LE TRADIZIONI DI CASTROPIGNANO

A cura di Carmelo Borsella

 

IL FUOCO SANTO.

Il fuoco santo è un rito religioso (le tradizioni legate al fuoco affondano radici Pagane), che si ripete tuttora. Si svolge nella notte del sabato Santo. Verso il crepuscolo di questo giorno gruppi di ragazzi girano per il paese raccogliendo legna e ramaglie fino a formare, con esse, un grande mucchio. Di tutta questa roba se ne fa un grande falò davanti alla chiesa madre e, quando la legna diventa brace, si assiste con devozione alla benedizione del fuoco santo, e si porta un pò di cenere al focolare di ogni famiglia. 

Benedizione del fuoco santo 

foto di Oliviero Greco

 

 

 

LE MASCHERE TRADIZIONALI.

Le mascherate tradizionali sono organizzate saltuariamente. Le più note, quelle di cui abbiamo potuto avere notizie, sono:

bulletZEZA;
bulletI 12 MESI E I BRIGANTI

Tutte provengono dal teatro popolare napoletano e queste, a loro volta, derivano dalle feste in onore di Bacco (il Dio del vino al tempo dei Romani). Le feste in onore di Bacco furono importate dalla Grecia a Roma nel secondo secolo a.C.

Sfilata dei 12 mesi

foto di Oliviero Greco

 

LE MAITENATE.

Il significato di "maitenate", che alcuni interpretano male, è in verità molto semplice:  in italiano significa mattinata. Si chiama maitenata perchè è un augurio suonato e cantato, e si rivolge ai cittadini nei primi minuti del mattino del nuovo anno. C'è chi afferma, invece, che maitenata significa mai intonata, perchè chi la esegue stona a causa del vino ingerito. Le maitenate, ormai andate in disuso, si svolgono alla mezzanotte del vecchio anno.

La maitenata si svolgeva più o meno in questo modo.

Un gruppo di vecchi e di giovani, con canti e musiche, si recava davanti alle case delle famiglie del paese, porgendo gli auguri per l'avvento del nuovo anno. Naturalmente, per fare il giro del paese si arrivava alle prime ore della mattinata (maitenata). Verso l e nove del mattino, poi, il gruppetto di suonatori e cantanti si schierava nella piazza della chiesa madre e, al termine della messa, riceveva offerte libere. Un ragazzo con un vassoio, al di sopra del quale spiccava un'arancia con monete conficcate nella buccia, raccoglieva tali offerte. L'arancia, o grossa mela, simboleggiava il mondo "un mondo di soldi". Queste sono le strofe che più si ricordano

IL DODDARIO

 

Il doddario è una parola dialettale che equivale ad "elenco di capi della dote". Era l'elenco, con relativa stima, della dote della sposa. Comprendeva i seguenti capi di vestiario:

Della dote faceva parte immancabilmente la conca di rame per portare l'acqua (la caratteristica "tina" in uso nel Lazio, Abruzzo e Molise) con relativo mestolo (maniero). Fino agli inizi del 1800 il vestiario veniva custodito in una lunga e profonda cassa (cascia) di quercia o di noce, unitamente a mazzetti di spigo (spiganarda). Questa era la dote della sposa contadina o artigiana più o meno agiata. Per la sposa appartenente a famiglie di galantuomini, la dote aveva ben altra consistenza e qualità. E' necessario ricordare che, con la parola galantuomini, nel dialetto di Castropignano e di molti altri comuni del Molise, si indicavano professionisti che nella generalità dei casi erano anche proprietari terrieri. Il nome di questi era preceduto dall'appellativo "Don".

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lenzuola;

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materasso (lana);

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cuscini (lana);

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asciugamani;

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tovaglie e tovaglioli;

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coperta di lana semplice;

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coperta imbottita di lana;

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sovracoperta di lana;

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sovracoperta di lino;

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sovracoperta di seta;

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sovracoperta di merletto;

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sottovesti;

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biancheria intima;

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calze di lino e di lana;

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piccole tovaglie (mappine);

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panno di lana;

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2 paia di scarpe da lavoro;

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2 paia di scarpe per i giorni di festa;

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2 o 3 caldaie di diversa grandezza;

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schiumarole e pentole diverse.

