Bretagna e Mont Saint Michel10 - 26 agosto 2001
Per la vacanza estiva di quest'anno avevamo scelto da tempo la Bretagna, un po' perchè era una delle mete nella parte alta della nostra classifica di preferenze ed un po' perchè Daniela vi era stata per motivi di lavoro, per cui era curiosa di vedere con la calma del turista tutto ciò che non aveva potuto vedere nella fretta di una trasferta. Il ricordo di Daniela, in parte anche influenzato dai suoi colleghi lì residenti, era quello di un luogo probabilmente pittoresco ma inospitale dal punto di vista climatico. Invece la mia idea della Bretagna, dove non ero mai stato prima, oscillava fra i fumetti di Asterix, la musica celtica, i monumenti paleolitici e le mie letture giovanili sui corsari. Come si vede dalla mappa qui sopra, durante la nostra vacanza abbiamo percorso un lungo giro in senso orario partendo dall'estremità meridionale della Bretagna per finire alla grande con la visita di Mont Saint Michel, che per la verità in Bretagna non è ma che è una meta che non si può ignorare trovandosi a passare così vicino. Abbiamo finito per scoprire una terra dai molti luoghi affascinanti e con molte più cose da offrire di quanto in origine ci aspettassimo. Di conseguenza, mi sento fortemente tentato di proporre in un prossimo futuro un secondo giro, alla scoperta delle molte cose rimaste indietro questa volta... N.B.: tutte le immagini di questa pagina sono state realizzate da me o da Daniela, ad eccezione della bandiera bretone, del triskell, della mappa dei danni causati dalla Amoco Cadiz e del faro di Le Four sotto gli spruzzi. Cliccando sulle foto si può ottenerne la versione a 640x480 pixel in una finestra separata che si richiude automaticamente dopo 30 secondi. La Bretagna ed i monumenti paleolitici.Uno dei motivi principali che ci avevano spinto a considerare la Bretagna come una delle mete più ambite per una vacanza era il desiderio di vedere i famosi monumenti paleolitici sparsi un po' dappertutto nella regione, ma più in particolare nella zona di Carnac. Ora che li ho visti, mi sa che il commento più significativo che mi riesce di tirare fuori sia: "boh..." Sì, lo ammetto: sono un somaro. Ma come, sono lì con davanti agli occhi la storia e tutto quello che so dire è "boh"? Ci sono lì le tracce tangibili lasciate dai nostri pro-pro-pro-pro-pro-progenitori e non sento un brivido di emozione al pensiero dei millenni trascorsi? Sono spiacente di doverlo ammettere, ma è proprio così: quelle file disordinate di sassi piantati per terra mi hanno lasciato del tutto freddo ed i dolmen ed i cairn mi hanno impressionato poco di più. D'altronde anche Daniela, a meno che non abbia cambiato idea nel frattempo, è rimasta a sua volta perplessa al cospetto di quei sassi senza un perchè. Credo infatti che il motivo di questo scarso apprezzamento da parte mia sia proprio legato alla totale mancanza (checchè se ne dica) di una spiegazione plausibile sul significato di quegli allineamenti: tutto quello che si vede sono file piuttosto irregolari di sassi di tutte le forme e dimensioni collocati per terra e trasportati fin lì da distanze notevoli, senza peraltro essere stati altrimenti lavorati in qualche modo. Nient'altro: anche le ipotesi che sono state proposte per spiegarne l'esistenza vanno dall'indimostrabile, all'assurdo, al ridicolo. Propongo questa leggenda, che offre una spiegazione non meno valida delle molte altre: "Inseguito dai legionari romani, il papa in fuga da Roma giunse fino a Carnac. Trovandosi di fronte il mare che gli sbarrava la strada, per salvarsi la vita si volse, recitò una preghiera e di colpo tutti i soldati rimasero pietrificati. Il menhir isolato che sorge a poca distanza dagli allineamenti è dovuto al fatto che un legionario si era attardato presso una fattoria per bersi una coppa di vino locale..." A differenza degli allineamenti, i dolmen quanto meno mostrano un chiaro intento nella loro realizzazione: non si ha idea di quale fosse il loro scopo, ma pur essendo realizzati semplicemente sovrapponendo pietre non lavorate è comunque evidente il fatto che si tratti di edifici di un qualche tipo, forse tombe, forse sacrari, forse altro ancora, ma almeno si riesce a farsi un'idea del perchè della loro esistenza. Inoltre, talvolta sulle pietre che li costituiscono appaiono dei simboli graffiti che, pur essendo del tutto misteriosi, danno in qualche modo un senso alla struttura. I grandi menhir isolati se non altro sono suggestivi: senza un grande sforzo di fantasia si possono immaginare uomini riuniti attorno ad essi per celebrare riti di qualche genere, ma in realtà non sappiamo nemmeno se la loro funzione fosse davvero legata ad antichi cerimoniali. Tutto quello che veramente sappiamo è che migliaia di anni fa ci fu della gente che per qualche motivo si prese la briga di trasportare per decine di chilometri massi pesanti come dei TIR. Insomma, sarò anche vittima della solita mentalità ristretta degli ingegneri, ma per me è davvero troppo poco per provare il benchè minimo entusiasmo! La Bretagna ed il mare.Io non sono mai stato un grande amante del mare. Non ricordo quante volte ho ripetuto questa affermazione anche nei miei racconti di viaggio. Ebbene, ora devo correggermi: mi piace il mare della Bretagna! Naturalmente, potrei ricredermi subito qualora mi trovassi a doverlo navigare, ma visto dalla costa è magnifico: selvaggio, possente, si scontra ruggendo contro le rocce delle grandi scogliere anche quando al largo c'è calma piatta, rappresenta la quintessenza della natura in tutta la sua immensa energia. Allo stesso tempo, qua e là sorgono spiagge di sabbia finissima che invitano a sdraiarsi per prendere il sole dopo una nuotata in quelle acque invero un po' freddine. In altri punti, invece, alle scogliere nere e frastagliate si alternano vaste baie che con la bassa marea divengono interminabili distese asciutte ampie chilometri. Vi è perfino una regione nella quale spiccano rocce granitiche di un intenso colore rosa, scolpite dal vento e dai marosi in forme tondeggianti che ricordano le sculture di Henry Moore. Non ho mai visto altrove una tale varietà di paesaggi marini così ravvicinati fra loro! Una delle particolarità turistiche della Bretagna è poi direttamente connessa al mare: i fari. L'intera lunghezza della costa bretone è infatti pressochè costellata di tali edifici, i primi dei quali vennero costruiti vari secoli orsono per facilitare la navigazione in quei difficili mari. Molte di queste costruzioni sono oggi visitabili, spesso gratuitamente oppure con un'offerta libera, ma sarebbe ormai inutile cercare di scorgere al loro interno la romantica figura del barbuto guardiano, solitario essere perennemente intento ad infilare modellini di navi nelle bottiglie: i fari sulla terraferma vengono ora gestiti da "elettromeccanici", tale è infatti la loro qualifica ufficiale, che si recano al posto di lavoro in auto come qualsiasi altro lavoratore, mentre quelli situati sugli scogli al largo sono ormai telecomandati da terra. Resta comunque intatto il fascino di queste strutture che paiono ergersi a fronteggiare eroicamente la furia delle onde che in certe giornate si schiantano contro di esse con impressionanti colonne di spuma. Non per nulla certuni di questi fari venivano classificati dai loro guardiani come "enfers", "inferni", per il senso di impotente solitudine che suscitavano in loro nei giorni di tempesta! La cucina bretone.A giudicare dal tipo di ristoranti che si vedono in giro per la regione, sembra che la cucina bretone consista praticamente di due sole cose: i molluschi e le crêpes, le quali ultime ho perfino visto descritte da qualche parte come "il contributo della Bretagna all'arte culinaria mondiale". Per le crêpes posso dire che l'intera regione è costellata di "crêperies" che offrono a tutte le ore ed a prezzo contenuto il piatto regionale in decine di varianti con ripieni diversi, sia dolci che salati. Senza dubbio sono molto gustose, ma allo stesso tempo sono da classificare a pieno titolo fra le "bombe caloriche". Che non mi si venga a rimproverare di non aver avvisato! Per i molluschi, invece, il discorso è diverso se non altro sotto l'aspetto del costo. Tuttavia, in questo caso è Madre Natura stessa a venirci incontro: grazie alle spettacolari basse maree, infatti, larghi tratti di scogliera si trovano all'asciutto per svariate ore tutti i giorni e risulta quindi molto facile andare a far razzia di cozze e vongole. Ovviamente, occorre poi pulirle e cucinarle, ma per due camperisti come noi dov'è il problema? Anzi: per una cuoca come Daniela dov'è il problema? Per chiudere il discorso alimentare occorre dedicare anche qualche parola al sidro, che è la bevanda tipica locale pur non essendo certo esclusiva di quella regione. Lo so che per noi italiani, cultori del vino, la sola parola "sidro" suona quasi come una bestemmia, ma a noi due comunque non è affatto dispiaciuto: in realtà io lo conoscevo già da passate frequentazioni dei "pub" inglesi, ma anche l'iniziale titubanza di Daniela ha avuto poca durata di fronte al gusto gradevole ed alla bassa