Grigna Settentrionale (7/8/2002).

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Sembra incredibile come possa accadere che, pur avendo belle montagne fuori dalla porta di casa, si vadano a cercare luoghi molto più lontani per le proprie escursioni: a me questo è capitato con le Grigne, che da anni torreggiano davanti ai miei occhi ogniqualvolta mi affaccio alle finestre di casa, ma sulle quali non sono praticamente mai andato.

Anche per quest'escursione avevo in mente varie possibili mete, ma alla fine, proprio all'ultimo, ho deciso: vado in Grigna!

Un po' di geografia.

La Grigna Settentrionale o Grignone (m. 2406 slm) si trova nelle Prealpi lombarde ed è la cima più elevata del gruppo detto appunto delle Grigne.

Viste da Milano, le due montagne si presentano come due belle piramidi una davanti all'altra, una un po' più grossa, una un po' più piccola, ma la vera struttura del massiccio è invece molto diversa: in particolare la cima del Grignone costituisce in realtà il punto di congiunzione di tre dorsali, una che dirigendosi verso sud-est la collega con la cima della Grignetta, una che corre in direzione nord-ovest, parallelamente al ramo di Lecco del Lario ed in direzione del paese di Esino, e l'altra che inizialmente punta a nord verso la Valsassina e poi piega bruscamente verso nord-ovest. Queste ultime due dorsali racchiudono fra di loro una vasta conca dall'aspetto selvaggio e contornata da dirupi spettacolari, costellata da fenomeni carsici che richiedono una certa attenzione se ci si avventura fuori dal sentiero.

Si può accedere al Grignone da quattro diverse direzioni: da Mandello Lario, dal Pian dei Resinelli, dalla Valsassina e da Esino Lario, ma a mio avviso solo quest'ultima costituisce una soluzione praticabile per una gita da completare in giornata partendo dai dintorni di Milano. In questo caso la strada porta infatti fino al Vò di Moncodeno, nei pressi dell'Alpe Cainallo ed appena sopra Esino a quota 1400, cosicchè il dislivello da colmare si riduce ad un accettabile migliaio di metri.

Tuttavia, una volta o l'altra mi piacerebbe provare la traversata dal Pian dei Resinelli ad Esino Lario, salendo su entrambe le Grigne in successione e pernottando al rifugio Brioschi, che si trova appena pochi metri al di sotto della vetta ed è visibile anche da Milano con un buon binocolo.

La mia escursione.

Devo ammetterlo, io non sono un patito della levataccia all'alba per andare in montagna e tutto sommato trovo l'uscire di casa alle sei del mattino con gli occhi gonfi di sonno una forma di inutile masochismo che nulla aggiunge all'escursione, salvo forse un pizzico di eroico romanticismo. Tanto, più di otto ore o giù di lì di marcia non riuscirei comunque a farle, quindi perchè sforzarmi per essere già sul sentiero alle otto del mattino, quando fa ancora freddo, per poi essere già di ritorno alle quattro del pomeriggio?

Tuttavia, per una volta mi ritrovo a partire ad un orario "quasi" dignitoso, fors'anche secondo il giudizio dei fanatici dell'autopunizione, con la sveglia che suona alle sei e mezza e la mia auto che esce dal cortile appena prima delle sette e mezza: un'eccellente prestazione, per un tipo dalla partenza lenta come me!

Devo anche ammettere di aver però sottovalutato la lunghezza del tragitto in auto, per non parlare del solito tormento per attraversare Lecco in direzione della Valsassina: pensavo di poter essere su in un'oretta, ma in pratica riesco ad affibbiarmi lo zaino sulle spalle solo verso le nove e mezza. Due ore secche di viaggio, accidenti! Beh, pazienza: se non altro a metà mattina la temperatura è più gradevole...

