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Racconto dei fatti.
Fino
al 2004 una vita come lavoratori, con una casa con un mutuo come tanti
altri cittadini, ma con alle spalle un passato da brivido
sempre pronto a distruggere qualsiasi passo verso la libertà.
Nel 2004 subiamo l’attacco definitivo di uno stalker che ci perseguitava da 5 anni. Ma lo “stalker” è solo una pedina in un gioco più grande che parte dalle nostre famiglie e dal circolo di dove siamo nati.
Cominciamo a capire che ci vogliono distruggere a tutti i costi, forse
per cancellare definitivamente ogni nostro ricordo-testimonianza che ci
portiamo appresso. Cominciamo a scrivere alle autorità il giro di
amicizie dei parenti e quello che accadeva nel circolo degli “amici”.
Ma non ci affidiamo a Padova o Vicenza —dove sarebbe naturale— ma a
forze esterne che possono capire il fenomeno con più obiettività. Non
ci rivolgiamo a Padova, semplicemente perché uno dei nostri parenti
andava fiero di avere degli informatori all’interno di tale “macchina”
della giustizia. Ci siamo rivolti
prima ai carabinieri di Rovigo, e poi alla Procura di Roma di
piazzale Clodio e al Presidente della Repubblica.
A Roma, vi era anche la sede legale della FIGC,
dove vi lavorava, ai vertici, uno degli “amici”, il quale aveva (sempre a
detta del parente) contatti con i carabinieri di Padova che li
passavano le informazioni riservate all’occorrenza. A Roma e al
Presidente della Repubblica mandammo per raccomandata vari esposti da
Novembre 2004 a Maggio 2005, ma quando in marzo andammo a Roma chiedere
a quale magistrato fossero stati assegnati i fascicoli, gli impiegati
ci dissero che solo il primo della serie era pervenuto: degli altri non
vi era traccia! Una persona intuendo il grosso del problema, ci
consiglio di rivolgerci ad un’altra Procura. Il primo esposto, che era
l’unico pervenuto, fu aperto da un certo dottore Verusio
e mandato a Padova per competenza. Andammo anche al Quirinale per
avere informazioni della copia (sostanzialmente identica salvo le forme
di rito) e ci dissero che i documenti erano stati inviati al Ministero
dell’Interno e poi dal Ministero erano andati in Prefettura di Padova.
Tornati a Padova controllammo dal prefetto, ma tali documenti,
che erano stati inviati da Roma, tanto per cambiare, non
risultavano inseriti nel database.
Oltre metà aprile 2005
tornammo a Roma e verificammo se era arrivata o scomparsa la posta che
avevamo inviato per raccomandata ad inizio marzo: essendo ancora
mancante consegnammo tutto il materiale all’ufficio primi atti,
facendoci fare un timbro sulla nostra copia (pensammo, sbagliando, che
questa volta la documentazione sarebbe pervenuta di certo!).
Tornati
a casa preparammo una nuova denuncia contro ignoti per appunto la
sottrazione e/o smarrimento della serie di fascicoli inviati da
dicembre 2004 a marzo 2005. Spedimmo tramite lettera raccomandata alla
Procura. Questa denuncia corrispondeva alla nostra settima raccomandata
inviata alla Procura di Roma. Le varie raccomandate le abbiamo nominate
poi con R1..R7, mentre i due atti depositati a Roma li abbiamo chiamati
D1-D2. Il malloppo totale a maggio 2005 era di 7 raccomandate, 2 atti
depositati all’ufficio primi atti, qualche email alla procura.
Ora
torniamo un po’ indietro. Dal momento che cominciammo a scrivere
i documenti alle autorità le cose peggiorarono di brutto. Cominciò in
particolare a diffondersi una serie di diffamazioni sul nostro conto:
si spargevano a macchia d’olio sul lavoro, sulle forze dell’ordine
locali e sul Comune di residenza. Un fenomeno inarrestabile! Non
solo, in più alcune nostre pratiche normali cominciarono a subire
anomalie, rallentamenti e addirittura smarrimenti: non solo all’interno
dell’A.P. ma anche in alcuni istituti bancari. Continuavamo a chiedere
un aiuto alle forze dell’ordine e ai magistrati e nessuno si faceva
sentire.
Andammo avanti per vari mesi, coi nervi a fior di
pelle, con gente che ci veniva a perseguitare sotto casa. La paura era
di casa. Finché
in marzo 2005, sotto stress mi capitò un incidente.