gradazione alcoolica di quella bevanda. Il clima bretone.I colleghi di lavoro di Daniela che lavorano nella filiale in Bretagna le avevano parlato di una terra fredda e piovosa, nella quale l'estate si riduce giusto ad un bagliore di sole per un paio di giorni all'anno. Non so perchè dicessero così, forse era più che altro per la nostalgia di casa o forse avevano ragione loro e siamo noi ad essere stati particolarmente fortunati, ma in verità abbiamo trovato un clima decisamente migliore del previsto. Per essere più precisi, dovremmo dividere il periodo passato in Bretagna in tre parti, delle quali la prima e l'ultima corrispondono ai giorni trascorsi nella parte più vicina al resto della Francia mentre quella centrale coincide con il periodo passato nella parte più occidentale, il Finistère. Durante la prima e la terza parte, infatti, il clima si è sempre mantenuto sul bello stabile, con giornate molto calde ed un cielo pressochè privo di nuvole, tanto da farci adoperare costantemente abiti di tipo decisamente estivo. Il periodo centrale, invece, ci ha offerto tempo molto variabile anche più volte nella stessa giornata e frequenti acquazzoni notturni dei quali non restava quasi traccia al mattino seguente. Insomma, non so se la causa fosse da ascriversi a questo pazzo 2001, ma il temuto clima bretone ci ha nel complesso regalato una tutto sommato piacevole sorpresa! Il mondo celtico in Bretagna.La Bretagna è una delle regioni europee dove restano consistenti tracce dell'antica popolazione celtica e della sua cultura. Come avviene in ogni altro luogo analogo, di conseguenza, anche in questa regione vi è un forte spirito autonomista che si manifesta dappertutto con scritte bilingui e l'esposizione di simboli legati alla tradizione locale, prima fra tutti la loro bandiera, che loro chiamano Gwenn Ha Du. Naturalmente, ora c'è una bella bandierina bretone appiccicata anche sul finestrino posteriore del nostro camper, con accanto lo stemma della Finistère! Girando per la regione è molto facile imbattersi in una serie di elementi simbolici tipici della tradizione celtica: ad esempio, quello riportato qui accanto è un esempio di "triskell", probabilmente il simbolo più rappresentativo oltre che uno dei più antichi. Il suo nome proviene dal greco "triskeles", che a quanto pare significa "a tre gambe", ed in esso vengono contemporaneamente richiamati molteplici concetti legati alla triplicità, come le età dell'uomo (giovinezza, maturità, vecchiaia), il ciclo giornaliero del sole (alba, giorno, sera) e via dicendo. Una manifestazione a quanto pare piuttosto diffusa e legata alla cultura ed in particolare alla musica bretone è la cosiddetta "fest noz", festa di notte, e la corrispondente ma un po' meno diffusa "fest deiz", o festa di giorno. Naturalmente non mancano nemmeno i festival di musica celtica, ma in qualche modo durante quei dodici giorni passati in Bretagna è regolarmente andata a finire che se la fest noz era a Quimper noi eravamo a Lannion, se il festival era a Lannion noi eravamo a Carnac e così via sbagliando luoghi e date! Insomma, potrebbe venirne fuori il pretesto per un altro giro... Comunque mi è parso di notare nella popolazione locale una certa compostezza nel manifestare le loro aspirazioni autonomistiche: a parte l'adesivo "BZH" ("Breizh", Bretagna nella lingua locale) al posto di "F" sul retro delle auto e la profusione di bandiere e bandierine bianco-nere un po' dappertutto, non mi sembra per esempio di aver mai visto muri imbrattati con scritte offensive o minacciose nei confronti del resto della Francia o degli stranieri. Sulle strade della Bretagna.I bretoni mi sono parsi in larga maggioranza guidatori pazienti e rispettosi delle regole, al punto di aver talvolta ricevuto precedenza da veicoli distanti centinaia di metri da noi. Roba da non credersi, insomma! Segnaletica e condizioni delle strade sono più o meno allo stesso livello del resto della Francia ed a quanto mi è parso di notare le uniche due autostrade locali sono gratuite: che sia un miracolo delle spinte autonomistiche? Dal punto di vista più specifico del camperista, ho avuto modo di notare che pressochè dovunque vi sono limitazioni alla sosta dei veicoli ricreazionali, ma allo stesso tempo ogni località mette a disposizione del turismo fai-da-te apposite aree, talvolta anche fornite di servizi. Abbiamo anche avuto modo di fare ampio uso di certe colonnine di servizio sparse un po' dovunque, talvolta gratuite e talvolta a pagamento (dai 10 ai 20 FF), tramite le quali sono possibili un po' tutte le operazioni di manutenzione: carico e scarico di acque e perfino ricarica delle batterie. Quasi tutte quelle che abbiamo trovato sono anche risultate in ottimo stato malgrado il fatto di essere incustodite. Ecco ora un breve diario giornaliero:
10/8/01-12/8/01 - Da casa alla BretagnaIl nostro viaggio inizia il venerdì sera con un trasferimento e relativo pernottamento presso i miei a Varese, per vari motivi e non ultimo quello di trovarci già ad ovest di Milano nel momento dell'effettiva partenza, prevista per la mattina del sabato: presumiamo infatti di finire per trovarci sulla striscia di asfalto della A4 allo stesso tempo di un'orda di altri turisti ed in quel modo contiamo di saltare il presumibile ingorgo sul cosiddetto "tratto urbano della A4". L'idea è quella di raggiungere per strade locali Sesto Calende, prendere da lì l'autostrada per Genova e metterci nella direzione di Torino all'altezza di Biandrate. Sorpresa: su entrambe le autostrade il traffico rimane per tutto il tragitto molto moderato e di conseguenza tranquillissimo! "Troveremo casino al tunnel, con la storia che quello del Bianco è ancora chiuso", profetizzo io, pessimista come sempre, ma forse per il gusto di contraddirmi il destino ci fa trovare al Frejus solo due auto davanti a noi in coda per il pedaggio! Il resto del viaggio di due giorni fino alla Bretagna continua tutto così, in una monotonia assoluta e con un caldo bestia in parte dovuto al nostro motore ed in parte al tempo splendido. Tra l'altro per motivi di economia percorriamo solo strade statali ed evitiamo le costosissime autostrade francesi (l'anno precedente avevamo calcolato un costo medio al chilometro di un franco, ossia circa il triplo che in Italia), per cui il nostro tragitto si snoda su e giù per un paesaggio collinare, bello ma sempre uguale, ed attraverso tranquilli paesini. L'unica fase un po' sgradevole rimane quindi l'attraversamento di Lione, che unisce al normale traffico di una moderna città una disposizione topografica piuttosto complessa fra fiumi e colline, il tutto per di più peggiorato dalla mancanza di una vera tangenziale. Comunque alla fine di due interminabili giornate passate al volante con il solo intermezzo del pernottamento nei dintorni di La Palisse, la domenica sera siamo finalmente alle porte della Bretagna e con qualche difficoltà riusciamo a scovare un agritour dove ci fermiamo per la notte. 13/8/01 - La penisola di RhysIl nostro piano d'azione per la conquista della Bretagna consiste in tre capisaldi fondamentali: visita della regione detta del Morbihan, un salto a Lannion per motivi sentimentali e per un giro sulle scogliere di granito rosa ed infine l'immancabile visita a Mont Saint Michel (che storicamente ed amministrativamente non è in Bretagna, ma geograficamente sì). Il resto l'abbiamo lasciato più o meno da definire e sarà quindi deciso giorno per giorno. Seguendo il nostro programma di massima ci troviamo ora infatti nella regione detta del Morbihan ("piccolo mare" in bretone): in effetti si tratta di un ampio golfo poco profondo e costellato di piatte isole, circondato dalle due penisole di Rhys a sud e di Carnac ad ovest e collegato al mare dallo stretto canale che separa le estremità di esse. In mare aperto a poca distanza da questo golfo e dalla vicina penisola del Quiberon si trova una distesa di isole di dimensioni variabili dal grosso scoglio ai vari chilometri quadrati della Belle-Île. Seguendo le indicazioni che avevo in precedenza tratto dalla lettura delle nostre guide turistiche (quella del TCI e quella del Lonely Planet), ci dirigiamo verso la penisola di Rhys per visitare due mete definite degne di attenzione: il castello di Suscinio e la chiesa di Saint Gildas de Rhys. Il primo dei due si dimostra in effetti degno della visita, pur non essendo comunque una meta imperdibile in un giro della regione: si tratta di un bel castello di epoca medioevale che fu sede dei duchi di Bretagna. Pur essendo in parte crollato a causa dello stato di abbandono seguito alla Rivoluzione e durato fino a pochi anni orsono, i buoni lavori di restauro effettuati recentemente lo hanno riportato in uno stato più che decoroso. La chiesa di Saint Gildas invece ci lascia abbastanza delusi, al punto che non conservo memoria del suo interno: tutto ciò che ricordo si riduce ad una vetrina dall'aria un po' macabra contenente le reliquie del santo ed una strana facciata barocca, dall'aspetto più consono ad un edificio civile che non ad una chiesa. Se non altro, ci consoliamo con una prima presa