DEBITORI DI CHI?

Il problema del debito estero dei paesi poveri

È il Nord del mondo che ha un debito nei nostri confronti, un debito che non può più essere ripagato perché costituito dal sangue dei molti poveri…

(T. Sankara)

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INDICE:

1) PRESENTAZIONE CAMPAGNA

2) MA ALLORA…DEBITORI DI CHI?

3) LE ORIGINI DEL DEBITO

3.1) Alle origini del debito la prima crisi petrolifera

3.2) 1982: scoppia la crisi del debito

4) POLITICHE MONETARIE RESTRITTIVE

4.1) Tassi di interesse nominali e reali

5) I CREDITI COMMERCIALI

5.1) La Sace

6) PROPOSTE PRESENTATE

6.1) Il Piano Brady

6.2) I creditori del Sud e i Programmi di Aggiustamento Strutturale (PAS)

6.3) Iniziativa a favore dei paesi poveri molto indebitati (HIPC)

7) CONSEGUENZE DEL DEBITO SUI PAESI POVERI: CHE COS’È LA POVERTÀ?

8) CITTADINI DEL MONDO

8.1) Persone in movimento.

8.2) I "termini" della globalizzazione

8.3) Il caso internet.

8.4) Globalizzazione e…

8.4.1) …Stato

8.4.2) …organismi internazionali

8.4.3) …società civile

9) CHE COSA C’ENTRO IO?

9.1) Perché si parla di debito oggi?

9.2) Cosa possiamo fare in concreto?

9.2.1) Informazione

9.2.2) Consumo critico

9.2.3) Commercio equo e solidale

9.2.4) Volontariato

9.2.5) L’uomo per l’uomo: cancelliamo il debito

9.3) SANKARA

10) CHIEDIAMO LA CANCELLAZIONE DEI DEBITI

10.1) Attori diversi con approcci diversificati

10.2) L’esempio dell’Italia del dopoguerra

10.3) L’esempio dell’UNLA

10.4) Le risorse

10.5) Lettera di un capo indio ai governi europei

11) IL BRAINSTORMING O "TEMPESTA DI IDEE"

11.1) Cosa abbiamo capito fino ad ora

12) APPELLO GIUBILARE PER LA CANCELLAZIONEDEL DEBITO INTERNAZIONALE

13) APPROFONDIMENTI

13.1) Bolivia

13.2) Guinea

13.3) Messico

13.4) Niger

13.5) Russia

13.6) Zambia

14) RIVISTE

14.1) PUBBLICAZIONI

 

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1) PRESENTAZIONE CAMPAGNA (torna all'indice)

Per l’anno 2000, accogliendo il messaggio del Papa per la cancellazione del debito estero dei Paesi poveri, Volontari nel mondo FOCSIV, la Federazione di 52 Organizzazioni di volontariato internazionale impegnate nella cooperazione allo sviluppo, dedica al tema del debito estero dei Paesi "dei Sud del mondo" la quarta tappa del proprio "Percorso di solidarietà", attraverso cui, dal 1996, propone campagne di sensibilizzazione ed educazione allo sviluppo.

Quella di quest’anno intitolata "Debitori di chi?" è realizzata in collaborazione con l’Ufficio per l’Educazione, la Scuola e l’Università della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e si inserisce nell’ambito della Campagna Ecclesiale per la riduzione del debito dei paesi più poveri promossa dalla CEI.

L’approfondimento delle origini e delle conseguenze del debito è importante e necessario, non solo perché dimostra l’urgenza di provvedere alla sua cancellazione, ma anche perché è l’occasione per imparare a mettere in discussione il nostro stile di vita e capire come ognuno di noi possa singolarmente e direttamente contribuire alla costruzione di un mondo più giusto.

Volontari nel mondo — FOCSIV intende, quindi, offrire non un messaggio tra i tanti, ma uno strumento critico per mettere in discussione gli altri messaggi.

Comprendendo i meccanismi di interdipendenza e globalizzazione, deduciamo che "tutti sono debitori di tutti" poiché lo scambio è continuo e reciproco. Se consideriamo quale ruolo ha avuto il Sud del mondo nello sviluppo del Nord, la nostra gratitudine dovrebbe essere infinita. Al contrario pretendiamo il rimborso di un debito contratto con regole decise da noi, che rispecchiano il sistema economico da noi inventato, il modello di sviluppo da noi creato. Ma allora …

 

 

2) MA ALLORA…DEBITORI DI CHI? (torna all'indice)

 

Qualche dato dal Rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano

Ogni anno, a partire dal 1990, il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) ha commissionato il Rapporto sullo sviluppo umano ad un gruppo indipendente di esperti per esplorare le principali problematiche di interesse globale. Il rapporto misura il progresso umano andando oltre il reddito pro capite; tale dato, infatti, essendo il risultato di una media, nasconde la realtà degli squilibri esistenti — è come dire che abbiamo mangiato in media un pollo a testa quando in realtà tu ne hai mangiati due ed io sono rimasto digiuno. L'Indice di Sviluppo Umano (ISU), invece, classifica gli Stati considerando anche fattori quali la speranza di vita media, l'alfabetizzazione e il benessere complessivo.

Dai dati raccolti risulta che il quinto della popolazione mondiale che vive nei paesi a reddito più elevato possiede l'86% del prodotto interno lordo (PIL) mondiale, l'82% dei mercati delle esportazioni, il 68% degli investimenti diretti esteri e il 74% delle linee telefoniche. Il quinto più basso, nei paesi più poveri, detiene circa l'1% in ogni categoria.

La vita sta migliorando per la maggior parte degli individui, ma gli uomini hanno più probabilità delle donne di raggiungere una posizione migliore. Per il sesto anno consecutivo, il Canada detiene la prima posizione in relazione all'ISU, mentre la Sierra Leone occupa l'ultima. Norvegia, Stati Uniti, Giappone e Belgio seguono il Canada in testa alla graduatoria, mentre Burundi, Burkina Faso, Etiopia e Niger completano il gruppo degli ultimi cinque paesi.

I tre miliardari più ricchi del mondo hanno un patrimonio maggiore della somma del Prodotto Nazionale Lordo (PNL) di tutti i paesi a sviluppo minimo e dei loro 600 milioni di abitanti.

La Tanzania spende per il rimborso del debito nove volte quello che spende per l'assistenza sanitaria e quattro volte quello che spende per l'istruzione.

Il "Barometro della solidarietà internazionale degli italiani" è un'indagine statistica promossa da Volontari nel mondo - FOCSIV allo scopo di rilevare ed analizzare la percezione che gli italiani hanno delle problematiche dei rapporti Nord-Sud e della cooperazione internazionale: quali impegni sono disposti ad assumere in prima persona, quali obiettivi andrebbero perseguiti e quali sono le urgenze internazionali.

Si tratta di 16 domande sottoposte ad un campione di tremila italiani adulti negli ultimi mesi del 1999: dalla rielaborazione dei dati è risultata una generale tendenza dell'opinione pubblica italiana a delegare la questione della solidarietà a qualcuno che abbia il tempo e le competenze per occuparsene (Nazioni Unite, Chiesa ed ordini religiosi, ONG e associazioni di volontariato), anche se gli scandali legati a Tangentopoli e quelli più recenti sugli aiuti alle popolazioni del Kosovo hanno incrinato la fiducia verso tali soggetti.

Alla domanda diretta sul debito estero contratto dai PVS nei confronti delle nazioni industrializzate è stata prevalente la posizione di quanti, pur ritenendo che si debba intervenire in favore della cancellazione del debito, attribuiscono valore pedagogico ad un'eventuale decisione che vada in questa direzione.

Poco meno del 60% degli intervistati, infatti, condiziona la cancellazione di tale debito al rispetto delle politiche di rigore e di risanamento economico imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale; oppure all'impegno ad utilizzare le risorse così liberate per la promozione dello sviluppo dei gruppi più deboli. Questo 60% è composto per lo più da adulti con un elevato livello di istruzione e residenti nel Nord-Ovest del paese. Solo il 19% ritiene che il debito debba essere cancellato senza alcuna condizione, in tal senso si sono espressi maggiormente gli abitanti del Nord-Est; mentre l'11% pensa che i debiti vadano pagati in ogni caso. L'atteggiamento complessivo rispecchia quello assunto dai governi dei paesi industrializzati coinvolti.

 

3) LE ORIGINI DEL DEBITO (torna all'indice)

Raccontare le ragioni che hanno innescato la crisi del debito nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) è un’operazione complessa e come tale non può esaurirsi nella ricerca di un unico fattore o di un’unica responsabilità in grado di spiegare l’accaduto. In questa scheda ci proponiamo di dare alcuni spunti di riflessione sapendo di non poter essere esaustivi ma non volendo per tale ragione divenire banali.

 

3.1) Alle origini del debito la prima crisi petrolifera (torna all'indice)

Il debito estero è sempre esistito nella storia, né di per sé è una cosa negativa, perché consente di realizzare progetti che in mancanza di prestiti resterebbero solo sulla carta. Ciascuno di noi contrae debiti, accende mutui, paga a rate, ecc., l’importante è che il debito resti gestibile e non si venga travolti dal perverso gioco degli interessi.

Ogni stato contrae debiti ma quando si parla di debito estero ci si riferisce a quello prodotto a partire dagli anni ’70 e in particolare dalla prima crisi petrolifera nell’autunno del 1973.

L’aumento generalizzato del prezzo del petrolio, nel 1973, ha dato luogo al fenomeno noto come petrodollari. I paesi produttori di petrolio si trovarono infatti con enormi quantità di dollari a disposizione che depositarono presso le grandi banche internazionali con sede in Europa e in negli Stati Uniti. Le banche, a loro volta, avevano esigenza di investire queste enormi eccedenze di liquidità, e trovarono nei paesi del sud degli ottimi acquirenti. Condividendo l’idea che "le nazioni (a differenza dei privati) non vanno mai in bancarotta" fecero prestiti in dollari a lungo termine ed a tassi di interesse variabili senza preoccuparsi di come il denaro veniva impiegato.

Perché i paesi del Sud accettarono queste enormi somme di denaro? perché le accettarono in dollari? e perché a tassi di interesse variabili? La risposta evidentemente non è unica, e può essere ricondotta a motivazioni di ordine economico e di interesse personale.

Tra le motivazioni di ordine economico bisogna rilevare che i paesi del Sud si trovarono, per la prima volta nella storia, a godere di enormi quantità di denaro a basso costo da investire per la costruzione di infrastrutture (strade, scuole, ospedali, ecc) senza dover aumentare le tasse o ridurre le spese. Il pagamento del debito sembrava infatti garantito dai bassi tassi di interesse (e quindi dal basso costo del debito) e dalla crescita del prezzo delle esportazioni (principale fonte di valuta estera per molti paesi del Sud).

Per comprendere le motivazioni di interesse personale possiamo citare un esempio tratto dal libro Il debito del terzo mondo di S. George:

Nelle Filippine, nella provincia di Baatan, fu approvato un progetto per la costruzione di una centrale nucleare. Se il governo filippino avesse dovuto affidare la costruzione alla ditta che aveva presentato il preventivo più basso, la prescelta avrebbe dovuto essere la General Electric. Ma in realtà l’appalto venne vinto dalla Westinghouse. Per la costruzione dell’impianto venne chiesto un prestito di circa due miliardi di dollari che naturalmente non arrivarono mai nelle Filippine. La banca li consegnò direttamente alla Westinghouse ad eccezione di 80 milioni di dollari che furono versati su un conto svizzero in nome dell’allora dittatore Marcos, quale ricompensa per avere scelto la Westinghouse. La centrale non è mai entrata in funzione perché è stata costruita su un vulcano spento, ma per essa i filippini pagano 500.000 dollari al giorno solo per interessi".

 

3.2) 1982: scoppia la crisi del debito (torna all'indice)

Nel 1979 si verifica la seconda crisi petrolifera: il prezzo del petrolio supera di venti volte il prezzo del 1973 e provoca nuova inflazione in tutto il mondo.

Nel Nord, i paesi industrializzati reagiscono con politiche monetarie di tipo restrittivo. Come conseguenza di queste politiche i tassi di interesse aumentano improvvisamente, gli investimenti nei paesi industrializzati si riducono e con essi la domanda nazionale di beni e servizi e quindi di importazioni di materie prime provenienti dai PVS.

Cosa succede ai debitori del Sud? Avendo contratto debiti a tasso variabile si trovano improvvisamente a dover pagare somme molto maggiori di interessi a fronte di minori entrate dal lato delle esportazioni e con un dollaro in via di apprezzamento. Pagare il debito diviene più difficile.

Il primo paese a dichiarare la sua incapacità a servire il debito, ovvero a pagare interessi e conto capitale, è il Messico. Si innesca una bomba ad orologeria: se i paesi del Sud non pagassero il debito l’intero sistema bancario del Nord andrebbe in bancarotta in poco tempo con gravi conseguenze per i paesi ricchi.

Il flusso di finanziamenti dal Nord al Sud subisce un subitaneo crollo: nel 1981 in America Latina entrarono capitali per 11,3 miliardi di dollari, nel 1982 tale afflusso fu negativo —18,7 miliardi di dollari.

E’ qui che inizia il paradosso: è da questo momento che il Sud povero comincerà a pagare caro gli anni dei facili finanziamenti, e a trasferire al Nord più risorse di quante non ne riceva.

Tra il 1974 ed il 1981 l’America Latina ha ricevuto risorse per $ 91 miliardi. Dal 1982 al 1990 l’America Latina ha trasferito risorse al Nord del mondo per $224 miliardi….per ogni dollaro ricevuto ne ha pagati tre.

In assenza di finanziamenti esterni l’unica fonte di valuta estera per pagare il debito sono le esportazioni.. I paesi poveri si impegnano dunque ad aumentare la produzione di beni all’esportazione. Cosa succede però se aumenta l’offerta di beni e la domanda rimane inalterata? I prezzi diminuiscono. Così è successo ai prezzi dei beni esportati dai paesi poveri (per lo più materie prime come zucchero, cacao, grano, ecc.)

Vediamo due definizioni:

1) il volume delle esportazioni è uguale alla quantità esportata (ad esempio 100 tonnellate di cacao),

2) il valore delle esportazioni è pari alla quantità per il prezzo (ad esempio 100 tonnellate per £5.000 a tonnellata).

Che succede se la quantità di esportazioni aumenta ma il prezzo diminuisce?

Quello che è successo alle esportazioni dei paesi poveri: la quantità esportata è aumentata ma i prezzi sono diminuiti in misura così marcata che il valore complessivo delle esportazioni è diminuito.

Il costo di questa inversione di rotta (dei finanziamenti e delle esportazioni) fu tremendo. Gli anni ottanta sono chiamati la "decade perduta": solo in America Latina sono 60 milioni i nuovi poveri e di essi oltre la metà (35 milioni) vive con meno di $1 al giorno.

Nel rapporto dell’UNICEF (1989) si legge " sono i bambini, in altre parole, che stanno sopportando l’onere maggiore dell’indebitamento. Per riassumere la gravità della situazione è possibile stimare che almeno 500.000 bambini siano morti nel corso degli ultimi 12 mesi come conseguenza del rallentamento del processo della crescita economica nei Paesi in Via di Sviluppo".

Ora che sappiamo il reale costo del debito, come possiamo rimanere indifferenti davanti alla morte di milioni di persone? Non è nostro dovere insistere presso i nostri governanti affinché cancellino un debito ingiusto?

 

4) POLITICHE MONETARIE RESTRITTIVE (torna all'indice)

Lo Stato ha generalmente due strumenti per intervenire nell’economia: la Politica Fiscale e la Politica Monetaria. Si parla di politica fiscale quando lo stato agisce sulle imposte e sulla spesa pubblica (aumentando o diminuendo i loro ammontari); si parla di politica monetaria quando lo stato agisce sull’offerta di moneta. Se l’offerta di moneta aumenta, (ovvero, la Banca Centrale stampa nuove banconote) la politica monetaria si dice espansiva; viceversa, se l’offerta di moneta diminuisce siamo di fronte ad una politica monetarie restrittiva. Sapendo di banalizzare la realtà possiamo tuttavia affermare che il tasso di interesse è il prezzo della moneta (ad esempio il prezzo che applica la banca quando presta il denaro) e nasce dall’equilibrio tra domanda e offerta di moneta. Se l’offerta di moneta diminuisce il tasso di interesse aumenta (pensiamo al mercato delle mele: se vi è un solo venditore con 5 mele e vi sono 10 compratori che vogliono acquistare 10 mele, che succede al prezzo? Evidentemente il venditore, se può, lo aumenta). In economia una variabile direttamente collegata al tasso di interesse sono gli Investimenti per effettuare i quali normalmente le imprese si indebitano. Quando il tasso di interesse è alto e prendere denaro a prestito è costoso, le imprese diminuiscono gli investimenti.

Supponiamo di avere una fabbrica di cioccolata: si rompe un macchinario molto importante per la produzione, e dobbiamo acquistarne un altro; quando il tasso di interesse è alto, indebitarsi diventa costoso e possiamo quindi decidere di non effettuare l’investimento, ridurre la produzione di cioccolata, e comprare meno materie prime, in questo caso meno cacao dal Brasile. Possiamo addirittura essere costretti a licenziare alcuni dei nostri operai i quali quindi avranno meno soldi e, a loro volta ridurranno il loro acquisto di cioccolata. E’ così che le importazioni dai paesi poveri diminuiscono.

