REDEMPTORIS CUSTOS
Esortazione
Apostolica di Giovanni Paolo II
sulla figura e la
missione di San Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa
INTRODUZIONE
1.
Chiamato ad essere il CUSTODE DEL REDENTORE, «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e
prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24).
Ispirandosi
al Vangelo, i Padri della Chiesa fin dai primi secoli hanno sottolineato
che san Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con
gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo (1), così custodisce e
protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è
figura e modello.
Nel
centenario della pubblicazione dell’Epistola Enciclica Quamquam pluries di papa Leone
XIII (2) e nel solco della plurisecolare venerazione per san Giuseppe,
desidero offrire alla vostra considerazione, cari Fratelli e Sorelle,
alcune riflessioni su colui al quale Dio «affidò la custodia dei suoi
tesori più preziosi» (3). Con gioia compio questo dovere pastorale,
perché crescano in tutti la devozione al Patrono della Chiesa universale
e l’amore al Redentore, che egli esemplarmente servì.
In tal
modo l’intero popolo cristiano non solo ricorrerà con maggior fervore a
san Giuseppe e invocherà fiduciosamente il suo patrocinio, ma terrà
sempre dinanzi agli occhi il suo umile, maturo modo di servire e di
«partecipare» all’economia della salvezza (4).
Ritengo,
infatti, che il riconsiderare la partecipazione dello Sposo di Maria al
riguardo consentirà alla Chiesa, in cammino verso il futuro insieme con
tutta l’umanità, di ritrovare continuamente la propria identità
nell’ambito di tale disegno redentivo, che ha il suo fondamento nel mistero dell'Incarnazione.
Proprio
a questo mistero Giuseppe di Nazareth «partecipò» come nessun’altra
persona umana, ad eccezione di Maria, la Madre del Verbo Incarnato. Egli
vi partecipò insieme con lei, coinvolto nella realtà dello stesso evento
salvifico, e fu depositario dello stesso amore, per la cui potenza
l’eterno Padre «ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per
opera di Gesù Cristo» (Ef 1,5).
IL Quadro EVANGELICO
Il matrimonio con Maria
2.
«Giuseppe, figlio di Davide, non
temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è
generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu
lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20-21).
In
queste parole è racchiuso il nucleo centrale della verità biblica su san
Giuseppe, il momento della sua esistenza a cui in particolare si
riferiscono i Padri della Chiesa.
L’evangelista
Matteo spiega il significato di questo momento, delineando anche come
Giuseppe lo ha vissuto. Tuttavia, per comprenderne pienamente il
contenuto ed il contesto, è importante tener presente il passo parallelo
del Vangelo di Luca. Infatti,
riferendoci al versetto che dice: «Ecco come avvenne la nascita di Gesù
Cristo: sua madre Maria, essendo
promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello
Spirito Santo» (Mt 1,18),
l’origine' della gravidanza di Maria «per opera dello Spirito Santo»
trova una descrizione più ampia ed esplicita in quel che leggiamo in Luca circa l’annunciazione della nascita di
Gesù: «L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della
Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo
della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc l, 26-27). Le parole
dell’angelo: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28), provocarono un
turbamento interiore in Maria ed insieme la spinsero a riflettere. Allora
il messaggero tranquillizza la Vergine ed al tempo stesso le rivela lo
speciale disegno di Dio a suo riguardo: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco,
concepirai e partorirai un figlio, e lo chiamerai Gesù. Egli sarà
grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono
di Davide suo padre» (Lc 1,30-32).
L’evangelista
aveva poco prima affermato che, al momento dell’annunciazione, Maria era
«promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe». La
natura di queste «nozze» viene
spiegata indirettamente, quando Maria, dopo aver udito ciò che il
messaggero aveva detto della nascita del figlio, chiede: «Come avverrà
questo? Non conosco uomo» (Lc 1,34).
Allora le giunge questa risposta: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su
di te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà
sarà dunque santo e chiamato figlio di Dio» (Lc 1,35). Maria, anche se già «sposata» con Giuseppe,
rimarrà vergine, perché il bambino, concepito in lei sin
dall’annunciazione, era concepito per opera dello Spirito Santo.
A
questo punto il testo di Luca coincide con quello di Mt 1,18 e serve a spiegare ciò che in esso leggiamo. Se, dopo
le nozze con Giuseppe, Maria «si trovò incinta per opera dello Spirito
Santo», questo fatto corrisponde a tutto il contenuto dell’annunciazione
e, in particolare, alle ultime parole pronunciate da Maria: «Avvenga di me quello che hai detto»
(Lc 1,38). Rispondendo al chiaro disegno di Dio, Maria col
trascorrere dei giorni e delle settimane si rivela davanti alla gente e
davanti a Giuseppe come «incinta», come colei che deve partorire e porta
in sé il mistero della maternità.
3. In
queste circostanze «Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva
ripudiarla, decise di licenziarla
in segreto» (Mt 1,19). Egli non sapeva come comportarsi di fronte
alla «mirabile» maternità di Maria. Certamente cercava una risposta
all’inquietante interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita
da quella situazione per lui difficile. «Mentre dunque stava
pensando a queste cose, gli apparve in sogno un angelo del Signore e
gli disse: “Giuseppe, figlio di
Davide, non temere di prendere con
te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo
Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù: egli
infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” » (Mt 1,20-21).
Esiste
una stretta analogia tra l’«annunciazione» del testo di Matteo e quella
del testo di Luca. Il messaggero
divino introduce Giuseppe nel mistero della maternità di Maria. Colei
che secondo la legge è la sua «sposa», rimanendo vergine, è divenuta
madre in virtù dello Spirito Santo. E quando il Figlio, portato in grembo
da Maria, verrà al mondo, dovrà ricevere il nome di Gesù. Era, questo, un
nome conosciuto tra gli Israeliti ed a volte veniva dato ai figli. In
questo caso, però, si tratta del
Figlio che – secondo la promessa divina – adempirà in pieno il significato di questo nome: Gesù - Yehossuà,
che significa: Dio salva.
Il messaggero si rivolge a
Giuseppe come allo «sposo di Maria», a colui che a suo tempo dovrà
imporre tale nome al Figlio che nascerà dalla Vergine di Nazareth, a lui
sposata. Si rivolge, dunque, a Giuseppe affidandogli i compiti di un
padre terreno nei riguardi del Figlio di Maria.
«Destatosi
dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). Egli la prese in tutto
il mistero della sua maternità, la prese insieme col Figlio che sarebbe
venuto al mondo per opera dello Spirito Santo: dimostrò in tal modo una
disponibilità di volontà, simile a quella di Maria, in ordine a ciò
che Dio gli 'chiedeva per mezzo del suo messaggero.
II
IL DEPOSITARIO DEL MISTERO DI DIO
4.
Quando Maria, poco dopo l’annunciazione, si recò nella casa di Zaccaria
per visitare la parente Elisabetta, udì, proprio mentre la salutava, le
parole pronunciate da Elisabetta «pieno di Spirito Santo» (cfr. Lc 1,41). Oltre alle parole che si
ricollegavano al saluto dell’angelo nell’annunciazione, Elisabetta disse:
«E beata colei che ha creduto
nell’adempimento 4elle parole del Signore» (Lc 1,45). Queste parole
sono state il pensiero-guida dell’enciclica Redemptoris Mater, con la quale ho inteso approfondire
l’insegnamento del Concilio Vaticano II che afferma: «La beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e
serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla Croce» (5), «andando
innanzi» (6) a tutti coloro che mediante la fede seguono Cristo.