di contatto con l'Oceano Atlantico, che nessuno di noi due aveva mai visto prima: una breve pedalata infatti ci porta sul vicino promontorio, una grande roccia che strapiomba sul mare e che ci offre un'ampia vista dell'arcipelago. Dal momento che il motivo principale della nostra visita nel Morbihan sono i famosi allineamenti di menhir di Carnac, finita la visita della penisola di Rhys decidiamo di spostarci verso quella zona, passando senza fermarci accanto a Vannes, capoluogo della regione, pur sapendo dalle guide che sarebbe stata meritevole di una visita ma essendo costretti a fare delle scelte a causa del tempo relativamente limitato. Stando all'annuario dei campeggi, non avremmo dovuto avere difficoltà a trovarne uno nei dintorni di Carnac: errore! Con un certo stupore ci troviamo improvvisamente in una tipica cittadina balneare, nel bel mezzo di un traffico turistico mostruoso degno delle più affollate località dei nostri litorali e la cosa ci coglie decisamente di sorpresa. Convinti come eravamo che ci saremmo trovati in una regione fredda, ventosa e piovosa, l'ultima cosa che ci saremmo aspettato di trovare era certamente una specie di Cesenatico di Bretagna, per di più senza una nuvola in cielo e con il sole che picchia forte mentre fa decisamente caldo. Insomma, Carnac per noi è la patria dei monumenti megalitici, ma per i francesi significa spiagge, sole e mare! Come risultato, la nostra ricerca dei campeggi diventa presto problematica: a parte il problema di districarci nel traffico, le indicazioni non sono granchè buone e quando finalmente riusciamo a trovarli risultano invariabilmente pieni fino all'inverosimile (per non parlare delle tariffe spropositate...). Dopo lunga ricerca e molta irritazione, alla fine riusciamo a trovare posto in un piccolo campeggio un po' fuori mano in una località poco distante. 14/8/01 - LocmariaquerDalle informazioni che abbiamo pare che nella zona vi siano molti reperti del Paleolitico che in sostanza possono essere divisi in due gruppi: un notevole numero di strutture (dolmen, menhir, cairn) nei dintorni del non lontano paese di Locmariaquer ed i famosi allineamenti vicino a Carnac. Decidiamo quindi di dedicare due giorni alla zona, il primo dedicato a Locmariaquer ed il secondo a Carnac. Data l'esigua distanza fra il nostro campeggio e Locmariaquer (circa 8 chilometri) decidiamo di prendere le biciclette, anche allo scopo di facilitare gli spostamenti da un monumento all'altro. L'idea in sè è buona ma non fa i conti con il caldo sole del Morbihan e con il traffico stradale piuttosto intenso. Per fortuna gli automobilisti bretoni non sono come noi italiani! Da loro vige l'abitudine di accodarsi pazientemente al ciclista finchè la corsia opposta non sia libera, anzichè insinuarsi come facciamo noi fra il gomito sinistro dell'affannato pedalatore e la fiancata della macchina che giunge nel senso opposto. Il problema, tuttavia, è che a quanto pare in zona ci sono più parigini che bretoni, e se questi ultimi sono disciplinati, gli altri invece potrebbero dare dei punti ai napoletani... La penisola dove si trova Locmariaquer è letteralmente costellata di monumenti megalitici: in pratica non potremmo riuscire a visitarli tutti in un giro solo e presumibilmente non ne varrebbe neppure la pena, per cui decidiamo di limitarci a quelli che la guida definisce come più importanti. Puntiamo quindi sulla zona archeologica principale, nella quale visitiamo la Table des Marchand, un grande dolmen nel quale una delle pietre di sostegno reca decorazioni geometriche graffite, vediamo il Grande Menhir Spezzato, colossale pietra lunga ben 25 metri che ora giace al suolo e dalla quale già nell'antichità fu asportata la sezione superiore, ed infine un sepolcro a tumulo, anch'esso di eccezionali proporzioni. Qui per l'appunto sorgono le mie prime perplessità. Infatti, se il Grande Menhir Spezzato almeno è impressionante per le dimensioni colossali e per lo sforzo ciclopico che deve essere costato a coloro che lo trasportarono fin lì e lo misero in verticale, il sepolcro a tumulo di fatto non è altro che una lunga massicciata di sassi ammucchiati: la camera funeraria, ammesso che esista e sia raggiungibile, non è visibile e questo ai miei occhi di ignorante riduce il monumento a poco più di un banale deposito di sassi. Fino a pochi anni fa la Table des Marchand era un'impressionante struttura costituita da un enorme macigno grossolanamente rettangolare posto orizzontalmente su altri quattro macigni conficcati nel terreno, ma a sommergere di ciottoli e terra queste cinque pietre è stato recentemente costruito un tumulo che intende rappresentare la presunta forma originaria della struttura. Purtroppo secondo me questo, a prescindere dalla validità storica della ricostruzione, fa sparire ciò che certamente fu opera dei nostri progenitori sotto un ammasso di materiali di incerta attinenza ed in più nella penombra i graffiti che furono tracciati sulla stele di fondo risultano poco visibili. Come accennato, la penisola di Locmariaquer è ricca di reperti megalitici e quindi, dopo un piuttosto tardivo pasto a base di crêpes, il nostro giro continua lungo il litorale affollato di bagnanti fino a raggiungere il Dolmen des Pierres Plates, un lungo tunnel a gomito fatto di grandi pietre sovrapposte e che termina in un'angusta camera all'estremità, dove nell'oscurità si intravvedono alcuni graffiti geometrici tracciati sulle pietre delle pareti. Ormai stanchi per il caldo ed i chilometri già percorsi, torniamo quindi con quella che ci pare una pedalata interminabile verso il nostro piccolo ma accogliente camper, stanchi, nervosi, accaldati e, almeno per quanto mi riguarda, con un vago senso di insoddisfazione addosso: devo ammetterlo, i monumenti preistorici proprio non fanno per me! 15/8/01 - CarnacVista la giornata precedente, decidiamo di non soffermarci più che tanto ancora nella zona dei megaliti. Tuttavia non è pensabile di andare a Carnac senza almeno dare uno sguardo ai famosi allineamenti di pietre e questo quindi facciamo subito, non appena partiti dal campeggio. Come ho già accennato, quegli allineamenti non ci hanno impressionato troppo: al di là della fatica fatta per trasportare fin lì quelle grosse pietre, l'impressione che ne abbiamo effettivamente tratto è stata proprio quella di una disordinata raccolta di pietre grezze approssimativamente messe in fila senza un senso apparente. Non abbiamo nemmeno notato tracce di un qualche tipo di lavorazione per dare ad esse una sagoma particolare. Insomma, quella vasta distesa di pietre può stuzzicare la fantasia nel tentativo di intuirne la natura e di certo impressiona per le notevoli proporzioni dello sforzo compiuto per realizzarla, ma, almeno per me, non è nulla più di questo. Finita la visita sotto un caldo sole più degno della Provenza che della Bretagna puntiamo il muso del camper in direzione nord-ovest e ci mettiamo sull'autostrada in direzione di Quimper, saltando dopo un attento esame delle nostre guide turistiche sia Lorient che Concarneau: a quanto pare, la prima delle due località non offre molto a parte il festival musicale (che però ha luogo in luglio), mentre la seconda potrebbe in effetti meritare una sosta ma nel complesso ci appare meno promettente di Quimper e decidiamo quindi di rinviarla ad un'altra occasione. E finalmente, appena oltrepassata Lorient, eccoci davvero in Bretagna! In pochi minuti infatti il cielo da blu cobalto che era diventa plumbeo ed un temporale mostruoso si abbatte su di noi mentre stiamo placidamente percorrendo l'autostrada, ma meno di mezz'ora dopo la buriana finisce ed il cielo torna ad essere azzurro, seppur questa volta cosparso di grandi nubi grigie. Strano, però: sembra che quella pioggia abbia anche finito di lavare via quel nervosismo latente che ci aveva accompagnato fino a quel momento: adesso siamo davvero in vacanza! Arrivati a Quimper, con qualche difficoltà troviamo il campeggio indicato sull'annuario ma ne fuggiamo via di corsa prima ancora di andare a sentire se c'è posto: crederci o no, è troppo bello per noi! Si trova infatti nel parco secolare di un castello alle porte della città ed ha un aspetto molto lussuoso: dopo un rapido controllo della tabella dei prezzi decidiamo di filarcela alla chetichella per cercare qualcosa con prezzi più da metalmeccanici. Finiamo così al campeggio municipale, ma anche qui c'è aria di sorprese: una volta varcato l'ingresso, scopriamo che non ci sono nè cancello, nè custode! Infatti è il giorno di Ferragosto ed il custode, essendo un dipendente comunale, è in ferie: dopo un consulto con altri campeggiatori ci sistemiamo quindi in una piazzola libera, appena in tempo prima che riprenda ad abbattersi su di noi una pioggia in stile monsone tropicale che in pochi attimi trasforma il nostro rettangolo di terra battuta in un pantano. 