 

1800: sfilata della "dodda"

IL TRASPORTO DELLA DOTE

 

Nel giovedì precedente il giorno delle nozze un numero di ragazze, proporzionato alla consistenza della dote, si recava a casa della sposa. Questo stuolo di giovani da marito (amiche o parenti degli sposi), in compagnia dello sposo, veniva accolto con gioia a casa della sposa. I genitodi di lei offrivano a queste portatrici dolci, vino e liquori. Dopo questo breve ricevimento venivano posti sulla testa delle ragazze canestri e ceste di vimini con indumenti ed oggetti domestici costituenti la dote. Tutti i capi di vestiario erano ben riconoscibili e messi in mostra. Fatti questi preparativi il corteo delle ragazze, in fila indiana, sfilava per i vicoli e le vie del paese. Gli astanti ammiravano e commentavano mentre questa schiera di giovani procedeva composta e silenzionsa verso la nuova dimora. Lo sposo, con la giacca posta sulla spalla sinistra, chiudeva il corteo. A casa dello sposo tutto veniva deposto e ordinato. Dopo aver composto il letto nunziale, nella generale allegria, i genitori dello sposo offrivano una lauta cena preceduta da un abbondante affettato di prosciutto. Questa usanza, tanto bella e pittoresca, e ormai cosa di tempi passati. 

 

RE "CUNZUOLE"

Re "cunzuole" nel dialetto castropignanese indica, nello stesso tempo, conforto e cena, insieme a persone amiche o parenti colpiti da recente lutto. "Cunzuole", tradotto in italiano, vuol dire conforto, sollievo, consolazione. Re "cunzuole" consisteva, e consiste, nell'usanza di portare cibi cotti e bevande a tutti i familiari di persona di recente deceduta. Dopo la celebrazione dei funerali e relativo trasporto della salma al cimitero, parenti, amici e compari, un giorno per ciascuno portano da mangiare ai coniugi del defunto. Verso l'ora della cena, o del pranzo, due o tre donne con canestri di vimini e di faggio "minucci di Roccamandolfi" pieni di stoviglie e pietanze calde, seguite da coloro che hanno preparato re "cunzuole" si recavano nella casa dei coniugi del defunto e pranzano tutti insieme. Consumato il pasto, durante il quale il defunto viene più volte ricordato, ci si congeda rinnovando le condoglianze. L'usanza va man mano scomparendo. Essa ricorda certamente il banchetto funebre in uso tra Romani, Greci e Sanniti.

IL MISERERE

 

Nel giovedì della settimana santa, 3 vecchi (quello di mezzo portava una croce nera con un pezzo di stoffa bianca) accompagnati da 4 bambini con torce, partivano dalla chiesa madre ed effettuavano una piccola processione. Questo gruppo di fedeli scendeva alla C.Porta e S. Antuono, risaliva per il Convento e la Trivecchia, dopo aver riattraversato la C. Porta, ritornava in chiesa. Il rito è finito dopo il 1950. La cerimonia si svolgeva qualche ora dopo il tramonto.

RE PUORCHE DI S. ANTONIO (il porco di S. Antonio)

 

Una usanza abbastanza particolare, di cui non si conosce l'origine, era quella di allevare un maiale per devozione a S. Antonio di Padova. Questa tradizione è andata in disuso tra il 1925 e il 1930. IL fatto si svolgeva nel seguente modo: per far fronte alle spese della festa del santo, un devoto comprfava un maialetto e lo lasciava in libertà nel paese. Quotidianamente tutti davano da mangiare qualche cosa alla bestiola. Qualcuno provvedeva al suo ricovero notturno. L' animale veniva accarezzato e chiamato con il nome di Antonio, se il maiale era masachio, o con   quello di Antonietta, se la bestia era femmina. A fine anno il maiale veniva venduto e, con il ricavato, si pagavano in parte le spese della festa del santo.