Ora,
all’inizio di questa peregrinazione la
fede di Maria si incontra con la fede di Giuseppe. Se Elisabetta
disse della Madre del Redentore: «Beata colei che ha creduto», si può in
un certo senso riferire questa beatitudine anche a Giuseppe, perché
rispose affermativamente alla parola di Dio, quando gli fu trasmessa in
quel momento decisivo. Per la verità, Giuseppe non rispose all’
«annuncio» dell’angelo come Maria, ma «fece
come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua
sposa». Ciò che egli fece è
purissima «obbedienza della fede» (cfr. Rm 1,5; 16,26; 2 Cor 10,5-6).
Si può
dire che quello che Giuseppe fece lo
unì in modo del tutto speciale alla fede di Maria: egli accettò come verità proveniente da Dio ciò che ella aveva già accettato nell’annunciazione.
Il Concilio insegna: «A Dio che rivela è dovuta “l’obbedienza della
fede”, per la quale l’uomo si abbandona totalmente e liberamente a Dio,
presentandogli “il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà” e
assentendo volontariamente alla rivelazione da lui fatta» (7). La frase sopracitata, che tocca
l’essenza stessa della fede, si
applica perfettamente a Giuseppe di Nazareth.
5.
Egli, pertanto, divenne un
singolare depositario del mistero «nascosto da secoli nella mente di
Dio» (cfr. Ef 3,9), come lo
divenne Maria, in quel momento decisivo che dall’Apostolo è chiamato «la pienezza del tempo», allorché
«Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» per «riscattare coloro che erano
sotto la legge» perché «ricevessero l’adozione a figli » (cfr. Gal 4,4-5) «Piacque a Dio –
insegna il Concilio – nella sua bontà e sapienza di rivelare se stesso e
manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo,
Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi
partecipi della divina natura (cfr. Ef
2,18; 2 Pt 1,4)» (8).
Di questo mistero divino Giuseppe è
insieme con Maria il primo depositario. Insieme con Maria – ed anche
in relazione a Maria – egli
partecipa a questa fase culminante dell’autorivelazione di Dio in Cristo,
e vi partecipa sin da primo inizio. Tenendo sotto gli occhi il testo
di entrambi gli evangelisti Matteo e Luca, si può anche dire che Giuseppe
è il primo a partecipare alla fede
della Madre di Dio, e che, così facendo, sostiene la sua sposa nella
fede della divina annunciazione. Egli è anche colui che è posto per primo
da Dio sulla via della «peregrinazione della fede», sulla quale Maria –
soprattutto dal tempo del Calvario e della Pentecoste – andrà innanzi in
modo perfetto (9).
6. La
vita propria di Giuseppe, la sua
peregrinazione della fede si concluderà prima, cioè prima che Maria
sosti ai piedi della Croce sul Golgota e prima che ella – ritornato
Cristo al Padre – si ritrovi nel Cenacolo della Pentecoste nel giorno
della manifestazione al mondo della Chiesa, nata nella potenza dello
Spirito di verità.
Tuttavia,
la via della fede di Giuseppe segue
la stessa direzione, rimane totalmente determinata dallo stesso
mistero, del quale egli insieme con Maria era divenuto il primo
depositario. L’incarnazione e la redenzione costituiscono un’unità
organica ed indissolubile, in cui l’«economia della rivelazione avviene
con eventi e parole intimamente connessi tra loro» (10). Proprio per
questa unità papa Giovanni XXIII, che nutriva una grande devozione per
san Giuseppe, stabilì che nel Canone romano della Messa, memoriale
perpetuo della redenzione, fosse inserito il suo nome accanto a quello di
Maria, e prima degli Apostoli, dei Sommi Pontefici e dei Martiri (11).
Il servizio della paternità
7. Come
si deduce dai testi evangelici, il matrimonio con Maria è il fondamento
giuridico della paternità di Giuseppe. È per assicurare la protezione
paterna a Gesù che Dio sceglie Giuseppe — una relazione che lo colloca il
più vicino possibile a Cristo, termine di ogni elezione e predestinazione
(cfr. Rm 8,28-29) – passa
attraverso il matrimonio con Maria, cioè attraverso la famiglia.
Gli
evangelisti, pur affermando chiaramente che Gesù è stato concepito per
opera dello Spirito Santo e che in quel matrimonio è stata conservata la
verginità (cfr. Mt 1,18-25; Lc I, 26-38), chiamano Giuseppe
sposo di Maria e Maria sposa di Giuseppe (cfr. Mt 1,16; 18-20. 24; Lc 1,27;
2,5).
Ed
anche per la Chiesa, se è importante professare il concepimento verginale di Gesù, non è meno importante
difendere il matrimonio di Maria
con Giuseppe, perché giuridicamente è da esso che dipende la
paternità di Giuseppe. Di qui si comprende perché le generazioni sono
state elencate secondo la genealogia di Giuseppe. «Perché – si chiede
sant’Agostino – non lo dovevano essere attraverso Giuseppe? Non era forse
Giuseppe il marito di Maria? (...) La Scrittura afferma, per mezzo
dell’autorità angelica, che egli era il marito. Non temere, dice, di
prendere con te Maria come tua sposa, perché quel che è generato in lei
viene dallo Spirito Santo. Gli viene ordinato di imporre il nome al
bambino, benché non nato dal suo seme. Ella, dice, partorirà
un figlio, e tu lo chiamerai Gesù. La Scrittura sa che Gesù non è
nato dal seme di Giuseppe, poiché a lui preoccupato circa l’origine della
gravidanza di lei è detto: viene
dallo Spirito Santo. E tuttavia non gli viene tolta l’autorità
paterna, dal momento che gli è ordinato di imporre il nome al bambino.
Infine anche la stessa Vergine Maria, ben consapevole di non aver
concepito Cristo dall’unione coniugale con lui, lo chiama tuttavia padre di Cristo» (12).
Il figlio di Maria è anche figlio di Giuseppe in forza del
vincolo matrimoniale che li unisce: «A motivo di quel matrimonio fedele
meritarono entrambi di essere
chiamati genitori di Cristo, non solo quella madre, ma anche quel suo
padre, allo stesso modo che era coniuge di sua madre, entrambi per mezzo della mente, non
della carne» (13). In tale matrimonio non mancò nessuno dei requisiti che
lo costituiscono: «In quei genitori di Cristo si sono realizzati tutti i
beni delle nozze: la prole, la fedeltà, il sacramento. Conosciamo la prole, che è lo stesso Signore
Gesù; la fedeltà, perché non
c’è nessun adulterio; il sacramento,
perché non c’è nessun divorzio» (14).
Analizzando
la natura del matrimonio, sia sant’Agostino che san Tommaso la collocano
costantemente nell’«indivisibile unione degli animi», nell’«unione dei
cuori», nel «consenso» (15), elementi che in quel matrimonio si sono
manifestati in modo esemplare. Nel momento culminante della storia della
salvezza, quando Dio rivela il suo amore per l’umanità mediante il dono
del Verbo, è proprio il matrimonio
di Maria e Giuseppe che realizza in piena «libertà» il «dono sponsale
di sé» nell’accogliere ed esprimere un tale amore (16). «In questa grande
impresa del rinnovamento di tutte le cose in Cristo, il matrimonio,
anch’esso purificato e rinnovato, diviene una realtà nuova, un sacramento
della nuova Alleanza. Ed ecco che alle soglie del Nuovo Testamento, come
già all’inizio dell’Antico, c’è una coppia. Ma, mentre quella di Adamo ed
Eva era stata sorgente del male che ha inondato il mondo, quella di
Giuseppe e di Maria costituisce il vertice, dal quale la santità si
espande su tutta la terra. Il Salvatore ha iniziato l’opera della
salvezza con quella unione verginale e santa, nella quale si manifesta la
sua onnipotente volontà di purificare
e santificare la famiglia, questo santuario dell’amore e questa culla
della vita» (17).