La prima parte del tragitto è una lunga e tutto sommato piacevole marcia di avvicinamento, lungo un sentiero che fa una serie di placidi saliscendi in un bel bosco di faggi (non che io sappia distinguere un faggio da un pero, ma lo dice una descrizione che ho trovato su Internet ed io ci credo tranquillamente!). In quel tratto il passo è agevole ed io mi godo la splendida giornata dal cielo perfettamente terso, quasi un miracolo dopo il bruttissimo tempo dei giorni precedenti.

Ad un certo punto la via si biforca ed io prendo a sinistra: il mio primo obiettivo infatti è il rifugio Bogani, mentre prendendo sulla destra si va verso il rifugio Bietti e la cresta di Piancaformia. Poco dopo supero la selvaggia zona detta "frana delle Lavine" e vedo sulla mia sinistra i due caratteristici pinnacoli detti "il Frate" e "la Monaca": mi trovo in un tratto piuttosto spettacolare e scatto varie foto del posto. Il percorso è ancora facile ed anche grazie al sentiero bello largo non ci sono pericoli malgrado il pendio piuttosto scosceso.

Passata la Frana delle Lavine il sentiero dopo poco oltrepassa un cancelletto che serve per impedire il passaggio al bestiame e poi comincia ad inerpicarsi per superare una prima balza, sopra la quale si trova una malga, l'Alpe Moncodeno, e poi una seconda balza, in cima alla quale all'interno di un bosco di conifere si trova il rifugio Bogani. Intanto che salgo, cerco inutilmente indicazioni, o almeno indizi, atti a farmi individuare il luogo in cui si trova la grotta detta La Ghiacciaia, caratteristica in quanto la temperatura al suo interno rimane sotto zero anche nelle giornate più torride: purtroppo, malgrado tutti i miei sforzi non riesco nel mio intento ed alla fine mi vedo costretto a rinviare la ricerca ad un'altra occasione.

Poco sopra il rifugio la via si biforca: prendendo a destra si imbocca la Via della Ganda, il sentiero più diretto per raggiungere il rifugio Brioschi, che si trova a pochi metri appena dalla vetta, mentre andando a sinistra si va verso il Passo dello Zapel e poi lungo il Sentiero del Nevaio, raggiungendo così la vetta seguendo un cammino completamente diverso. Io avevo previsto di seguire per l'appunto quest'ultima strada ed allora prendo a sinistra, seguendo fedelmente le indicazioni della carta.

Già, ma quello che non mi aspettavo è che la morfologia del posto fa sì che il sentiero principale si ramifichi in vari altri percorsi che si intrecciano fra loro, seppur tenendo tutti più o meno la stessa direzione! Naturalmente, va a finire che mi trovo su un sentiero che ad un certo punto si stacca decisamente da quello desiderato, restando in quota mentre l'altro si inoltra in una bella valletta verdeggiante.

A quel punto non mi rimane che scegliere fra tornare sui miei passi per riprendere il sentiero, scendere giù per il ripido costone fuori dal sentiero per raggiungere la strada prescelta in fondo alla valletta, oppure restare sulla strada che avevo già iniziato. Vedendo che il sentiero è bello e ben tenuto, segno che posso sperare che non si tratti di una traccia che dopo un po' finisce nel nulla, decido di rischiare e proseguo sul nuovo percorso.

Beh, non saprei dire se ho scelto bene o male, ma se non altro da lì in poi trovo da divertirmi per un bel tratto!

In effetti, a parte due tizi in direzione opposta dai quali ottengo vaghe conferme sul fatto che il sentiero continua, in tutta quella zona non c'è anima viva ed il sentiero ben tracciato prosegue a mezza costa nella direzione giusta, finchè ad un certo punto diviene un sentiero mal tracciato, poi una traccia, poi più nulla...

La direzione grosso modo è comunque abbastanza evidente: l'ultima parte visibile della traccia puntava verso un canalino piuttosto scosceso ma non particolarmente difficile da risalire ed allora lo risalgo, superando qua e là alcune roccette, finchè non sbuco in cima... e ritrovo la traccia che riappare dal nulla! Meglio così, e l'unica cosa che mi turba è che sono finito in una zona di doline, per cui devo stare bene attento a dove metto i piedi ed ad evitare di infilarmi in qualche vicolo cieco. Comunque non mi preoccupo più di tanto e proseguo con calma, seguendo la traccia che ora punta chiaramente ad incontrare la Via della Ganda grosso modo a metà del suo percorso.

