissuto ieri o tanti anni fa, provando sentimenti di gioia o di dolore, richiamando alla mente quei ricordi.

Per questo in ogni occasione, triste o felice, durante i miei viaggi, brevi o lunghi che siano, la macchina fotografica mi accompagna sempre. La città, la natura nei suoi molteplici aspetti, la gente che cammina, parla, lavora, ride o piange, le abitazioni e gli hotel, dove stabilisco la mia dimora temporanea, sono i soggetti preferiti dei miei scatti. I colori, l’atmosfera, la luce e il buio sono sempre là dentro, nelle mie fotografie, sotto forme diverse, cariche di significato. L’ultimo bellissimo viaggio da me fatto, breve ma indimenticabile, è stato a Venezia. Hotel “Città di Milano”, nascosto, quasi sepolto nel cuore della città, piccolo, caldo e accogliente. Lo specchio della città stessa, piena di viuzze, vicoli stretti stretti, calli. Ho camminato a lungo attraverso i labirinti di Venezia per trovare questo hotel. Dopo aver chiesto informazioni almeno cinque volte, eccomi davanti all’entrata. Una porticina piccola, di vetro, con sopra un cartello attaccato ad un tubo giallo: “Hotel città di Milano”.

“Dove sono finita?” mi sono chiesta subito, senza fare nessuna fotografia. Ma al suo interno la sorpresa più bella. Un tappeto rosso rubino mi ha accolto al mio arrivo insieme ad una bellissima ragazza, gentile e disponibile. L’arredamento era in stile veneziano, alle pareti bellissimi quadri dell’800. L’atmosfera veneziana, il clima familiare e italiano. La camera era spaziosa, dai colori caldi rosso porpora, giallo e oro, con una piccola finestra incorniciata da eleganti tende damascate e vista sulla piazzetta San Zulian. Da quella finestra entravano spesso i buoni profumi della deliziosa cucina veneziana, insieme al ciarlare in dialetto veneto delle siore (signore) delle finestre di rimpetto alla mia.

Quei profumi, quei suoni, insieme ai colori di Venezia, il mare calmo, le gondole eleganti e i gondolieri a strisce bianche e blu, così come la bellezza delle sue chiese e dei bellissimi palazzi barocchi, tutta Venezia torna alla mia mente, tutta insieme, guardando la fotografia della porticina d’entrata dell’Hotel Città di Milano, fotografia che mi sono affrettata a fare prima di lasciare l’incantevole città galleggiante sul mare.


Hotel