Quanti
insegnamenti da ciò derivano oggi per la famiglia! Poiché «l’essenza ed i
compiti della famiglia sono ultimamente definiti dall’amore» e «la
famiglia riceve la missione di
custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale
partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo
Signore per la Chiesa sua sposa» (18), è nella santa Famiglia, in questa
originaria «Chiesa domestica» (19) che tutte le famiglie cristiane
debbono rispecchiarsi. In essa, infatti, «per un misterioso disegno di
Dio è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa, dunque, è
il prototipo e l’esempio di tutte le famiglie cristiane» (20).
8. San
Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la
missione di Gesù mediante
l’esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera
nella pienezza dei tempi al grande mistero della redenzione ed è
veramente «ministro della salvezza» (21). La sua paternità si è espressa
concretamente «nell’aver fatto della sua vita un servizio, un sacrificio
al mistero dell’incarnazione e alla missione redentrice che vi è
congiunta; nell’aver usato dell’autorità legale, che a lui spettava sulla
sacra Famiglia, per farle totale dono di sé, della sua vita, del suo
lavoro; nell’aver convertito la sua umana vocazione all’amore domestico
nella sovrumana oblazione di sé, del suo cuore e di ogni capacità,
nell’amore posto a servizio del Messia germinato nella sua casa» (22).
La
liturgia, ricordando che sono stati affidati «alla premurosa custodia di
san Giuseppe gli inizi della nostra redenzione» (23), precisa anche che
«Dio lo ha messo a capo della sua famiglia, come servo fedele e prudente,
affinché custodisse come padre il suo Figlio unigenito» (24). Leone XIII
sottolinea la sublimità di questa missione: «Egli tra tutti si impone
nella sua augusta dignità, perché per divina disposizione fu custode e,
nell’opinione degli uomini, padre del Figlio di Dio. Donde conseguiva che
il Verbo di Dio fosse sottomesso a Giuseppe, gli obbedisse e gli
prestasse quell’onore e quella riverenza che i figli debbono al loro padre»
(25).
Poiché
non è concepibile che a un compito così sublime non corrispondano le
qualità richieste per svolgerlo adeguatamente, bisogna riconoscere che
Giuseppe ebbe verso Gesù «per speciale dono del Cielo, tutto quell’amore
naturale, tutta quell’affettuosa sollecitudine che il cuore di un padre
possa conoscere» (26).
Con la
potestà paterna su Gesù, Dio ha anche partecipato a Giuseppe l’amore
corrispondente, quell’amore che ha la sua sorgente nel Padre, «dal quale
prende nome ogni paternità nei cieli e sulla terra» (Ef 3,15).
Nei
Vangeli è presentato chiaramente il compito paterno di Giuseppe verso
Gesù. Difatti, la salvezza, che passa attraverso l’umanità di Gesù, si
realizza nei gesti che rientrano nella quotidianità della vita familiare,
rispettando quella «condiscendenza » inerente all’economia
dell’incarnazione. Gli evangelisti sono molto attenti a mostrare come
nella vita di Gesù nulla sia stato lasciato al caso, ma tutto si sia
svolto secondo un piano divinamente prestabilito. La formula spesso
ripetuta: «Così avvenne, affinché si adempissero...» e il riferimento
dell’avvenimento descritto a un testo dell’Antico Testamento tenendo a
sottolineare l’unità e la continuità del progetto, che raggiunge in
Cristo il suo compimento.
Con
l’incarnazione le «promesse» e le «figure» ’dell’Antico Testamento
divengono «realtà». luoghi, persone, avvenimenti e riti si intrecciano
secondo precisi ordini divini, trasmessi mediante il ministero angelico e
recepiti da creature particolarmente sensibili alla voce di Dio. Maria è
l’umile serva del Signore, preparata dall’eternità al compito di essere
Madre di Dio; Giuseppe è colui che Dio ha scelto per essere l’«ordinatore
della nascita del Signore» (27), colui che ha l’incarico di provvedere
all’inserimento «ordinato» del Figlio di Dio nel mondo, nel rispetto
delle disposizioni divine e delle leggi umane. Tutta la vita cosiddetta
«privata» o «nascosta» di Gesù è affidata alla sua custodia.
Il censimento
9.
Recandosi a Betlemme per il censimento in ossequio alle disposizioni della
legittima autorità, Giuseppe adempì nei riguardi del bambino il compito
importante e significativo di inserire ufficialmente il nome «Gesù,
figlio di Giuseppe di Nazareth » (cfr. Gv 1,45) nell’anagrafe dell’Impero. Tale iscrizione manifesta
in modo palese l’appartenenza di Gesù al genere umano, uomo fra gli
uomini, cittadino di questo mondo, soggetto alle leggi e istituzioni
civili, ma anche «salvatore del
mondo». Origene descrive bene il significato teologico inerente a
questo fatto storico, tutt’altro che marginale: «Poiché il primo
censimento di tutta la terra avvenne sotto Cesare Augusto, e tra tutti
gli altri anche Giuseppe si fece registrare insieme con Maria sua sposa,
che era incinta, poiché Gesù venne alla luce prima che il censimento
fosse compiuto, a chi consideri con diligente attenzione sembrerà
esprimere una sorta di mistero il fatto che nella dichiarazione di tutta
la terra dovesse essere censito anche Cristo. In tal modo, con tutti
registrato, tutti egli poteva santificare, con tutta la terra inscritto
nel censimento, alla terra offriva la comunione con sé, e dopo questa
dichiarazione tutti gli uomini della terra scriveva nel libro dei
viventi, onde quanti avessero creduto in lui, fossero poi inscritti nel
cielo con i Santi di colui a cui è la gloria e l’impero nei secoli dei
secoli. Amen» (28).
La nascita a Betlemme
10.
Quale depositario del mistero «nascosto da secoli nella mente di Dio», e
che comincia a realizzarsi davanti ai suoi occhi «nella pienezza del
tempo», Giuseppe è insieme con
Maria, nella notte di Betlemme, testimone privilegiato della venuta
del Figlio di Dio nel mondo. Così scrive Luca: «Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i
giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo
avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto
per loro nell’albergo» (Lc 2,6-7).
Giuseppe fu testimone oculare di
questa nascita, avvenuta in condizioni umanamente umilianti, primo
annuncio di quella «spoliazione » (cfr. Fil 2,5-8), a cui Cristo liberamente accondiscese per la
remissione dei peccati. Nello stesso tempo egli fu testimone dell’adorazione dei pastori, giunti sul luogo della
nascita di Gesù dopo che l’angelo aveva recato loro questa grande, lieta
notizia (cfr. Lc 2, 15-16); più
tardi fu anche testimone
dell’omaggio dei Magi, venuti dall’Oriente (cfr. Mt 2,11).
La circoncisione
11.
Essendo la circoncisione del figlio, il primo dovere religioso del padre,
Giuseppe con questo rito (cfr. Lc
2, 21) esercita il suo diritto-dovere nei riguardi di Gesù.
Il
principio secondo il quale i riti dell’Antico Testamento sono l’ombra
della realtà (cfr. Eb 9, 9 s.;
10,1), spiega perché Gesù li accetti. Come per gli altri riti, anche
quello della circoncisione trova in Gesù il «compimento». L’Alleanza di
Dio con Abramo, di cui la circoncisione era segno (cfr, Gn 17,13), raggiunge in Gesù il
suo pieno effetto e la sua perfetta realizzazione, essendo Gesù il «sì»
di tute le antiche promesse (cfr. 2 Cor
1,20).