L’incidente fu strumentalizzato dai carabinieri locali che ne
modificarono la dinamica: in particolare da un nuovo comandante
arrivato da poco, che cominciò a perseguitare me e Giovanna. Il
tal comandante cominciò a dirigere la situazione in modo da farmi
considerare un mitomane, un paranoico. Ma non solo. Ora eravamo decisi
vista la situazione di fare una denuncia anche li da
loro per le carte sparite a Roma: ma questo comandante non solo si
rifiutò di prendere tale denuncia ma continuò a considerarci come
persone che farneticavano. La spiegazione da parte di
professionista a cui ci eravamo rivolti per ottenere aiuto era chiara:
“vogliono insabbiare tutto e farvi passare per matti”, ci disse.
Nell’ottica di arrivare a portare a termine il suo progetto, il
maresciallo fece degli abusi d’ufficio e pressioni che continuarono poi
anche negli anni successivi.
In giugno 2005 prendemmo la precauzione di spedire tutto il malloppo anche alla Procura Militare di Roma che chiamiamo RM1.
A
Roma il contenuto della raccomandata RM1 fu inviato per competenza alla Procura Ordinaria di Roma.
Qui il fascicolo venne assegnato ad un magistrato, probabilmente il dott. Poli .
Invece la raccomandata R7 che era stata inviata più di un mese prima fu
assegnata in settembre 2005 al dottor C. che aprì un fascicolo e
iscrisse il reato 616 nel giornale delle notizie di reato. Poco dopo
una settimana chiuse le indagini senza risolvere il caso poiché non vi
erano ulteriori elementi utili per stabilire se si era trattato di un furto o di
uno smarrimento.
Nel frattempo la vita in paese a Padova non era
più possibile, non solo per la persecuzione dei carabinieri ma anche
per il clima teso che si era creato nell’intero paese stesso. Da giugno
2005 avevamo levato le ancore e cercato di risolvere il caso rimanendo
fuori da quell’inferno. Per cinque mesi non tornammo più a casa.
Tornammo pochi giorni di nascosto in ottobre, poi partimmo per non
tornare mai più.
Il magistrato di Roma intanto in novembre
2005 ci inviò la notifica di richiesta di chiusura delle
indagini. Noi a quel tempo eravamo rimasti completamente senza
soldi a Marone in provincia di Brescia e vivevamo in una piccola tenda
di campeggio. Purtroppo i carabinieri del luogo e il loro comandante erano stati influenzati
da quelli di residenza: dunque non ci offrirono nessun appoggio e nessun
appoggio avemmo nemmeno dai servizi sociali e/o difensore
civico. Stavamo per finire morti di fame perché nessuno ci aiutava,
ed era perché era stato dato ordine alle autorità di non farlo:
volevano che fossimo costretti a ritornare a Padova per cuocerci ben
bene e assegnarci in stato di indigenza ai nostri parenti che non
aspettavano!
In febbraio 2006 andiamo in Questura a Brescia e
ripresentiamo il nostro caso: ma a Brescia hanno paura e non vorrebbero
avere a che fare con una cosa del genere. Comunque alla fine prendono
la denuncia. Ridepositiamo tutti i documenti. Il giorno dopo siamo
sbattuti dai carabinieri in strada e la polizia non ci aiuta. Riusciamo
a raggiungere Roma. E’ marzo 2006. Vogliamo assolutamente parlare con
il magistrato C.: ma è in ferie e così vediamo un suo impiegato.
L’impiegato, al contrario del magistrato, ci dice che il nostro
fascicolo è ben corposo perché è arrivato materiale da un altro
magistrato (si trattava del malloppo inviato un anno prima alla Procura
Militare e spedito per competenza alla Procura Ordinaria, aperto da un
magistrato e confluito poi al dott. C. che aveva aperto il fascicolo
R7). Lasciata la segreteria del magistrato, ci dirigiamo in
cancelleria per scoprire che il nostro procedimento è stato chiuso mesi
prima! Qui riusciamo ad ottenere il decreto di archiviazione. Scopriamo
che il decreto contiene una serie di bizzarrie inconcepibili. La prima
è che vi è scritto che noi abbiamo denunciato un reato verificatosi in
una data posteriore all’invio dell’R7. Impossibile! Non è nemmeno
concepibile che una persona possa denunciare un reato che avverrà in
futuro! Non eravamo chiaroveggenti. E poi una serie di errori su date,
su numeri… e una serie di parole formalmente corrette ma sostanzialmente da gettare perchè errate o false.