 

4.1) Tassi di interesse nominali e reali (torna all'indice)

Se l’inflazione è alta ed i tassi di interesse sono bassi è intelligente indebitarsi. Infatti il tasso di interesse reale è dato dalla differenza tra il tasso di interesse nominale (quello concordato con la banca) ed il tasso di inflazione (cioè l’aumento dei prezzi in un anno).

Esempio: immaginiamo che l’inflazione sia al 20% ed il tasso di interesse nominale sia pari al 10%.

Il tasso di interesse reale = tasso nominale — inflazione = 10 — 20 = -10%

Supponiamo che il primo gennaio una scolaresca si indebiti con la banca per £100.000 per andare a comprare un CD game. Il 31/12 la classe non ha ancora usato il CD e, ancora sigillato, lo vende, per effetto dell’inflazione, a £ 120.000. Quindi la classe restituisce in banca il capitale di 100.000, paga 10.000 di interessi nominali e…guadagna £10.000!!!!

Allora, quando il tasso di interesse reale è negativo conviene indebitarsi, e questo è quanto è accaduto negli anni settanta.

 

 

5) I CREDITI COMMERCIALI (torna all'indice)

Quello dei crediti commerciali è un tema poco considerato quando si parla di debito estero, benché le condizioni di restituzione siano ben più onerose rispetto ai crediti di aiuto. I crediti commerciali, inoltre, sono particolarmente odiosi, in quanto derivano spesso da spregiudicate operazioni commerciali, condotte nel solo interesse degli esportatori o degli investitori nazionali, con scarsissime ricadute in termini di sviluppo per i paesi debitori.

 

5.1) La Sace (torna all'indice)

In Italia, questo tipo di crediti fa capo alla Sace (Sezione Speciale per l'Assicurazione del Credito all'Esportazione), organismo pubblico sotto il controllo del Ministero per il Commercio con l'Estero e del Tesoro. Scopo istituzionale della Sace è di garantire le imprese italiane che decidono di esportare o di eseguire lavori all'estero da tutti i rischi legati alle operazioni estere, sia di natura commerciale che di natura politica. La Sace funziona come una vera e propria assicurazione: l'imprenditore che decide di intervenire su un mercato estero sottoscrive una polizza che, dietro pagamento di un premio, garantisce l'indennizzo in caso si verifichi un "sinistro", cioè nel caso in cui il paese destinatario della fornitura non provveda al pagamento corrispondente. Quando si verifica questa ipotesi, la Sace indennizza l'impresa italiana in base al contratto di assicurazione e diventa titolare del credito corrispondente nei confronti del paese inadempiente.

Nella normativa attuale non esiste alcuna procedura di controllo parlamentare sull'operato della Sace e, di fronte ad ogni richiesta di informazioni, la Sace ha sempre invocato la necessità di tutelare la privacy delle imprese che ad essa si rivolgono. Vi sono stati casi in cui per ottenere informazioni dalla Sace è stato necessario fare ben due ricorsi (uno al TAR e l'altro al Consiglio di Stato). Il problema è perciò la mancanza di trasparenza sulla concessione delle garanzie e di assunzione dei rischi che sono oggetto di arbitrio puro da parte degli organismi dirigenti della Sace, spesso legati agli interessi del grande capitale italiano. E' evidente che è sempre più urgente un controllo democratico ed una riforma radicale di un organismo come la Sace che gestisce migliaia di miliardi di fondi pubblici a favore di un ristrettissimo numero di aziende, per di più producendo debito per i paesi poveri destinatari dei (discutibili) interventi.

PAESE 1998

REDDITO PRO CAP. $

DEBITO TOT (SACE) £

DEBITO RIPAGATO £

%

Benin

350

20 MLD

0.5 MLD

2.5

Ciad

230

3 MLD

0.400 MLD

13.3

Filippine

1200

50 MLD

4.4 MLD

8.8

Guinea Conakry

550

17 MLD

3.315 MLD

19.5

Madagascar

250

141 MLD

8 MLD

5.67

Marocco

1260

100 MLD

8 MLD

8

Perù

2000

635 MLD

70 MLD

11

Zambia

370

49 MLD

8.5 MLD

17.34

Nell’ottobre del 1996 la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario si accordano sul primo piano globale di riduzione del debito il cui obiettivo è permettere ai paesi poveri molto indebitati (paesi con un reddito pro-capite annuale inferiore ai 900 dollari) di rimborsare i prestiti senza compromettere la crescita economica. Possono accedere a questa iniziativa solamente i paesi che abbiano applicato un PAS con risultati eccellenti e il cui debito sia giudicato insostenibile (il livello sostenibile è quello per cui il paese è in grado di pagare il rimborso ed è stabilito dal rapporto debito/esportazioni). Su 41 paesi giudicati oppressi da debiti intollerabili, solo nove hanno ottenuto l’accesso al programma e solo due hanno cominciato a sentirne i benefici.

L’iniziativa HIPC si è infatti dimostrata inefficace ad alleviare il debito dei paesi poveri: l’alleggerimento previsto è stato insufficiente, i tempi di applicazione troppo lunghi, la definizione di sostenibilità inadeguata, l’applicazione dei PAS eccessivamente costose in termini sociali.

La società civile, rappresentata dagli organismi non governativi e dalle chiese, per prima si è resa conto dell’inefficacia dell’iniziativa HIPC ed ha posto in essere una continua pressione sui creditori (Banca Mondiale, Fondo Monetario, Governi) affinché rivedessero i termini dell’iniziativa stessa. Tale pressione ha condotto ad alcuni importanti risultati:

1) I tradizionali programmi di aggiustamento strutturale sono stati sostituiti con le Strategie di Riduzione della Povertà (Poverty Reduction Strategy Papers — PRSP). Questo costituisce un successo, i paesi non debbono più infatti sottostare alle dure regole economiche stabilite dal FMI per ottenere la rinegoziazione del debito ma devono presentare dei progetti di riduzione della povertà e sulla base di questi esser giudicati.

2) La definizione di sostenibilità del debito è stata rivista verso il basso.

3) È stata adottata una maggiore flessibilità per concedere più rapidamente la riduzione del debito nel caso in cui uno stato presenti una strategia convincente per ridurre la povertà utilizzando il denaro reso disponibile dal taglio del debito.

 

 

6) PROPOSTE PRESENTATE (torna all'indice)

Dal 1982, anno in cui si manifesta la crisi del debito, e lungo il corso degli anni ottanta, numerose proposte sono state presentate per tentare di risolvere la crisi. Tali proposte di soluzione non prevedevano tuttavia una partecipazione dei debitori, gli attori erano ancora i creditori, i paesi del Nord. Una prima soluzione si realizza nel 1989 con la strategia nota come Piano Brady. Tale strategia prevede la possibilità di rinegoziare il debito a patto che i paesi adottino Piani di Aggiustamento Strutturale (PAS). È solamente nella seconda metà degli anni novanta che, grazie alla pressione esercitata dalle Chiese e da altri attori nel contesto della campagna "Jubilee 2000", viene riconosciuta l’insostenibilità del debito per alcuni paesi poveri altamente indebitati ed i PAS sono sostituiti dalle Strategie di Riduzione della Povertà (PRSP).

 

6.1) Il Piano Brady (torna all'indice)

Dal momento in cui scoppia la crisi del debito i governi delle nazioni creditrici hanno l’obiettivo prioritario di salvaguardare il proprio sistema bancario, a tal fine esercitano forti pressioni sulle nazioni debitrici affinché paghino le ingenti somme di denaro a servizio del debito, nonostante tali pagamenti provocano, nei paesi debitori, l’insorgere di gravi crisi economiche il cui risultato sono costi spaventosi in termini di crescita economica, disoccupazione, povertà, ecc.

Lungo l’intero corso degli anni ottanta vengono proposte numerose soluzioni alla crisi del debito, nessuna di queste riceve tuttavia il sostegno necessario alla sua applicazione. Nel 1989, quando i costi sociali del debito divengono insostenibili la neo eletta amministrazione Bush presenta un nuovo piano di rinegoziazione del debito noto con il nome di Piano Brady (dal nome dell’allora Segretario al Tesoro degli Stati Uniti Nicholas Brady).

I principi guida del Piano Brady possono essere riassunti in quattro punti:

a) La riduzione dell’onere permanente del debito (ovvero, del pagamento degli interessi).

b) La riduzione è stabilita singolarmente paese per paese.

c) L’alleggerimento del debito può esser concesso solo ai paesi disposti ad intraprendere significativi programmi di riforme (c.d. Programmi di Aggiustamento Strutturale) sotto la supervisione del FMI e della BM.

d) Alle banche creditrici deve essere offerta protezione nei confronti delle perdite che potrebbero subire in conto capitale.

Il piano Brady costituì dunque il primo riconoscimento dell’incapacità, dei paesi debitori, di rimborsare il debito. Alla base di questo riconoscimento vi è la c.d. "tesi della voragine del debito": tentando di ottenere il rimborso completo dei propri crediti, le banche avrebbero destabilizzato le economie dei paesi debitori a tal punto che il rimborso totale sarebbe alla fine risultato inferiore a quello conseguibile accettando di ridurre una parte del debito". La riduzione negoziata del debito fu dunque realizzata per favorire i paesi creditori secondo la strategia di "mantenere il prigioniero in vita quanto basta per farlo lavorare".

 

6.2) I creditori del Sud e i Programmi di Aggiustamento Strutturale (PAS) (torna all'indice)

Chi sono i creditori del Sud? Le Banche Private (creditori privati o debito commerciale), i governi (creditori bilaterali o debito bilaterale), e le agenzie multilaterali come la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale (creditori multilaterali o debiti multilaterali).

L’applicazione dei PAS ha costituito una condizione sine qua non per l’ottenimento della rinegoziazione del debito. Le PAS hanno l’obiettivo di stabilizzare le economie colpite da elevati tassi di inflazione così da rendere possibile un nuovo processo di crescita economica. Gli strumenti adottati per stabilizzare l’economia e renderla più efficiente sono: riduzione delle spese pubbliche (tra cui privatizzazioni, taglio dei sussidi all’agricoltura e all’allevamento, tagli alle spese sanitarie e dell’istruzione) aumento delle entrare dello Stato (attraverso un aumento sistematico delle imposte) e liberalizzazione dei mercati commerciali e finanziari.

6.3) Iniziativa a favore dei paesi poveri molto indebitati (HIPC) (torna all'indice)

Nell’ottobre del 1996 la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario si accordano sul primo piano globale di riduzione del debito il cui obiettivo è permettere ai paesi poveri molto indebitati (paesi con un reddito pro-capite annuale inferiore ai 900 dollari) di rimborsare i prestiti senza compromettere la crescita economica. Possono accedere a questa iniziativa solamente i paesi che abbiano applicato una PAS con risultati eccellenti e il cui debito sia giudicato insostenibile (il livello sostenibile è quello per cui il paese è in grado di pagare il rimborso ed è stabilito dal rapporto debito/esportazioni). Su 41 paesi giudicati oppressi da debiti intollerabili, solo nove hanno ottenuto l’accesso al programma e solo due hanno cominciato a sentirne i benefici.

L’iniziativa HIPC si è infatti dimostrata inefficace ad alleviare il debito dei paesi poveri: l’alleggerimento previsto è stato insufficiente, i tempi di applicazione troppo lunghi, la definizione di sostenibilità inadeguata, l’applicazione delle PAS eccessivamente costose in termini sociali.

La società civile, rappresentata dagli organismi non governativi e dalle chiese, per prima si è resa conto dell’inefficacia dell’iniziativa HIPC ed ha posto in essere una continua pressione sui creditori (Banca Mondiale, Fondo Monetario, Governi) affinché rivedessero i termini dell’iniziativa stessa. Tale pressione ha condotto ad alcuni importanti risultati:

1) I tradizionali programmi di aggiustamento strutturale sono stati sostituiti con le Strategie di Riduzione della Povertà (Poverty Reduction Strategy Papers — PRSP). Questo costituisce un successo, i paesi non debbono più infatti sottostare alle dure regole economiche stabilite dal FMI per ottenere la rinegoziazione del debito ma devono presentare dei progetti di riduzione della povertà e sulla base di questi esser giudicati.

2) La definizione di sostenibilità del debito è stata rivista verso il basso.

3) È stata adottata una maggiore flessibilità per concedere più rapidamente la riduzione del debito nel caso in cui uno stato presenti una strategia convincente per ridurre la povertà utilizzando il denaro reso disponibile dal taglio del debito.

 

 

7) CONSEGUENZE DEL DEBITO SUI PAESI POVERI: CHE COS’È LA POVERTÀ? (torna all'indice)

Secondo uno studio condotto dalle Nazioni Unite i paesi poveri molto indebitati presentano tassi di mortalità infantile, di malattia, di analfabetismo e di malnutrizione più elevati rispetto a quelli di altri paesi in via di sviluppo. Tra il 1970 ed il 1997 la speranza di vita è diminuita di oltre il 10% in Zambia, Zimbabwe, Uganda e Botswana:

Speranza di vita (anni)

1970

1997

Zambia

46,3

40,1

Zimbabwe

50,3

44,1

Uganda

46,3

39,6

Botswana

51,6

47,4

UNDP 1999

In Tanzania il governo, per onorare il debito, ha applicato un Programma di Aggiustamento Strutturale che ha condotto alla riduzione dei sussidi all’istruzione. Andare a scuola costa oggi $5 per anno; sempre più famiglie non hanno la possibilità di pagare questi 5 dollari e l’analfabetismo ha superato il 70% della popolazione complessiva; sempre in Tanzania la spesa per il servizio del debito è nove volte maggiore della spesa sanitaria in prevenzione e quattro volte maggiore della spesa in istruzione primaria (UNDP 1999).

Il debito va pagato in dollari e poiché i dollari provengono dalle vendite all’estero (esportazioni), la capacità di pagamento dei paesi indebitati è strettamente legata ai prezzi delle merci che esportano.

Molti paesi sono tuttavia esportatori di un solo bene principale (ad esempio, in Zambia il 98% delle esportazioni è rappresentato dal rame, in Guinea l’81% è bauxite, in Uganda il 96% è caffè).

La continua perdita di valore delle merci del Sud ha varie cause ma la principale è la sovrapproduzione e questa è strettamente legata al debito: per ripagare il debito e gli interessi da venti anni il Sud trasferisce al Nord una media di 150 miliardi di dollari all’anno e poiché questi soldi sono ottenuti tramite le esportazioni è come se ogni anno il Sud spedisse merce al Nord senza essere ripagato.

La povertà è fame, è mancanza di una casa. La povertà è essere malati e non poter essere curati. La povertà è l’impossibilità di andare a scuola, è non saper leggere, non essere capace di parlare in modo corretto. La povertà è non avere un lavoro, è paura del futuro, è vivere come se le giornate fossero uniche. La povertà è veder morire un figlio a motivo dell’acqua insana. La povertà è mancanza di rappresentanza politica, è mancanza di libertà.

Oggi nel mondo vi sono oltre due miliardi di persone povere (ovvero con meno di $2 al giorno). Il pagamento del debito è una tra le cause della povertà; sottrae risorse allo sviluppo sostenibile delle nazioni, prima tra tutti l’istruzione, la ricchezza che da sola può garantire l’indipendenza di uno stato.

 

 

8) CITTADINI DEL MONDO (torna all'indice)

Il motivo per cui si parla tanto di globalizzazione oggi è che tutti sanno che al nostro mondo sta accadendo qualcosa di straordinario: possiamo comunicare con internet da un lato all’altro del pianeta in pochi secondi, sentiamo che i nostri posti di lavoro dipendono da decisioni economiche prese in luoghi lontani, apprezziamo film, cibo, mode di tutto il mondo, ci preoccupiamo della qualità della vita e ci chiediamo come salvarla tutti insieme. In breve la globalizzazione riguarda le connessioni tra diverse regioni del mondo e i modi in cui esse mutano e si accentuano col tempo. Guardate in questo esempio uno degli aspetti della globalizzazione: una amica del Perù compra a Parigi un vestito cucito in Romania, tagliato in Italia, il tessuto veniva dalla Cina.

Per questo motivo riteniamo che occorra definire dei meccanismi che facciano della globalizzazione un processo che aumenti davvero la comunicazione e l’interdipendenza tra le popolazioni del mondo fino a creare una "società globale". Tale interdipendenza è stata individuata in vari ambiti, così che è possibile parlare di una pluralità di processi di globalizzazione (politica, economica, tecnologica, culturale ecc.).

La globalizzazione ha assunto diverse forme nel corso della storia, dall’ambiente all’economia, dalla politica alla cultura. Il filo che collega tali ambiti sono le persone ed è con i loro spostamenti che si dovrà cominciare.

 

8.1) Persone in movimento. (torna all'indice)

La globalizzazione ha avuto inizio con i viaggi. Gli esseri umani migrano da millenni per acquisire nuove conoscenze, per colonizzare nuove terre, per creare imperi, o per cercare lavoro.

- La prima grande ondata di migrazione moderna comincia con il commercio transatlantico di schiavi: alla metà del 19° secolo, circa 12 milioni di persone erano stati deportati come schiavi dall’Africa alle Americhe.

- Tra il 1880 e la prima guerra mondiale oltre 30 milioni di poveri d’Europa si versarono oltreoceano alla ricerca di una vita migliore (le ricchezze).

- Negli anni _‘50 e _‘60, milioni di persone si riversarono in Europa, attratti dalla rinascita delle economie dell’Europa Occidentale.

