THE SUPPER

_______________________________________________
La Giustizia in Italia non funziona: il mio caso di ingiustizia personale.



MILLE PASSI
2004
Primo esposto-X

2005

Procura Roma-X

Procura Milano-X


2006

Questura Brescia-X

Procura Napoli-X

Procura Perugia-X
 
2007
Procura Firenze-X

2008-2013
Persecuzione e isolamento sociale e accanimento:
Mobbing sociale



DETTAGLIO   

 

Racconto dei fatti.

Fino al 2004 una vita come lavoratori, con una casa con un mutuo come tanti altri cittadini, ma con alle spalle   un passato da brivido sempre pronto a distruggere qualsiasi passo verso la libertà.

Nel 2004 subiamo l’attacco definitivo di uno stalker che ci perseguitava da 5 anni. Ma lo “stalker” è solo una pedina in un gioco più grande che parte dalle nostre famiglie e dal circolo di  dove siamo nati. Cominciamo a capire che ci vogliono distruggere a tutti i costi, forse per cancellare definitivamente ogni nostro ricordo-testimonianza che ci portiamo appresso. Cominciamo a scrivere alle autorità il giro di amicizie dei parenti e quello che accadeva nel circolo degli “amici”. Ma non ci affidiamo a Padova o Vicenza —dove sarebbe naturale— ma a forze esterne che possono capire il fenomeno con più obiettività. Non ci rivolgiamo a Padova, semplicemente perché uno dei nostri parenti andava fiero di avere degli informatori all’interno di tale “macchina” della giustizia. Ci siamo rivolti prima ai carabinieri di  Rovigo, e poi alla Procura di Roma di piazzale Clodio e al Presidente della Repubblica.

A Roma, vi era anche la sede legale della FIGC, dove vi lavorava, ai vertici, uno degli “amici”, il quale aveva (sempre a detta del parente) contatti con i carabinieri di Padova che li passavano le informazioni riservate all’occorrenza.  A Roma e al Presidente della Repubblica mandammo per raccomandata vari esposti da Novembre 2004 a Maggio 2005, ma quando in marzo andammo a Roma chiedere a quale magistrato fossero stati assegnati i fascicoli, gli impiegati ci dissero che solo il primo della serie era pervenuto: degli altri non vi era traccia! Una persona intuendo il grosso del problema, ci consiglio di rivolgerci ad un’altra Procura. Il primo esposto, che era l’unico pervenuto, fu aperto da un certo dottore  Verusio e  mandato a Padova per competenza. Andammo anche al Quirinale per avere informazioni della copia (sostanzialmente identica salvo le forme di rito) e ci dissero che i documenti erano stati inviati al Ministero dell’Interno e poi dal Ministero erano andati in Prefettura di Padova. Tornati a Padova controllammo dal prefetto, ma tali documenti, che  erano stati inviati da Roma, tanto per cambiare, non risultavano inseriti nel database.

Oltre metà aprile 2005 tornammo a Roma e verificammo se era arrivata o scomparsa la posta che avevamo inviato per raccomandata ad inizio marzo: essendo ancora mancante consegnammo tutto il materiale all’ufficio primi atti, facendoci fare un timbro sulla nostra copia (pensammo, sbagliando, che questa volta la documentazione sarebbe pervenuta di certo!).

Tornati a casa preparammo una nuova denuncia contro ignoti per appunto la sottrazione e/o smarrimento della  serie di fascicoli inviati da dicembre 2004 a marzo 2005. Spedimmo tramite lettera raccomandata alla Procura. Questa denuncia corrispondeva alla nostra settima raccomandata inviata alla Procura di Roma. Le varie raccomandate le abbiamo nominate poi con R1..R7, mentre i due atti depositati a Roma li abbiamo chiamati D1-D2. Il malloppo totale a maggio 2005 era di 7 raccomandate, 2 atti depositati all’ufficio primi atti, qualche email alla procura.

Ora torniamo un po’ indietro. Dal momento che cominciammo  a scrivere i documenti alle autorità le cose peggiorarono di brutto. Cominciò in particolare a diffondersi una serie di diffamazioni sul nostro conto: si spargevano a macchia d’olio sul lavoro, sulle forze dell’ordine locali e sul Comune di residenza. Un fenomeno inarrestabile!  Non solo, in più alcune nostre pratiche normali cominciarono a subire anomalie, rallentamenti e addirittura smarrimenti: non solo all’interno dell’A.P. ma anche in alcuni istituti bancari. Continuavamo a chiedere un aiuto alle forze dell’ordine e ai magistrati e nessuno si faceva sentire.

