SAN GIUSEPPE NELLA FAMIGLIA PAOLINA
di VENANZIO FLORIANO
Il 19 marzo celebriamo la solennità di
San Giuseppe. – La sua grande devozione nella
Famiglia Paolina. Lavorare per la gloria di Dio e la pace degli uomini è
sempre stato per il Fondatore un programma di vera santità.
IN ALBA, LUOGO di origine
della Famiglia Paolina, sorge la prima chiesa fatta costruire da don
Giacomo Alberione: la chiesa dedicata al
protettore San Paolo. Fu costruita negli anni 1925 -1928. È la culla e
nello stesso tempo la sintesi della spiritualità paolina.
Uno degli altari laterali è dedicato a San Giuseppe (il secondo a
sinistra per chi vi entra).
Il paliotto dell’altare è
l’interpretazione cristologica della vicenda raccontata
in Genesi 37-50: Giuseppe, venduto dai fratelli a mercanti ismaeliti, diventa viceré d'Egitto e nella tremenda
carestia che colpisce per sette anni tutto il
territorio viene incaricato dal Faraone della distribuzione del grano, di
cui i granai egiziani erano colmi.
Il paliotto (vedi foto sotto) descrive in
tre scene il momento saliente dell’intera vicenda: 1. I
fratelli di Giuseppe si presentano al Faraone per comprare del grano; il
Faraone li manda da Giuseppe: "Andate da Giuseppe" (cf Gn 41,55); 2. I
fratelli si avviano; 3. Giuseppe li accoglie e consegna loro il grano, si
fa riconoscere, invitandoli addirittura a ringraziare Dio per tutto
quello che per loro causa era avvenuto (cf Gn 50,19).
Protettore
e modello di vita
Giovanni Paolo II, nella "Redemptoris custos", ci invita a riprendere coscienza di una devozione che
è sempre stata viva nella Chiesa: "Ispirandosi al vangelo, i Padri
della Chiesa fin dai primi secoli hanno sottolineato che san Giuseppe,
come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò
con gioioso impegno all’educazione di Gesù
Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di
cui la Vergine santa è figura e modello" (n. 1). Allo stesso modo don
Alberione interpreta l’ordine del Faraone che
manda i suoi fratelli da Giuseppe; e ci dirà sovente che è volere di Dio
che Giuseppe sia mediatore tra noi e il Padre, tra noi e il Figlio, tra
noi e Maria.
Don Alberione,
per onorare questo Santo, scelse il nome Giuseppe quando il 5 ottobre
1921, insieme al beato Giaccardo e ai primi
discepoli che lo avevano seguito, emise la professione religiosa; e ha
inculcato nei suoi figli una particolare devozione; per
cui tale devozione ha stretti legami con la spiritualità paolina. Nella coroncina, che compose perché fosse recitata
il primo mercoledì del mese, mette in risalto vari aspetti di questa
devozione: l’aspetto cristologico (la forte
intimità che san Giuseppe visse con Gesù);
l’aspetto pedagogico (svolse con responsabilità il suo compito di educatore), l’aspetto sociale (è il santo della Provvidenza,
protettore dei lavoratori), l’aspetto familiare (fu esemplare nelle virtù
sociali e familiari, vero modello di ogni famiglia cristiana), l’aspetto
ecclesiale (è invocato come protettore della chiesa universale), l’aspetto
apostolico (fu uno dei primi cooperatori che Gesù
scelse per collaborare alla salvezza dell’umanità) e l’aspetto
escatologico (è protettore dei moribondi).
La
laboriosità di San Giuseppe
La virtù di San Giuseppe che don Alberione sottolineò
maggiormente è stata quella della laboriosità. In questo tempo quanto mai
precario, è quanto mai urgente riscoprire la laboriosità nel suo
significato profondo per vivere con ottimismo questo momento di difficile
trapasso. Don Alberione scrive: "Leone
XIII propone san Giuseppe a modello del lavoratore. Egli fu operaio e
maestro a Gesù nel lavoro.
Mirabile il quadro che Maria compiva quando,
lavorando essa medesima, contemplava il suo santo sposo sudare in una
dura fatica, accompagnato al banco dal Figlio di Dio incarnato, creatore
di tutto. Il lavoro, sia materiale, morale, intellettuale e apostolico,
ci avvicina a Dio eterno… Chi non lavora non procura la propria
elevazione, né ha diritto al pane. Da una parte il
lavoro, dall’altra la pazienza nel lavoro; da una parte tendere a
migliorare in modo giusto la propria condizione, dall’altra sopportare i
disagi; da una parte l’afflizione, dall’altra la consolazione; da una
parte esigere il giusto, dall’altra dare il superfluo… In san Giuseppe il
lavoro è stato sublimato" (CISP 649).