L’imposizione del nome
12. In
occasione della circoncisione, Giuseppe impone al bambino il nome di
Gesù. Questo nome è il solo nel quale si trova la salvezza (cfr. At 4,12); ed a Giuseppe ne era
stato rivelato il significato al momento della sua «annunciazione». «E tu
lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati»
(Mt 1, 21). Imponendo il nome,
Giuseppe dichiara la propria legale paternità su Gesù e, pronunciando il
nome, proclama la di lui missione di salvatore.
La presentazione di Gesù al tempio
13.
Questo rito, riferito da Luca (2, 22-24), include il riscatto del
primogenito e illumina la successiva permanenza di Gesù dodicenne nel
tempio.
Il riscatto del primogenito è un
altro dovere del padre, che è adempiuto da Giuseppe. Nel primogenito era
rappresentato il popolo dell’Alleanza, riscattato dalla schiavitù per
appartenere a Dio. Anche a questo riguardo Gesù, che è il vero «prezzo»
del riscatto (cfr. 1 Cor 6,20;
7,23; 1 Pt 1,19), non solo
«compie» il rito dell’Antico Testamento, ma nello stesso tempo lo supera,
non essendo egli un soggetto da riscattare, ma l’autore stesso del
riscatto.
L’evangelista
rileva che «il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si
dicevano di lui» (Lc 2,33) e,
in particolare, di ciò che disse
Simeone, indicando Gesù, nel suo cantico rivolto a Dio, come la
«salvezza preparata da Dio davanti a tutti i popoli» e «luce per
illuminare le genti e gloria del suo popolo Israele» e, più avanti, anche
come «segno di contraddizione»
(cfr. Lc 2,30-34).
La fuga in Egitto
14.
Dopo la presentazione al tempio l’evangelista Luca annota: «Quando ebbero
tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth. Il
bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio
era sopra di lui» (Lc 2, 39-40).
Ma, secondo, il testo di Matteo, prima
ancora di questo ritorno in Galilea, è da collocare un evento molto
importante, per il quale la divina Provvidenza ricorre di nuovo a
Giuseppe. Leggiamo: «Essi (i Magi) erano appena partiti, quando un angelo
del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e
resta là finché non ti avvertirò, perché Erode, sta cercando il bambino
per ucciderlo”» (Mt 2,13). In
occasione della venuta dei Magi dall’Oriente, Erode aveva saputo della
nascita del «re dei Giudei» (Mt 2,2).
E quando i Magi partirono, egli «mandò ad uccidere tutti i bambini di
Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù» (Mt 2,16). In questo modo, uccidendo tutti, voleva uccidere
quel neonato «re dei Giudei», del quale era venuto a conoscenza durante
la visita dei Magi alla sua corte. Allora Giuseppe, avendo udito in sogno
l’avvertimento, «prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché
si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo de! profeta:
“Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”» (Mt
2, 14-15; cfr. Os 11,1).
In tal
modo la via del ritorno di Gesù da Betlemme a Nazareth passò attraverso
l’Egitto. Come Israele aveva preso la via dell’esodo «dalla condizione di
schiavitù» .per iniziare l’Antica Alleanza, così Giuseppe, depositario e cooperatore del mistero provvidenziale di
Dio, custodisce anche in esilio colui che realizza la Nuova Alleanza.
La permanenza di Gesù al tempio
15. Dal
momento dell’annunciazione Giuseppe insieme con Maria si trovò in un
certo senso nell’intimo del mistero
nascosto da secoli nella mente di Dio e che si' era rivestito di
carne: «Il Verbo si fece carne e
venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Egli abitò in mezzo agli
uomini, e l’ambito della sua dimora fu la santa Famiglia di Nazareth – una delle tante famiglie di
questa cittadina della Galilea, una delle tante famiglie della terra di
Israele. Ivi Gesù cresceva e «si fortificava, pieno di sapienza, e la
grazia di Dio era sopra di lui» (Lc
2, 40). I Vangeli riassumono in poche parole il lungo periodo della vita «nascosta», durante il quale Gesù si
prepara alla sua missione messianica. Un solo momento è sottratto da
questo «nascondimento» ed è descritto dal Vangelo di Luca: la pasqua di Gerusalemme, quando Gesù aveva
dodici anni.
Gesù
partecipò a questa festa come un giovane pellegrino insieme con Maria e
Giuseppe. Ed ecco: «Trascorsi i giorni della festa, mentre riprendeva la
via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i
genitori se ne accorgessero» (Lc 2,43).
Passato un giorno, se ne resero conto ed iniziarono le ricerche «tra i
parenti e i conoscenti». «Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre
li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che lo adivano erano pieni
di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte (Lc 2,46-47). Maria domanda: «Figlio, perché ci hai fatto
così? Ecco, tuo padre ed io,
angosciati, ti cercavamo» (Lc.2,48). La risposta di Gesù fu tale che
i due «non compresero le sue parole». Aveva detto: «Perché mi cercavate?
Non sapevate che io devo occuparmi
delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49-50).
Udì
questa risposta Giuseppe, per il quale Maria aveva appena detto «tuo
padre». Difatti così tutti dicevano e pensavano: «Gesù era figlio, come
si credeva, di Giuseppe» (Lc 3,23).
Nondimeno, la risposta di Gesù nel tempio doveva rinnovare nella
consapevolezza del «presunto padre», ciò che questi aveva udito una
notte, dodici anni prima: «Giuseppe.. non temere di prendere con te
Maria, tua sposa, perché quel che è
generato in lei viene dallo Spirito Santo». Già da allora egli sapeva
di essere depositario del mistero di Dio, e Gesù dodicenne evocò
esattamente questo mistero: «Devo occuparmi delle cose del Padre
mio».
Il sostentamento e l'educazione di Gesù a Nazareth
16. La
crescita di Gesù «in sapienza, in età e in grazia» (Lc 2, 52) avvenne nell’ambito della santa Famiglia sotto gli
occhi di Giuseppe, che aveva l’alto compito di «allevare», ossia di
nutrire, di vestire e di istruire Gesù nella Legge e in un mestiere, in
conformità ai doveri assegnati al .padre.
Nel
sacrificio eucaristico la Chiesa venera la r6emoria anzitutto della
gloriosa sempre Vergine Maria, ma anche del beato Giuseppe (29), perché
«nutrì colui che i fedeli dovevano mangiare come pane di vita eterna»
(30).
Da
parte sua, Gesù «era loro sottomesso» (Lc
2, 51), ricambiando col rispetto le attenzioni dei suoi «genitori».
In tal modo volle santificare i doveri della famiglia e del lavoro, che
prestava accanto a Giuseppe.
III
L’UOMO GIUSTO - LO SPOSO
17. Nel
corso della sua vita, che fu una peregrinazione nella fede, Giuseppe,
come Maria, rimase fedele sino alla fine alla chiamata di Dio. La vita di
lei fu il compimento sino in fondo di quel primo fiat pronunciato al momento dell’annunciazione, mentre
Giuseppe – come è già stato detto – al momento della sua «annunciazione»
non proferì alcuna parola: semplicemente egli «fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore» (Mt 1, 24). E questo primo «fece» divenne l’inizio della «via di Giuseppe». Lungo
questa via i Vangeli non annotano alcuna parola detta da lui. Ma il silenzio di Giuseppe ha una
speciale eloquenza: grazie ad esso si può leggere pienamente la verità
contenuta nel giudizio che di lui dà il Vangelo: il «giusto» (Mt 1, 19).
Bisogna
saper leggere questa verità, perché vi è contenuta una delle più importanti testimonianze circa l’uomo e la sua
vocazione. Nel corso delle generazioni la Chiesa legge in modo sempre
più attento e consapevole una tale testimonianza, quasi estraendo dal
tesoro di questa insigne figura «cose nuove e cose antiche» (Mt 13, 52).
18.