Andammo avanti per vari mesi, coi nervi a fior di pelle, con gente che ci veniva a perseguitare sotto casa. La paura era di casa.
Finché in marzo 2005, sotto stress mi capitò un incidente. L’incidente fu strumentalizzato dai carabinieri locali che ne modificarono la dinamica: in particolare da un nuovo comandante arrivato da poco,  che cominciò a perseguitare me e Giovanna. Il tal comandante cominciò a dirigere la situazione in modo da farmi considerare un mitomane, un paranoico. Ma non solo. Ora eravamo decisi vista la situazione di fare una denuncia anche  li da loro per le carte sparite a Roma: ma questo comandante non solo si rifiutò di prendere tale denuncia ma continuò a considerarci come persone che farneticavano.
La spiegazione da parte di professionista a cui ci eravamo rivolti per ottenere aiuto era chiara: “vogliono insabbiare tutto e farvi passare per matti”, ci disse. Nell’ottica di arrivare a portare a termine il suo progetto, il maresciallo fece degli abusi d’ufficio e pressioni che continuarono poi anche negli anni successivi.

In giugno 2005 prendemmo la precauzione di spedire tutto il malloppo anche alla Procura Militare di Roma che chiamiamo RM1.

A Roma il contenuto della raccomandata RM1 fu inviato per competenza alla Procura Ordinaria di Roma. Qui il fascicolo venne assegnato ad un magistrato, probabilmente il dott. Poli . Invece la raccomandata R7 che era stata inviata più di un mese prima fu assegnata in settembre 2005 al dottor  C. che aprì un fascicolo e iscrisse il reato 616 nel giornale delle notizie di reato. Poco dopo una settimana chiuse le indagini senza risolvere il caso poiché non vi erano ulteriori elementi utili per stabilire se si era trattato di un furto o di uno smarrimento. 

Nel frattempo la vita in paese a Padova  non era più possibile, non solo per la persecuzione dei carabinieri ma anche per il clima teso che si era creato nell’intero paese stesso.  Da giugno 2005 avevamo levato le ancore e cercato di risolvere il caso rimanendo fuori da quell’inferno. Per cinque mesi non tornammo più a casa. Tornammo pochi giorni di nascosto in ottobre, poi partimmo per non tornare mai più.

Il magistrato di Roma  intanto in novembre 2005 ci inviò la notifica di richiesta di chiusura delle indagini.  Noi a quel tempo eravamo rimasti completamente senza soldi a Marone in provincia di Brescia e vivevamo in una piccola tenda di campeggio. Purtroppo i carabinieri del luogo e il loro comandante erano stati influenzati da quelli di residenza: dunque non ci offrirono nessun appoggio e nessun appoggio avemmo nemmeno dai servizi sociali e/o difensore civico.
Stavamo per finire morti di fame perché nessuno ci aiutava, ed era perché era stato dato ordine alle autorità di non farlo: volevano che fossimo costretti a ritornare a Padova per cuocerci ben bene e assegnarci in stato di indigenza ai nostri parenti che non aspettavano!

In febbraio 2006 andiamo in Questura a Brescia e ripresentiamo il nostro caso: ma a Brescia hanno paura e non vorrebbero avere a che fare con una cosa del genere. Comunque alla fine prendono la denuncia. Ridepositiamo tutti i documenti. Il giorno dopo siamo sbattuti dai carabinieri in strada e la polizia non ci aiuta. Riusciamo a raggiungere Roma. E’ marzo 2006. Vogliamo assolutamente parlare con il magistrato C.: ma è in ferie e così vediamo un suo impiegato. L’impiegato, al contrario del magistrato, ci dice che il nostro fascicolo è ben corposo perché è arrivato materiale da un altro magistrato (si trattava del malloppo inviato un anno prima alla Procura Militare e spedito per competenza alla Procura Ordinaria, aperto da un magistrato e confluito poi al dott. C. che aveva aperto il fascicolo R7).
Lasciata la segreteria del magistrato, ci dirigiamo in cancelleria per scoprire che il nostro procedimento è stato chiuso mesi prima! Qui riusciamo ad ottenere il decreto di archiviazione.
Scopriamo che il decreto contiene una serie di bizzarrie inconcepibili. La prima è che vi è scritto che noi abbiamo denunciato un reato verificatosi in una data posteriore all’invio dell’R7. Impossibile! Non è nemmeno concepibile che una persona possa denunciare un reato che avverrà in futuro! Non eravamo chiaroveggenti. E poi una serie di errori su date, su numeri… e una serie di parole formalmente corrette ma sostanzialmente  da gettare perchè errate o false.