16/8/01 - Da Quimper alla Pointe du RazLa mattina constatiamo che il custode ha fatto la sua ricomparsa ed io allora provvedo a presentarmi per spiegare la nostra presenza lì, ricevendo come risposta un bel: "Ha fatto bene!". Paese che vai... La seconda constatazione al risveglio è che le docce di quel campeggio fanno decisamente pena e ricordano in peggio quelle viste l'anno precedente nella Repubblica Ceca, per cui decidiamo per quel giorno di arrangiarci nel nostro minuscolo bagno con la doccetta ad acqua (brrrrr!) fredda. Compiute le operazioni mattutine ci spostiamo verso il centro della città e con qualche difficoltà troviamo infine posto per il camper in un vasto parcheggio, in coabitazione con TIR e zingari: devo ammettere che come compagnia non mi sento troppo a mio agio, ma comunque non succede nulla di anomalo. Il giro di Quimper ci prende il resto della mattinata, ma non credo che in questo modo trascuriamo granchè di importante, fatta eccezione forse (ma la cosa è molto personale!) per il grande negozio della Keltia Musique, casa discografica specializzata in musica bretone, che visiterei con piacere ma al quale rinuncio per non sembrare il solito spendaccione! Tutto sommato, la parte più deludente della visita è proprio quella che avrebbe dovuto esserne il "clou": la grande cattedrale gotica, alla cui facciata grandiosa a nostro giudizio non corrisponde altrettanto interno. Passeggiare per le stradine del centro si rivela invece molto più appagante, ricco com'è di graziosi scorci e di belle vetrine. Per pura curiosità ad un certo punto ci infiliamo in un magazzino di robe vecchie, o "brocante" come si dice là: in Bretagna di quei posti ce ne sono a iosa, come d'altronde un po' in tutta la Francia, e sembra quasi che lo sport nazionale sia quello di vuotare la cantina del nonno per venderne il contenuto! Almeno in quel particolare magazzino, comunque, troviamo un gran misto scelto di paccottiglia frammista a begli oggetti, il tutto accatastato insieme senza un criterio definito, cosicchè l'intero capannone diventa una specie di labirinto che riserva sorprese ad ogni angolo. Finita la visita della città, espongo a Daniela il piano d'azione che ho in mente e (ullallà!) lei lo approva subito: partiamo quindi alla volta del mare, puntando per prima cosa sul promontorio di Penmarch, sul quale troneggia il grande faro di Eckmühl. Così ha inizio la parte più affascinante del nostro giro della Bretagna, quella che ci farà restare nella memoria quella vacanza come una delle migliori mai fatte fino a quel momento. Raggiunto il posto ci troviamo su un promontorio basso sul mare, con la scura torre del faro che troneggia sul territorio circostante nel quale predominano le linee orizzontali: il mare calmo, le piccole case basse, l'assenza pressochè totale di alberi. Nel momento in cui arriviamo c'è la bassa marea ed una larga striscia di scogliera separa la base del faro dal mare. Daniela suggerisce di camminare un po' sugli scogli e ci mettiamo quindi in marcia, saltellando qua e là sulle pietre asciutte ricoperte di conchiglie ed alghe verde scuro cosparse di vesciche piene d'aria. Numerose piccole pozze ospitano microcosmi di vita marina ed un marcato odore di putrescenza ci riempie le narici. Cammina cammina, io fotografando qua e là e Daniela impegnata nella ricerca di conchiglie, alla fine mi ritrovo all'estremità della scogliera, al cospetto dell'Oceano Atlantico! "Oh, porca miseria!" Infatti dopo un'iniziale perplessità mi rendo conto con una certa sorpresa che il livello del mare sta crescendo velocemente, quasi più rapido di quanta sia la mia velocità di spostamento su quella scogliera insidiosa: non avevo mai visto prima un effetto di marea così marcato! Segnalo a Daniela che è ora di battere in ritirata di fronte all'alta marea in arrivo e mi affretto a dare il buon esempio. Una volta al sicuro, ci dedichiamo alla visita dei dintorni del faro, anche se la prospettiva di arrampicarci su per la prevedibilmente lunga serie di scalini toglie ad almeno metà della comitiva la voglia di salire in cima al faro: peccato, da una parte, considerando che la salita è gratuita e per non parlare della curiosità che provo di vedere l'interno di un vero faro! Ci dedichiamo invece alla visita della rimessa in cui è conservata l'imbarcazione usata un tempo per il soccorso ai navigli in difficoltà in quel mare pericolosamente collerico: si tratta di un diversivo molto interessante, anche perchè il nostro occasionale cicerone si dilunga con entusiasmo nella spiegazione degli accorgimenti adottati per rendere quel battello inaffondabile. Lasciamo infine la punta di Penmarch con la netta sensazione che le cose stiano cominciando a farsi interessanti e ci dirigiamo verso la non lontana Pointe du Raz, una delle attrattive turistiche della regione. Strada facendo ci fermiamo anche a visitare il primo dei cosiddetti calvari, che sono un'altra delle cose degne di visita in Bretagna. Questi calvari infatti sono grandi gruppi scultorei la cui creazione fiorì per un paio di secoli nella regione, circa dalla metà del XV secolo fino al XVII inoltrato. In queste opere viene riassunta in una fitta serie di gruppi figurativi indipendenti l'intera vita di Gesù fino alla Crocefissione, la cui rappresentazione corona l'intera struttura. Si tratta di sculture ad un tempo eleganti nella costruzione ed ingenue nella rappresentazione, con le figure riprodotte nell'abbigliamento del tempo dell'artista anzichè in quello dell'epoca alla quale si riferiscono. Per finire questa descrizione minimale, vale la pena di rilevare come queste opere facciano quasi sempre parte di complessi religiosi detti enclos che nella cerchia di un recinto racchiudono la chiesa, il campanile, il camposanto, sovente anche un mausoleo e per l'appunto il calvario. Quello che visitiamo è il più antico di tutti, quello di Tronoën, che a quanto ne so è anche l'unico che non si trovi nella regione a sud di Morlaix. Credo di poter dire che è anche l'unico non contenuto in un vero e proprio enclos, dal momento che nei suoi pressi sorge solo una suggestiva chiesetta. Ripresa la strada, in un'oretta o poco più raggiungiamo la Pointe du Raz, un po' preoccupati dall'abbondanza di divieti rivolti ai camperisti e dall'apparente scarsità di campeggi a poca distanza dal promontorio. Alla fine raggiungiamo il termine della strada, dove per fortuna sorge un grande parcheggio: da lì si deve proseguire o a piedi o con un'apposita navetta. Dal momento che manca ancora parecchio al tramonto, decidiamo di andare subito a visitare il luogo e qui veniamo definitivamente colpiti dal fascino della Bretagna! La Pointe du Raz è un grande promontorio ricoperto di erica ed a picco sul mare, nel quale precipita con una falesia alta una quarantina di metri tutta popolata da colonie di gabbiani e cormorani. L'estremità della terraferma è costituita da due grandi scogli rocciosi su cui è facile arrampicarsi, cosa che io mi scateno subito a fare con entusiasmo da ragazzino. C'è parecchia gente, tra l'altro, sia sulle rocce che dove il terreno è più sicuro, ma lo spazio a disposizione è tanto da non far pesare la presenza della moltitudine. Al largo della punta si trova un arcipelago di piccole isole piatte, la principale delle quali, l'Île de Sein, si intravvede quasi all'orizzonte con il suo faro che a quella distanza pare uno spillo puntato verso il cielo. Un altro faro, quello di La Vieille, si trova su uno scoglio a poca distanza dalla terraferma, proprio davanti a noi, e pare quasi spuntare direttamente dal mare. Dopo aver a lungo arrampicato, girovagato, fotografato ed ammirato il paesaggio, alla fine è davvero ora di tornare al camper, ma è proprio in quello stesso momento che a Daniela viene la folgorazione: voltandosi un'ultima volta verso il mare vede il disco rosso del sole nel cielo terso ad occidente. E' il chiaro segno che fra meno di due ore ci sarà un tramonto spettacoloso: che fare? Perdersi il tramonto e cercare un campeggio? Cenare alla svelta e tornare sul promontorio ad ammirare il sole che scende sul mare, rinunciando così a trovare un posto attrezzato per la notte? Dopo una rapida analisi delle risorse del camper e vinte le mie ultime resistenze nel fare campeggio libero, optiamo per la seconda soluzione: ci piazziamo con il nostro camperino in mezzo alla fila dei giganti superaccessoriati da otto metri fuori tutto e ci accingiamo ad affrontare la nostra prima notte in campeggio libero. Beh, in realtà non sarebbe proprio così, avendo già dormito fuori campeggio per un paio di notti nella primavera del 2000, ma eravamo fuori dalla porta di casa di un amico e ci eravamo anche collegati al suo impianto elettrico: quella volta non conta, insomma! Finita quindi una rapida cena ci affrettiamo di nuovo verso la sommità della scogliera, dove troviamo che un paio di centinaia di persone ci hanno già preceduto: fedeli alle nostre abitudini, ci teniamo un poco discosti e ci godiamo in santa pace lo spettacolo grandioso del tramonto sull'oceano. Ormai siamo sempre più convinti di aver fatto bene a percorrere tutti quei chilometri per fare vacanza proprio lì! Unica fregatura, poco prima che il sole raggiunga l'orizzonte banchi di nubi sorgono improvvisamente a nascondercelo proprio nel momento in cui sembra scomparire nell'oceano! Io impreco e mi rassegno a ripetere le foto al prossimo tramonto: ancora non posso saperlo, ma la mia personale lotta con le masse nuvolose che mi oscurano il tramonto è solo iniziata e, purtroppo, alla fine non mi vedrà vincitore. 