L’uomo «giusto» di Nazareth possiede soprattutto le chiare
caratteristiche dello sposo. L’evangelista parla di Maria come di «una
vergine, promessa sposa di un uomo... chiamato Giuseppe » (Lc 1, 27). Prima che cominci a
compiersi «il mistero nascosto da secoli» (Ef 3,9), i Vangeli pongono dinanzi a noi l’immagine dello sposo e della sposa. Secondo
la consuetudine del popolo ebraico, il matrimonio si concludeva in due
tappe: prima veniva celebrato il matrimonio legale (vero matrimonio), e
solo dopo un certo periodo, lo sposo introduceva la sposa nella propria
casa. Prima di vivere insieme con Maria, Giuseppe quindi era già il suo
“sposo”; Maria, però, conservava
nell’intimo il desiderio di far dono totale di sé esclusivamente a Dio. Ci
si potrebbe domandare in che modo questo desiderio si conciliasse con le
«nozze». La risposta viene soltanto dallo svolgimento degli eventi
salvifici, cioè dalla speciale azione di Dio stesso. Fin dal momento
dell’annunciazione Maria sa che
deve realizzare il suo desiderio
verginale di donarsi a Dio in modo esclusivo e totale proprio divenendo madre del Figlio di Dio. La
maternità per opera dello Spirito Santo è la forma di donazione, che Dio
stesso si attende dalla Vergine, «promessa sposa» di Giuseppe. Maria
pronuncia il suo fiat.
Il
fatto di esser lei «promessa sposa» a Giuseppe è contenuto nel disegno stesso di Dio. Ciò indicano entrambi
gli evangelisti citati, ma in modo particolare Matteo. Sono molto
significative le parole dette a Giuseppe:.«Non temere di prendere con te
Maria, tua sposa, perché quel
che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20). Esse spiegano il mistero della sposa di Giuseppe:
Maria è vergine nella sua maternità. In lei «il Figlio dell’Altissimo»
assume un corpo umano e diviene «il figlio dell’uomo».
Rivolgendosi a Giuseppe con le
parole dell’angelo, Dio si rivolge a lui come allo sposo della Vergine di Nazareth. Ciò che si è
compiuto in lei per opera dello Spirito Santo esprime al tempo stesso una
speciale conferma del legame
sponsale, esistente già prima tra Giuseppe e Maria, Il messaggero
chiaramente dice a Giuseppe: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa». Pertanto, ciò che era
avvenuto prima – le sue nozze con Maria – era avvenuto per volontà di Dio
e, dunque, andava conservato. Nella sua divina maternità Maria deve
continuare a vivere come «una vergine, sposa di uno sposo» (cfr. Lc 1,27).
19.
Nelle parole dell’«annunciazione» notturna Giuseppe .ascolta non solo la verità divina circa
l’ineffabile vocazione della sua sposa, ma vi riascolta, altresì, la
verità circa la propria vocazione. Quest’uomo «giusto» che, nello
spirito delle più nobili tradizioni del popolo eletto, amava la Vergine
di Nazareth ed a lei si era legato con amore sponsale, è nuovamente
chiamato da Dio a questo amore.
«Giuseppe
fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua
sposa», quello che è generato in lei «viene dallo Spirito Santo ». da
tali espressioni non bisogna forse desumere che anche il suo amore di uomo viene rigenerato dallo
Spirito Santo? Non bisogna forse pensare che l’amore di Dio, che è
stato riversato nel cuore umano per mezzo dello Spirito Santo (cfr. Rm 5,5), forma nel modo più
perfetto ogni amore umano? Esso forma anche – ed in modo del tutto
singolare – l’amore sponsale dei coniugi, approfondendo in esso tutto ciò
che umanamente è degno e bello, ciò che porta i segni dell’esclusivo
abbandono, dell’alleanza delle persone e dell’autentica comunione
sull’esempio del Mistero trinitario.
«Giuseppe...
prese con sé la sua sposa, la quale, senza
che egli la conoscesse, partorì un figlio» (cfr. Mt 1,24-25). Queste parole indicano un’altra vicinanza sponsale. La profondità di questa
vicinanza, la spirituale intensità dell’unione e del contatto tra le
persone – dell’uomo e della donna – provengono in definitiva dallo
Spirito, che dà la vita (cfr. Gv 6,
63). Giuseppe, ubbidiente allo
Spirito, proprio in esso ritrovò la fonte dell’amore, del suo amore
sponsale di uomo, e fu questo amore più grande di quello che «l’uomo
giusto» poteva attendersi a misura del proprio cuore umano.
20.
Nella liturgia Maria è celebrata come «unita a Giuseppe, uomo giusto, da
un vincolo di amore sponsale e verginale» (31). Si tratta, infatti, di
due amori che rappresentano congiuntamente
il mistero della Chiesa, vergine e sposa, la quale trova nel
matrimonio di Maria e Giuseppe il suo simbolo. «La verginità e il
celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono alla dignità del
matrimonio, ma la presuppongono e la confermano, il matrimonio e la
verginità sono i due modi di esprimere e di vivere l’unico mistero
dell’Alleanza di Dio col suo popolo» (32), che è comunione di amore tra
Dio e gli uomini.
Mediante
il sacrificio totale di sé Giuseppe esprime il suo generoso amore verso
la Madre di Dio, facendole «dono sponsale di sé». Pur deciso a ritirarsi
per non ostacolare il piano di Dio che si stava realizzando in lei, egli
per espresso ordine angelico la trattiene con sé e ne rispetta
l’esclusiva appartenenza a Dio.
D’altra
parte, è dal matrimonio con Maria che sono derivati a Giuseppe la sua
singolare dignità e i suoi diritti su Gesù. «E certo che la dignità di
Madre di Dio poggia sì alto, che nulla vi può essere di più sublime; ma
perché tra la beatissima Vergine e Giuseppe fu stretto un nodo coniugale,
non c’è dubbio che a quell’altissima dignità, per cui la Madre di Dio
sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto mai nessun altro. Poiché il connubio
è la massima società e amicizia, a cui di sua natura va unita la
comunione dei beni, ne deriva, che, se Dio ha dato come sposo Giuseppe
alla Vergine, glielo ha dato non solo a compagno della vita, testimone
della verginità e tutore dell’onestà, ma anche perché partecipasse, per mezzo del patto
coniugale, all’eccelsa grandezza di lei» (33).
21. Un tale vincolo di carità costituì la
vita della santa Famiglia prima nella povertà di Betlemme, poi
nell’esilio in Egitto e, successivamente, nella dimora a Nazareth. La
Chiesa circonda di profonda venerazione questa Famiglia, proponendola
quale modello a tutte le famiglie. Inserita direttamente nel mistero
dell’incarnazione, la Famiglia di Nazareth costituisce essa stessa uno
speciale mistero. Ed insieme – così come nella incarnazione – a questo
mistero appartiene la vera paternità: la
forma umana della famiglia del Figlio di Dio – vera famiglia umana,
formata dal mistero divino. In essa
Giuseppe è il padre: non è la sua una
paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è
«apparente», o soltanto «sostitutiva», ma possiede in pieno l’autenticità della paternità umana, della
missione paterna nella famiglia. E contenuta in ciò una conseguenza
dell’unione ipostatica: umanità assunta nell’unità della Persona divina
del Verbo-Figlio. Gesù Cristo. Insieme con l’assunzione dell’umanità, in
Cristo è anche «assunto» tutto ciò
che è umano e, in particolare, la famiglia, quale prima dimensione
della sua esistenza in terra. In questo contesto è anche «assunta» la
paternità umana di Giuseppe.