Oggi ci troviamo a convivere con le conseguenze di secoli di emigrazione e conquiste. Tale processo, sembra, non potrà mai invertirsi. Alcuni Stati sono ormai strettamente dipendenti dalla manodopera immigrante, altri hanno difficoltà a tenere il fenomeno sotto controllo. A tale proposito, i risultati dello Studio ONU dal titolo "Migrazione di ricambi: una soluzione all’invecchiamento delle popolazioni?" pubblicato in Marzo, confermano che per mantenere stabile la sua forza lavoro e per fermare il calo demografico fino al 2025, all’Italia servono 300 mila immigrati l’anno. Per l’Unione europea il numero complessivo di immigrati necessari è di 135 milioni di persone.

In linea teorica, la globalizzazione si presenta come un’opportunità carica di potenzialità positive, ma in realtà produce effetti negativi per i più deboli che ne restano emarginati.

La globalizzazione odierna in sé non è né buona né cattiva, come dice Giovanni Paolo II, ma è uno strumento che sarà utile se l’"uomo" rimane al centro dell’attenzione, e sarà distruttiva se si mira soltanto agli interessi egoistici. Ma purtroppo la cronaca di ogni giorno ci offre una realtà preoccupante: uno degli esempi è che i paesi ricchi oggi aprono le porte ai prodotti e alle ricchezze dei paesi poveri, ma le porte si chiudono ogni giorno di più alle persone di questi paesi poveri. Allora ci chiediamo che globalizzazione è?

 

8.2) I "termini" della globalizzazione (torna all'indice)

- Pluriverso: vuol dire che l’uni-verso si è pluralizzato, è sempre di più un immenso spazio infinito di differenze, di alterità, dove ogni singola identità è attraversata da un processo di contaminazione che arricchisce e trasforma le identità stesse, rendendole plurali.

- Nonluogo: significa un luogo che non appartiene a nessuno e nello stesso momento appartiene a tutti. I nonluoghi sono ad esempio gli aeroporti, stazioni ferroviarie, autobus, supermercati, stadi di football, ecc., nessuno impedisce a nessuno né di entrarci né di uscirne.

- Globalizzazione: (globale - locale). Oggi tutto si mondializza, ed è anche vero che tutto si pluralizza. C’è l’unità nella diversità (viviamo uniti ma ognuno diverso dall’altro).

- Intelligenze multiple: intercultura come modalità dell’educazione. Si propone di usare il metodo comparativo che ci permette di conoscere e valorizzare culture diverse dalla nostra (Marco Polo come Ibn Battuta, filosofo arabo!).

A tutto questo (pluriverso, nonluogo, globalizzazione, intelligenze multiple) si può arrivare attraverso una cultura dello scambio, dell’incontro, dell’interazione. Educando dunque al decentramento, alla circolarità dei punti di vista, alla didattica delle differenze. Quindi il futuro che vogliamo abitare dovrà essere un luogo accogliente in cui c’è spazio per tutti e dove nel gioco dinamico della reciprocità, ognuno possa sentirsi arricchito dall’incontro con l’Altro.

Per costruire i ponti della convivenza possibile, i nostri alleati sono tra l’altro:

- i mediatori culturali che operano in scuole, ospedali, questure, consultori, ecc.;

- i traduttori di opere dalle altre lingue e culture;

- gli elaboratori di altri pensieri;

- gli organizzatori di scambi culturali;

- i promotori di gemellaggi;

- il volontariato nazionale;

- il volontariato internazionale e gli altri operatori della cooperazione internazionale.

 

8.3) Il caso internet. (torna all'indice)

Il collegamento tra computer a livello mondiale, rappresenta uno straordinario strumento per lo sviluppo e può aprire un rapido sentiero alla crescita. Ma consideriamo che metà dell’umanità non ha mai telefonato. Il prezzo di un telefono è superiore al salario di un operaio del Terzo mondo; un computer costa, all’abitante medio del Bangladesh, oltre otto anni di reddito e figuriamoci navigare su internet che implica avere un proprio telefono e computer oltre alle bollette da pagare. Continuiamo a chiederci: a chi serve internet e tutti i suoi vantaggi? Cosa dobbiamo fare davanti a questa situazione?

Emerge una necessità crescente di stabilire un "codice di buona condotta" o una "etica della globalizzazione" che permetta di definire le responsabilità.

 

8.4) Globalizzazione e… (torna all'indice)

8.4.1) …Stato (torna all'indice)

Il ruolo dello Stato è di garantire la cittadinanza, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, all’economia, ai processi educativi e culturali, al lavoro, ecc. Il punto di partenza è l’uguaglianza delle opportunità, quindi la non-discriminazione. Infine lo Stato ha il dovere di vigilanza e di controllo sui cittadini.

Gli Stati hanno la responsabilità di vigilare affinché i diritti dei propri cittadini siano rispettati. In molti Paesi questo non accade e si permette che l’ingerenza del capitale straniero leda anche i diritti umani dei cittadini. Si tratta naturalmente di un’arma a doppio taglio perché le imprese multinazionali portano lavoro e producono merce per l’esportazione, che è una condizione di sopravvivenza indispensabile per gli Stati indebitati. Allo stesso tempo, però, si permettono condizioni di sfruttamento inumane per i lavoratori per non essere tagliati fuori dal mercato e restare COMPETITIVI. La tendenza alla deregolamentazione e alla flessibilità del mercato non è una caratteristica soltanto dei paesi poveri ma anche una tendenza sempre maggiore del mercato del lavoro dei Paesi ricchi.

 

8.4.2) …organismi internazionali (torna all'indice)

In un mondo globalizzato si sente sempre più l’esigenza di un "governo globale". Il processo di polarizzazione è iniziato dal secondo dopoguerra e tende a definire sempre di più delle macroregioni (Europa, Sud-Est asiatico, Nordamerica, America Latina, ecc.). La tendenza è quella di decentrare le decisioni politiche ed economiche. Le Nazioni Unite, create nel secondo dopoguerra per scongiurare il pericolo di un’ennesima guerra mondiale, e con la prospettiva di offrire al mondo un governo sovranazionale rappresentativo di tutti i Paesi del mondo, hanno in parte fallito nel perseguimento dei loro obiettivi. La struttura dell’ONU infatti non è funzionale ai reali bisogni del pianeta. Quindi occorre rivedere le leggi che regolano questa ed altre istituzioni internazionali; porre all’ordine del giorno la questione della "cittadinanza globale" fondata sulla interdipendenza e sul rispetto dei diritti umani e democratici. L’altro non è un "avversario", ma un partner.

L’esempio della Corte Penale Internazionale è emblematico. Dopo la creazione di Tribunali internazionali ad hoc (per il Rwanda e la ex-Jugoslavia) è stato adottato lo Statuto della Corte, questa dovrebbe perseguire i responsabili di crimini di guerra e contro l_‘umanità. Nell’attribuzione di tale compito, gli Stati ratificando lo Statuto suddetto, realizzerebbero un trasferimento di sovranità, ma non tutti, soprattutto quelli più potenti, sono pronti ad accettarlo.

 

8.4.3) …società civile (torna all'indice)

La società civile dovrebbe farsi carico della messa in pratica della globalizzazione dei diritti economici, sociali e culturali dei cittadini.

Le ONG, del Nord come del Sud, quali soggetti che istituzionalmente sono espressione della società civile impegnata nella cooperazione allo sviluppo in un’ottica di partenariato, necessitano naturalmente del riconoscimento delle istituzioni statali e dell’appoggio concreto dei finanziatori nazionali ed internazionali.

 

9) CHE COSA C’ENTRO IO? (torna all'indice)

Guardare la realtà del debito con gli occhi del Sud può suscitare un senso di impotenza, di frustrazione.

Ma non bisogna dimenticare che ognuno di noi è importante, che ogni nostra azione ha delle ripercussioni e che tutti insieme possiamo cambiare ciò che riteniamo ingiusto. La finalità di questa sesta scheda è proprio quella di ricordare l’importanza dell’informazione: solo la conoscenza può renderci capaci di scegliere e quindi di essere protagonisti della nostra storia.

9.1) Perché si parla di debito oggi? (torna all'indice)

Nel 1994 il Papa lancia con l’enciclica "Tertio Millennio Adveniente" il cammino verso il Giubileo del 2000 e tra i vari obiettivi propone di accoglierlo come un "…tempo opportuno per pensare, tra l’altro, ad una consistente riduzione, se non proprio al totale condono del debito internazionale, che pesa sul destino di molte nazioni" (TMA, 51).

Parlare del debito è un modo di manifestare l’interesse che l’uomo ha per l’uomo. L’uomo non è solo capace di fare il male, ma anche di operare per il bene. Il Giubileo è l’occasione per risvegliare questa capacità. Il Giubileo è fatto per l’uomo e non l’uomo per il Giubileo. In questo senso va letto l’appello di Giovanni Paolo II: trovare soluzioni ai problemi gravi degli uomini (soprattutto le persone più deboli). Così la cancellazione del debito che grava sui paesi più poveri diviene la parola d’ordine del Giubileo.

 

9.2) Cosa possiamo fare in concreto? (torna all'indice)

9.2.1) Informazione (torna all'indice)

I cittadini hanno il dovere di impegnarsi a portare la giustizia soprattutto là dove essa sembra mancare: nell’economia, nel mercato, nel mondo del lavoro, della cultura, della scienza, ecc. La conoscenza della realtà e la sensibilizzazione delle coscienze sono un presupposto importante per contribuire ad uno sviluppo armonico dell’umanità.

Il mondo delle comunicazioni e delle informazioni è in continua crescita:

¨ 1.260.000.000 televisori nel ’97, 800 milioni di utenti di internet stimati per il 2001.

¨ Una sola copia dell’edizione domenicale del New York Times contiene più informazioni di quante potesse acquisirne un europeo del XVII secolo in tutta la sua esistenza.

¨ Il fatturato delle industrie della comunicazione potrebbe raggiungere nel 2002 il 10% dell’intera economia mondiale.

Questa accelerazione sta portando ad acquisti e concentrazioni tra le imprese della comunicazione e dell’informazione per il "controllo dell’intera catena": contenuti, produzione, diffusione e rapporto con l’abbonato. Ma se anche l’informazione diventa merce di scambio, come esser certi che i media non tendano a difendere, direttamente o indirettamente, gli interessi del rispettivo piuttosto che quelli del cittadino? Da questo l’importanza di cercare e sostenere fonti di informazioni libere e indipendenti o almeno di essere consapevoli della "sorgente" delle informazioni. Informarsi è una fatica, ed è anche costoso, ma un’informazione vera, libera e critica, con i tempi che corrono, non ha prezzo.

Utili strumenti di informazione possono essere, per questo, le riviste delle ONG (vedi pag. 2 elenco Organismi aderenti alla campagna) ed i loro siti web.

9.2.2) Consumo critico (torna all'indice)

Per capire cosa sia il consumo critico è utile un esempio. La Chiquita (le famose banane 10 e lode) sparge fertilizzanti e pesticidi sulle piantagioni mentre i braccianti sono al lavoro nei campi, provocando morti premature, cecità e malattie respiratorie. I lavoratori non sono tutelati, non possono infatti organizzarsi in organizzazioni sindacali e se protestano è facile licenziarli. Come possiamo non sostenere la battaglia dei lavoratori della Chiquita?

QUESTO E’ IL CONSUMO CRITICO!

Ancora una volta è l’informazione a giocare un ruolo determinante. Informazioni come questa non possiamo trovarle di certo sulla stampa tradizionale, ma occorre andarsele a cercare (vedi riviste delle ONG).

9.2.3) Commercio equo e solidale (torna all'indice)

Normalmente un contadino brasiliano riceve per un kg di caffè 600 lire. Nei nostri supermercati lo acquistiamo a circa 15.000 al chilo. Che fine fanno le 14.400 lire?! Inoltre il contadino spende per produrre quel Kg di caffè più di quanto riceve (ad esempio spende 120 e riceve, dalla vendita, 100. Si parla allora di produzione sottocosto). Quando veniamo a conoscenza di queste realtà (che, ancora una volta, non scopriamo di certo sulla stampa ufficiale) possiamo continuare a comprare il caffè delle multinazionali? E così il cacao, il miele, lo zucchero, ecc.

L’obiettivo del commercio equo e solidale è quello di restituire ai lavoratori il giusto compenso, è la base per ristabilire un’economia giusta in cui ogni fattore produttivo sia ripagato in base alla propria produttività.

9.2.4) Volontariato (torna all'indice)

La cultura della solidarietà non si improvvisa. Il ruolo degli educatori in questo senso è fondamentale. Un modo per aiutare gli altri e noi stessi a capire tanti meccanismi perversi che governano il mondo è quello di condividere le esperienze di coloro che hanno bisogno di noi, non tanto per un aiuto materiale quanto per un segno di solidarietà. Varrà molto di più di qualsiasi corso di specializzazione!

Non si nasce con il cromosoma del volontario, noi adulti siamo chiamati a far crescere nei ragazzi il desiderio di solidarietà. In un mondo in cui viene data sempre più importanza all’AVERE, l’ESSERE solidali potrebbe dare un senso nuovo alla nostra vita.

Il volontariato si può fare anche da piccoli attraverso gesti concreti in aiuto di quanti ci sono vicini. Più si cresce e più questi gesti potranno consolidarsi in un impegno continuativo ed in un’assunzione di responsabilità.

Essere cittadini del mondo significa, tra l’altro, considerare alla stregua dei nostri vicini di casa anche coloro che vivono o provengono dall’altro capo del mondo.

Oltre al volontariato in Italia, c’è anche la possibilità di essere volontari internazionali passando un periodo della propria vita in un Paese del Sud del mondo. Siamo abituati a pensare che in queste situazioni operino solo missionari e religiosi, mentre ai progetti di cooperazione allo sviluppo lavorano, accanto alla popolazione locale (partner), anche tanti volontari internazionali (vd pag. 2 sportello InformarVi). Questa campagna sul debito, lanciata da Volontari nel mondo — FOCSIV, nasce proprio dal desiderio di testimoniare e trasmettere ciò che i nostri volontari (più di 13.000!) hanno ricevuto e dare voce a chi non ha voce. Il volontariato è sempre un dare e ricevere!

9.2.5) L’uomo per l’uomo: cancelliamo il debito (torna all'indice)

Il fine dell’uomo è quello di essere felice. Ma la felicità non è veramente tale se non è goduta insieme agli altri. Quando un amico sta male, soffre, non possiamo essere veramente felici.

Vi sono delle sofferenze che dipendono da cause esterne (malattia, incidenti, ecc.)

Vi sono delle sofferenze che sono sistematiche, imposte dall’uomo sull’uomo.

Per le prime non possiamo fare molto, per le seconde sì.

Il debito dei paesi poveri impone un pesante fardello sulla vita di milioni di persone. Noi possiamo agire affinché questo debito venga cancellato. Il debito tuttavia è solo un aspetto di un sistema più ampio. Pensare che la cancellazione del debito risolverà tutti i problemi è un illusione. Non bisogna mai smettere di lavorare per un mondo più giusto.

Ma chi è il mondo? Il mondo inizia fuori dalla nostra porta di casa, fuori dalla nostra classe. Non possiamo occuparci di debito e non sapere nulla di ciò che accade nel nostro quartiere. Le conseguenze del debito sono arrivate già a casa nostra: quanti immigrati sono scappati da situazioni impossibili? Quanti di loro avrebbero preferito rimanere in patria? Quanti lavorano per mandare i soldi in paesi lontani?

Ciascuno di noi è chiamato a scegliere, in ogni tempo, nelle più diverse circostanze, per i più diversi motivi, da quelli semplici a quelli complessi. Per non pentirsi delle scelte fatte bisogna fondarle sulla consapevolezza. Ogni persona quotidianamente ha davanti a sé delle sfide e ciascuna di esse ha bisogno di conoscenza: non possiamo votare senza conoscere, non possiamo acquistare senza sapere, non dobbiamo ignorare che il nostro vicino di casa soffre, che i nostri fratelli etiopi muoiono di sete, non possiamo ignorare di essere milioni e di essere in quanto tali una forza potente, capace di cambiare il mondo, non dobbiamo smettere di sperare in un mondo giusto.

A Lilliput il "gigante" Gulliver veniva incatenato da migliaia di piccoli pezzi di spago. Degli esserini come i Lillipuziani riuscivano così a frenare una forza per loro immensa. Anche l’umanità ha le potenzialità per riuscire in questo intento. Facciamo un esempio:

Negli anni ’70 ci fu una grande campagna di boicottaggio contro la multinazionale Shell: in Germania i consumatori smisero di acquistare i carburanti della Shell e lo fecero tutti insieme, informandosi sulle motivazioni che avevano spinto ad organizzare questo boicottaggio. La Shell fu costretta a modificare la propria strategia di produzione. Questo è un tipico esempio di "strategia lillipuziana".

Un altro esempio, purtroppo non andato a buon fine, è quello suggerito da Thomas Sankara, il leader del Burkina Faso tra il 1984 e il 1987:

"…non possiamo pagare il debito perché sono gli altri che hanno nei nostri confronti un debito che le più grandi ricchezze non potrebbero mai pagare, cioè il debito di sangue, il nostro sangue che è stato versato. (…)Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il suo debito, io non sarò qui alla prossima conferenza; ma con il sostegno di tutti potremo evitare di pagare. Ed evitare di pagare è una condizione sine qua non perché possiamo provvedere al nostro sviluppo. Ma non posso terminare senza sottolineare che ogni volta che un paese africano acquista armi, è contro gli africani. Quindi, nel lanciare la soluzione di non pagare il debito, dobbiamo contestualmente trovare una soluzione al problema degli armamenti. (…)".