Così è, infatti, ed a quel punto non mi rimane che accettare la situazione e rimettermi nel percorso più classico per raggiungere la vetta. Da quel punto in poi, d'altronde, non incontro più difficoltà significative salvo un saltino alto un paio di metri da superare con l'aiuto di un brevissimo tratto di corda fissa. L'unica cosa di rilievo lungo il cammino è la grande e (per gli incauti) pericolosa imboccatura a forma di inghiottitoio di una grotta a poca distanza dal sentiero, peraltro ben segnalata con opportuni cartelli.

Curioso come sempre, mi accosto con cautela al bordo per quanto riesco senza rischiare di scivolare sui sassi, ma in pratica non vedo nulla: c'è solo una specie di struttura che mi fa pensare ad un montacarichi: ne concludo che deve trattarsi di un bel buco piuttosto profondo e quindi mi ritiro in buon ordine... tenendomi la mia curiosità!

A parte le cose già citate, tutto quello che mi rimane da dire della Via della Ganda è che è facile ma discretamente ripida, per cui arrivo decisamente stanco al termine del sentiero. A quel punto, per arrivare al rifugio Brioschi manca ancora una asperità, seppur abbastanza poco preoccupante: un lastrone di pietra inclinato e lungo una cinquantina di metri che si supera con l'aiuto (peraltro facoltativo) di una catena, essenzialmente messa lì per prevenire scivoloni sulla pietra liscia, in special modo in caso capitasse di trovarla umida.

L'arrivo al rifugio ripaga comunque con gli interessi la fatica fatta!

La vista dalla balconata del Brioschi è vastissima: il Grignone è con ampio margine la vetta più alta della zona e da lì lo sguardo spazia per decine di chilometri. Purtroppo, c'è un po' di foschia dovuta al caldo della pianura, ma sono convinto che in una tersa giornata di vento la visuale potrebbe tranquillamente spingersi fino all'Appennino.

Un breve excursus filosofeggiante (che nulla aggiunge al resoconto della gita).

Come sempre mi succede quando mi trovo ad osservare il mondo come se fosse un dettagliatissimo plastico del trenino elettrico, anche questa volta riesco senza fatica a staccarmi dai tormenti della vita quotidiana ed a raggiungere un senso di pace che solo in momenti del genere riesco ad ottenere: perfino l'orrendo stabilimento della Italcementi di Calusco, che torreggia sguaiato proprio di fronte alle mie finestre e la cui visione di solito ha il potere di mandarmi su tutte le furie, visto da lassù pare appena uno stuzzicadenti piantato per terra, nulla più che un trascurabile bruscolino, una stecca nell'imperturbabile armonia del creato.

Certo, si tratta di una percezione distorta della realtà, o forse sarebbe meglio dire che si tratta della visione di una singola sfaccettatura di una realtà troppo complessa per poter essere inquadrata in termini tanto schematici, e che in effetti è tanto tangibile il limitato orizzonte della mia minuscola esistenza quanto quello della grande montagna che sarà ancora lì, pressochè immutata, quando di me non ci sarà più nemmeno il ricordo, ma in qualche modo questo mi consente di vedere le mie preoccupazioni con lo stesso cannocchiale rovesciato con il quale potrei vedere quelle di un qualsiasi sconosciuto che vivesse agli antipodi: questo in qualche modo mi rimette in pace con me stesso e con le delusioni della vita.