In base
a questo principio acquistano il loro giusto significato le parole
rivolte da Maria a Gesù dodicenne nel tempio: «Tuo padre ed io... ti cercavamo». Non è questa una frase
convenzionale: le parole della Madre di Gesù indicano tutta la realtà
dell’incarnazione, che appartiene al mistero della Famiglia di Nazareth. Giuseppe, il quale sin dall’inizio
accettò mediante «l’obbedienza
della fede » la sua paternità umana nei riguardi di Gesù, seguendo la
luce dello Spirito Santo, che per mezzo della fede si dona all’uomo,
certamente scopriva sempre più ampiamente il dono ineffabile di questa sua paternità.
IV. IL LAVORO ESPRESSIONE DELL’AMORE
22. Espressione quotidiana di questo
amore nella vita della Famiglia di Nazareth è il lavoro. Il testo
evangelico precisa il tipo di lavoro, mediante il quale Giuseppe cercava
di assicurare il mantenimento alla Famiglia: quello di carpentiere. Questa semplice
parola copre l’intero arco della vita di Giuseppe. Per Gesù sono questi
gli anni della vita nascosta, di cui parla l’evangelista dopo l’episodio
avvenuto al tempio: «Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava
loro sottomesso» (Lc 2, 51).
Questa «sottomissione», cioè
l’obbedienza di Gesù nella casa
di Nazareth, viene intesa anche
come partecipazione al lavoro di
Giuseppe. Colui che era detto il «figlio del carpentiere» aveva
imparato il lavoro dal suo «padre» putativo. Se la Famiglia di Nazareth
nell’ordine della salvezza e della santità è l’esempio e il modello per
le famiglie umane, lo è analogamente anche
il lavoro di Gesù a fianco di Giuseppe carpentiere. Nella nostra
epoca la Chiesa ha messo questo in rilievo pure con la memoria liturgica
di san Giuseppe Artigiano, fissata al primo maggio. Il lavoro umano e, in particolare, il lavoro manuale trovano nel Vangelo un accento
speciale. Insieme all’umanità del Figlio di Dio esso è stato accolto
nel mistero dell’incarnazione, come anche è stato in particolare modo redento. Grazie al banco di lavoro presso
il quale esercitava il suo mestiere insieme con Gesù, Giuseppe avvicinò
il lavoro umano al mistero della redenzione.
23.
Nella crescita umana di Gesù «in sapienza, in età e in grazia» ebbe una
parte notevole la virtù della
laboriosità, essendo «il lavoro un bene dell’uomo» che «trasforma la
natura» e rende l’uomo «in un certo senso più uomo» (34).
L’importanza
del lavoro nella vita dell’uomo richiede che se ne conoscano ed
assimilino i contenuti «per aiutare tutti gli uomini ad avvicinarsi per
il suo tramite a Dio, creatore e redentore, a partecipare ai suoi piani
salvifici nei riguardi dell’uomo e del mondo e per approfondire nella
loro vita l’amicizia con Cristo, assumendo mediante la fede viva una partecipazione
alla sua triplice missione: di sacerdote, di profeta e di re» (35).
24. Si
tratta, in definitiva, della santificazione della vita quotidiana, che
ciascuno deve acquisire secondo il proprio stato e che può esser promossa
secondo un modello accessibile a tutti: «San Giuseppe è il modello degli
umili che il cristianesimo solleva a grandi destini; san Giuseppe è la
prova che per essere buoni ed autentici seguaci di Cristo non occorrono
“grandi cose”, ma si richiedono solo virtù comuni, umane, semplici. ma
vere ed autentiche» (36).
V. IL PRIMATO DELLA VITA INTERIORE
25.
Anche sul lavoro di carpentiere nella casa di Nazareth si stende lo
stesso clima di silenzio, che accompagna tutto quanto si riferisce alla
figura di Giuseppe. È un silenzio,
però, che svela in modo speciale il profilo interiore di questa
figura. I Vangeli parlano esclusivamente di ciò che Giuseppe «fece»;
tuttavia, consentono di scoprire nelle sue «azioni», avvolte dal
silenzio, un clima di profonda
contemplazione. Giuseppe era in quotidiano contatto col mistero
«nascosto da secoli», che «prese dimora » sotto il tetto di casa sua.
Questo spiega, ad esempio, perché santa Teresa di Gesù, la grande
riformatrice del Carmelo contemplativo, si fece promotrice del
rinnovamento del culto di san Giuseppe nella cristianità occidentale.
26. Il
sacrificio totale, che Giuseppe fece di tutta la sua esistenza alle
esigenze della venuta del Messia nella propria casa, trova la ragione
adeguata nella «sua insondabile vita interiore, dalla quale vengono a lui
ordini e conforti singolarissimi, e derivano a lui la logica e la 'forza,
propria delle anime semplici e limpide, delle grandi decisioni, come
quella di mettere subito a disposizione dei disegni divini la sua
libertà, la sua legittima vocazione umana, la sua felicità coniugale,
accettando della famiglia la condizione, la responsabilità ed il peso, e
rinunciando per un incomparabile virgineo amore al naturale amore
coniugale che la costituisce e la alimenta» (37). Questa sottomissione a
Dio, che è prontezza di volontà nel dedicarsi alle cose che riguardano il
suo servizio, non è altro che l’esercizio
della devozione, la quale costituisce una delle espressioni della
virtù della religione (38).
27. La
comunione di vita tra Giuseppe e Gesù ci porta a considerare ancora il
mistero dell’incarnazione proprio sotto l’aspetto dell’umanità di Cristo,
strumento efficace della divinità in ordine alla santificazione degli
uomini: «In forza della divinità le azioni umane di Cristo furono per noi
salutari, causando in noi la grazia sia in ragione del merito, sia per
una certa efficacia» (39).
Tra
queste azioni gli evangelisti privilegiano quelle riguardanti il mistero
pasquale, ma non omettono di sottolineare l’importanza del contatto
fisico con Gesù in ordine alle guarigioni (cfr., ad es. Mc 1, 41) e l’influsso da lui
esercitato su Giovanni il Battista, quando entrambi erano ancora nel
grembo materno (cfr. Lc 1,
41-44).
La
testimonianza apostolica non ha trascurato – come si è visto – la
narrazione della nascita di Gesù, della circoncisione, della
presentazione al tempio, della fuga in Egitto e della vita nascosta a
Nazareth a motivo del «mistero» di grazia contenuto in tali «gesti, tutti
salvifici, perché partecipi della stessa sorgente di amore: la divinità
di Cristo. Se questo amore attraverso la sua umanità si irradiava su
tutti gli uomini, ne. erano certamente beneficiari in primo luogo coloro
che la volontà divina aveva collocato nella sua più stretta intimità:
Maria sua madre e il padre putativo Giuseppe (40).
Poiché
l’amore «paterno» di Giuseppe non poteva non influire sull’amore
«filiale» di Gesù e, viceversa, l’amore «filiale» di Gesù non poteva non
influire sull’amore «paterno» di Giuseppe, come ino1trarsi nelle
profondità di questa singolarissima relazione? Le anime più sensibili
agli impulsi dell’amore divino vedono a ragione in Giuseppe un luminoso
esempio di vita interiore.
Inoltre,
l’apparente tensione tra la vita attiva e quella contemplativa trova in
lui un ideale superamento, possibile a chi possiede la perfezione della
carità. Seguendo la nota distinzione tra l’amore della verità (caritas veritatis) e l’esigenza
dell’amore (necessitas caritatis) (41),
possiamo dire che Giuseppe ha sperimentato sia l’amore della verità, cioè il puro amore di contemplazione
della Verità divina che irradiava dall’umanità di Cristo, sia l’esigenza dell’amore, cioè
l’amore altrettanto puro del servizio, richiesto dalla tutela e dallo
sviluppo di quella stessa umanità.
