Le rozze
scimitarre degli Orchetti battevano rabbiosamente contro i tondi
scudi di quercia. Anche se privati della vita, quei maestosi alberi
donavano
al mondo un riparo dallo squallore dei volti degli assedianti. Delle
urla
rabbiose fuggivano rantolando dalle loro gole fetide, ma nemmeno queste
erano in grado di allentare la presa della volontà estranea
che dominava gli
Orchetti.
Tutti i dardi posseduti dagli avventori erano già stati scoccati.
A cosa
vale, però, gettare una piccola pietra in un fiume? Soltanto
ad incresparne
la superficie, di certo non ad arrestarne il corso. Ognuno all'interno
della
Locanda ne era consapevole. Le lame sfavillavano, reclamando sangue,
mentre
le menti erano assorte nella pressante necessità di trovare
una soluzione:
per quanto potessero essere valorosi ed abili, gli avventori erano
soverchiati nel numero. Tutte, forse, tranne quella di Mush. Nel silenzio
permeato dall'eco dell'avanzata degli Orchetti, lo strusciare della
mano del
Nano sul filo imperfetto della sua ascia appariva uno stridio
insopportabile. Eppure non s'arrestava e ad esso si unì ben
presto il
frusciare di qualche veste. Persino la pazienza dei conoscitori dell'arte
magica era venuta meno e con essa la possibilità di meditare.
La
concentrazione era inevitabilmente infrante dalle urla e dal rombo
dei passi
e dal tintinnio delle cotte di maglia e dal battito delle lame sugli
scudi.
Ogni dannato suono emesso dall'empia orda di esseri infernali s'era
fatto
troppo intenso per poter essere tollerato anche solo per un altro
istante.
La battaglia comunque non voleva attendere nemmeno per un altro momento
le
urla dei morenti ed lo scorrere sangue.
-Senti anche tu questo rumore, Legolas?- domandò Gimli,
l'orecchio teso e l'
espressione torva. Senza nemmeno dargli risposta, l'Elfo iniziò
a correre
quanto più velocemente gli era possibile, tanto che il Nano
dovette gridare
più volte per indurlo ad attenderlo.
-Le hai udite tante volte e ancora non le riconosci?- chiese poi
il
Verdefoglia al compagno, senza interrompere la propria avanzata:
-Sono urla
di battaglia e giungono dai pressi della Locanda-
Imprecando sommessamente, il figlio di Gloin allungò il passo
e, udendo lo
scomposto tintinnare della sua bardatura, Legolas sorrise, dimentico
per un
istante della sventura che gravava su tutta la Terra di Mezzo. Non
passò
molto che l'Elfo poté avvistare il luogo prescelto dal Destino
per l'
imminente scontro: gli Orchetti avanzavano rapidi e disordinanti
brandendo
chi una lama, chi una clava, chi una torcia. L'arciere poteva già
sentire il
fumo invadere le sue narici in un effluvio soffocante. Si trattava,
però, di
meri pensieri di sventura. Scacciandoli dalla propria mente, Legolas
imbracciò la propria arma prediletta, Gimli era già
al suo fianco. Poi una
freccia sibilò nell'aria prima di conficcarsi nella schiena
di uno degli
Orchetti che reggeva una torcia Subito un piccolo gruppo di essere
immondi
si scagliò contro di loro e, mentre brandiva la propria ascia,
il Nano poté
udire l'Elfo sussurrare con una voce dura e tagliente che non era
la sua:
-Legolas Verdefoglia l'Elfo- un dardo portò la morte ad uno
dei loro
avversari.
-Figlio di Thranduil di Bosco Atro- e così fu di nuovo.
-Principe dei Sindar- un altro corpo cadde senza vita prima ancora
di
raggiungere Gimli. A quest'ultimo bastarono due colpi secchi e ben
sferrati
per concludere l'opera del compagno. A quel punto il Verdefoglia
concluse
rivolgendosi ad un cadavere con un inchino derisorio:
-Al vostro servizio-
L'arciere, il capo ancora chino, poté udire distintamente
il crepitare di
una fiamma. Incredulo, si ricompose ed il vento gli accarezzò
il volto con
un ondata di calore. Una torcia poteva aver facilmente dato vita
al fuoco,
cadendo nella radura dinanzi alla Locanda, ma com'era possibile
che le
lingue ardenti ruggissero dopo pochi istanti, già divenute
inarrestabili?
Poi il figlio di Gloin indicò l'edificio di legno e pietra
che erano giunti
a difendere e Legolas trovò risposta nella figura austera
dello Straniero e
in quella oscura dell'Elfo Rinnegato di nome Railos. Le mani dei
due erano
tese e sembrava che conducessero le fiamme a proprio piacimento,
con fili
invisibili agli occhi di chi non conosce i segreti della magia.
Il fuoco
stava per serrare il proprio anello intorno alla Locanda. Come ad
un
segnale convenuto, i due compagni di viaggio si divisero e cominciarono
a
correre nelle due direzioni opposte, nel tentativo di raggiungere
i propri
compagni attraverso le fiamme. Le corte gambe del Nano, però,
lo costrinsero
ad attardarsi e, mentre Legolas già si apprestava a balzare
oltre il muro di
fuoco, si ritrovò incalzato da tre Orchetti. Allora Gimli
si voltò con un
grido: mai un Nano sarebbe fuggito da esseri tanti abietti. Così
brandì
furiosamente l'ascia per poi abbatterla sul primo. Atterriti dalla
sorte del
proprio compagno, gli altri due si dimostrarono più cauti
e, approfittando
della stanchezza del Nano, lo attaccarono contemporaneamente. L'acciaio
del
guerriero nanesco troncò la testa del primo, ma la spada
ricurva del secondo
passò al di sotto della sua guardia, ferendolo al ventre.
Scorgendo appena
la scena tra l'ombra verde gettata dal proprio manto, che sembrava
animarsi
sotto la sferza del vento, l'Elfo sguainò il lungo pugnale
candido che lo
accompagnava da tante lune e si lanciò in soccorso dell'amico.
Così
interruppe la risata macabra dell'Orchetto tagliandogli la gola
con un solo,
fulmineo, gesto. Infine si caricò sulle spalle il Nano e
si trascinò verso
la Locanda che, fortunatamente, non era distante che pochi passi.
Sentì una
freccia trapassare il proprio mantello e un impulso irrefrenabile
di ridere
dell'incapacità di quell'arciere si fece strada in lui. Non
ebbe, però, modo
di ottenere uno sfogo: l'Elfo spiccò un balzo, fendendo le
fiamme che lo
serrarono in un abbraccio ardente. Riuscì infine a superare
l'ostacolo,
pagando come dazio soltanto qualche bruciatura sulle braccia e sul
candido
mantello che lo avvolgeva. Una volta giunto in mezzo agli altri
avventori,
ebbe soltanto la forza di scivolare da sotto il Nano e di rivolgere
un breve
inchino ed un sorriso stanco a tutti loro; stentando persino a riconoscerli.
Legolas
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