In più, lì riesco a cogliere meglio che in ogni altro luogo la sconvolgente complessità nella quale sono immerso: in qualche modo percepisco meglio la sfericità del pianeta sul quale mi trovo e questo mi fa "sentire" il fatto che sta volando attorno ad una stella, che a sua volta si sta muovendo all'interno di una galassia, che a sua volta... ed allo stesso tempo percepisco la massa della montagna ed il numero inconcepibilmente grande di atomi che la compongono. A quel punto arrivo sempre a chiedermi se una tale spropositata complessità possa davvero essere frutto del puro caso ed ogni volta torno a darmi la medesima risposta, che poi per qualche motivo dimentico regolarmente nel tornare a valle per immergermi di nuovo nelle miserie quotidiane.

Riprende la gita.

Camminare fa venire fame, senza dubbio, ed è ormai più che ora di pranzo: mi sposto di qualche decina di metri e raggiungo la grande croce di vetta, conquistando in questo modo la seconda metà del panorama, quella verso nord, che dalla balconata è preclusa dalla massa retrostante della cima del Grignone. Naturalmente, la vista è splendida, abbastanza da farmi rinviare il pasto ancora di qualche minuto per indugiare a scattare qualche foto, ben sapendo tuttavia quanto mi sia difficile rendere onore su pellicola a panorami così: la distesa a perdita d'occhio di vette e ghiacciai a grande distanza fa sì che le immagini mi vengano sempre piatte, senza riuscire a rendere per nulla la sensazione provata nel trovarmi sul posto.

Finito di sbranare un paio di panini, mi concedo una mezz'oretta di digestione prima di rimettermi in marcia. Al momento di partire, decido che non ho nessuna voglia di ridiscendere per la stessa via dell'andata ma che sono anche troppo stanco per andare ad infilarmi su qualche ferrata, merce tutt'altro che rara da quelle parti: chiedo lumi alla gente del rifugio e, guarda un po', mi consigliano di tornare a valle seguendo la Via del Nevaio, proprio quella che avevo intenzione di fare all'andata.

Seguendo le indicazioni, mi avvio verso nord, oltrepassando la vetta e la piazzola degli elicotteri e tenendomi appena sotto la cresta, dalla parte della Valsassina. Non che ci siano dubbi sulla scelta, d'altronde: da quella parte c'è un lunghissimo pendio, ripido ma uniforme, mentre sul versante ovest... non c'è niente!... giusto una parete pressochè verticale alta qualche decina di metri e che man mano cresce allontanandosi dalla vetta, tanto che lungo la cresta c'è una catena montata su paletti a mo' di ringhiera, chiaramente per trattenere gli incauti dall'accostarsi troppo al bordo franoso.

Continuo a scendere per un bel tratto lungo la cresta e comincio a sentirmi un po' inquieto: sono abbastanza stanco e non mi sento granchè di andar per scalette e catene, ma non riesco a capire come il sentiero potrà scendere per il versante ovest (che so essere quello da seguire per tornare al Bogani) senza passare per un tratto attrezzato. D'altronde, se guardo indietro per valutare quanto mi costerebbe risalire al rifugio per poi prendere la Via della Ganda, mi accorgo presto di aver già perso un sacco di quota. Anzi, direi decisamente troppa quota!

Finalmente arrivo alla soluzione del problema: raggiungo una palina segnaletica che, oltre ad indicare percorsi verso la Valsassina che al momento non avrebbero fatto per me, indica la direzione della Via del Nevaio... con una freccia disposta con la punta decisamente verso il basso!

Guardo giù ed in effetti vedo che il sentiero scende con stretti tornanti lungo un canalino bello ripido e largo appena pochi metri, tanto che da sopra non mi ero neppure accorto della sua esistenza. Vedo che il canalino è lungo appena una decina di metri e termina su una cengia larga due o tre metri che scende verso un ghiaione, passando al di sopra di un salto di roccia bello alto: di per sè, il sentiero non presenta difficoltà, ma è evidente che si tratta di un passaggio dove è bene fare una certa attenzione a dove si mettono i piedi, a maggior ragione considerato che la cengia sembra per buona parte coperta di sfasciume piuttosto cedevole.