VI
PATRONO DELLA CHIESA DEL NOSTRO TEMPO
28. In
tempi difficili per la Chiesa Pio IX, volendo affidarla alla speciale
protezione del santo patriarca Giuseppe, lo dichiarò «Patrono della
Chiesa cattolica» (42). Il Pontefice sapeva di non compiere un gesto
peregrino, perché a motivo dell’eccelsa dignità concessa da Dio a questo
suo fedelissimo servo, «la Chiesa, dopo la Vergine Santa, sposa di lui,
ebbe sempre in grande onore e ricolmò di lodi il beato Giuseppe, e di
preferenza a lui ricorse nelle angustie» (43).
Quali
sono i motivi di tanta fiducia? Leone XIII li espone così: «Le ragioni
per cui il beato Giuseppe deve essere considerato speciale Patrono della
Chiesa, e la Chiesa, a sua volta, ripromettersi moltissimo dalla tutela e
dal patrocinio di lui, nascono principalmente dall’essere egli sposo di
Maria e padre putativo di Gesù (...). Giuseppe fu a suo tempo legittimo e
naturale custode, capo e difensore della divina Famiglia (...). È dunque
cosa conveniente e sommamente degna del beato Giuseppe, che, a quel modo
che egli un tempo soleva tutelare santamente in ogni evento la famiglia
di Nazareth, così ora copra e difenda col suo celeste patrocinio la
Chiesa di Cristo» (44).
29.
Questo patrocinio deve essere invocato ed è necessario tuttora alla
Chiesa non soltanto a difesa contro gli insorgenti pericoli, ma anche e
soprattutto a conforto del suo rinnovato impegno di evangelizzazione nel
mondo e di rievangelizzazione in quei «paesi e Nazioni dove – come ho
scritto nell’Esortazione Apostolica Christifideles
laici – la religione e la vita cristiana erano un tempo quanto mai
fiorenti», e che «sono ora messi a dura prova» (45). Per portare il primo
annuncio di Cristo o per riportarlo laddove esso è trascurato o
dimenticato, la Chiesa ha bisogno di una speciale «virtù dall’alto» (cf. Lc 24, 49; At 1, 8), donazione certo dello Spirito del Signore non
disgiunta dall’intercessione e dall’esempio dei suoi Santi.
30.
Oltre che nella sicura protezione, la Chiesa confida anche nell’insigne
esempio di Giuseppe, un esempio che supera i singoli stati di vita e si
propone all’intera Comunità cristiana, quali che siano in essa la
condizione e i compiti di ciascun fedele.
Come è
detto nella Costituzione del Concilio Vaticano II sulla divina
Rivelazione, l’atteggiamento fondamentale di tutta la Chiesa deve essere
quello del «religioso ascolto della Parola di Dio» (46), ossia
dell’assoluta disponibilità a servire fedelmente la volontà salvifica di
Dio, rivelata in Gesù. Già all’inizio della redenzione umana troviamo
incarnato il modello dell’obbedienza, dopo Maria, proprio in Giuseppe,
colui che si distingue per la fedele esecuzione dei comandi di Dio.
Paolo
VI invitava a invocarne il patrocinio «come la Chiesa», in questi ultimi
tempi, è solita fare, per sé, innanzi tutto, con una spontanea
riflessione teologica sul connubio "dell’azione divina con l’azione
umana nella grande economia della redenzione, nel quale la prima, quella
divina, è tutta a sé sufficiente ma la seconda, quella umana, la nostra,
sebbene di nulla capace (cfr. Gv 15,
5), non è mai dispensata da un’umile, ma condizionale e nobilitante
collaborazione. Inoltre, protettore la Chiesa lo invoca per un profondo e
attualissimo desiderio di rinverdire la sua secolare esistenza di veraci
virtù evangeliche, quali in san Giuseppe rifulgono» (47).
31. La
Chiesa trasforma queste esigenze in preghiera. Ricordando che Dio ha
affidato gli inizi della nostra redenzione alla custodia premurosa di san
Giuseppe, gli chiede di concederle di collaborare fedelmente all’opera di
salvezza, di donarle la stessa fedeltà e purezza di cuore che animò
Giuseppe nel servire il Verbo Incarnato e di camminare sull’esempio e per
l’intercessione del santo, davanti a Dio nelle vie della santità e della
giustizia (48).
Già
cento anni fa papa Leone XIII esortava il mondo cattolico a pregare per
ottenere la protezione di San Giuseppe, patrono di tutta la Chiesa.
L’Epistola Enciclica Quamquam
pluries si richiamava a quell’ «amore paterno» che Giuseppe «portava
al fanciullo Gesù», ed a lui, «provvido custode della divina Famiglia»,
raccomandava «la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo sangue».
Da allora la Chiesa – come ho
ricordato all’inizio – implora la
protezione di san Giuseppe – «per quel sacro vincolo di carità che lo
strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio» e gli raccomanda tutte le
sue sollecitudini, anche per le minacce che incombono sulla famiglia
umana.
Ancora oggi abbiamo numerosi motivi per pregare nello stesso modo: «Allontana da
noi, o padre amantissimo, questa peste di errori e di vizi..., assistici
propizio dal cielo in questa lotta col potere delle tenebre...; e come un
tempo scampasti dalla morte la minacciata vita del bambino Gesù, così ora
difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità»
(49). Ancora oggi abbiamo perduranti motivi per raccomandare a
san Giuseppe ogni uomo.
32.
Auspico vivamente che il presente ricordo della figura di Giuseppe
rinnovi anche in noi gli accenni della preghiera che un secolo fa il mio
Predecessore raccomandò di innalzare a lui. È certo, infatti, che questa
preghiera e la figura stessa di Giuseppe acquistano una rinnovata
attualità per la Chiesa del nostro tempo, in relazione al nuovo
Millennio cristiano.
Il Concilio Vaticano II ha di nuovo
sensibilizzato tutti alle «grandi cose di Dio», a quell’«economia della salvezza», della
quale Giuseppe fu speciale ministro. Raccomandiamoci, dunque, alla
protezione di colui al quale Dio stesso «affidò la custodia dei suoi
tesori più preziosi e più grandi» (50), impariamo al tempo stesso da lui a servire l’«economia della
salvezza». Che san Giuseppe diventi per tutti un singolare maestro
nel servire la missione salvifica
di Cristo, compito che nella Chiesa spetta a ciascuno e a tutti: agli
sposi ed ai genitori, a coloro che vivono del lavoro delle proprie mani o
di ogni altro lavoro, alle persone chiamate al3a vita contemplativa come
a quelle chiamate all’apostolato.
L’uomo giusto, che portava in sé
tutto il patrimonio dell’Antica Alleanza, è stato anche introdotto nell’ «inizio» della nuova
ed eterna Alleanza in Gesù Cristo. Che egli ci indichi le vie di
questa Alleanza salvifica sulla soglia del prossimo Millennio, nel quale
deve perdurare e ulteriormente svilupparsi la «pienezza del tempo» ch’è
propria del mistero ineffabile della incarnazione del Verbo.
Che san
Giuseppe ottenga alla Chiesa ed al mondo, come a ciascuno di noi, la
benedizione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Dato a
Roma, presso San Pietro, il 15 agosto – solennità dell’Assunzione della
Beata Vergine Maria – dell’anno 1989, undicesimo di pontificato.
Joannes Paulus P.P. II
NOTE
(l)
Cfr. S. Ireneo, Adversus haereses, IV,
23, 1: S.Ch. 100/2, pp.
692-694.
(2)
Leone XIII, Epist. Enc. Quamquam pluries (15 agosto 1889):
Leonis XIII P.M. Acta, IX
(1890), pp. 175-182.