Sankara venne ucciso da un commando militare nel 1987: la sua posizione nei confronti del potere faceva paura, e da solo non ce l’ha fatta, aveva bisogno degli altri lillipuziani…degli altri capi di governo africani.

 

9.3) SANKARA (torna all'indice)

Dovresti sapere chi era Sankara! "Il Che Guevara africano!" Il "presidente dei contadini"; "il ribelle"; il presidente più povero del mondo; "l’incorruttibile"; "il femminista": così fu definito di volta in volta Thomas Sankara, che per quattro anni (1983-87 quando fu assassinato da un commando militare), fu capo di Stato rivoluzionario del poverissimo Stato africano chiamato colonialmente Alto Volta. La rivoluzione lo ribattezzò Burkina Faso, ovvero "la patria degli integri". Tentò un esperimento-sfida inedito: portare il suo Paese, che era ricco solo di contadini in lotta contro il deserto, su un cammino di sviluppo autonomo, egualitario, sostenibile; e al tempo stesso da questo piccolo Paese parlare al mondo, contro gli sfruttamenti neocoloniali, contro lo spreco, contro gli armamenti e il debito estero. Tutto ciò con grande coerenza personale: quanti presidenti o capi di Stato conosciamo — del Nord e del Sud del mondo — che mantengano uno stile di vita semplice? Solo un accenno: la rivoluzione burkinabé divenne famosa perché abolì tutte le auto blu dei ministri, sostituendole con semplici utilitarie. E di Sankara tutti sapevano che faceva solo due pasti (non tre) al giorno, a base di cereali locali. Accanto alla costruzione di uno sviluppo autonomo e sostenibile per il Burkina, affidandosi a un’austerità autoimposta anziché al cappio del Fondo Monetario come tutti gli altri Paesi debitori, Sankara prestò molta attenzione agli squilibri economici internazionali. Spesso anticipando lotte che sarebbero diventate di massa solo in seguito, egli attirò l’attenzione sull’impoverimento causato dai programmi di aggiustamento strutturale, sulla perpetuazione dello sfruttamento coloniale, sulle speculazioni finanziarie, sugli sprechi internazionali di energia e materie prime, sulla follia degli armamenti, sulla trappola del debito. E alla necessità di non pagare il debito è dedicato il discorso di Sankara all’Organizzazione per l’Unità Africana, nel 1986, che qui riproponiamo per la sua attualità.

"Il problema del debito va analizzato prima di tutto partendo dalle sue origini. Quelli che ci hanno prestato il denaro sono gli stessi che ci hanno colonizzati, sono gli stessi che hanno per tanto tempo gestito i nostri Stati e le nostre economie; essi hanno indebitato l’Africa presso i donatori di fondi. Noi siamo estranei alla creazione di questo debito, dunque non dobbiamo pagarlo. Il debito, inoltre, è anche legato a meccanismi neocoloniali; i colonizzatori si sono trasformati in assistenti tecnici…o dovremmo dire assassini tecnici, che ci hanno proposto dei meccanismi di finanziamento con i finanziatori, i bailleurs de fonds, un termine continuamente usato: come se ci fossero uomini il cui sbadiglio (baillement in francese, ndt) bastasse a creare lo sviluppo dei nostri Paesi! I finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei vantaggi finanziari. Così ci siamo indebitati per decenni e per decenni abbiamo rinunciato a soddisfare i bisogni delle nostre popolazioni. Il debito nella sua forma attuale, controllato e dominato dall’imperialismo, è una riconquista coloniale organizzata con perizia, affinché l’Africa, la sua crescita, il suo sviluppo, obbediscano a regole che ci sono del tutto estranee, e che ciascuno di noi diventi finanziariamente schiavo, o peggio, schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’astuzia, la furbizia di piazzare capitali da noi con l’obbligo di rimborsarli. Ci si dice di rimborsare il debito. Ma non si tratta di una questione morale: qui non è in gioco il cosiddetto "onore". Signor Presidente, abbiamo ascoltato e applaudito il primo ministro di Norvegia che ha parlato qui ieri, anche lei che è europea, ha detto che il debito non può essere interamente rimborsato. Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché, se noi non paghiamo, i prestatori di capitale non moriranno, possiamo esserne certi. Invece, se paghiamo, saremo noi a morire, possiamo esserne altrettanto certi.

Quelli che ci hanno portato all’indebitamento hanno giocato, come al casinò: finché ci guadagnavano andava tutto bene; adesso che hanno perduto al gioco, esigono che li rimborsiamo. Signor Presidente, io dico: hanno giocato; hanno perso; è la regola del gioco; e la vita continua. Non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito, né dobbiamo, non essendone responsabili. Non possiamo pagare il debito perché sono gli altri che hanno nei nostri confronti un debito che le più grandi ricchezze non potrebbero mai pagare, cioè il debito di sangue, il nostro sangue che è stato versato. Quando si parla oggi di crisi economica, si dimentica di dire che la crisi non è venuta dal nulla, esiste da sempre, e andrà avanti sempre più man mano che le masse popolari diventeranno più coscienti dei propri diritti di fronte agli sfruttatori. C’è crisi oggi perché le masse rifiutano la concentrazione delle ricchezze nelle mani di qualche individuo. C’è crisi perché qualche individuo deposita in banche all’estero somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa. C’è crisi perché di fronte a quelle enormi ricchezze individuali le masse popolari non ci stanno più a vivere in ghetti e aree fatiscenti. C’è crisi perché i popoli dappertutto rifiutano di essere dentro Soweto a guardare Johannesburg. Ci sono dunque lotte, che inducono all’inquietudine i detentori del potere finanziario. Ci viene chiesto di essere complici nella ricerca di meccanismi di equilibrio: equilibrio in favore di chi ha il potere finanziario, equilibrio a scapito delle nostre masse popolari. No, non possiamo essere complici! No, non possiamo accompagnare il passo assassino di chi succhia il sangue dei nostri popoli. Signor Presidente, si sente tanto parlare di club: club di Parigi, club di Roma, club dappertutto. Si sente parlare di gruppo dei 5, gruppo dei 7, magari gruppo dei 100 e chissà che altro ancora. E’ davvero tempo di creare il nostro club, il nostro gruppo: facciamo sì che da oggi Addis Abeba diventi la sede di un nuovo club, il Fronte unito di Addis Abeba contro il debito. E’ nostro dovere proclamare di fronte a tutti che nel nostro rifiuto di pagare il debito non ci sono intenti bellicosi, al contrario c’è un intento amichevole e fraterno, quello di dire come stanno le cose. Le masse popolari europee non sono opposte a quelle africane, anzi quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. I nemici sono comuni. Il nostro club di Addis Abeba dovrà dire a tutti "il debito non sarà pagato". E stiamo pur certi di essere dentro il rispetto della morale e della parola: perché noi non possiamo avere la stessa morale degli altri. Non c’è la stessa morale fra ricchi e poveri! Il Vangelo e il Corano non possono servire allo stesso modo a chi sfrutta il popolo e a chi è sfruttato: ci vorrebbero due edizioni del Vangelo e due del Corano.

Non possiamo accettare che si parli di dignità e merito per quelli che pagano e di perdita di fiducia rispetto a quelli che non pagano. Dobbiamo al contrario riconoscere che i maggiori ladri sono i più ricchi. Un povero, quando ruba, commette solo un peccatuccio, per sopravvivere, per necessità. Un ricco, i ricchi, rubano al fisco, alle dogane, e sfruttano i popoli. Signor Presidente, la mia proposta non ha solo l’obiettivo di provocare o di fare spettacolo: vorrei farmi portavoce di ciò che ciascuno di noi pensa. C’è forse qui qualcuno che non si augura che il debito sia, semplicemente, cancellato? Se c’è, quel qualcuno può uscire da qui adesso, imbarcarsi sul suo aereo e andare là subito a pagare! E non si consideri la proposta del Burkina Faso come una proposta di giovani, senza maturità ed esperienza; né si pensi che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Si deve ammettere l’oggettività e l’obbligo di una simile posizione. Fra i capi di Stato che hanno già proposto di non pagare il debito, ve ne sono di rivoluzionari e di non rivoluzionari, di giovani e di anziani. Fidel Castro l’ha detto, e non ha la mia età, pur essendo rivoluzionario. Anche François Mitterand ha detto che i Paesi africani, i paesi poveri, non possono pagare. Potrei anche citare la signora primo ministro della Norvegia — non conosco la sua età e non mi permetterei mai di chiedergliela…E il presidente Félix Huphouet-Boigny, che non ha la mia età, ha dichiarato pubblicamente che il suo Paese non può pagare; ebbene, la Costa d’Avorio è classificata fra i Paesi più abbienti, almeno in Africa francofona — ecco perché fra l’altro è normale che debba pagare qui una quota maggiore. Signor Presidente, impegniamoci molto seriamente a ricercare delle soluzioni; facciamo sì che altre conferenze spieghino con chiarezza che non possiamo pagare il debito. Dobbiamo dirlo tutti insieme, perché individualmente andremmo a farci assassinare. Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il suo debito, io non sarò qui alla prossima conferenza; ma con il sostegno di tutti — e ne ho bisogno — potremo evitare di pagare. Ed evitare di pagare è una condizione sine qua non perché possiamo provvedere al nostro sviluppo. Ma non posso terminare senza sottolineare che ogni volta che un Paese africano acquista armi, è contro gli africani. Quindi, nel lanciare la risoluzione di non pagare il debito, dobbiamo contestualmente trovare una soluzione al problema degli armamenti. Sono un militare, e ho con me un’arma. Eppure, signor Presidente, propongo il disarmo: perché io porto l’unica arma che ho, mentre altri hanno nascosto tutte quelle che hanno…Cari fratelli, con la collaborazione di tutti possiamo arrivare alla pace fra noi. E potremmo utilizzare le nostre immense possibilità di sviluppare l’Africa. Il nostro suolo, il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia, abbiamo un mercato, abbiamo sufficienti capacità intellettuali per creare ed utilizzare la tecnologia e la scienza, che non mancano. Signor Presidente, facciamo sì che a partire dal Fronte unito di Addis Abeba contro il debito si decida di frenare la corsa agli armamenti fra Paesi deboli e poveri. I coltelli e coltellacci che compriamo sono inutili! Facciamo sì inoltre che il mercato degli africani sia davvero il mercato degli africani: produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo ciò di cui abbiamo bisogno e consumiamo quel che produciamo, invece di importare! Il Burkina Faso è venuto qui a mostrarvi la cotonnade, il tessuto di cotone prodotto, filato e lavorato in Burkina dai burkinabé. Io stesso e la mia delegazione siamo vestiti dai nostri tessitori, non un filo viene dall’Europa o dall’America! Non voglio fare una sfilata di moda [risate]; voglio solo dire che dobbiamo accettare di vivere all’africana, perché è per noi il solo modo di vivere liberamente, il solo modo di vivere degnamente. La patrie ou la mort, nous vaincrons!"

Marinella Correggia, Il "Che Guevara d’Africa" e il debito estero, in Altreconomia, nov. — dic. 1998

 

10) CHIEDIAMO LA CANCELLAZIONE DEI DEBITI (torna all'indice)

E’ dunque intollerabile per noi vivere con la consapevolezza che milioni di persone subiscono una condizione di vita disumana per il pagamento di un debito ingiusto.

"La cancellazione dei debiti è quanto mai urgente. Si tratta di una condizione per molti versi pregiudiziale perché i paesi più poveri possano fare progressi nella loro lotta contro la povertà. Questa è una verità ampiamente accettata, (…). Dobbiamo però chiederci perché i progressi nella risoluzione del problema del debito siano ancora così lenti. Perché tante esitazioni? Perché è così difficile trovare i fondi necessari, anche per le iniziative che sono già state oggetto di un accordo? Sono i poveri che pagano le conseguenze dell’indecisione e dei ritardi" (Messaggio del Papa Giovanni Paolo II alla delegazione della campagna internazionale Jubilee 2000, 23 settembre 1999).

 

Il capo indio Guaicaipuro Cuautemoc parla a noi Europei di un debito "storico" contratto dai colonizzatori dell’America, cominciato negli anni della Conquista. E’ un modo inconsueto per scoprire che il debito estero appartiene a tanti.

Come Europei ci riteniamo solamente creditori e ci preoccupiamo del debito contratto dai Paesi poveri.

Il debito estero dei Paesi in via di Sviluppo comporta varie conseguenze, che pesano soprattutto sui paesi poveri ma anche su quelli ricchi. La sua cancellazione avrebbe quindi degli effetti a livello mondiale.

 

Per pagare il debito estero, gli Stati debitori devono esportare molto. Considera il problema della deforestazione e il rapporto con il debito.

Testi per la ricerca dei dati: Guida del mondo. Il mondo visto dal Sud 1999/2000, EMI

Cem/Mondialità, n. 4 - aprile 2000, CSAM Brescia

Rapporto su Lo Sviluppo umano n. 10, Rosenberg&Sellier, Torino 1999

La cancellazione del debito ingiusto è indispensabile per "ridare ossigeno" ai Paesi più poveri oppressi dal peso degli interessi che ogni anno devono pagare ai loro creditori ma, da sola, non è sufficiente a innescare e sostenere il loro processo di autosviluppo.

La cooperazione internazionale è uno degli strumenti con i quali realtà dei Paesi ricchi e dei Paesi più poveri intendono collaborare per la promozione di uno sviluppo del pianeta che non sia unicamente considerato in termini di crescita economica. Tale impostazione, infatti, è riduttiva, non sostenibile ed incurante della crescente emarginazione di fasce sempre più numerose di popolazione del pianeta.

L’articolo 1 della legge italiana che regola la cooperazione internazionale (legge 49/87) afferma: "….(la cooperazione allo sviluppo) è finalizzata al soddisfacimento dei bisogni primari e in primo luogo alla salvaguardia della vita umana, alla autosufficienza alimentare, alla valorizzazione delle risorse umane, alla conservazione del patrimonio ambientale, all’attuazione e al consolidamento dei processi di sviluppo endogeni e alla crescita economica, sociale e culturale dei Paesi in via di sviluppo…"

 

10.1) Attori diversi con approcci diversificati (torna all'indice)

Le modalità di approccio, le metodologie impiegate e le diverse scelte motivazionali dei vari soggetti di cooperazione, rendono molto disomogenei i risultati che la cooperazione internazionale ha conseguito.

Le istituzioni pubbliche, i Governi, le Società e le imprese commerciali, sono alcuni dei soggetti che operano nella cooperazione così come le associazioni e gli organismi di volontariato (ONG). L’imposizione di modelli di sviluppo prestabiliti, l’esportazione di valori culturali, l’anteporre il tornaconto individuale al "bene comune" sono alcune delle distorsioni che il volontariato, attraverso un approccio partecipativo e rispettoso del diritto all’autosviluppo di tutti i popoli, vuole impedire convinto dell’univocità della strada da percorrere per costruire un futuro a misura di tutti gli uomini e le donne del pianeta: quella della solidarietà e dell’interdipendenza tra tutti i popoli.

 

10.2) L’esempio dell’Italia del dopoguerra (torna all'indice)

Il nostro Paese si presentava dopo il secondo conflitto mondiale in modo molto simile ad uno dei tanti Paesi che definiamo poveri. L’Italia era ancora un Paese agricolo, prevaleva il fenomeno del latifondismo, pochissime erano le infrastrutture quali strade, ponti, energia elettrica; in gran parte dei piccoli centri non arrivava neppure l’acqua. Il tasso di analfabetismo superava in molti centri del Sud addirittura il 50%. Oggi l’Italia è la settima potenza industriale, il tasso di analfabetismo è prossimo allo zero, la struttura produttiva è quella tipica di un paese post industriale: predominanza di servizi, su manufatti e agricoltura.

Come ha potuto, l’Italia, uscire dal sottosviluppo?

Da un lato giocarono un ruolo fondamentale:

1. L’apertura dell’economia italiana agli influssi esterni e la fine del tradizionale protezionismo del Paese. Ad esempio l’Italia fu in prima linea nel processo di integrazione europea partecipando nel 1952 alla stipulazione del primo trattato di cooperazione economica sul carbone e sull’acciaio, CECA.

2. Il Piano Marshall che, nato dalla politica espansionistica degli Stati Uniti, fornì all’Europa 29 miliardi di sovvenzioni (pari a circa…). La Germania ha ricevuto aiuti per la "ricostruzione" pari a 15 volte quanto donato all’insieme dei Paesi dell’Africa subsahariana. La politica degli aiuti americani verso l’Europa non mirava soltanto a contenere l’espansione sovietica, ma anche a fare dell’Europa un mercato dove vendere i suoi prodotti: se l’economia americana non avesse trovato sbocchi commerciali avrebbe rischiato di tornare alla Grande Depressione.

D’altra parte l’Italia si trovò a subire la pesante eredità della questione meridionale, ossia l’enorme divario esistente tra il nord industrializzato ed il sud ancora arretrato.

Per risolvere questo problema venne istituita nel 1950 la Cassa per il mezzogiorno.

Si trattava di un’istituzione pubblica volta a realizzare opere di pubblica utilità e ad erogare contributi a privati o ad enti locali nel mezzogiorno. La Cassa ottenne in prima istanza un finanziamento dalla Banca Mondiale di 300 milioni di dollari e finanziamenti privati grazie anche all’emissione di obbligazioni per un controvalore di 150 milioni di dollari.