Guardo verso la vetta e la vedo lontana in maniera scoraggiante: non ho molta voglia di andar per ghiaioni, ma ormai non ho più una gran possibilità di scelta ed allora mi decido e comincio a scendere per il canalino.

Come mi aspettavo, il terreno è piuttosto ripido ed abbastanza cedevole, ma raggiungo comunque la cengia senza particolari problemi. Anche la cengia, che vista da sopra mi pareva abbastanza stretta e rischiosa, con il suo fondo ghiaioso ed il minaccioso strapiombo accanto, risulta poi essere meno ostica del previsto: il sentiero è ragionevolmente pulito e si tiene ad un buon metro e più dal salto di roccia, per cui basta camminare con un minimo di attenzione per arrivare in fondo senza problemi.

La rottura di scatole, almeno per me, inizia subito dopo: mi trovo infatti sull'orlo di un ampio ghiaione abbastanza inclinato e vedo che il segnavia successivo, manco a farlo apposta, si trova più a valle e dall'altra parte rispetto a dove sono io.

Mi rassegno e comincio la traversata, cercando di smuovere meno ghiaia possibile e stando attento al comportamento della mia caviglia sinistra, quella che mi ero danneggiato irreparabilmente tanti (tantissimi!) anni fa in un incidente di sci e che in situazioni del genere a volte mi fa brutti scherzi. Bene o male, arrivo al segnavia, e non mi stupisco troppo nel vedere che il successivo è al di là di un altro tratto di ghiaione... miseriaccia!

Proseguo, perdendo man mano quota ed avvicinandomi poco a poco ad un nevaio perenne: ne ho visti due, da sopra, lunghi una buona cinquantina di metri il primo ed un centinaio di metri il secondo e separati da un saltino di roccia. Ora sto per affrontare quello più a monte e spero solo che la neve sia abbastanza spessa, nel caso sotto ci fosse dell'acqua!

Entro nel nevaio e vedo subito che non c'è da preoccuparsi: la neve tiene bene ed i miei piedi affondano per due o tre centimetri appena. Tuttavia, ho sempre avuto una certa diffidenza per i nevai, per cui sono ben lieto quando infine ne esco, accanto al segnavia che mi conduce al semplice passaggio per superare il saltino di roccia prima del secondo nevaio. Attraverso quest'ultimo diagonalmente e raggiungo una traccia di sentiero che lo costeggia alto sul pendio tenendosi alcuni metri al di sopra della neve.

Superati i nevai, il percorso si fa facile ed anche un po' monotono: il sentiero serpeggia fra grossi massi in direzione del Passo dello Zapel, costeggiando qua e là altre doline ed un paio di inghiottitoi che richiedono un pizzico d'attenzione a dove si mettono i piedi per evitare d'inciampare, a rischio di farsi una brutta caduta.

Ad un certo punto il sentiero confluisce in un altro: sono giunto al Passo dello Zapel, in uno scenario desolato e piuttosto opprimente perfino per un orso come me, e qui termina la Via del Nevaio vera e propria. Prendendo a destra si scende in Valsassina, mentre a sinistra si va verso il rifugio Bogani: naturalmente, io prendo a sinistra.

Il percorso da qui in poi si fa facilissimo, passando attraverso verdi alpeggi e poi infilandosi nel bosco di conifere che circonda il rifugio. Qui giunto, torno ad immergermi fra l'umanità, per così dire: dopo non aver incontrato anima viva in tutto il selvaggio ambiente attraversato dalla Via del Nevaio, perfino la dozzina di gitanti che stanno facendo merenda sulla terrazza del rifugio mi sembrano quasi una folla!

Baratto con una famigliola il mio cioccolato per un panino al salame, faccio anch'io merenda e poi riparto: superato il Bogani, non mi rimane altro da fare che ripercorrere il sentiero dell'andata, meravigliandomi nel trovarlo così interminabilmente lungo e monotono. Ma non era così ondulato e gradevole, alle dieci del mattino?