17/8/01 - Dalla Pointe du Raz a Le ConquetDopo la nottata trascorsa nel parcheggio, al mattino ci rimettiamo in marcia lungo il nostro itinerario che segue grosso modo la frastagliata costa bretone. La prima tappa è proprio ad un paio di chilometri appena dalla Pointe du Raz, nella bella baia che si trova subito a nord della punta. Bella è la baia, in verità, ma brutto è il suo nome, che la dice lunga sul mare di Bretagna: si chiama infatti Baia dei Trapassati! Ci viene da pensare che fosse proprio lì che le correnti spingevano (e forse tuttora spingono) i relitti dei battelli naufragati sugli scogli dell'arcipelago attorno all'isola di Sein. Comunque oggi la baia è placida e splendida, con il mare calmo che accarezza la sabbia fine della grande spiaggia. Ai lati di questa cominciano le scogliere della Pointe du Raz, ma sono le strane macchie nere che si vedono sugli scogli e le numerose persone attorno ad essi che attraggono la nostra attenzione. Andiamo a controllare da vicino: cozze! Un po' piccole non essendo di allevamento, ma decisamente belle: detto fatto, Daniela si unisce al gruppo dei raccoglitori ed in poco tempo ne mette insieme più che abbastanza per una bella pastasciutta! Io intanto continuo a folleggiare sugli scogli ed a prendere fotografie di tutto ciò che mi capita a tiro. Proseguendo il viaggio raggiungiamo la Pointe du Van, il promontorio che chiude a nord la baia, sul quale il giorno prima avevamo adocchiato una costruzione promettente: si tratta di una chiesetta isolata, la cappella di Saint They, racchiusa da un recinto di pietre e collocata proprio sul bordo della scogliera in una posizione molto suggestiva. Seguiamo poi la costa, superando Douarnenez e raggiungendo infine il borgo caratteristico di Locronan. Per dare un'idea del posto si potrebbe forse definirlo come la Grazzano Visconti della Bretagna, con la differenza che a Locronan gli edifici sono originali dell'epoca, semplicemente conservati accuratamente e poi debitamente riempiti di bottegucce acchiappa-turisti. Un borgo grazioso nel suo complesso, ma affollato dal turismo di massa e con una certa aria di posticcio. Proseguendo la nostra strada superiamo senza fermarci Brest, che ci appare come una città priva di particolari attrattive, a parte forse il castello contenente il museo della Marina che peraltro dovrà aspettare un'altra occasione per essere visitato da noi. La nostra meta infatti è Le Conquet, paesino sull'estrema propaggine occidentale della terraferma francese, in vista dell'isola di Ouessant e del suo arcipelago. Ho proposto io quella tappa, anche se devo dire che Daniela ci ha messo appena un attimo ad accettare. Non so perchè, infatti, ma quel mare di Bretagna e forse soprattutto i suoi famosi fari riescono a far vibrare qualche corda nascosta in profondità dentro di me. La cosa strana però è che quello che mi attrae maggiormente non è il mare blu cobalto sotto il cielo azzurro, ma quello color piombo sotto la pioggia fine ed insistente che cade dalle nubi grigie e fitte: misteri dell'animo umano! Insomma, lì c'è proprio quello che cerco: in Bretagna nella bella stagione il mare sembra essere capace di cambiare aspetto anche ripetutamente nella stessa giornata, mostrandosi di volta in volta calmo o corrucciato, e l'estremità della Finistère sembra essere il luogo ideale per questo. Arriviamo infine a Le Conquet nel tardo pomeriggio e, neanche a farlo apposta, la ricerca del campeggio diventa il solito calvario di divieti alla circolazione dei camper e di indicazioni poco chiare: alla fine e dopo molte imprecazioni scopriamo che in quel caso il segreto consisteva semplicemente nel prendere una strada secondaria un buon chilometro prima di essere in vista del paese, anche perchè il campeggio comunale si trova sulla sponda opposta del fiume sul cui estuario sorge Le Conquet! Quando arriviamo ci troviamo nel perfetto clima bretone: cielo grigio, vento che proviene dal mare e sottile pioggerella insistente, ma la notte le cose dopo un po' cambiano, si aprono le cateratte del cielo ed il campeggio viene inondato da una pioggia torrenziale. Risvegliato dal rumore, vado a spiare il mondo dal finestrino del bagno e vedendo le tende squassate dalla tempesta subito ringrazio il cielo per aver abbandonato quel tipo di riparo in favore di una vera casetta su ruote! 18/8/01 - Pointe Saint MathieuIl mattino ci accoglie con il sole, anche se l'aria non è precisamente calda a causa della ventilazione, nella classica situazione in cui se ci si copre si suda e se ci si scopre si ha freddo: proprio il tipo di clima che non sopporto! Decidiamo di non prendere le biciclette e di andare invece a piedi fino alla Pointe Saint Mathieu, distante alcuni chilometri dal paese, seguendo un tratto del sentiero che percorre l'intero sviluppo delle coste bretoni: in questo modo approfittiamo per dare anche una rapida occhiata al paese di Le Conquet, dove tra l'altro abbiamo modo di vedere le "barche con le stampelle", che servono a mantenere le imbarcazioni in equilibrio anche con la bassa marea! L'idea di andare a piedi fino a Saint Mathieu in effetti si rivela buona, ma il percorso risulta decisamente più lungo del previsto anche perchè ci troviamo a camminare lungo la sommità della falesia seguendone tutte le giravolte e i dislivelli. Il risultato è una bella passeggiata panoramica, sempre in vista di un mare "poco mosso con moto ondoso in aumento" che si infrange contro la base della scogliera con spettacolari spruzzi. Dopo un paio d'ore raggiungiamo il promontorio, sul quale torreggia imponente un grande faro dipinto in bianco e rosso piazzato quasi sul bordo della scogliera a picco sul mare: nel momento in cui arriviamo la marea è bassa, ma dopo un paio d'ore il livello delle acque è già salito di qualche metro, abbastanza da coprire del tutto molti scogli prima raggiungibili a piedi. Fedele alla tradizione bretone, mentre noi raggiungiamo la nostra meta il tempo decide di cambiare: le nubi sparse di poco prima si addensano e diventano scure e minacciose, mentre il vento di mare si rafforza e le onde si gonfiano e si infrangono con sordi tonfi ed alti spruzzi contro gli scogli sui quali ci siamo piazzati per goderci lo spettacolo. Non di rado la spuma viene proiettata più in alto di dove noi ci troviamo e di tanto in tanto il vento ci spinge contro sciami di goccioline di acqua fredda: era da tanto tempo che non ci sentivamo così bene, però! Dopo una mezz'oretta di inalazioni salsoiodiche un poco a malincuore decidiamo di spostarci di lì e di procedere con la visita del luogo: infatti alla Pointe Saint Mathieu di degno di nota non c'è solo il faro, perchè anticamente in quel luogo fiorì anche una grande abbazia benedettina, caduta poi in disgrazia durante la Rivoluzione, della quale restano ancora i ruderi proprio alla base del faro. In più, nei pressi si trova anche una chiesetta romanica, priva di opere d'arte di particolare rilievo ma comunque suggestiva. Come spettacolo supplementare assistiamo anche all'uscita dalla chiesetta di una coppia di sposi con il relativo seguito e con tanto di suonatore di cornamusa come accompagnamento. Ho così modo di notare un'altra caratteristica dell'onnipresente vento della Finistère: la malizia, come quando mette in crisi la sposa e le sue accompagnatrici alle prese con le ampie gonne svolazzanti dell'abito nuziale! Il ritorno verso il campeggio avviene per una strada diversa dall'andata, seguendo stradine serpeggianti nell'ondulato entroterra. Niente da segnalare di particolare rilievo lungo il cammino, a parte forse il fatto che scopriamo fra le tombe di un piccolo cimitero un memoriale dedicato ai militari alleati caduti nella zona durante la Seconda Guerra Mondiale, primo segno tangibile che incontriamo dei combattimenti avvenuti a quel tempo in Bretagna. 