Morale della
favola , quel decreto stabiliva che il reato 616 da noi asserito
non si era mai verificato e chiudeva il caso senza mai averci sentiti
come testimoni, senza darci la possibilità di presentare prove o indizi…
Noi
non avevamo un soldo e rimanemmo a Roma solo pochi giorni vivendo di
Provvidenza. Alla fine delle ferie del magistrato eravamo già lontani
da Roma, ad Assisi. E inviammo da Assisi un fax contestando il decreto di
archiviazione. Non facemmo nessuna menzione di essere passati al suo
ufficio e aver visto sul suo terminale che disponeva di tutta la
documentazione!
La replica del magistrato si fece attendere
solo pochi giorni: ci scrisse che l’istanza di riapertura delle
indagini da noi richiesta, era stata rigettata e che il caso era chiuso e l’unica
soluzione era il ricorso in Cassazione. Ma scrisse anche che la
documentazione non pervenuta continuava a non essere pervenuta: cioè
che lui non aveva in mano tutti i nostri esposti. Cosa che a noi, per
quanto avevamo visto nel suo ufficio, non risultava affatto.
A
questo punto cominciammo a capire che capitavano cose non chiare a
Roma. Siccome in quel periodo a Napoli vi erano degli indagini in
corso sulla FIGC ci presentammo in questa procura consegnando del
materiale che poteva in qualche maniera collegarsi a tali indagini, e
facemmo contestualmente in settembre 2006 una denuncia contro il
magistrato e il giudice per abuso d’ufficio e per aver soppresso degli
atti veri nella Procura di Roma. A Napoli erano assai preoccupati, tanto da prendere
l’incartamento immediatamente. Uno ci chiese: -“avete paura che vi
vogliano ammazzare?”. E lo disse con fermo convincimento,
aggiungendo che loro erano al corrente che a Roma capitavano cose del
genere, e quasi a farci coraggio: “non siete gli unici a cui sono
successe queste cose”, ci disse grosso modo.
Presa la denuncia, sigillata, e
portata con la massima urgenza dal magistrato, il poliziotto ci disse di parlare
subito nel pomeriggio con il magistrato. Ma il magistrato non c’era
o era occupato e tornammo due settimane dopo: purtroppo il
procedimento era stato trasferito a Perugia, ovvero nella sede naturale
ove vengono svolti i processi che riguardano anomalie della procura di
Roma. A Napoli ci invitano dunque di andare con urgenza a parlare con
il magistrato di Perugia e ci suggeriscono di far mettere tutti i
colloqui a verbale.
A Perugia il magistrato non è più
dell’Antimafia come era quello di Napoli. Nonostante le numerose
richieste ci sarà impossibile parlare con il magistrato. Il
magistrato rifiuta ogni incontro e ogni nostra richiesta. Ma nel frattempo magistrato e Polizia
di Perugia fanno degli errori madornali sul caso, come ad esempio assegnare la
nostra protezione a una persona dell’Arma che si trovava in conflitto
di interessi (era una parte indagata!). E altri errori e banalità
che ci misero in pericolo di vita.
Dopo tre mesi di tentativi
senza successo, trovammo a Città di Castello dei carabinieri
disponibili a scrivere un verbale serio e vagliare documentazione e
prove in nostro possesso. Ne nasce una nuova denuncia querela che viene
assegnata a un nuovo magistrato di Perugia: Gabriele Paci. Paci è
diverso dal precedente, e si attiva subito. Ma il fascicolo di Paci gli
viene “sottratto” quasi subito e viene inserito, come
aggiornamento, sul fascicolo del magistrato precedente. Tutte le
attività si arenano.
Finiamo
a vivere a
Terni, inseguiti da una serie di persone che ci vogliono morte. A Terni
alcuni ispettori di Polizia ci aiutano per chiedere una mano ai servizi
sociali, lo fanno tramite un articolo di giornale che dia risalto alla
nostra
vicenda. Dal giornale approdiamo a un programma della RAI,e ad una rete
nazionale. All'ultimo momento quando l’intervista in diretta è già
programmata rischia di saltare tutto. Ma poi usciamo in diretta e
Giancarlo Magalli lancia un appello all’Umbria perché ci
aiutino a trovarci un lavoro e una casa. Torniamo a Terni contenti
confidando nella fine dell'incubo.
Il comune non
interviene e nemmeno il vescovo. Viviamo in Caritas, ma cercano di
mandarci via il prima possibile senza offrirci soluzioni, soluzioni
invece che per altri ospiti della Caritas arriveranno.
Inviamo
un esposto/denuncia alla Procura di Firenze, accusando il magistrato di
Perugia di lesione del nostro diritto di legittima
difesa.