Morale della favola , quel decreto stabiliva che il reato 616 da noi asserito non si era mai verificato e chiudeva il caso senza mai averci sentiti come testimoni, senza darci la possibilità di presentare prove o indizi…

Noi non avevamo un soldo e rimanemmo a Roma solo pochi giorni vivendo di Provvidenza. Alla fine delle ferie del magistrato eravamo già lontani da Roma, ad Assisi. E inviammo da Assisi un fax contestando il decreto di archiviazione. Non facemmo nessuna menzione di essere passati al suo ufficio e aver visto sul suo terminale che disponeva di tutta la documentazione!

La replica del magistrato si fece attendere solo pochi giorni: ci scrisse che l’istanza di riapertura delle indagini da noi richiesta, era stata rigettata e che il caso era chiuso e l’unica soluzione era il ricorso in Cassazione. Ma scrisse anche che la documentazione non pervenuta continuava a non essere pervenuta: cioè che lui non aveva in mano tutti i nostri esposti. Cosa che a noi, per quanto avevamo visto nel suo ufficio, non risultava affatto.

A questo punto cominciammo a capire che capitavano cose non chiare a Roma.  Siccome in quel periodo a Napoli vi erano degli indagini in corso sulla FIGC ci presentammo in questa procura consegnando del materiale che poteva in qualche maniera collegarsi a tali indagini, e facemmo contestualmente in settembre 2006 una denuncia contro il magistrato e il giudice per abuso d’ufficio e per aver soppresso degli atti veri nella Procura di Roma.
A Napoli erano assai preoccupati, tanto da prendere l’incartamento immediatamente. Uno ci chiese: -“avete paura che vi vogliano ammazzare?”.  E lo disse con fermo convincimento,  aggiungendo che loro erano al corrente che a Roma capitavano cose del genere, e quasi a farci coraggio: “non siete gli unici a cui sono successe queste cose”, ci disse grosso modo.

Presa la denuncia, sigillata, e portata con la massima urgenza dal magistrato, il poliziotto ci disse di parlare subito nel pomeriggio con il magistrato. Ma il magistrato non c’era o  era occupato e tornammo due settimane dopo: purtroppo il procedimento era stato trasferito a Perugia, ovvero nella sede naturale ove vengono svolti i processi che riguardano anomalie della procura di Roma. A Napoli ci invitano dunque di andare con urgenza a parlare con il magistrato di Perugia e ci suggeriscono di far mettere tutti i colloqui a verbale.

A Perugia il magistrato non è più dell’Antimafia come era quello di Napoli. Nonostante le numerose richieste ci sarà impossibile  parlare con il magistrato. Il magistrato rifiuta ogni incontro e ogni nostra richiesta. Ma nel frattempo magistrato e Polizia di Perugia fanno degli errori madornali sul caso, come ad esempio assegnare la nostra protezione a una persona dell’Arma che si trovava in conflitto di interessi (era una parte indagata!).  E altri errori e banalità che ci misero in pericolo di vita.

Dopo tre mesi di tentativi senza successo,  trovammo a Città di Castello dei carabinieri disponibili a scrivere un verbale serio e vagliare documentazione e prove in nostro possesso. Ne nasce una nuova denuncia querela che viene assegnata a un nuovo magistrato di Perugia: Gabriele Paci. Paci è diverso dal precedente, e si attiva subito. Ma il fascicolo di Paci gli viene “sottratto” quasi subito  e viene inserito, come aggiornamento, sul fascicolo del magistrato precedente. Tutte le attività si arenano. 

Finiamo a vivere a Terni, inseguiti da una serie di persone che ci vogliono morte. A Terni alcuni ispettori di Polizia ci aiutano per chiedere una mano ai servizi sociali, lo fanno tramite un articolo di giornale che dia risalto alla nostra vicenda. Dal giornale approdiamo a un programma della RAI,e ad una rete nazionale. All'ultimo momento quando l’intervista in diretta è già programmata rischia di saltare tutto. Ma poi usciamo in diretta e  Giancarlo Magalli lancia un appello all’Umbria perché ci aiutino a trovarci un lavoro e una casa. Torniamo a Terni contenti confidando nella fine dell'incubo.

Il comune non interviene e nemmeno il vescovo. Viviamo in Caritas, ma cercano di mandarci via il prima possibile senza offrirci soluzioni, soluzioni invece che per altri ospiti della Caritas arriveranno.

Inviamo un esposto/denuncia alla Procura di Firenze, accusando il magistrato di Perugia di lesione del nostro diritto di legittima difesa.