19/8/01 - Dalla penisola di Kermorvan al faro dell'Île ViergeDopo un breve dibattito strategico, quella mattina decidiamo (con qualche rimpianto specialmente da parte mia) di rinunciare ad andare a visitare l'isola di Ouessant e piuttosto di proseguire verso nord lungo la costa, con l'obiettivo di visitare una serie di luoghi che le descrizioni sulle guide promettono interessanti. Per prima cosa, però, propongo ed ottengo di fare appena una scappata a vedere la penisola di Kermorvan, sulla cui parte iniziale si trova il nostro campeggio. In effetti il motivo principale che mi spinge è la presenza sulla sua estremità dell'omonimo faro, da aggiungere alla mia personale collezione, e di un non meglio precisato fortilizio su un promontorio secondario, o forse su un isolotto: la cosa per il momento non risulta ben chiara. Il posto in effetti è bello, selvaggio e spopolato se si escludono le colonie di gabbiani e di cormorani, ma il faro è recintato ed inavvicinabile. Gironzolando un po' finiamo per fare il giro quasi completo della penisola, che tra l'altro non è poi così piccola, ma alla fin dei conti finiamo per convenire che ne valeva la pena. Riusciamo anche a vedere il famoso fortilizio, seppur da lontano, e l'arcano della sua collocazione è presto svelato: la costruzione sorge su un promontorio che con l'alta marea diventa un grosso isolotto! Nella zona vediamo anche molte altre tracce risalenti alla Seconda Guerra Mondiale: praticamente ogni gibbosità del terreno infatti ospita resti dei bunker facenti parte delle fortificazioni tedesche poste lì per prevenire sbarchi alleati. Ripreso il viaggio verso nord, su proposta di Daniela il nostro itinerario ora prevede di andare a vedere certi grandi menhir presenti nella zona: per la verità io sono un po' freddo riguardo alla cosa, vista la deludente esperienza a Carnac, ma finisco per accettare. Devo riconoscere una cosa: un menhir posto in un luogo adatto fa tutt'un altro effetto. Non che si percepiscano arcane presenze nei dintorni o misteriose vibrazioni provenienti dall'interno del pietrone, ma acquisisce un che di mistico che non ho avuto modo di cogliere nel Morbihan. Nel caso poi dei due (anzi, tre) menhir di Kerloas-Plouarzel e di Kervignen, c'è anche qualcosa di speciale da raccontare. Il grande menhir di Kerloas-Plouarzel (nella foto a destra) presenta due strane protuberanze ad un metro circa dalla base, diametralmente opposte l'una all'altra e di una buona ventina di centimetri di diametro. Naturalmente nessuno sa a cosa potessero originariamente servire, ma nei secoli scorsi le popolazioni locali ne trovarono un singolare utilizzo scaramantico: a quanto pare, le coppie di sposi vi andavano in una specie di pellegrinaggio prima delle nozze ed ambedue provvedevano a strofinare il ventre contro quelle protuberanze, cosa ritenuta propizia per la fertilità della nuova coppia. Invece a Kervignen (foto a sinistra) di menhir ce ne sono addirittura due, piazzati a poca distanza fra loro nel bel mezzo di un vasto campo di grano ed entrambi belli grossi: uno dei due, però, giace al suolo di sbieco e sembra quasi un proiettile mezzo conficcato nel terreno. Questo fatto diede così luogo ad una leggenda. Si narra che tanto tempo fa una fata che viveva lì nei pressi andò in Cornovaglia a rubare un magnifico menhir, proprietà e vanto di una strega, e se lo portò a casa piazzandolo dove ora si trova, nel bel mezzo di un campo. La strega, infuriata per l'affronto subito e nell'impossibilità di andare a riprendersi il maltolto, per vendicarsi e tentare di distruggere l'oggetto rubato prese un secondo menhir e lo scagliò attraverso il mare, mancando di poco il bersaglio. Ecco perchè il secondo menhir appare ora ai nostri occhi come un proiettile giunto da chissà quanto lontano a conficcarsi nel terreno! La tappa successiva è di nuovo intesa ad accrescere il numero di fari bretoni catturati dalla mia macchina fotografica: questa volta si tratta nientepopodimeno che del faro di Le Four, forse il più spettacolare dei cosiddetti "inferni". La caratteristica di questo faro è infatti quella di sorgere su uno scoglio giusto grande quanto basta per fare da fondamenta al faro stesso e dalla forma tale da poter provocare ondate a dir poco mostruose. Fiduciosi nel fatto che il mare da quelle parti spesso è piuttosto vivace, speravamo di poter assistere ad uno spettacolo notevole. Insomma, speravamo in una cosa tipo quella nella foto a sinistra ed abbiamo finito per ottenere ciò che si vede a destra! (Ebbene sì, il faro è quel mozzicone microscopico che si vede sulla destra vicino all'orizzonte...) Ripresa quindi con un pizzico di delusione la nostra strada, ci soffermiamo brevemente a vedere alcuni punti caratteristici del vicino paese di Porspoder, come una bella chiesetta e l'ennesimo dolmen, prima di proseguire lungo una strada serpeggiante lungo la linea della costa, in un bel panorama selvaggio di scogliere, brughiera e rare casette dall'inconfondibile aspetto. Alla fine raggiungiamo una nuova tappa della nostra lunga giornata sulle strade della Bretagna: la cappella dedicata a Saint Samson, una piccola costruzione dalle linee semplici in pietra grigia, collocata presso il bordo della scogliera a picco sul mare. Dopo la visita alla piccola e suggestiva cappella puntiamo nella direzione dell'Île Vierge, sulla quale sorge l'ennesimo faro, che a detta delle guide turistiche è il più alto d'Europa. Con qualche difficoltà raggiungiamo quindi un piccolo abitato sul mare, con un tranquillo porticciolo di fronte al quale sorge una piatta isoletta su cui troneggia altissimo e sottile il faro. Ormai è quasi sera e non sembrano esservi campeggi nei pressi immediati. D'altronde, il tramonto non è lontano e scopriamo ancora un posto libero nel parcheggio attrezzato a due passi dal porticciolo: dopo una brevissima discussione optiamo quindi per occuparlo prima che altri giungano a prenderselo, troppo tentati dalla bella luce serale e dalla pace del luogo per lasciarci scappare l'occasione. Naturalmente, anche questa volta le nuvole mi rovinano il momento culminante del tramonto, ma il silenzio rotto solo dallo sciacquio delle onde ed il placido ondeggiare delle piccole imbarcazioni al sicuro nella rada ci compensano del mancato spettacolo. 20/8/01 - Dal faro dell'Île Vierge alla foresta di Re ArtùAnche questa giornata si preannuncia intensa, ma se non altro il tempo sembra essersi stabilizzato sul bello, cosa che non guasta affatto! Dopo un ultimo sguardo ai dintorni ci mettiamo in strada, ma questa volta la direzione è cambiata: si va verso est, il che purtroppo è anche segno che ormai siamo nella seconda metà della vacanza. Dopo ben poche incertezze decidiamo di non seguire la strada principale, che punta subito verso l'interno, ma di proseguire lungo la costa fino a Saint Pol de Léon e poi puntare verso l'interno. Devo dire che si è trattato di una scelta decisamente felice! Il nostro percorso quindi si snoda lungo strade secondarie in un tranquillo paesaggio ondulato e di tanto in tanto ci troviamo a costeggiare ampie baie... dove il mare non c'è! Infatti è l'ora della bassa marea e le acque si sono ritirate di molte centinaia di metri. Ad un certo momento io d'impulso giro il camper e punto verso un parcheggio a ridosso di una grande duna costiera. "Voglio proprio vederla da vicino, questa bassa marea", faccio. Daniela trova che l'idea non è male ed allora andiamo in cima alla duna a guardare dall'altra parte. Ci troviamo così davanti la vasta distesa della Grève de Goulven, un'ampia baia durante l'alta marea che si trasforma in un ondulato bacino di sabbia umida durante la bassa, con il mare ritirato ad almeno un paio di chilometri dal fondo dell'insenatura. Si sa come vanno queste cose: si comincia con l'andare in cima alla duna, poi si scende dall'altra parte e si finisce per passare un paio d'ore a camminare ed esplorare il mondo sotto il livello del mare! Notiamo che c'è in giro parecchia gente munita di secchi e di rastrelli da giardino: sulle prime non capiamo il perchè si stiano portando appresso quegli attrezzi, ma ben presto ci accorgiamo che stanno approfittando della bassa marea per fare razzia di molluschi e crostacei nascosti nella sabbia umida del fondale marino. Noi invece ci divertiamo semplicemente ad esplorare qua e là, salendo e scendendo dai mucchi di rocce che con l'alta marea divengono isolotti a poca distanza dalla costa. Guardando verso l'orizzonte scorgiamo in lontananza il mare, che ci appare appena come una sottile striscia blu bordata del bianco delle onde e che apparentemente sembra essere più in alto rispetto a dove siamo noi: ne concludiamo che probabilmente più al largo c'è una secca che con la bassa marea funge da diga naturale e che consente alla zona dove siamo noi di restare all'asciutto. Tornando verso la riva dopo aver compiuto un largo giro sul fondo del mare (!), ci troviamo ad un certo punto a passare accanto ad un gruppo di barche da diporto in secca, tutte coricate sul fianco e con la loro brava catena di ormeggio fissata al gavitello posato per terra. In qualche modo la scena ha un che di surreale e mi ricorda quasi certi quadri moderni. Ripresa la strada, dopo qualche tempo arriviamo a Saint Pol de Léon, una cittadina come ce ne sono tante ma nella quale spiccano due belle chiese gotiche a poca distanza l'una dall'altra. Da quel momento abbandoniamo temporaneamente il mare per fare una puntata verso l'interno, allo scopo di visitare la regione dove più numerosi e più belli sono i cosiddetti "calvari". In particolare ne visitiamo tre, con le rispettive chiese: Lampaul-Guimiliau, Guimiliau e Saint Thégonnec. Sono tutti e tre bei monumenti, ciascuno degno di una visita, ma per la verità tendono a ripetersi un po': l'identico soggetto ed una certa uniformità di stile li rendono tutti abbastanza simili. Un cenno a parte lo merita il terzo, purtroppo non per le qualità artistiche dell'opera ma a causa dello stato di parziale distruzione della chiesa a causa di un accidentale incendio di alcuni anni orsono: il calvario è rimasto intatto, ma la visione dei danni che si possono osservare sbirciando attraverso la palizzata del cantiere di restauro è piuttosto impressionante. Per pernottare puntiamo infine ancora più verso l'interno, ad Huelgoat, nel cuore di una foresta nella quale la tradizione pone uno dei possibili scenari in cui ebbe luogo la saga di Re Artù. In effetti il posto è nebbioso e suggestivo e ben si presta a collocare leggende a cavallo fra il mondo reale ed una parallela dimensione nel regno della magia. Con qualche difficoltà troviamo il camping comunale e prendiamo posto in una piazzola, ancora una volta come a Quimper senza che vi sia un addetto all'ingresso a causa dell'ora relativamente tarda. D'altronde, se non c'è il custode, non c'è neanche la sbarra all'ingresso ad impedirci di entrare! 