Ma che cos’è la
"laboriosità"? Dice il Papa nella "Redemptoris
custos": "Espressione quotidiana di questo amore nella vita della Famiglia di Nazaret è il lavoro… quello di "carpentiere".
Questa semplice parola copre l’intero arco della vita di san
Giuseppe…" (n. 22). La "laboriosità" è di certo l’impegno
nel lavoro che richiede fatica; ma è soprattutto tenere vivo lo scopo per cui si lavora, che è la gloria di Dio e la pace
degli uomini. Ecco i due aspetti interdipendenti della
"laboriosità": Se è solo "fatica" il lavoro diventa schiavitù, e saremo sempre portati a scegliere
il lavoro che ci piace o ci costa di meno.
Invece, anche il lavoro è stato redento -
dice il Papa - proprio grazie al mistero dell’Incarnazione. In che senso?
Non nel senso che è stata eliminata la fatica,
neppure è stata tolta l’umiliazione di certi incarichi; ma nel senso che
è stata data al lavoro la carica salvifica della motivazione che
mettiamo, che è poi quella dell’amore. Dice il Papa: "Espressione
dell’amore… è il lavoro". Motivati dall’amore (don Alberione riconduce tutto il nostro faticoso impegno
alle due motivazioni cantate sulla grotta di Betlemme: "Gloria a Dio
e pace agli uomini") si è disposti a tutto.
Proprio per questa virtù, che è sì fatica
nel lavoro ma nell’impegno di tenere vive le
sante motivazioni, don Alberione ha pensato i
Discepoli del Divin Maestro, che hanno nella
Famiglia Paolina appunto il compito che ebbe san Giuseppe nella Santa
Famiglia. Scrive: Particolari relazioni ci sono
tra san Giuseppe e i Fratelli Discepoli. Come san
Giuseppe, essi compiono un lavoro faticoso per cooperare all’avvento del
Regno di Dio; hanno una vita di santificazione, simile alla sua; trovano
la loro gioia nello spirito di pietà, nell’umile conformità al volere di
Dio, nella silenziosità operosa" (CISP 347).
Concludendo, merita leggere una pagina
del nostro biografo don Rolfo sulla devozione
che in Casa (così era chiamata agli inizi la Società san Paolo) si
coltivava verso il Santo della Provvidenza. Il beato Timoteo Giaccardo, che già ne portava il nome, la coltivò
profonda e fiduciosa. Scrive don Luigi Rolfo:
"Da parte sua, l’economo don Giaccardo imitava il Fondatore nello spirito di
povertà, ma lo superava nelle espressioni esterne di devozione al Santo della
Provvidenza, il suo celeste patrono san Giuseppe. Si era procurato, non
so come, una statuina di piombo del Santo, alta cm 5,5, che teneva sempre
sul tavolino e sotto la quale infilava regolarmente le fatture con un
gesto e uno sguardo alla statuina che voleva dire: "Se non ci pensi
tu, andiamo male"… E conviene credere che san Giuseppe si
comportasse in modo da meritare una larga riconoscenza da parte del suo
devoto, poiché, nel gennaio del 1926, quando dovette lasciare l’ufficio e
partire per Roma, don Giaccardo lasciò e
raccomandò al suo successore quella statuina, che passò poi per varie
mani e rimase come alleata indispensabile dell’ufficio di
economo nella comunità di Alba fino al 1969. Allora, l’economato,
che era sempre stato di tipo artigianale, assunse un volto schiettamente commerciale;
e la statuina di san Giuseppe, dopo un onorato servizio di mezzo secolo,
fu mandata in pensione. Per quanto essa sia
piccola e artisticamente insignificante, abbiamo creduto nostro dovere
assegnarle un posticino in questa storia degli inizi della Congregazione"
(Luigi Rolfo, Don Alberione,
p. 156-157). Il fine umorismo dell’autore ci avvisa di evitare il
pericolo di fidarci più della "previdenza" che del Santo della "Divina
Provvidenza".
© “Cooperatore
Paolino”- n.
3 marzo 2003
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