Attraverso questi finanziamenti furono realizzate nel meridione opere di grande valore economico che tuttavia, non sempre ebbero l’effetto che si erano prefisse. Vennero finanziati tra i 30.000 e i 34.000 progetti (opere infrastrutturali, dighe, acquedotti, strade, finanziamento di imprese produttive, costruzione di ospedali, ecc.). Tuttavia molte di queste opere vennero soprannominate "cattedrali nel deserto" per il fatto che non erano realizzate in un contesto che permetteva un reale sviluppo a livello occupazionale.(1)

Si adottò, infatti, un approccio estraneo ai reali bisogni del meridione che necessitava in quel momento, oltre alla costruzione di infrastrutture, soprattutto di formazione e di investimenti a sostegno dell’occupazione. Occorrevano, cioè, interventi mirati a rafforzare le capacità di autosviluppo presenti nella popolazione locale.

Lo stesso approccio viene utilizzato, in molti casi, dalle grandi organizzazioni internazionali che finanziano progetti miliardari il cui rapporto costi-benefici è molto alto e soprattutto non consentono un reale coinvolgimento della "popolazione beneficiaria", condizione indispensabile alla vitalità nel lungo periodo degli stessi progetti.

L’esempio nel riquadro è emblematico di quanto affermato.

 

10.3) L’esempio dell’UNLA (torna all'indice)

Uno dei protagonisti dell’alfabetizzazione degli italiani nel secondo dopoguerra fu l’UNLA (Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo) che creò nel Sud d’Italia i Centri di Educazione Popolare.

Nel 1947 il Governo, nel quadro dei provvedimenti predisposti in quegli anni contro la disoccupazione, istituì la Scuola Popolare al fine di combattere l’analfabetismo, completare l’istruzione elementare e orientare all’istruzione media e professionale. Tuttavia risultava inefficace dal punto di vista dell’organizzazione in quanto gli analfabeti erano soprattutto nei piccoli centri, dove mancavano fisicamente "le scuole" e dal punto di vista della concezione, che si rivelava antiquata, nel senso che in essa il problema dell’analfabetismo veniva considerato in maniera tradizionale senza essere inserito nel contesto della vita dell’adulto: il lavoro, la società, i rapporti.

L’UNLA invece utilizzava strategie diverse realizzando in primo luogo la formazione dei maestri, cioè di coloro che avrebbero dovuto insegnare all’interno dei Centri.

"Era necessario organizzare un corso residenziale per i maestri, i futuri dirigenti dei Centri di Cultura Popolare(...)Fu fatto il progetto, steso il programma. Il preventivo di spesa ammontava a £ 2.000.000 [pari a…] Una follia. Chi avrebbe mai finanziato un corso di preparazione per dirigenti di cultura popolare quando i centri di cultura popolare ancora non esistevano?(…) Fu a questo punto che intervennero due fatti: il primo fu l’incontro del tutto casuale con Mrs. Florence Law di Chicago, esponente del Carrie Chapman Cat Memorial Fund, ed il secondo fu la visita del signor Rodolfo Olgiati, allora presidente dell’Aiuto Svizzero all’Europa."…(2)

Grazie a questi due enti si arrivò al finanziamento del corso. Vennero visitati i paesi che avrebbero dovuto, secondo il progetto, ospitare i Centri di Cultura Popolare, consultate la popolazione e le autorità locali e si definirono con loro le attività da intraprendere. In alcuni anni l’UNLA istituì numerosi Centri nei quali era possibile non solo imparare a leggere e scrivere ma anche avere una formazione professionale, condizione fondamentale per persone che continuavano a lavorare la terra o ad essere piccoli artigiani.

1. Roberto Napoletano, Se il Sud potesse parlare. Dalla Cassa per il Mezzogiorno a Sviluppo Italia, Sperling & Kupfer, 1997

2. Anna Lorenzetto, Dal profondo Sud. Storia di un’idea, Edizioni Studium, p. 58

 

Il progetto ebbe grande successo e contribuì in maniera determinante alla diminuzione della piaga dell’analfabetismo nel meridione d’Italia.

Il coinvolgimento della popolazione locale, la profonda conoscenza della realtà in cui si intende operare, la valorizzazione della cultura e delle risorse locali, la formazione di formatori, insomma l’adattamento degli interventi al contesto socio — economico — ambientale della comunità locale sono stati, anche in questo caso, fattori determinanti l’efficacia e la buona riuscita del progetto.

 

10.4) Le risorse (torna all'indice)

L’esempio riferito al caso italiano ci conferma come la valorizzazione delle risorse umane e la considerazione della loro centralità, sia la chiave di volta per ogni processo di sviluppo. Su tale certezza si fonda la priorità che assegniamo all’impiego dei volontari internazionali nella realizzazione dei progetti di sviluppo. Con il loro servizio svolto nei paesi poveri possono contribuire all’instaurazione di relazioni durature ed efficaci per il nostro mondo inevitabilmente avviato su di una dimensione interculturale.

Certo, abbiamo già visto l’importanza anche delle risorse economiche. Sappiamo come i problemi dei Sud del mondo siano anche strettamente connessi a situazioni di sfruttamento che hanno prostrato le loro economie e ridotto le popolazioni in stato di povertà ed indigenza. Il debito ingiusto imposto dalle grandi multinazionali e dai Governi dei Paesi ricchi non fa che aggravare, fino a renderla drammatica, tale situazione. Per questo occorre che gli Stati rendano concreti, urgentemente, gli impegni assunti in sede di Nazioni Unite. All’inizio degli anni _‘70 i Paesi ricchi hanno aderito all’iniziativa ONU di innalzare allo 0,7% la somma destinata all’aiuto pubblico per lo sviluppo. Oggi l’Italia investe meno dello 0,1% e la media europea è solo dello 0,3%!

 

E’ dunque intollerabile per noi vivere con la consapevolezza che milioni di persone subiscono una condizione di vita disumana per il pagamento di un debito ingiusto.

"La cancellazione dei debiti è quanto mai urgente. Si tratta di una condizione per molti versi pregiudiziale perché i paesi più poveri possano fare progressi nella loro lotta contro la povertà. Questa è una verità ampiamente accettata, (…). Dobbiamo però chiederci perché i progressi nella risoluzione del problema del debito siano ancora così lenti. Perché tante esitazioni? Perché è così difficile trovare i fondi necessari, anche per le iniziative che sono già state oggetto di un accordo? Sono i poveri che pagano le conseguenze dell’indecisione e dei ritardi" (Messaggio del Papa Giovanni Paolo II alla delegazione della campagna internazionale Jubilee 2000, 23 settembre 1999).

 

10.5) Lettera di un capo indio ai governi europei (torna all'indice)

Il fratello doganiere europeo mi chiede carta scritta con visto per scoprire coloro che mi scoprirono.

Il fratello usuraio europeo mi chiede di pagare un debito contratto da traditori che non ho mai autorizzato a vendermi.

Il fratello leguleio europeo mi spiega che ogni debito si paga con gli interessi, anche fosse vendendo esseri umani e paesi interi senza chiedere il loro consenso.

Anch’io posso pretendere pagamenti. Anch’io posso reclamare interessi.

Fa fede l’Archivio delle Indie.

Foglio dopo foglio, ricevuta dopo ricevuta, firma dopo firma, risulta che solamente tra il 1503 ed il 1660 sono arrivati a San Lucar de Barrameda 185.000 chili di oro e 16.000.000 di chili d’argento provenienti dall’America. (…)

Non ci abbasseremo a chiedere ai fratelli europei quei vili e sanguinari tassi d’interesse variabile del 20 fino al 30% che i fratelli europei chiedono ai paesi del Terzo Mondo.

Ci limiteremo a esigere la restituzione dei materiali preziosi "prestati" più il modico interesse fino al 10% annuale accumulato negli ultimi trecento anni. Su questa base, applicando la formula europea dell’interesse composto, informiamo gli scopritori che ci devono, come primo pagamento del loro debito, soltanto 185.000 chili d’oro e 16.000.000 di chili d’argento, ambedue elevati alla potenza di trecento.

Come dire, un numero per la cui espressione sarebbero necessarie più di 300 cifre e il cui peso supera ampiamente quello della Terra.

Com’è pesante questa mole d’oro e d’argento! Quanto peserebbe calcolata in sangue?

Guaicaipuro Cuautemoc

(Fonte: BUONENUOVE, agenzia di stampa elettronica umanista)

Il capo indio Guaicaipuro Cuautemoc parla a noi Europei di un debito "storico" contratto dai colonizzatori dell’America, cominciato negli anni della Conquista. E’ un modo inconsueto per scoprire che il debito estero appartiene a tanti.

Come Europei ci riteniamo solamente creditori e ci preoccupiamo del debito contratto dai Paesi poveri.

Il debito estero dei Paesi in via di Sviluppo comporta varie conseguenze, che pesano soprattutto sui paesi poveri ma anche su quelli ricchi. La sua cancellazione avrebbe quindi degli effetti a livello mondiale.

 

11) IL BRAINSTORMING O "TEMPESTA DI IDEE" (torna all'indice)

Si tratta di un metodo di liberazione spontanea delle idee, una tecnica per dare briglia sciolta all'immaginazione.

Il brainstorming propone che ciascuno dei partecipanti si lasci portare dalle sue associazioni libere, senza sottoporle a nessun tipo di censura, e che accolga egualmente le produzioni spontanee degli altri come un qualcosa che costituisce il bene comune di tutti a partire dal quale è possibile procedere cercando associazioni.

Nel caso specifico si chiederà al gruppo di esprimere sinteticamente (con una o due parole) ciò che pensano riguardo allo sviluppo. Tutte le parole emerse saranno annotate su un cartellone e poi l'animatore inviterà il gruppo a metterle insieme per analogie riconducendole agli obiettivi del brainstorming.

Successivamente si confronterà quanto emerso con la definizione data dal 1° Rapporto sullo sviluppo umano realizzato dall’UNDP (United Nations Development Programme), riportata di seguito.

Lo sviluppo umano è un processo di ampliamento delle scelte della gente. In linea di principio, queste scelte possono essere infinite e cambiare nel tempo. A qualsiasi livello di sviluppo, le tre opzioni essenziali sono comunque la possibilità:

- di condurre una vita lunga e sana;

- di acquisire conoscenze;

- di accedere alle risorse necessarie a un tenore di vita dignitoso.

Se queste scelte essenziali non sono disponibili, molte altre rimangono inaccessibili.

Si chiederà quindi al gruppo se concorda su tale definizione e se ritiene che ci siano altre puntualizzazioni da fare.

Si invita il gruppo ad individuare i gesti concreti che ciascuno può fare per costruire le condizioni dello sviluppo umano.

 

11.1) Cosa abbiamo capito fino ad ora (torna all'indice)

- Le radici della divisione Nord-Sud sono antiche, risalgono alla "conquista" di nuovi mondi.

- Il debito è soltanto un aspetto di un sistema politico-economico che agisce attraverso meccanismi iniqui (come sarebbe altrimenti possibile che il Sud povero mantiene il Nord ricco?)

- Il debito ha conseguenze sulla vita quotidiana di milioni di individui che non possono più andare a scuola, godere dell’infanzia (lavoro minorile), usufruire di un sistema sanitario funzionante, ecc.

- Si può uscire dal sottosviluppo con l’aiuto dei paesi più ricchi ma soprattutto investendo in istruzione.

- Vi è poco interesse da parte delle Istituzioni a cambiare le cose, il cambiamento non può allora che venire dal basso (noi).

- Eliminare il debito è dunque una delle tappe per arrivare ad un mondo più giusto.

 

 

12) APPELLO GIUBILARE PER LA CANCELLAZIONEDEL DEBITO INTERNAZIONALE (torna all'indice)

All'alba del terzo millennio i popoli di tutto il mondo sentono l'appello del Giubileo per l'inizio di una nuova era. Siamo consapevoli del fatto che il sistema politico ed economico globale ha impoverito due terzi dell'umanità. In passato abbiamo già cambiato il mondo, è giunto il momento di cambiarlo ancora. Pieni di speranza, perseveriamo nell'obiettivo di superare l'ingiustizia internazionale e di stabilire relazioni eque tra quanti vivono sul pianeta. Passo necessario in questa direzione è che la crisi del debito venga risolta secondo criteri di giustizia. Ribadiamo che le attuali iniziative per l'alleggerimento del debito non sono né giuste né adeguate né efficaci per affrontare i problemi che sono alla base della crisi del debito e dello sviluppo.

Siamo riuniti oggi a Roma in rappresentanza di 38 campagne nazionali e 12 organismi internazionali che si riconoscono nel movimento "Jubilee 2000". Proveniamo da tutti i continenti e da contesti ed esperienze diversi. Uniamo i nostri sforzi in un movimento comune per la cancellazione del debito: "Jubilee 2000". La nostra diversità è la nostra stessa forza.

Siamo uniti nel chiedere per l'anno 2000 una cancellazione del debito che comprenda:

1) Il debito che non può essere ripagato, e cioè il debito i cui interessi non possono essere pagati senza imporre un peso insopportabile sulla parti più povere delle popolazioni.

2) Il debito che, in termini reali, è già stato ripagato.

3) Il debito contratto a seguito di politiche e progetti concepiti in modo errato.

4) Il debito odioso e quello contratto da regimi repressivi.

I governi creditori, le istituzioni finanziarie internazionali e le banche commerciali, che sono i principali responsabili della crisi del debito, non dovranno dettare le condizioni per la sua cancellazione. La società civile dei paesi del Sud dovrà avere un ruolo significativo e influente attraverso un processo partecipativo e trasparente di definizione e successivo monitoraggio dell'uso delle risorse liberate dal debito a beneficio dei più poveri.

Prestiti, crediti e negoziazione del debito devono riflettere una relazione equa tra debitori e creditori. Per la cancellazione del debito dovrebbe esistere un arbitrato trasparente e indipendente.

Questo appello richiede un'azione urgente. Delle vite sono state distrutte e molti danni sono stati fatti. Alla vigilia del nuovo millennio, è giunto il tempo di un nuovo inizio.

Roma, 17 novembre 1998

 

 

Volontari nel mondo - FOCSIV aderisce alla campagna mondiale per la cancellazione del debito Jubilee 2000 che in Italia è rappresentata da "SdebitarSi".

Aderiscono a Jubilee 2000 organizzazioni laiche e religiose, ambientaliste, sindacali, del volontariato, della solidarietà e della cooperazione.

L’obiettivo di questa campagna è quello di raccogliere adesioni da parte di cittadini di tutto il mondo per fare pressione sulle istituzioni internazionali e sui Governi.

Questo appello viene presentato in più di 60 Paesi del Nord e del Sud del pianeta. Firmarlo è il modo più semplice che hai per contribuire a liberare più di un miliardo di persone dalle catene del debito.

FIRMA LA PETIZIONE!

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da stampare e rinviare a Volontari nel mondo - FOCSIV (posta o fax)

Firma l’appello e fallo circolare e firmare ai tuoi amici, colleghi, alla tua famiglia!

 

 

 

13) APPROFONDIMENTI (torna all'indice)

13.1) Bolivia (torna all'indice)

Capitale:

La Paz

Popolazione:

7.400.000 abitanti

Superficie:

1.099.000 kmq

Divisione amministrativa:

La Paz, Sucre, Potosì, Oruro, Cochabamba, Chuquisaca, Tarija, Santa Cruz

Indice di sviluppo umano:

0,652 - 112° posto su 174 Paesi

Prodotto interno lordo:

8.000 milioni di dollari

Reddito procapite:

970 dollari

Debito estero:

5247,5 milioni di dollari (67% del PIL)

Servizio del debito:

32,5 (in % alle esportazione di beni e servizi)

Vita media:

61,4 anni

Mortalità entro il 1° anno:

6,9%

Mortalità entro il 5° anno:

9,6%

Popolazione in povertà assoluta:

7,1% (popolazione che vive con meno di 1 dollaro al giorno)

 

Storia e impatto della crisi del debito

La Bolivia si trovò a vivere una discreta crescita economica durante gli anni 70. Ciò fu dovuto all’alto prezzo a livello mondiale dello stagno (primo prodotto esportato dalla Bolivia) che provocò un repentino raddoppio degli introiti da esportazione: da 260 milioni di $ nel 1973 a 556 milioni nel 1974.

Quindi le condizioni per indebitarsi sussistevano per questo Paese e grazie a questo fu possibile coprire il deficit fiscale e il potenziamento dell’apparato produttivo. La stabilità politica e gli alti prezzi dei beni favorirono anche maggiori investimenti da parte dei capitali stranieri. Inoltre il Governo nel corso degli anni ’70 annunciò la presenza di grosse riserve petrolifere. Sebbene queste subirono un notevole depauperamento negli anni successivi, la scoperta del petrolio permise di migliorare ulteriormente l’affidabilità della Bolivia presso le banche commerciali estere.

A partire dagli anni ’80 il settore pubblico cominciò a gonfiarsi fino a comprendere 520 unità tra agenzie federali, istituzioni finanziarie ed imprese statali. La Corporazione Mineraria Boliviana (Corporación Minea de Bolivia — COMIBOL) si accreditava il 65% di tutta la produzione mineraria mentre la Compagnia Petrolifera di Stato (Yacimeintos Petrolíferos Fiscales Bolivianos — YPFB) produceva l’80% di tutto il petrolio e il gas naturale. Il Governo inoltre possedeva più della metà degli assetti del sistema bancario, nonché il controllo della produzione di vetro, di tessili, di cemento, dell’industria casearia, degli oleifici e degli zuccherifici.