21/8/01 - Dalla foresta di Re Artù all'Île-GrandeLa mattina ci rimettiamo in marcia con l'obiettivo di raggiungere la regione di Lannion facendo però lungo il percorso una sosta per visitare ancora un calvario, quello di Plougastel-Daoulas. In realtà finiamo poi per trovarci lungo una strada sbagliata nell'uscire da Huelgoat, il che ci porta nei pressi della cosiddetta "grotta di Re Artù". A quel punto una sosta è d'obbligo e con una breve passeggiata nel bosco raggiungiamo sia la grotta che la vicina "Mare aux Sangliers", una pozza d'acqua limpida fra le rocce, in uno scenario che senza troppo sforzo potrebbe essere immaginato in una luce soffusa con una damigella seduta su un masso ed intenta ad ascoltare la dolce musica di un menestrello. La grotta invece consiste in un vano non molto ampio racchiuso fra un ammasso di enormi rocce franate: in sè non ha granchè di speciale, ma è divertente arrampicarsi dentro e fuori fra le grandi pietre. Finalmente ripartiamo, con Daniela che scalpita alquanto per l'impazienza mentre io mi attarderei volentieri ancora un po' a giocare nel bosco, ritroviamo la strada giusta e raggiungiamo in un'oretta Plougastel-Daoulas: l'enclos domina il sonnacchioso paesotto dalla sommità di una collinetta ed in effetti merita la visita, in particolare proprio grazie al monumentale calvaire. Riprendiamo quindi la nostra strada e puntiamo nuovamente verso il mare. Questa volta finalmente tocca alla costiera di granito che si estende da Perros-Guirec e Trégastel-Plage e che è considerata una delle attrazioni naturalistiche della Bretagna a causa delle forme tondeggianti delle rocce e del loro spiccato colore rosa. In più, è nella vicina Lannion che Daniela ha avuto un paio di volte nel passato occasione di recarsi in trasferta per lavoro e vuole rivedere quei posti. Per la verità il primo impatto con il posto oscilla fra il deprimente e l'irritante, non solo per me ma in qualche misura anche per Daniela: infatti quel tratto di costa, specialmente nei pressi di Perros-Guirec, è zona turistica molto ambita e di conseguenza il caos ed il cemento la fanno alquanto da padroni. In più, sembra che l'intera area sia pressochè blindata ai camper e nemmeno volendo riusciremmo a trovare un posto per fermarci. Come risultato, cresce in noi un certo quale nervosismo: mentre io cerco di districarmi nel traffico, Daniela cerca di sbirciare nel caotico paesaggio nella sparanza di individuare un tratto di costa da potermi mostrare ed allo stesso tempo ambedue cerchiamo un parcheggio adatto per noi. Manco a farlo apposta, di granito rosa ne intravvediamo poco o nulla ed io finisco per stufarmi di brutto: decidiamo allora di andare a cercare un campeggio e di rinviare all'indomani la visita delle famose scogliere. Più che altro per istinto, punto il camper verso la cosiddetta Île-Grande, un promontorio che può quasi chiamarsi isola grazie ad un canale largo non più di dieci metri che lo separa dalla terraferma. Sempre per istinto e nella vana speranza di riuscire finalmente a fotografare un tramonto come si deve, punto verso il campeggio che si trova sul lato occidentale dell'isola. Scelta davvero felicissima, quella! Infatti finiamo per passare due notti in quel luogo, in una delle parentesi migliori dell'intera vacanza. Cominciamo subito bene la sera stessa, andando dopo cena a goderci il tramonto su un lungo promontorio roccioso che si protende nel mare a poca distanza dal campeggio. Il calar del sole, seppur come al solito offuscato dalle nuvole, è bellissimo e lascia dietro di sè un meraviglioso senso di pace e di silenzio rotto solo dal mare, che fornisce il meglio di sè in uno spettacolo di marosi e di alti spruzzi di spuma contro gli scogli. Una serata davvero magnifica! 22/8/01 - La Bretagna vista dal cieloLa mattina dopo puntiamo su Lannion, un po' perchè essendo una cittadina essenzialmente commerciale ed industriale è più facile trovare un ipermercato per fare la spesa ed un po' per via dei ricordi di trasferta di Daniela. Già che siamo lì, poi, propone di passare anche a dare un'occhiata al minuscolo aeroporto locale, perchè vuole mostrarmi gli aerei "ormeggiati" a grossi bidoni di lamiera riempiti di cemento: in effetti da quelle parti il vento a volte non scherza ed i velivoli a quanto pare hanno bisogno di una mano per restarsene fermi in parcheggio! Nel momento di andare via dall'aeroporto, però, lo sguardo mi cade su un cartello: c'è scritto "noleggio aerei da turismo" e c'è anche indicato il prezzo. Senza troppa convinzione butto lì una proposta e con mia grande sorpresa la mia parsimoniosa Daniela accetta subito con entusiasmo! Detto fatto, prima di cambiare idea rintraccio il pilota, ci accordiamo per un volo di circa tre quarti d'ora lungo la costa per la ragionevole cifra di 500 franchi (suppergiù 150 mila lire) e di lì a poco ci troviamo seduti in un Cessna ad ala alta, pronti per il nostro primo volo su un piccolo aereo da turismo. Certo è tutt'altra cosa rispetto ai grossi aerei di linea ai quali siamo più abituati! Quell'affarino angusto saltella allegramente sulle correnti d'aria per tutto il tempo e fa anche un fracasso infernale, ma d'altro canto va "quasi" dove gli chiediamo noi ed il pilota è ben disponibile a compiere manovre atte a consentirci di vedere meglio e di fare un sacco di fotografie. Ogni tanto gli chiedo di rallentare, così da poter aprire il finestrino e sporgermi un poco di fuori per inquadrare meglio ed ottenere immagini senza il disturbo del vetro. Il nostro seppur breve volo diventa così un'esperienza fantastica ed in effetti trovo anche molto difficile rendere in pieno le mie sensazioni del momento: anche le foto scattate (due rullini in quaranta minuti e nemmeno sono bastati!) non consentono di cogliere fino in fondo lo spettacolo del tutto particolare di fare i turisti stando sospesi nell'aria. Ma la nostra giornata non si conclude lì! Tornati con i piedi per terra, decidiamo di andare verso Trégastel alla ricerca di un parcheggio in cui sia consentita la sosta anche ai camper: con un po' di fortuna e senza troppa sofferenza infine lo troviamo. Lasciato quindi lì il camper andiamo a visitare le famose scogliere. Ancora una volta arriviamo sul posto con la bassa marea: ci troviamo davanti una vasta spiaggia ed un bel po' di gente dappertutto, intenta a prendere il sole ed a giocare con secchiello e paletta. Nuovamente camminando "sul fondo del mare" raggiungiamo infine la scogliera, in un punto che (l'abbiamo scoperto solo dopo) con l'alta marea diventa un grosso isolotto roccioso. In effetti quelle scogliere sono veramente particolari: inoltrandoci tra le grandi rocce tondeggianti ci troviamo subito in un paesaggio surreale di linee curve come sculture di Henry Moore, fatte con una pietra ruvida di una spiccata tonalità rosa, accentuata dal sole delle cinque del pomeriggio in un cielo senza una nuvola. Alle solite, ci sbizzarriamo a lungo ad esplorare quello strano paesaggio, tanto che alla fine ci troviamo costretti ad una ritirata strategica davanti all'avanzare della marea. Unico brutto neo di quel posto magnifico è la traccia nera lasciata sul rosa delle rocce dal petrolio fuoriuscito nel naufragio della Amoco Cadiz, avvenuto più di 23 anni prima del nostro passaggio da quelle parti. Come si vede nella cartina a lato, la marea nera andò ad invadere un'enorme estensione di costa bretone e tuttora in vari punti restano le tracce di quel disastro. Finalmente soddisfatta la nostra voglia di granito rosa, torniamo al nostro campeggio giusto in tempo per cenare ed avventurarci nuovamente sulla scogliera, ma questa volta più che per vedere il tramonto ci andiamo proprio per divertirci allo spettacolo dei marosi, giocando a metterci il più vicino possibile al bordo delle rocce senza arrivare a farci bagnare dagli spruzzi e ridendo di gusto quando scopriamo di aver sbagliato le misure! 