LA SCURDIA

 

La SCURDIA, in dialetto, significa oscurità, tenebre. La scurdia consisteva nel fare un gran fracasso in chiesa (e al di fuori di questa) prima, per le strade del paese poi, con caratteristici strumenti di legno denominati "raganelle" e "raganelloni" e "tavelle" manovrati da un folto gruppo di ragazzi. La scurdia si svolgeva durante la settimana santa, ogni sera appena dopo lo spegnimento di un'0ultima candela posta su un candeliere che aveva in cima un porta candele a forma di triangolo. La scurdia ebbe certamente inizio nel Medioevo (nel secolo XII-XV) al tempo delle prime sacre rappresentazioni. Dopo ogni preghiera o salmo dell'ufficio delle tenebre, il sacerdote spegneva una candela. Spenta l'ultima, cominciava il pandemonio. La scurdia si rendeva ancora più rumorosa battendo coi piedi sul fondo dei diversi confessionali e con bastonate sulla porta della chiesa. Spesso, per imporre la fine della cerimonia, interveniva il sacrestano. La scurdia rappresentava l'oscuramento del sole (terremoto, tuoni e lampi) che accompagnarono la morte del Signore.

 

IL BUCATO AL FIUME

Per lavare i diversi capi di vestiario ci si recava al fiume Biferno,alla Canala,Cananella,ed Acquevive d'inverno,perchè l'acqua di queste sorgenti era meno fredda.Il"bucato",igienica e antica usanza,si faceva in grossi tini di legno versando acqua bollente su cenere.Attraverso una rozza tela di lino,passava solo acqua bollente ed elementi chimici della cenere(calcio e potassio).

LA LAPIDAZIONE DEL GALLO

Il 15 e 16 Agosto di ogni anno si svolgeva alla periferia del paese(sul Tratturo presso la chiesa di S.Lucia)la tradizionale e antichissima lapidazione del gallo.Fissato un picchetto a terra si legava uno spago lungo circa un metro e l'altra estremità alla zampa di un gallo e al grido di (SCIO' SANT' ROCC) incominciava la lapidazione.Dalla distanza di circa una ventina di metri veniva preso a sassate.Si continuava  fino a quanto l'animale per i colpi ricevuti moriva,e chi riusciva a colpire il gallo ed ammazzarlo con una sola sassata se lo aggiudicava.Questa usanza molto in voga nella Grecia,e importata dai romani nel 289 ac.     

 

IL COSTUME DI CASTROPIGNANO

Il costume di Castropignano è  simile a quello di S.Giovanni in Galdo,e a quello di Ielsi,probabilmente,in ambedue questi comuni si insediarono piccole colonie di bulgari tra il VI-VII secolo d.c. Come abbiamo visto,S.Giovanni in Galdo fu fondata da  una colonia di castropignanese nel 1456 a seguito del terremoto,e dell'esodo. Le donne di Castropignano sino alla fine del 1800 vestivano una lunga ed ampia gonna di lana verde,violetto o carfagno.Questa,arricciata alla vita,scendeva sino a mezza gamba con numerose pieghe, poco al di sopra dell'orlo aveva una fascia di velluto larga circa dieci centimetri di colore rosso o verde.IL busto della stessa stoffa, allacciato sul petto e con maniche spezzate.Le mezze maniche che andavano dal gomito al polso erano unite al busto con nastri bianchi o rossi.La camicia di lino sbuffava ampia e vaporosa dalla spalla al gomito,era accollata e con normali merletti ai bordi.Un ampio fazzoletto di seta di vari disegni e colori piegato a triangolo scendeva dalle spalle ed era fermato per due  capi sul petto con una spilla. Portavano al collo lunche e preziose collane  d'oro,grossi anelli ed orecchini a cerchio con bordo ottagonale.Sul capo portavano fazzoletti,grandi e variamente colorati,legati sotto il mento quando faceva freddo e diversamente piegati sul capo quando faceva caldo,oppure  poggiati sulla spalla.