Il piccolo miracolo economico boliviano degli anni ’70 cominciò ad indebolirsi a partire dalla fine della stessa decade.

I problemi macroeconomici della Bolivia cominciarono nel biennio 79-80 quando le banche commerciali estere iniziarono a rendersi conto della loro eccessiva esposizione e a dubitare della capacità del governo di onorare il suo debito di 3 miliardi di $, la maggior parte del quale contratto dal governo Banzer.

Nel 1979 fu pertanto decisa una grossa svalutazione, fu stabilito un Programma di Aggiustamento strutturale negoziato con la Banca Mondiale, e fu iniziata la negoziazione per il rimborso del debito commerciale. Dal 1980 il governo adottò un programma di austerità che sembrò in un primo momento dare effetti positivi ma al prezzo di un drastico taglio delle importazioni e del blocco degli aumenti salariali, effettuato allo scopo di contenere il consumo privato. La conseguenza fu l’inasprimento dei conflitti sociali, scioperi e proteste da parte dei lavoratori, crebbe fortemente l’inflazione e la generale instabilità provocò la fuga dei capitali.

Il peggioramento della situazione economica si verificò nel 1983 per il crollo della produzione agricola a causa delle avverse condizioni atmosferiche e per il crollo del prezzo delle risorse minerarie, di cui la Bolivia era forte esportatore, che limitò fortemente l’entrata di valuta estera. Questo, insieme alla mancanza di un mercato dei titoli pubblici, costrinse il governo a finanziare il deficit fiscale attraverso l’emissione di moneta, causando una drammatica caduta nel valore del peso, l’aumento vertiginoso dell’inflazione e del costo del debito estero. Nel 1985 il tasso annuo dell’inflazione toccò il 24.000%, l’unica iperinflazione del 20° secolo a non essere causata da una guerra o da una rivoluzione ma da una dissennata politica fiscale e monetaria adottata dal governo. Dal 1985 il reddito procapite scese al di sotto dei livelli del 1965.

Durante questi anni di crisi l’unica industria in grado di trainare l’economia era quella della coca e della cocaina, tanto fiorente da causare un’enorme entrata di $ USA nel sistema finanziario. Al fine di restituire la fiducia nella valuta nazionale, il governo di Siles Suazo (1982-85) emanò un decreto di de-dollarizzazione (le transazioni dovevano tornare ad essere denominate in valuta nazionale piuttosto che in dollari) con il quale si dichiararono illegali tutti i depositi ed i prestiti denominati in valuta statunitense, usati tra l’altro dal 90% dell’economia. La politica in questione causò una massiccia fuga di capitali e gravò molto sul sistema bancario, forzandolo a convertire tutti gli assetti in pesos, molto rivalutati, ma essenzialmente senza valore e distruggendo così la base di depositi della nazione.

Nel settembre nel 1985 il nuovo governo di centro-destra di Paz Estenssoro introdusse un pacchetto di politiche all’interno del quale si combinavano elementi di stabilizzazione e di aggiustamento. Tale politica fu presentata un mese prima del crollo sul mercato internazionale del prezzo dello stagno, ma ebbe un grosso successo nel controllare il processo inflazionistico. La Nuova Politica Economica prevedeva: la privatizzazione delle maggiori imprese pubbliche (la COMIBOL e la YPFB) a seguito della quale 23.000 lavoratori (solo della prima) vennero licenziati. L’impiego nel settore pubblico diminuì del 25%; fu inasprita la politica fiscale, inserendo la pena di detenzione in caso di evasione o frode e, nel 1988, anche l’imposta diretta per i contadini.

Nel 1986 fu creato dal governo boliviano il FES (Fondo di Emergenza Sociale) al fine di alleviare i costi sociali della crisi e proteggere i poveri durante l’implementazione dei programmi di stabilizzazione e di aggiustamento strutturale.

Il FES era destinato ad essere dipendente quasi interamente da finanziamenti esterni. I fondi iniziali vennero forniti dal Governo boliviano e dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP). La Banca Mondiale fu il maggiore istituto donatore; più tardi quando il FES cominciò a fornire una buona dimostrazione delle sue capacità, ricevette sostegni finanziari addizionali da una varietà di donatori esteri (multilaterali e non).

Quattro sono i tipi di progetti che potevano essere candidati ad ottenere i finanziamenti del FES:

a) costruzione di infrastrutture economiche — strettamente correlate con l’attività produttiva;

b) costruzione di infrastrutture sociali — per la salute, l’istruzione, l’acqua e le abitazioni

c) programmi di assistenza sociale — spese correnti per l’istruzione e la formazione, le vaccinazioni, le mense scolastiche, i materiali didattici, ecc.

d) supporti alla produzione attraverso l’erogazione di crediti, mediante le organizzazioni non governative (ONG) a favore di microimprese operanti nel settore informale e di cooperative del settore minerario e agricolo.

Di fronte ad una crisi economica generalizzata, manifestatasi in anticipo rispetto agli altri paesi latinoamericani, la Bolivia si è sottoposta a sette anni di doloroso aggiustamento, seguendo fedelmente i dettami delle istituzioni internazionali: liberalizzazione dei mercati delle valute estere, dei capitali, dei beni, del lavoro; severi tagli all’occupazione, soprattutto nella Pubblica Amministrazione; ristrutturazione del sistema fiscale.

Gli anni ’80 sono stati testimoni di una prolungata recessione, di un periodo di austerità a seguito dell’introduzione della Nuova Politica Economica da parte di Paz Estenssoro, e di cambiamenti istituzionali finalizzati ad incoraggiare il processo di aggiustamento.

 

Il Fondo di Emergenza Sociale

Nel contesto della nuova concezione dell’aggiustamento dal volto umano si inserisce la costituzione del FES. Tale Fondo non è stato, però, in grado di risolvere i problemi inerenti alla disoccupazione in Bolivia; non ha raggiunto i ceti più poveri della popolazione; in alcuni casi la selezione dei progetti non è stata sufficientemente rigorosa e non ha garantito che venissero finanziati solo i progetti migliori; infine, la limitata integrazione con i processi di pianificazione nazionale e regionale, ha portato, in certi casi, ad investimenti inefficienti.

Ma, al di là delle inevitabili incoerenze iniziali, è comunque importante aver fatto un primo passo nell’introdurre la dimensione umana nei processi di aggiustamento.

 

Ultimi fatti di cronaca

Sull’onda delle privatizzazioni, il Governo ha deciso anche la privatizzazione dell’azienda dell’acqua: dall’inizio di aprile del 2000 è in corso a Cochabamba uno sciopero generale proprio a causa dell’aumento dell’acqua potabile che la privatizzazione ha comportato. Lo stato di assedio attuato dal governo non ha avuto nessun risultato poiché questa non è che l’ultima di una serie di misure che hanno colpito la popolazione boliviana. La Bolivia viene infatti considerato uno dei Paesi più poveri del mondo dopo Haiti e quelli dell’Africa Subsahariana.

 

Comunicare in Bolivia

Quotidiani:

70 ogni 1000 abitanti

Apparecchi televisivi:

140 ogni 1000 abitanti

Apparecchi radio:

670 ogni 1000 abitanti

Linee telefoniche:

35 ogni 1000 abitanti

 

Fonti bibliografiche:

- Francesca Mancia, Aggiustamenti e mercato del lavoro. Il caso Bolivia, 1995

- Guida del mondo — Il mondo visto dal Sud - 1999/2000, EMI, 1999, p. 401

 

 

13.2) Guinea (torna all'indice)

Capitale:

Conakry

Popolazione:

7.300.000 abitanti

Superficie:

245.860 Kmq

Divisione amministrativa:

4 Regioni: Conakry, Guinee, Guinee-Forestiere, Haute Guinee, Moyen Guinee

Indice di sviluppo umano:

0.398 - 161° posto su 174 Paesi

Prodotto interno lordo:

3.661 milioni di dollari

Reddito pro capite:

550 dollari

Debito estero:

3.520 milioni di dollari

Interessi pagati nel 1997:

55 milioni di dollari

Debito verso l'Italia:

57,610 milioni di dollari

Vita media:

46,5 anni

Mortalità entro il 1° anno:

12,6%

Mortalità entro il 5° anno:

20,1%

Popolazione in povertà assoluta:

26,3% (popolazione che vive con meno di 1 dollaro al giorno)

 

Dopo aver ottenuto l'indipendenza dalla Francia, cosa che avvenne piuttosto bruscamente nel 1958 coll'interruzione di ogni collaborazione, la Guinea ha tentato uno sviluppo orientandosi verso il blocco sovietico con il regime di ispirazione marxista guidato da Sekou Touré.

Il regime venne rovesciato dall'attuale Capo dello Stato, il generale Lansana Conte, con un colpo di stato militare nel 1984 che ha instaurato la seconda repubblica. Da quel momento è stato avviato un lungo processo di democratizzazione del Paese che ha portato nel 1990 all'approvazione della Loi fondamentale, sul modello costituzionale francese, e all'attuale forma di repubblica presidenziale.

 

Il debito

Il debito ammonta a 3.520 milioni di dollari ed è dovuto pressoché interamente a creditori di natura pubblica: il 46% è dovuto a governi stranieri e il 52% alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale.

Il debito estero equivale all'ammontare del prodotto interno lordo: questo significa che l'intero frutto del lavoro di un anno dei cittadini guineani dovrebbe essere versato, senza trattenere alcuna quota nemmeno per mangiare, per poter pagare il debito.

Lo Stato italiano, o meglio la Sace (l'agenzia pubblica che assicura i crediti all'esportazione e li prende in carico quando vanno insoluti) vanta nei confronti della Guinea un credito pari a 17 miliardi di lire, sui quali la Guinea ha pagato nel 1998 2 miliardi 815 milioni di interessi e mezzo miliardo di rata di ammortamento in conto capitale. L'anno prima, nel '97, gli interessi pagati erano ammontati a 3 miliardi 279 milioni. I guineani, che vivono con meno di 2 dollari al giorno, stanno pagando alla Sace 16-18% di interessi l'anno.

 

La politica

Lansana Conte è oggi presidente eletto a suffragio universale al suo secondo mandato (non rinnovabile) e in parlamento sono rappresentati 10 partiti. La situazione nel Paese è tranquilla, anche se non sono mancati in passato momenti di difficoltà con alcuni personaggi dell'opposizione. L'impegno del governo è rivolto soprattutto alle emergenze economico - sociali interne del Paese, ma deve anche fare i conti con le situazioni di conflitto presenti nella regione. Dei sei Paesi confinanti con la Guinea, ben tre negli ultimi anni sono stati attraversati da gravissime guerre interne: Liberia, Guinea - Bissau, Sierra Leone. Questa situazione grava sulla Guinea, che ha accolto sul suo territorio oltre 800 mila profughi, un numero equivalente al 10% della popolazione, offrendo loro spazi, case e terra da coltivare.

 

L'economia

Il repentino ritiro francese ha comportato l'interruzione di ogni forma di assistenza allo sviluppo; ciò ha reso più difficile la soluzione dei gravi problemi con i quali il Paese ha tuttora a che fare.

La produzione agricola è largamente sottosfruttata. La distribuzione commerciale è concentrata nelle mani di pochi che sono in grado di decidere i prezzi di acquisto, penalizzando i coltivatori dei villaggi. Programmi promossi dalle ONG e dalla Chiesa stanno sviluppando progetti di assistenza tecnica ai contadini che prevedono tra l'altro una gestione cooperativa o consorziata delle vendite dei prodotti raccolti e lo sviluppo del microcredito come strumento di finanziamento per gli investimenti.

L'attività industriale è minima e quasi completamente incentrata sull'estrazione di bauxite usata per la produzione dell'alluminio. La Guinea è il secondo produttore mondiale e ha il 25% dei giacimenti del pianeta. Le due industrie che hanno il monopolio dell'estrazione sono a prevalente capitale straniero e lavorano con accordi di concessione del governo.

 

I problemi sociali, la Chiesa e il Governo

La bassa diffusione dell'istruzione primaria (solo il 36% della popolazione in età scolare frequentava le elementari nel 1980) ha ostacolato la diffusione di una società civile vitale e consapevole. Il controllo sociale sullo Stato è praticamente espresso dalla Chiesa cattolica, che negli ultimi anni con tre documenti sulla situazione della democrazia e del Paese ha aperto un dialogo franco e continuativo col governo.

Il governo per parte sua è impegnato sia sul fronte sociale, in particolare nell'allargamento delle strutture scolastiche per raggiungere l'ancora lontano obiettivo della scolarizzazione universale (oggi il dato dell'iscrizione scolastica alle elementari è salito al 48%), sia su quello economico.

La gestione del debito estero e il confronto con la BM e il FMI sono sviluppati in modo molto consapevole e con l'obiettivo di non dimenticare le urgenze della fascia più povera della popolazione.

 

Comunicare in Guinea

Ferrovie

1086 Kmq

Strade

30.500 Km

di cui asfaltate

5.033 Km

Aeroporti

 

pista asfaltata

5

pista non asfaltata

10

Apparecchi telefonici

18.000

Stazioni radio

4

Apparecchi radio

257.000

Stazioni televisive

6

Apparecchi televisivi

65.000

 

 

Fonti bibliografiche

- Campagna CEI: Trasformare il debito in opportunità di sviluppo, Guinea e Zambia - schede di presentazione dei Paesi

- Francesco Terreri, L'Italia cancella debiti inesigibili ai paesi poveri. E quelli esigibili? - Gli interessi della SACE, Altrafinanza, febbraio 2000

- UNDP, Rapporto sullo sviluppo umano, 2000

 

 

13.3) Messico (torna all'indice)

Capitale:

Città del Messico

Popolazione:

92.718.000 abitanti

Superficie:

1.958.201 Kmq

Divisione amministrativa:

31 stati e un distretto federale

Indice di sviluppo umano:

0.853 - 50° posto su 174 Paesi

Prodotto interno lordo:

348,6 milioni di dollari

Reddito pro capite:

1910 dollari

Debito estero:

157,125 milioni di dollari

Interessi pagati nel 1997:

32,4 (in % alle esportazioni di beni e servizi)

Vita media:

72 anni

Mortalità infantile:

29 %

Mortalità entro il 5° anno:

3,2 %

Popolazione in povertà assoluta:

14,9 % (popolazione che vive con meno di un dollaro al giorno)

 

Il Messico, dopo quasi tre secoli di dominio coloniale, raggiunse ufficialmente l’indipendenza dalla Spagna nel 1810. In realtà la sua vita politica ed economica continuò, come nella migliore tradizione neocoloniale, ad essere influenzata dalle potenze europee prima, e dagli Stati Uniti poi. Questi riuscirono ad annettersi nel 1848, dopo una guerra durata due anni, più della metà del territorio messicano, spostandone il confine dal Rio Nueces al Rio Bravo.

Dal 1929 è al governo del Paese il Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), nato come Partito Nazionale Rivoluzionario dall’unione delle diverse correnti della rivoluzione zapatista. L’attuale presidente, Ernesto Zedillo, è in carica dall’agosto 1994.

Il debito

Il Messico è stato il primo Paese a dichiarare ufficialmente nel 1982 la sua incapacità a servire il debito, ovvero a pagare interessi e conto capitale.

In risposta all’apertura della crisi del debito, il Fondo Monetario Internazionale ha consigliato l’adozione di politiche di aggiustamento strutturale, che non hanno però sortito gli effetti desiderati.

Il debito ammonta a 157.125 milioni di dollari: poco meno della metà del PIL.

La politica

La Costituzione messicana attualmente in vigore è stata promulgata nel 1917 sulla scia della rivoluzione zapatista ai cui principi si ispirò. Il Messico è una Repubblica federale e presidenziale, in Parlamento (Congreso de la Unión) sono rappresentati 7 partiti.

Dal 1994 è attivo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) che combatte per l’autonomia del Chiapas. Il Chiapas è uno degli stati la cui popolazione è a maggioranza maya , è anche il meno alfabetizzato nella lingua castigliana e il più povero, tuttavia possiede importanti riserve di gas e petrolio, dalle quali viene estratto il 21% della produzione nazionale di greggio.

L’EZLN chiedeva che venissero riformate la legge elettorale, quella agraria del 1991 e il Codice Penale, ed una serie di interventi volti a migliorare la qualità della vita dei popoli indigeni. Dopo l’iniziale reazione armata - venne inviato l’esercito nella regione e ci furono vari episodi di esecuzioni sommarie - la pressione dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale ha indotto il governo ad intavolare delle trattative con i ribelli. Tali accordi hanno condotto alla firma, nel 1996, degli Accordi di San Andrés sul Diritto e la Cultura indigeni tra i governi federale e statale e l’EZLN, riguardanti l’autonomia dei popoli indigeni del Messico.

Nella regione, però, non è ancora tornata la pace: nel maggio 1998 quaranta pacifisti italiani dell’associazione Ya Basta, giunti per portare aiuti e solidarietà agli indios zapatisti del Chiapas, e che alla scadenza del visto avevano deciso di non partire, furono espulsi dal Messico.

L’economia e la dipendenza alimentare

Negli anni ’60 l’economia messicana costituiva un modello per il continente latino-americano prostrato dal sottosviluppo. Fattori determinanti del suo successo erano: un forte intervento statale nell’economia, un elevato volume di investimenti pubblici, l’equilibrio tra industria leggera e pesante, e il turismo.