23/8/01 - Dall'Île-Grande a Mont Saint MichelPurtroppo anche le cose belle prima o poi finiscono ed ormai è ora di tornare verso casa. Prima però ci riserviamo un'ultima tappa degna di nota, come una specie di gran finale: Mont Saint Michel. Per arrivare fin lì dall'Île-Grande, però, la strada è tanta e di conseguenza quasi tutta la giornata va dedicata al trasferimento: abbiamo solo la possibilità di seguire un percorso un po' più panoramico rispetto alla strada diretta e di spendere un paio d'ore a visitare qualcosa. Nella scelta fra Saint Malo e Dinan optiamo per quest'ultima, con la solita speranza di poter tornare a vedere l'altra in futuro. Il nostro percorso quindi ci porta direttamente fino a Saint Brieuc, dove abbandoniamo la rapida ma monotona superstrada e proseguiamo lungo la costa verso Cap Fréhel, a vedere l'ultimo faro del nostro giro della Bretagna. Purtroppo, un po' forse per la fretta ed un po' forse per la folla, la visita del grande promontorio e del faro (l'unico nel quale siamo entrati in tutto il nostro viaggio, purtroppo) finisce per essere piuttosto breve, affrettata e tutto sommato deludente. Viene decisamente meglio la visita di Dinan: infatti questa è una cittadina dotata di un bel centro storico di epoca medioevale, cinto da una cerchia completa di mura che racchiudono pittoresche stradine fiancheggiate da antiche case a graticcio. Per la verità, c'è una discreta folla ma per fortuna l'animazione non giunge a superare il nostro livello di guardia e quindi ci concediamo una lunga passeggiata con il naso all'aria. Ripreso infine il viaggio, anche se la distanza fra Dinan e Mont Saint Michel non è molta quell'oretta di viaggio la passiamo con l'impazienza di arrivare a destinazione e di vedere finalmente quel luogo tanto famoso. Abbastanza istintivamente ad un certo punto iniziamo a guardare nella direzione in cui dovrebbe trovarsi l'isola e finalmente la vediamo: in lontananza ed attraverso la foschia ci appare come l'immagine indistinta di una piramide sormontata da un'alta cuspide, ma senza alcun dubbio è lei! Giungiamo in zona e ci mettiamo alla ricerca di un campeggio, anche perchè abbiamo ormai urgenza di vuotare il serbatoio delle acque nere, ma non riusciamo a trovarne nessuno soddisfacentemente vicino all'inizio della striscia di terra che collega l'isola alla terraferma. Ci spingiamo fino a Mont Saint Michel stessa, dove la strada termina e non si può far altro che tornare indietro, ma senza successo. Finalmente, per pura fortuna scoviamo quasi per caso un camper service e risolviamo così il problema immediato dei serbatoi: resta da risolvere quello di trovare il posto per pernottare. Il problema è che non ci sono campeggi ragionevolmente vicini all'isola e dopo aver alquanto discusso finiamo per decidere, pur avendo la batteria di bordo agli sgoccioli, di prendere posto insieme ad una moltitudine di altri camper in un parcheggio proprio all'inizio della strada rialzata che porta all'isola. Dopo cenato decidiamo di andare a vedere il tramonto e ci incamminiamo così per un tratto lungo la strada sopraelevata che porta a Mont Saint Michel. Naturalmente, dato che un passo tira l'altro, finiamo per arrivare all'isola: a quel punto varchiamo la pusterla nelle mura ed entriamo nel borgo che sorge ai piedi dell'abbazia che troneggia sulla parte alta della collina. Ci troviamo subito nel bel mezzo di un classico luogo turistico di massa, con la sua unica strada fiancheggiata da ristoranti di tutti i tipi e da botteghe acchiappa-turisti. Anche a quell'ora tarda c'è ancora molto movimento in giro e quasi tutte le botteghe sono ancora aperte. Soddisfatti per quella prima presa di contatto con Mont Saint Michel, dopo una mezz'ora di esplorazione ci incamminiamo verso il lontano camper e ci troviamo a percorrere il paio di chilometri di strada priva di illuminazione all'incerta luce della torcia elettrica che Daniela ha avuto la preveggenza di portare. Ma l'indomani promette di essere una giornata faticosa! 24/8/01 - Mont Saint MichelAl mattino ci ritroviamo immersi in un nebbione padano. Dopo una rapida preparazione ci spostiamo nel parcheggio riservato ai camper presso le mura dell'abbazia: naturalmente, si tratta comunque del più lontano fra tutti i parcheggi disponibili! L'isola ci accoglie ancora avvolta nella nebbia che stenta a dissiparsi e che dà all'antica costruzione un aspetto molto suggestivo. Appena scesi dal camper notiamo subito un minaccioso cartello che mette sull'avviso gli incauti circa la possibilità concreta di trovare il proprio veicolo a mollo qualora non provvedessero a ritirarlo entro un determinato orario: infatti il mare non attende e quando la marea monta tutti i parcheggi disponibili finiscono sott'acqua... Prudentemente ci siamo mossi per tempo, nella speranza di anticipare il grosso dei visitatori ed in effetti l'attesa alla biglietteria per poter entrare è abbastanza breve. A dimostrazione di quanto il nostro calcolo fosse esatto, quando alla fine del giro torniamo nella zona della biglietteria per restituire le audioguide troviamo il caos totale: devo dire che è con una certa soddisfazione che fendiamo la folla in paziente attesa nell'atrio echeggiante di voci, noi che invece abbiamo già completato senza fretta e senza confusione la nostra visita! L'abbazia è una grande costruzione molto articolata che copre l'intera sommità della ripida collina che costituisce l'isola. Come sempre succede in strutture così complesse, anche in questo caso la realizzazione del vasto edificio si svolse in varie fasi successive attraverso i secoli, dall'Alto Medioevo in poi, fino alla decadenza ed al riutilizzo della struttura come carcere durante la Rivoluzione. Se non altro, nel caso di Mont Saint Michel in tal modo si ottenne la preservazione dell'edificio, che ebbe così modo di giungere a noi senza aver subito danni eccessivi, seppur ormai privo di arredo. A mio avviso Mont Saint Michel merita ampiamente una visita: il pregio architettonico di molte sue parti, la sua lunga storia ed il buono stato di conservazione ne fanno una tappa irrinunciabile di un viaggio in Bretagna o in Normandia. Tuttavia, al contrario di quanto certuni pensano, non ritengo che di per sè giustifichi il viaggio fin laggiù: per quanto pregevole possa essere l'abbazia, non riesco a liberarmi dall'impressione che buona parte dell'attrattiva del posto sia in realtà soprattutto legata alla sua collocazione geografica, con le spettacolari maree, le suggestive nebbie mattutine e lo sconcertante paesaggio che rimane a circondare l'isola quando il mare si ritira. Una volta ultimata la visita dell'abbazia, indugiamo a pranzare ed a guardarci intorno nel piccolo ed angusto borgo sottostante. Pur essendo abbastanza chiaramente originale dell'epoca e nel complesso abbastanza pregevole, per via della folla e delle innumerevoli botteghe il visitatore finisce per ricavarne la spiacevole sensazione di trovarsi nella solita località acchiappa-turisti. Insomma, come altri posti incontrati durante il nostro giro, anche Mont Saint Michel mi suscita il desiderio, purtroppo poco realizzabile, di tornarvi per una visita in bassa stagione. Insomma, verso le quattro del pomeriggio abbiamo comunque ultimato la visita e torniamo verso il camper: purtroppo quello è davvero il momento in cui il viaggio di ritorno ha inizio. Puntiamo il muso verso sud-est ed un po' a malincuore prendiamo la direzione che alla fine ci riporterà in Italia e, quel che è peggio, alle nostre incombenze quotidiane. Dopo aver viaggiato per un paio d'ore decidiamo di metterci alla ricerca di un campeggio, cosa che finisce per rivelarsi meno facile del previsto. Alla fine però riusciamo a scovare dalle parti di Laval una fattoria dove fanno agriturismo e ci installiamo lì, in un delizioso posto gestito da una coppia di cordiali contadini di mezz'età che, tra l'altro, producono un eccellente sidro artigianale! 25-26/8/01 - Da Mont Saint Michel a casaIl viaggio di ritorno si svolge senza storia, in un caldo infernale che il vecchio motore rumoroso e mal coibentato del camper rende ancora più infernale, attraverso l'ondulata, bella, placida e tremendamente monotona campagna francese. Facciamo tappa nel campeggio comunale di La Palisse, località famosa per l'omonimo marchese elevato dalla tradizione al rango di principe dell'ovvio, ed il secondo giorno ci troviamo nuovamente a combattere con l'attraversamento di Lione, che al pari del viaggio d'andata si rivela città dalle indicazioni stradali piuttosto carenti. Superata la città il panorama si fa finalmente più variato man mano che ci avviciniamo alle Alpi ed anche la temperatura diventa più gradevole. Fin troppo, in realtà! Al Frejus troviamo un'aria decisamente fresca, ma in compenso non troviamo praticamente traffico al passaggio del tunnel. Ormai esasperati per l'interminabile percorso continuiamo sull'autostrada, passiamo Torino e ci dirigiamo verso Milano in un traffico via via in aumento per il rientro domenicale, comunque mai tale da creare problemi, ed in tarda serata arriviamo a casa, stressati dal viaggio ma pienamente soddisfatti della nostra vacanza estiva. Le rumorose fusa e le manifestazioni di contentezza di Kyra, la nostra dolcissima gatta, ci dicono che almeno lei è veramente contenta che la nostra vacanza sia finita!
Per finire, cliccando qui sopra è possibile vedere una breve rassegna (dura poco più di due minuti) di immagini raccolte qua e là lungo il nostro percorso attraverso la Bretagna: la cosa veramente difficile è stata quella di sceglierle fra le circa ottocento foto scattate durante quelle due settimane! Alla prossima!!! |