Il magistrato di Firenze, chiede notizie sul
procedimento. Non sappiamo cosa poi sia successo. Fatto sta che non
otterremo comunque l’incontro con il magistrato, né con quello di Perugia né con quello di Firenze.
Il magistrato
di Firenze, di certa esperienza, viene promosso, mandato su un’altra
procura come capo procuratore. Lo aspetterà poi un “incidente”.
Accusato di comportamenti inopportuni con i suoi colleghi, verrà
buttato fuori dall’ordine dei magistrati senza più la possibilità di
ritornarvi. Il primo magistrato di Perugia sarà trasferito. Gabriele
Paci invece ritornerà a fare le indagini in Sicilia sulla mafia.
Per tutto
il periodo successivo otterremo una persecuzione da alcune forze
dell’ordine che si spingeranno a commettere alcuni atti amministrativi
illeciti nel 2010,: atti coperti da una falsa parvenza di legalità, ma
sostanzialmente falsi come si vedrà poi.
Dal 2009 non riusciremo più ad ottenere un
lavoro, per il continuo perpetrarsi di un terrorismo nei nostri
confronti. Da agosto 2010 vivremo senza una casa, in rifugi di fortuna,
vivendo di Provvidenza. Stremati, la nostra condizione fisica
peggiorerà a causa del tipo di vita. Non otterremo nessun aiuto da
servizi sociali e Caritas, anche a causa di una spaventosa campagna
diffamatoria nei nostri confronti. Saremo trattati peggio dei peggiori
criminali. Le nostre denunce rimarranno inascoltate. Noi destinati a
morire tra incredibili sofferenze: il prezzo da pagare per aver
nominato alcune persone di peso nei primi esposti. Si trattò di un
peccato di gioventù, di persone poco esperte in cose legale quali
eravamo e poco informati sulla reale situazione della giustizia in
Italia.
Il progetto finale sarà di farci morire,
facendo sembrare la cosa come il naturale evolversi di una vita ai
bordi della società (vita fatta da persone che vivono di malaffare e
che non vogliono integrarsi nel tessuto sociale, cioè il vestito che ci
hanno apposto addosso). Oppure rimandarci là dove siamo nati, per darci
in pasto a quell’ambiente che ha mostrato di saper giostrare forze di
polizia e magistrati a proprio piacimento.
Dal
2009 avevamo tralasciato di perseverare nelle denunce, sperando che ci
lasciassero in pace. Ma non fu così. Per noi non ci fu più pace.
[Agosto 2013- Matteo]
TESTAMENTO
N.B.:
Ricordiamo
che la nostra volontà, resa ben chiara nel primo esposto inviato a Roma
a Novembre 2004 (e ridepositato come allegato a varie autorità di
seguito elencate)
è
di non tornare né da vivi né da morti nel luogo dove siamo nati!
Non
desideriamo nemmeno tornare nel comune Veneto di Residenza fintantochè
non siano stati risolti i problemi di base sorti in questo comune e/o
comunque, non desideriamo tornarvi contro la nostra volontà..
Elenco di siti ove è stato depositato l'esposto denominato "primo esposto" oltre che la Procura di Roma:
- depositato presso la Questura di Brescia in febbraio 2006; - depositato presso la Procura di Napoli l'8 settembre 2006; - depositato presso i CC di Città di Castello il 19/12/2006; - inviato presso la Procura di Firenze il 7 Marzo 2007; - altri siti non in elenco.
Questo
avvertimento è diretto a tutti, forze dell'ordine incluse!
Questo va
ribadito perchè nel 2010 alcune forze dell'ordine tentarono di
rispedirci in Veneto con procedimento amministrativo assolutamente
illegale che fu bloccato da un avvocato perchè mancava dei requisiti
della legge! Da allora si tenta di rifarci tornare in Veneto con
le
buone o con le cattive, semplicemente spingendoci ai bordi della
società attraverso un terrorismo continuo che mira a farci desistere
e/o in alternativa a farci fuori fisicamente. Da circa tre anni viviamo
all'addiaccio aggrapandoci alla Provvidenza e evitando tutti quei
luoghi, come organismi caritatevoli, che ci hanno creato problemi
continui e diretto verso strade di morte piuttosto che verso sentieri
di salvezza... Abbiamo tentato varie volte di ottenere un aiuto dai
servizi sociali di diversi comuni italiani, ma questi non intervengono,
nemmeno attraverso l'intermediazione di importanti associazioni che
cercano di fare ragionare la pubblica amministrazione! I sindaci e/o le
persone preposte nemmeno rispondono alle lettere: né alle nostre né a
quelle delle associazioni che stanno tentando di difenderci!
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