La situazione sociale, però, era molto diversa: il Messico continuava ad essere un Paese prevalentemente rurale, ma le città contenevano il 40% della popolazione; la proprietà comunitaria della terra perdeva terreno di fronte alla tendenza alla ricostituzione dei grandi latifondi. Sul finire degli anni ’70, inoltre, vennero scoperti importanti giacimenti petroliferi, che resero il Messico sempre più dipendente dagli Stati Uniti, di cui divennero il primo fornitore di petrolio.

In seguito allo scoppio della crisi del debito, il FMI consigliò l’adozione di politiche di aggiustamento strutturale che prevedevano tagli ai sussidi, la riduzione della spesa pubblica, la ristrutturazione dell’investimento pubblico e l’istituzione di un cambio duale.

Alla fine degli anni ’80 lo Stato proseguì sulla strada del liberismo economico aprendo il Paese ai capitali stranieri, avviando i contatti con gli Stati Uniti per la firma di un trattato di libero commercio (il Trattato per il Libero Commercio del Nordamerica — Nafta — è stato firmato il 17 dicembre 1992 tra Messico, Stati Uniti e Canada) contemporaneamente all’ingresso del Paese nel GATT, e privatizzando la Banca messicana.

Dopo una prima fase di crescita vertiginosa, nel 1995 l’economia messicana è entrata in una nuova crisi — conosciuta come "effetto tequila" — e per affrontarla il governo ha adottato un severo piano di austerità che ha provocato una forte recessione interna. A questa situazione si sono aggiunti gli effetti del Trattato di libero commercio: il settore agroalimentare è stato "colonizzato" dalle massicce importazioni di mais, carne e latticini provenienti dagli Stati Uniti, che hanno fatto crollare i prezzi sui mercati locali. Il mais, già pesantemente danneggiato dalle anomalie climatiche e dalla siccità, è stato svenduto ad un prezzo che va dai 900 ai 1200 pesos alla tonnellata, quando i costi di produzione superano i 1800 pesos. Inoltre si sta procedendo alla privatizzazione delle principali istituzioni governative (Iconsa, Micona, Amidsa e ora Conasupa) che dovevano provvedere a regolare il mercato, acquistando il mais nazionale e sostenendo i programmi di credito ai produttori. Nel 1998 il Messico ha importato 40 milioni di tonnellate di cereali, quando prima era quasi autosufficiente.

I problemi sociali

Le campagne messicane sono sempre più spopolate, i contadini sfuggono alla povertà tentando di emigrare clandestinamente negli Stati Uniti. Solo le donne e i pochi giovani rimasti coltivano la terra per l’autosufficienza. C’è il rischio che queste zone rurali passino sotto il controllo del narcotraffico e dell’usura.

Anche in Messico come in altri Paesi latino-americani, la criminalità e l’insicurezza sono diventate i principali motivi di preoccupazione soppiantando la disoccupazione, la ricerca della casa, la salute e l’educazione.

La delinquenza si manifesta in tutte le sue forme: dall’aggressione a mano armata alle rapine e i furti, dai sequestri agli stupri, dal narcotraffico al traffico delle armi e al crimine organizzato.

Situazioni come queste hanno alimentato le richieste di introduzione della pena di morte e la tendenza al farsi giustizia da sé. Il ricorso al "grilletto facile" è diventato comune sia nelle grandi città che nelle campagne, dove corpi militari sembrano essersi sostituiti allo Stato. Questo, dal canto suo, invece di impegnarsi nella prevenzione, tende ad una crescente militarizzazione della sicurezza pubblica.

 

Comunicare in Messico

Linee telefoniche

8.622.774

Apparecchi radio

23.735.808

Apparecchi televisivi

17.616.420

 

Fonti bibliografiche

- C. Fazio, Giustizia fai da te, in Internazionale, 21/27 aprile 2000 n. 331, p.29

- F. O. Gioanetto, Un paese in svendita, in Volontari per lo sviluppo, mag/giu 1999, p.44

- Guida del mondo — Il mondo visto dal Sud - 1999/2000, EMI, 1999, p. 401

- UNDP, Rapporto sullo sviluppo umano, 2000

 

 

 

13.4) Niger (torna all'indice)

Capitale:

Niamey

Popolazione:

9.465.000 (’96) abitanti

Superficie:

1.267.000 Kmq

Divisione amministrativa:

7 dipartimenti

Indice di sviluppo umano:

0,298 — 173° posto su 174 Paesi

Prodotto interno lordo:

2.000 milioni di dollari

Reddito procapite:

200 dollari

Debito estero:

1.579 milioni di dollari

Servizio del debito:

19.5 (in % alle esportazioni di beni e servizi)

Vita media:

48,5 anni

Mortalità infantile:

19,1%

Mortalità entro il 5° anno di vita:

32%

Popolazione in povertà assoluta:

61,5% (popolazione che vive con meno di un dollaro al giorno)

 

 

Una volta ottenuta l’indipendenza dalla Francia, il Niger si ritrovò ad essere il Paese più povero dell’intera Africa occidentale francese, e lo è rimasto: attualmente, infatti, occupa il penultimo posto nella scala elaborata dall’UNDP (United Nations Development Program) sulla base dei valori dell’Indice di Sviluppo Umano.

Il governo, comunque, ha conservato profondi legami sia economici che politici con la madrepatria.

Il Niger è una repubblica parlamentare.

 

Debito estero

Il debito estero, che nel 1977 ammontava a 207 milioni di dollari, è aumentato vertiginosamente, arrivando attualmente a 1579 milioni di dollari, pari a circa l’80 % del Prodotto Interno Lordo.

I cittadini nigeriani per riuscire a rimborsare il debito del loro Stato, dovrebbero per assurdo lavorare per un anno intero e trattenere solo il 20 % di quanto prodotto per il loro sostentamento e le spese sociali, destinando tutto il resto ai creditori occidentali.

 

La storia politica

Il Niger viene occupato dalla Francia nel 1891 e diventa una colonia dell’Africa Occidentale francese nell’ottobre 1922. Ottiene l’indipendenza il 3 agosto del 1960 e Diori Hamani diventa il primo presidente della repubblica del Niger. Il 15 aprile del 1974 Diori Hamani viene deposto con un golpe militare diretto dal luogotenente-colonnello Seyni Kountché, che sospende la Costituzione. Il 16 marzo 1976 e il 6 ottobre 1983 falliscono due golpe organizzati rispettivamente da Bayère Moussu e Amadou Oumarou. Dopo la morte si Seyni Kountché nel novembre 1987, il colonnello Ali Saibou diventa presidente del consiglio militare e il 10 dicembre 1989 viene eletto presidente della repubblica del Niger. Il 27 marzo 1993, Mahamane Ousmane diventa presidente, il primo eletto in modo democratico. Ma il 27 gennaio 1996 un colpo di Stato depone Ousmane. Viene creato un consiglio di salvezza nazionale diretto dal colonnello Ibrahim Baré Mainassara (capo di stato maggiore dell’esercito), eletto presidente l’8 luglio 1996 con elezioni contestate.

 

L’economia

Il Paese è formato per la maggior parte da aridi deserti e da montagne. Una fitta savana nel sud e il bacino del fiume Niger a sud-ovest sono i territori dove vive la maggior parte della popolazione. E’ un paese povero, la cui economia è basata essenzialmente su un’agricoltura di sussistenza e sull’allevamento del bestiame (il 90% della forza-lavoro è impiegata nel settore agricolo). Il paese ha anche materie prime destinate all’esportazione (carbone, ferro e soprattutto uranio).

Dopo il "boom" economico degli anni ’70, legato al rialzo sui mercati internazionali del prezzo dell’uranio, di cui il Niger è il quarto produttore al mondo, la situazione economica è nuovamente peggiorata.

Oltre al debito estero, al ribasso dei prezzi dell’uranio e ad un aggravamento delle siccità che colpiscono il Sahel, un altro problema molto grave è dato dal costante disboscamento. Abbattere gli alberi, infatti, spoglia la terra e la espone all’azione erosiva degli agenti atmosferici, inaridendola e favorendo le siccità, con gravissime ripercussioni sull’agricoltura.

Il governo ha tentato di arginare il fenomeno, legato all’utilizzazione quasi esclusiva della legna come fonte di energia più diffusa fra la popolazione, imponendo tasse altissime sugli abbattimenti boschivi.

Vari programmi di aggiustamento strutturale e di austerità economica sono stati elaborati negli anni dai governi che si sono succeduti alla guida del Paese, la situazione politica, però, caratterizzata da continui colpi di Stato, non ha sicuramente facilitato le cose.

 

Comunicare in Niger

Apparecchi radio:

61 ogni 1000 abitanti

Apparecchi televisivi:

20 ogni 1000 abitanti

Linee telefoniche:

1 ogni 1000 abitanti

 

Tratto da: Fiabe Tuareg del Niger a cura di L. Rivaillé e P.M. Decoudras; edizione Datanews.

Altre fonti:

- Guida del mondo — Il mondo visto dal Sud - 1999/2000, EMI, 1999, p. 401

- UNDP, Rapporto sullo sviluppo umano, 2000

 

 

 

13.5 Russia (torna all'indice)

Capitale:

Mosca

Popolazione:

147.700.000 abitanti

Superficie:

17.075.000 kmq

Divisione amministrativa:

89 tra repubbliche, territori, province ed altre entità minori

Indice di sviluppo umano:

0,747 - 71° posto su 174 Paesi

Prodotto interno lordo:

394.9 milioni di dollari

Reddito procapite:

2680 dollari

Debito estero:

125,645 milioni di dollari

Servizio del debito:

6,5 (in % alle esportazione di beni e servizi)

Vita media:

66,6 anni

Mortalità entro il 1° anno:

2%

Mortalità entro il 5° anno:

2,5%

Popolazione in povertà assoluta:

22,1% (popolazione che vive sotto la linea di povertà)

 

 

La storia

L’entrata in guerra della Russia durante il primo conflitto mondiale accelera la crisi del regime zarista fino ad allora dominante. Nell’ottobre del 1917 Lenin si pose alla guida dell’insurrezione che rovesciò il governo zarista e instaurò la prima repubblica socialista della storia. Il governo sovietico approvò immediatamente la pace, abolì la proprietà privata della terra, nazionalizzò le banche, sancì il controllo delle fabbriche da parte del proletariato, istituì una milizia e un tribunale rivoluzionari, abolì i privilegi di classe e quelli originati dal diritto di eredità, attuò una separazione fra Chiesa e Stato e proclamò l’uguaglianza fra uomini e donne. Alla fine del 1922 la Federazione Russa, l’Ucraina, la Bielorussia e la Federazione Transcaucasica (Azerbaigian, Armenia e Georgia) formarono l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Nel 1924 alla morte di Lenin gli successe Stalin. Durante la Seconda Guerra Mondiale, rispondendo all’offensiva di Hitler, l’Armata Rossa occupò la Bulgaria, l’Ungheria, la Romania, la Cecoslovacchia, la Polonia e la Germania Orientale, sede successivamente di repubbliche popolari e poi socialiste. La strategia della guerra fredda, inaugurata dagli Stati Uniti nel secondo dopoguerra, scatenò la corsa agli armamenti. Nel 1955 fu istituito il Patto di Varsavia fra URSS e paesi dell’Est europeo ad essa alleati. Negli anni ’60-’70 la pericolosa sfida nucleare e la disputa per la conquista dello spazio fra le due superpotenze rimase in un sostanziale equilibrio. Nel 1985 Michail Gorbaciov assunse la carica di segretario del Partito Comunista (PCUS). Gorbaciov fu il fautore di un processo di trasformazione politica ed economica che si diffuse anche negli altri Paesi europei del blocco comunista. Fu protagonista di importanti iniziative di politica estera fra cui la ratifica degli accordi volti alla riduzione degli armamenti nucleari e l’accettazione della riunificazione delle due Germanie. Nel 1986 il reattore della centrale nucleare di Chernobyl (Ucraina) subì gravissimi danni. 135.000 persone evacuarono e fino al 1993, 7000 persone morirono a causa di questo incidente. Nel giugno 1991 Boris Eltsin venne eletto presidente della Repubblica Russa e nell’agosto 1991 venne sciolto il PCUS. Da questo momento ebbero luogo dei disordini nella regione della Cecenia (Caucaso del Nord) dove assunse il potere il generale Dudaev che all’inizio del novembre 1991 proclamò l’indipendenza della Repubblica della Cecenia a cui Mosca reagì decretando un embargo economico. L’8 dicembre 1992 venne proclamata la nascita della Comunità di Stati Indipendenti (CSI). In politica estera, la Russia assunse la rappresentanza formale dell’ex URSS. Lettonia, Estonia e Lituania si separarono dal CSI e vennero in seguito riconosciute dall’ONU. Fin dal 1991 iniziò un braccio di ferro fra il presidente Eltsin e il Parlamento (Duma). Il 4 ottobre 1993 la Duma fu presa d’assalto dai carri armati e diversi leader fra gli oppositori di Eltsin furono arrestati. Eltsin indisse nuove elezioni e un referendum per ampliare i propri poteri. Nel 1994 la tensione fra Mosca e gli indipendentisti ceceni era talmente alta da sfociare in un intervento armato ordinato da Eltsin; nel 1995 la capitale cecena Grozny venne quasi completamente rasa al suolo. Temendo una vittoria elettorale dell’opposizione comunista, Eltsin iniziò un rallentamento delle privatizzazioni e nominò cancelliere un uomo in precedenza vicino a Gorbaciov. Vinte le elezioni e superato un lungo periodo di convalescenza Eltsin fece un rimpasto governativo, lanciò un ambizioso programma di tagli alla spesa pubblica e grandi privatizzazioni. Le condizioni di vita della popolazione russa peggioravano in modo evidente; il caotico passaggio ad un’economia di mercato facilitò l’ascesa della mafia (nel 1997 il 73% del settore bancario era sotto il controllo della mafia russa, che, fra i suoi traffici più redditizi, contava anche quello del traffico di materiale nucleare). Il 12 maggio 1997 Eltsin firmò un accordo con la Cecenia concedendo ampia autonomia che non ha fatto cessare gli scontri. Nel 1998, subito dopo la svalutazione del rublo, il cancelliere Primakov, esperto di economia, riuscì a rifinanziare i debiti con gli organismi internazionali senza promettere cambiamenti concreti. Il 26 marzo del 2000 Vladimir Putin viene eletto, con il 52.6% dei voti, Presidente della Federazione Russa.

 

Il debito

Il debito ammonta a 150 miliardi di dollari, di cui 31.8 miliardi con il Club di Londra, 42 miliardi con il Club di Parigi, 20 miliardi con il Fondo Monetario Internazionale, 5 miliardi con la Banca Mondiale e 51.2 miliardi con altre istituzioni. Il debito estero della Federazione Russa ammonta a circa la metà del PIL totale della nazione. L’inflazione nel 1998 è stata del 27.8%.

 

La politica

Per alcuni Putin incarna la speranza della restaurazione di un ordine all’antica, per altri rappresenta la speranza di un ordine nuovo; durante la campagna elettorale il neopresidente non ha svelato nulla del suo programma.

 

L'economia

La Federazione russa è il paese più vasto del mondo. Tutt’intorno la catena degli Urali vi sono importanti giacimenti petroliferi e minerari. La Siberia è ricca di risorse naturali ma scarsamente popolata a causa del rigore del clima. Nelle pianure si coltivano cereali, patate e barbabietole da zucchero; in Asia Centrale il cotone e la frutta; nel Caucaso e nel Mar Nero tè, uva e agrumi. L’industria pesante e le miniere, la dipendenza dal carbone negli impianti per la produzione di energia elettrica, le avarie nei reattori nucleari e l’abuso dei prodotti agro-chimici contribuiscono al crescente inquinamento. La deforestazione e l’erosione del suolo minacciano aree molto vaste.

 

Comunicare nella Federazione Russa

Apparecchi telefonici

162 ogni 1000 abitanti

Apparecchi radio

39 ogni 1000 abitanti

Apparecchi televisivi

380 ogni 1000 abitanti

Quotidiani

270 ogni 1000 abitanti

 

Fonti bibliografiche:

- Guida del Mondo 1999/2000

- Internazionale, volume 328 del 31 marzo 2000

- Ap; calendario De Agostani 2000; Il mondo in cifre 2000.

 

 

13.6) Zambia (torna all'indice)

Capitale:

Lusaka

Popolazione:

8.600.000 abitanti

Superficie:

752.610 Kmq

Divisione amministrativa:

9 Province: Lusaka, Centro, Copperbelt, Luapula, Nord, Nord-Ovest, Sud, Ovest, Est

Indice di sviluppo umano:

0,431 - 151° posto su 174 Paesi

Prodotto interno lordo:

3.661 milioni di dollari

Reddito pro capite:

370 dollari

Debito estero:

6.758 milioni di dollari (203% del PIL)

Interessi pagati nel 1997:

73 milioni di dollari

Debito verso l'Italia:

119,250 milioni di dollari

Vita media:

40,1 anni

Mortalità entro il 1° anno:

11,2%

Mortalità entro il 5° anno:

20,2%

Popolazione in povertà assoluta:

84% (popolazione che vive con meno di 1 dollaro al giorno)

 

Lo Zambia raggiunge l'indipendenza dalla colonizzazione inglese nel 1964. L'attuale superficie corrisponde all'antica Rhodesia del Nord, un vasto territorio che prese il nome da Cecil Rhodes, l'uomo d'affari al quale la corona inglese affidò la colonia e che ne avviò lo sfruttamento.