Il magistrato di Firenze, chiede notizie sul procedimento. Non sappiamo cosa poi sia successo. Fatto sta che non otterremo comunque l’incontro con il magistrato, né con quello di Perugia né con quello di Firenze.

Il magistrato di Firenze, di certa esperienza, viene promosso, mandato su un’altra procura come capo procuratore. Lo aspetterà poi un “incidente”. Accusato di comportamenti inopportuni con i suoi colleghi, verrà buttato fuori dall’ordine dei magistrati senza più la possibilità di ritornarvi. Il primo magistrato di Perugia sarà trasferito. Gabriele Paci invece ritornerà a fare le indagini in Sicilia sulla mafia.

Per tutto il periodo successivo  otterremo una persecuzione da alcune forze dell’ordine che si spingeranno a commettere alcuni atti amministrativi illeciti nel 2010,: atti coperti da una falsa parvenza di legalità, ma sostanzialmente falsi come si vedrà poi.

Dal 2009 non riusciremo più ad ottenere un lavoro, per il continuo perpetrarsi di un terrorismo nei nostri confronti. Da agosto 2010 vivremo senza una casa, in rifugi di fortuna, vivendo di Provvidenza. Stremati, la nostra condizione fisica peggiorerà a causa del tipo di vita. Non otterremo nessun aiuto da servizi sociali e Caritas, anche a causa di una spaventosa campagna diffamatoria nei nostri confronti. Saremo trattati peggio dei peggiori criminali. Le nostre denunce rimarranno inascoltate. Noi destinati a morire tra incredibili sofferenze: il prezzo da pagare per aver nominato alcune persone di peso nei primi esposti. Si trattò di un peccato di gioventù, di persone poco esperte in cose legale quali eravamo e poco informati sulla reale situazione della giustizia in Italia.

Il progetto finale sarà   di farci morire, facendo sembrare la cosa come il naturale evolversi di una vita ai bordi della società (vita fatta da persone che vivono di malaffare e che non vogliono integrarsi nel tessuto sociale, cioè il vestito che ci hanno apposto addosso). Oppure rimandarci là dove siamo nati, per darci in pasto a quell’ambiente che ha mostrato di saper giostrare forze di polizia e magistrati a proprio piacimento.

Dal 2009 avevamo tralasciato di perseverare nelle denunce, sperando che ci lasciassero in pace. Ma non fu così. Per noi non ci fu più pace.

[Agosto 2013- Matteo]



TESTAMENTO

N.B.:
Ricordiamo che la nostra volontà, resa ben chiara nel primo esposto inviato a Roma a Novembre 2004 (e ridepositato come allegato a varie autorità di seguito elencate)

è di non tornare né da vivi né da morti nel luogo dove siamo nati!

Non desideriamo nemmeno tornare nel comune Veneto di Residenza fintantochè non siano stati risolti i problemi di base sorti in questo comune e/o comunque, non desideriamo tornarvi contro la nostra volontà..

Elenco di siti ove è stato depositato l'esposto denominato "primo esposto" oltre che la Procura di Roma:
- depositato presso la Questura di Brescia in febbraio 2006;
- depositato presso la Procura di Napoli l'8 settembre 2006;
- depositato presso i  CC di Città di Castello il 19/12/2006;
- inviato presso la Procura di Firenze il 7 Marzo 2007;
- altri siti non in elenco.


Questo avvertimento è diretto a tutti, forze dell'ordine incluse!

Questo va ribadito perchè nel 2010 alcune forze dell'ordine tentarono di rispedirci in Veneto con procedimento amministrativo assolutamente illegale che fu bloccato da un avvocato perchè mancava dei requisiti della legge!  Da allora si tenta di rifarci tornare in Veneto con le buone o con le cattive, semplicemente spingendoci ai bordi della società attraverso un terrorismo continuo che mira a farci desistere e/o in alternativa a farci fuori fisicamente. Da circa tre anni viviamo all'addiaccio aggrapandoci alla Provvidenza e evitando tutti quei luoghi, come organismi caritatevoli, che ci hanno creato problemi continui e diretto verso strade di morte piuttosto che verso sentieri di salvezza... Abbiamo tentato varie volte di ottenere un aiuto dai servizi sociali di diversi comuni italiani, ma questi non intervengono, nemmeno attraverso l'intermediazione di importanti associazioni che cercano di fare ragionare la pubblica amministrazione! I sindaci e/o le persone preposte nemmeno rispondono alle lettere: né alle nostre né a quelle delle associazioni che stanno tentando di difenderci!