(3)
Sacror. Rituum Congreg., Decr. Quemadmodum
Deus (8 dicembre 1870): Pii IX
P.M. Acta, pars I, vol.V; p. 282; Pio IX, Lett. Apost. Inclytum Patriarcham (7 luglio
187l), l.c., pp. 331-335.
(4) Cfr. S. Giovanni Crisostomo, In Matth. Hom.V. 3: PG 57., 57 s.; Dottori della
Chiesa e Sommi Pontefici, anche in base all’identità dei nome, hanno
indicato il prototipo di Giuseppe di Nazareth in Giuseppe d’Egitto, per
averne in qualche modo adombrato il ministero e la grandezza di custode
dei più preziosi tesori di Dio. Padre, il Verbo Incarnato e la sua
Santissima Madre: cfr. ad esempio, San Bemardo, Super, «Missus est», Hom II, 16: S. Bernardi Opera, Ed. Cist., IV, 33 s.; Leone XIII, Epist.
Enc. Quamquam pluries (15
agosto 1889): l.c.,p. 179.
(5) Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 58.
(6) Cfr. ibid., 63.
(7) Cost. dogm. sulla divina
Rivelazione Dei Verbum, 5.
(8) Ibid.,
2.
(9) Cfr. Conc. Ecumen. Vat. Il, Cost.
dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 63.
(10) Conc. Ecum. Vat. Il, Cost. dogm.
sulla divina Rivelazione Dei
Verbum, 2.
(11) S. Congreg. Rituum, Decr. Novis hisce temporibus (13
novembre 1962): AAS 54 (1962),
p. 873.
(12) S. Agostino, Sermo 5I, 10, 16: PL 38,
342.
(13) S. Agostino, De nuptiis et concupiscentia, I, 11, 12: PL 44, 421; cfr. De
consensu evangelistarum, II, l, 2:
PL 34, l071; Contra Faustum, III,
2: PL 42, 214.
(14) S. Agostino, De nuptiis et concupiscentia, I, 11, 13: PL 44, 421; cfr. Contra
1ulianum, V, 12, 46: PL 44,
810.
(15) Cfr. S. Agostino, Contra Faustum, XXIII, 8: PL 42, 470 s.; De consensu evangelistarum, II, 1,
3: PL 34, 1072; Sermo, 51, 13, 21: PL 38, 344 s.; S. Tommaso, Summa Theol., III, q. 29, a. 2 in
conclus.
(16) Cfr. Allocuzioni dal 9, 16 gennaio, 20 febbraio 1980: Insegnamenti, IIVI (1980), pp.
88-92; 148-152; 428431.
(17) Paolo VI Allocuzione al Movimento «Equipes Notre-Dame» (4 maggio
1970), n. 7: AAS 62 (1970), p.
431. Analoga esaltazione della Famiglia di Nazareth come assoluto
esemplare della comunità domestica si trova, ad esempio, in Leone XIII,
Lett. Apost. Neminem fugit (l4
giugno 1892): Leonis XIII P.M.
Acta, XII (1892), pp. 149 s.; Benedetto XV, Motu proprio Bonum sane (25 luglio 1920): AAS 12 (1920), pp. 313-317.
(18)
Esort. Apost. Familiaris consortio (22
novembre 1981), 17 AAS 74
(1982), p. 100.
(19)
Ibid., 49: I.c., p. 140; cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 11; Decr.
sull’Apostolato dei laici Apostolicam
actuositatem, I l.
(20)
Esort. Apost. Familiaris consortio
(22 novembre. 1981), 85; l.c., pp.
189 s.
(21) Cfr. S. Giovanni Crisostomo, In Matth, Hom. V, 3. PG 57, 57 s.
(22) Paolo VI, Allocuzione (19 marzo 1966): Insegnamenti, IV (1966), p. 110.
(23) Cfr. Missale Romanum, Collecta in «Sollemnitate S. Ioseph Sponsi
B.M.V.».
(24) Cfr. Ibid., Praefatio in «Sollemnitate S. Ioscph Sponsi B.M.V.».
(25)
Leone XIII, Epist. Enc. Quamquam
pluries (15; agosto 1889): l.c.,
p. 178.
(26) Pio XII, Radiomessaggio agli
studenti delle scuole cattoliche degli Stati Uniti d’America (19 febbraio
1958): AAS 50 (1958), p. 174.
(27)
Origene, Hom. XIII in Lucem, 7: S.
Ch. 87, pp. 214 s.
(28)
Origene, Hom XI in Lucam, 6: S. Ch. 87, pp. 196 s.
(29) Cfr. Missale Romanum, Prex Eucharistica I.
(30) Sacror. Rituum Congreg., Decr. Quemadmodum Deus (8 dicembre
1870): l.c., p. 282.
(31) Collectio Missarum de Beata Maria Virgine, I, «Sancta Maria
de Nazareth», Praefatio.
(32)
Esort. Apost. Familiaris consortio (22
novembre 1981), 16: l.c., p.
98.
(33) Leone XIII, Epist. Enc. Quamquam
pluries (15 agosto 1889): l.c.,
pp. 177 s.
(34) Cfr. Lett. Enc. Laborem exercens (14 settem-bre
l981), 9: AAS 73 (198l), pp.
599 s.
(35) Ibid., 24: l.c., p. 638. I Sommi Pontefici nel periodo più recente hanno
costantemente presentato san Giuseppe come «modello» degli operai e dei
lavoratori; cfr., ad esempio, Leone XIII, Epist. Enc. Quamquam pluries (l5 agosto l889):
l.c., p. 180; Benedette XV, Motu
proprio Bonum sane (25 luglio
l920): l.c., pp. 314-3l6; Pio
XII Allocuzione (11 marzo
l945), 4: AAS 37 (1945), p. 72;
Allocuzione (1º maggio 1955): AAS 47 (1955), p. 406; Giovanni
XXIII, Radiomessaggio .(1º
maggio 1960): AAS 52 (1960), p.
398.
(36) Paolo VI, Allocuzione (19 marzo 1969): Insegnamenti, VII (1969), p. 1268.
(37) Ibid.: l.c., p.
1267.
(38) Cfr. S. Tommaso, Summa
Theol., II-IIae. q. 82, a. 3, ad 2.
(39) Ibid., III, q. 8,
a. l, ad l.
(40) Cfr. Pio XII,
Lett. Enc. Haurietis aquas (15
maggio 1956), III: AAS 48
(1956), pp. 329 s.
(41) Cfr. S. Tommaso, Summa Theol., II-II“, q. 182, a.
1, ad 3.
(42) Cfr. Sacror. Rituum Congreg., Decr. Quemadmodum Deus (8 dicembre 1870): l.c., p. 283.
(43) Ibid., l.c., p. 282 s.
(44) Leone XIII, Epist. Enc. Quamquam
pluries (l5 agosto 1889): l.c.,
pp. 177-179.
(45) Esort. Apost. post-sinodale Christifideles
laici (30 dicembre 1988), 34: AAS
Sl (1989), p. 456.
(46) Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum, 1.
(47) Paolo VI, Allocuzione (19 marzo 1969): Insegnameeti, VII (1969), p. l269.
(48) Cfr. Missale Romanum, Collecta; Super
oblata in «Sollemnitate S. Ioseph Sponsi B.M,V.», Post commun. in «Missa votiva S.
Ioseph».
(49) Cfr. Leone XIII,
«Oratio ad Sanctum Iosep-hum~, contenuta subito dopo il testo dell’Epist.
Enc. Quanrquam pluries (15
agosto 1889): Leonis XIII P.M.
Acta, IX (1890), p. 183.
(50)
Sacror. Rituum Congreg., Decr. Quemadmodum
Deus (8 dicembre 1870): l.c.. p.
282.
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