Dopo un trentennio di regime politico monopartitico sotto Kenneth Kaunda, nel 1991 è stata approvata la costituzione che ha istituito una forma di repubblica presidenziale multipartitica. Attuale Capo dello Stato è Frederick Chiluba, al suo secondo mandato (non rinnovabile).

 

Il debito

Il debito ammonta a 6.758 milioni di dollari, era di 4.576 dollari nel 1985 ed è dovuto pressoché interamente a creditori di natura pubblica: il 55% è dovuto a governi stranieri e il 42% alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale.

Il debito estero è due volte più grande del PIL: per assurdo i cittadini zambiani per riuscire a pagare il debito dovrebbero lavorare due anni senza mangiare e senza consumare nulla e dare ai loro creditori ogni reddito prodotto dal loro lavoro.

Lo Zambia nel 1998 ha pagato all'Italia quasi un miliardo di lire di interessi e rate di ammortamento per oltre 7 miliardi e mezzo, su un'esposizione verso la Sace (l'agenzia pubblica che assicura i crediti all'esportazione e li prende in carico quando vanno insoluti) di 49 miliardi.

 

La politica

La situazione politica è tranquilla: lo Stato è impegnato nell'applicazione dei programmi di aggiustamento strutturale del FMI e della BM, ed è promotore di importanti iniziative politiche sul piano internazionale. Lusaka, ad esempio, ha ospitato gli accordi di pace per l'Angola ed è stata sede della conferenza africana che ha redatto la "Dichiarazione di Lusaka" sul debito internazionale. Recentemente ha ospitato una conferenza internazionale sull'AIDS nei Paesi in via di sviluppo e sta partecipando alle nuove iniziative per promuovere la pace nell'area dei grandi laghi.

 

L'economia e l'insufficienza alimentare

L'economia nei decenni passati è stata guidata dai proventi dell'estrazione del rame, questo ha spinto molti contadini a lasciare le loro terre per lavorare nelle miniere di rame del Copperbelt (letteralmente cintura del rame), abbandonando l'agricoltura. Il crollo del prezzo del rame (dovuto a vari fattori quali la tendenza al ribasso del prezzo delle materie prime, la sovrapproduzione e il ricorso sempre maggiore alle materie plastiche) ha provocato gravissime conseguenze sull'economia del Paese.

Il Copperbelt è la regione dove gli effetti del debito estero e dei piani di aggiustamento strutturale appaiono con maggiore evidenza. La politica di liberalizzazione economica che il governo ha dovuto adottare lo ha condotto alla privatizzazione delle miniere che appartenevano alla compagnia mineraria statale, e i nuovi proprietari hanno ridotto drasticamente il personale, lasciando senza lavoro migliaia di persone

I contadini che avevano abbandonato la campagna non possono più tornare alla coltivazione delle terre ormai quasi tutte in mano a grandi compagnie estere che le coltivavano in maniera estensiva.

L'agricoltura rappresenta ormai solo il 16% dell'economia del paese ed è insufficiente a soddisfare il fabbisogno alimentare della popolazione, che si rifornisce in larga parte dal Sud Africa e dallo Zimbabwe. Gli sforzi del governo e degli operatori della cooperazione internazionale mirano proprio allo sviluppo dell'agricoltura e di industrie alternative.

 

I problemi sociali

Lo Zambia è caratterizzato da una forte urbanizzazione che interessa soprattutto le città del Copperbelt, la popolazione disperata si concentra nei compound: agglomerati di baracche ammassate le une sulle altre, senza luce né elettricità, con le fognature e gli scarichi a cielo aperto, dove le malattie infettive si trasmettono molto più velocemente che nelle campagne.

In questi luoghi le uniche forme di sopravvivenza sono la prostituzione e la violenza. L'alcolismo e l'AIDS sono sempre più diffusi: su una popolazione inferiore ai 10 milioni si prevede di raggiungere la cifra di un milione di orfani nell'anno 2000.

Il prezzo delle politiche di aggiustamento strutturale combinato con gli errori del passato pesa sulla popolazione, riducendone l'accesso ai servizi fondamentali.

Il sistema scolastico è insufficiente: gli insegnanti ricevono stipendi bassissimi e alle famiglie viene chiesto di integrare i sussidi statali, questo ovviamene esclude dall'istruzione primaria una larga parte della popolazione in età scolare, alimentando ulteriormente il fenomeno dei bambini di strada.

Gli indicatori sociali, quali la vita media e la mortalità infantile, negli ultimi quindici anni sono peggiorati, a differenza di quanto avvenuto in altri paesi africani.

Il governo ha impegnativi programmi per l'istruzione (BESSIP) e per la sanità, che perseguono l'obbiettivo di coordinare in una strategia comune gli interventi pubblici, privati e delle Organizzazioni non governative in campo sociale.

La società civile è molto vivace. Attualmente sono in corso due esperienze molto significative: il progetto SAP monitoring e la campagna zambiana Jubilee 2000 per chiedere la cancellazione del debito. Il primo è un progetto di monitoraggio sull'impatto delle politiche di aggiustamento strutturale sulle condizioni sociali ed economiche delle famiglie zambiane delle varie regioni, e viene condotto tramite interviste periodiche nei villaggi. Il progetto è promosso dalla rete delle ONG zambiane (laiche e di ispirazione religiosa) e coordinato dalla Commissione Giustizia e Pace (CCJP) della Conferenza episcopale zambiana. Jubilee 2000 Zambia, invece, è una delle campagne meglio organizzate fra quelle dei paesi debitori ed è coordinata dal Centro di Riflessione Teologica dei Gesuiti a Lusaka (JCTR). La Chiesa cattolica, com'è evidente, è molto inserita nelle attività di controllo sociale.

 

 

Comunicare in Zambia

Ferrovie

2.164 Km

Strade

39.700 Km

di cui asfaltate

7.265 Km

Aeroporti

 

pista asfaltata

12

pista non asfaltata

100

Apparecchi telefonici

80.900

Stazioni radio

16

Apparecchi radio

1.889.140

Stazioni televisive

9

Apparecchi televisivi

215.000

 

 

 

Fonti bibliografiche:

- Campagna CEI: Trasformare il debito in opportunità di sviluppo, Guinea e Zambia - schede di presentazione dei Paesi

- Emanuela Citterio, Zambia - Copperbelt, quando il debito è una pietra al collo, Mondo e missione, marzo 2000

- Francesco Terreri, L'Italia cancella debiti inesigibili ai paesi poveri. E quelli esigibili? - Gli interessi della SACE, Altrafinanza, febbraio 2000

- UNDP, Rapporto sullo sviluppo umano, 2000

 

 

 

14) E RIVISTE (torna all'indice)

"ACAV INFORMA", periodico di informazione e documentazione dell’Associazione Centro Aiuti Volontari Cooperazione Sviluppo Terzo Mondo (ACAV).

"ALM", periodico dell’Associazione Laicale Missionaria (ALM)

"Amici dei lebbrosi", lebbra, disabilità, infanzia, intercultura. Mensile dell’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau (AIFO).

"Amicizia", studenti esteri, periodico dell’Ufficio Centrale Studenti Esteri in Italia (UCSEI).

"CELIM Bergamo Notizie", periodico del CELIM Bergamo, Organizzazione di Volontariato Internazionale Cristiano (CELIM BERGAMO).

"COE", - Centro Orientamento Educativo, bimestrale, è l'organo di informazione dell'associazione. E' pubblicato dal 1971, registrato presso il tribunale di Milano dal 1992. Riporta idee di fondo e aggiorna sulle iniziative dell'associazione in Italia e sui progetti nei PVS, raggiunge circa 3.000 persone (COE).

"Il foglio", la rivista dell’Adozione Internazionale e del Sostegno a Distanza, organo di informazione dell’Associazione Amici dei Bambini (Ai.Bi).

"Missione", Una chiesa in cammino, periodico dell’ACCRI — Associazione di Cooperazione Cristiana Internazionale — Centro Missionario Diocesano

"Notiziario CEFA", Newsletter bimestrale del Comitato Europea per la Formazione e l’Agricoltura (CEFA).

"Quali frontiere". Cooperazione, Cultura, Sviluppo. Rivista semestrale di Comitato Europeo per la Formazione e l’Agricoltura (CEFA).

"Uomini nuovi per un mondo nuovo", rivista trimestrale a cura del COMI, Cooperazione per il mondo in via di sviluppo.

"VIDES", periodico di Volontariato Internazionale Donna, Educazione, Sviluppo (VIDES).

"Volontari per lo sviluppo", periodico di ASPEm, CCM, CISV, CELIM MI, CMSR e MLAL.

"Volontari nel mondo", newsletter trimestrale di Volontari nel mondo — FOCSIV che propone spunti di riflessione su tematiche d’attualità ed informa puntualmente sugli appuntamenti e le attività della Federazione e degli Organismi associati.

"Volontari e Terzo Mondo", rivista trimestrale realizzata da Volontari nel mondo - FOCSIV, strumento di studio e di approfondimento delle tematiche inerenti la cooperazione internazionale e la solidarietà.

 

ALTRE RIVISTE (torna all'indice)

"Accrifoglio", periodico dell’Associazione di Cooperazione Cristiana Internazionale (ACCRI).

"AF-Informazioni", periodico dell’Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau (AIFO).

"AIBI Notizie", periodico dell’Associazione Amici dei Bambini (AiBi).

"Bollettino Informativo", periodico del Progetto Domani: Cultura e Solidarietà (PRO.DO.CS.).

"Buone notizie", periodico dell’Associazione Volontari per il Servizio Internazionale (AVSI).

"Circolare informativa MLFM", periodico del Movimento per la Lotta contro la Fame nel Mondo (MLFM).

"Collana: città e cittadinanza", periodico del Progetto Domani: Cultura e Solidarietà (PRO.DO.CS.).

"CVM Flash", periodico del Centro Volontari Marchigiani (CVM).

"Dimensioni dello sviluppo", periodico dell’Associazione Volontari per il Servizio Internazionale (AVSI).

"Esserci", periodico del Servizio Volontario Internazionale (SVI).

"Foglio di collegamento", periodico dell’Associazione Amici dello Stati Brasiliano Espirito Santo — Centro di Collaborazione Comunitaria (AES — CCC).

"Foglio notizie FONTOV", periodico della Fondazione "Giuseppe Tovini" (FONTOV).

"Lettera agli amici", periodico del Movimento Laici America Latina (MLAL).

"Notiziario OMD", periodico dell’EsseGiElle — Solidarietà Giustizia e Libertà — cooperazione internazionale.

"Notiziario OVERSEAS", periodico dell’Organizzazione per lo Sviluppo Globale di Comunità in Paesi Extraeuropei (OVERSEAS).

"Rassegna Stampa Tematiche Immigrazione", periodico di Comunità Promozione e Sviluppo (CPS).

"Rivista del cinema africano", periodico del Centro Orientamento Educativo (COE).

"SVI Notizie", periodico del Servizio Volontario Internazionale (SVI).

"Un solo mondo", periodico di Amici dei Popoli (ADP).

"Volontari", periodico dell’Associazione Internazionale Volontari Laici (LVIA).

 

14.1) PUBBLICAZIONI (torna all'indice)

"A Sud del Sahara" di Pietro Deandrea e Davide Rigallo. Il libro recensisce in modo esaustivo la produzione letteraria africana tradotta in italiano, fornendo dei piccoli ma significativi assaggi di testo. Le schede sono corredate da un’introduzione generale sulla storia e peculiarità delle varie letterature e un indice degli scrittori e delle opere tradotte in italiano (LVIA).

"Barometro della solidarietà degli italiani — 2000", Indagine promossa da Volontari nel mondo - FOCSIV per fornire a soggetti istituzionali e del non governativo, al mondo dell’informazione e dell’insegnamento e a tutta la società civile un utile strumento di analisi delle tendenze della società italiana in ordine alle tematiche della cooperazione e della solidarietà internazionale, con particolare attenzione al binomio cooperazione/immigrazione.

"Cooperazione e sviluppo endogeno in Tanzania", G. Bersani e P. Menegozzo, Bologna, Conquiste, 1995, (CEFA)

"Del sole e della luna" di Davide Rigallo, con la collaborazione di P. Paolo Eramo. Questo volume dedicato alla letteratura araba contemporanea ha un chiaro intento divulgativo: è un invito alla lettura di autori e testi arabi dal Maghreb al Medio Oriente del _‘900, tradotto in italiano e facilmente reperibili in libreria (LVIA).

"Donne e sviluppo", esperienze didattiche di teatro interculturale, S. Caserta, 1998.

Affrontare il tema della donna promotrice di sviluppo, in un’ottica interculturale, proponendo i risultati della ricerca attraverso la metodologia della drammatizzazione e la ricerca della rappresentazione teatrale è stato l’obiettivo felicemente raggiunto da alcuni docenti, che hanno partecipato al progetto didattico "Donne e sviluppo" promosso dal MO.C.I.

I risultati di questo interessante lavoro sono stati raccolti in questa pubblicazione.

"Dossier COE" : è uno strumento utile per l'approfondimento e lo sviluppo delle tematiche proposte nei lungometraggi. Sono disponibili 33 dossier per altrettanti lungometraggi .

(Il catalogo dei film è disponibile presso il COE e consultabile sulla pagina d'internet. Il catalogo è anche strumento per orientare proposte di rassegne a tema su Emigranti ed emigrati, Bambini e società, Scuola e società, La donna, Ambiente e salute, La famiglia e gli affetti, Tradizione e Modernità, All'origine della cultura africana) (COE).

"I numeri del volontariato internazionale", brochure pubblicata ogni anno da Volontari nel mondo — FOCSIV in occasione della giornata mondiale del volontariato (5 dicembre), contenente tutti i dati relativi alle attività in Italia e ai progetti nei Sud del mondo degli Organismi Associati.

"Il cammino della solidarietà", è un libro realizzato da Volontari nel mondo — FOCSIV che offre un’immagine della Federazione attraverso le attività ed i progetti realizzati dagli Organismi associati, sia in Italia che nei Sud del mondo, raccontando l’esperienza di 30 anni di volontariato internazionale.

"Il volontariato internazionale come pensiero e come azione", F. Tosi, Bologna, EDB, 1994 (CEFA)

"IX Convegno Internazionale. Giustizia e Pace in un mondo lacerato", Bologna, Conquiste, 1995, (CEFA)

"Nord — Sud: un solo futuro", Collana Mondialità — Volontari per lo sviluppo, prima edizione maggio 1989, (OSVIC)

 

"QUADERNI", collana di riviste monotematiche pubblicata dal CISV

N° 2 Paesi; BURKINA FASO. Il paese degli Uomini Integri.

N° 2 Salute; MEDICINE: SOLO PER GUARIRE?

N° 3 Salute; PROFILASSI PER CHI SI RECA AI TROPICI.

N° 4 Salute; TUBERCOLOSI NEI PVS.

N° 4 Mondialità; PER IL DIRITTO DEI POPOLI A NUTRIRSI DA SE'.

N° 7 Mondialità; A SCUOLA DI SVILUPPO I

N° 10 Mondialità; A SCUOLA DI SVILUPPO II

N° 11 Mondialità; NORD-SUD: UN SOLO FUTURO

N° 12 Mondialità; COME CI NUTRIAMO? IMPARIAMOLO GIOCANDO.

N° 15 Mondialità; AMERICA LATINA: SCOPERTA O CONQUISTATA?

N° 16 Mondialità; OGNI BIMBO DEL MONDO HA DIRITTO AL SUO CIBO

N° 17 Mondialità; BAMBINI PER LE STRADE TRA NORD E SUD DEL MONDO

N° 18 Mondialità; PIANETA AMICO

"Quaderni", collana di riviste monotematiche, in cui vengono regolarmente pubblicati gli atti della Scuola di Politica Internazionale, Cooperazione e Sviluppo (SPICeS), promossa da Volontari nel mondo — FOCSIV, atti di seminari e convegni organizzati dalla Federazione, ricerche.

N. 50 "Una cultura dello sviluppo per affermare i diritti dei popoli" (atti SPICeS 1997-98)

N. 51 "Christian-inspired voluntary service. Comparative elements of organisations in 16 European countries".

N. 52 "International voluntary service in Europe. A comparative study of the legislation of seven Member States of the European Union".

"VI Convegno Nord-Sud, emergenza del mondo. Quale cooperazione per quale sviluppo?", Bologna, Cefa, 1987 (CEFA)

"VII Convegno Internazionale. Per un ordine mondiale giusto e solidale", Bologna, Cefa, 1990, (CEFA)

"Somalia 1991-1993", G. Bersani, Bologna, E.M.I., 1993, (CEFA)

"Strumenti di lavoro", collana realizzata da Volontari nel mondo - FOCSIV

N. 9 "Il rinnovo della Convenzione di Lomè"

N. 10 "Il microcredito come nuova forma di cooperazione"

"Suoni dal mondo" di Lorenzo Bordonaro e Chiara Pussetti. Questo libro, raccogliendo in poco più di cento pagine caratteri e dettagli delle principali culture musicali extraeuropee, vuole dare una visione d’insieme della molteplicità delle forme di espressione musicale (LVIA).

"Tingatinga. Forme e colori di un mondo diverso", A.Marchesini Reggiani (a cura di), Edizioni Lai momo, Bologna, 1999, (CEFA)

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