Fazello scopre nel Cinquecento i siti archeologici di Segesta e Selinunte

Dalla caduta dell'Impero Romano al Cinquecento tutte le dominazioni che si sono succedute nella Sicilia Occidentale dai Goti di Teodorico fino agli Aragonesi hanno distrutto per motivi religiosi tutte le tracce delle antiche civiltà greca e romana, che erano transitate in questo angolo della Sicilia, abbattendo costruzioni, bruciando documenti e cancellando la memoria di un passato splendido. Per questo non ci sono pervenute le preziose opere di Diodoro Siculo, che dai pochi frammenti risulta avere trattato ampiamente la storia antica della Sicilia Occidentale. Per questo risultano lacunose le storie dei grandi scrittori greci e romani, quando mostrano di voler parlare delle vicende delle città antiche della provincia di Trapani. Sembra che in questo lungo periodo ci sia stato un complotto della cultura dominate per lasciare le dimenticatoio della storia la splendida civiltà che si era sviluppata in questo crocevia di gente che veniva da tutte le parti del Mediterraneo dalla preistoria alla dominazione romana. Solo al poeta Virgilio dobbiamo il merito letterario della un racconto dell'importanza della nostra Erice, che diede ospitalità ai giochi del padre di Enea il fondatore di Roma. Nel Quattrocento con l'Umanesimo si ha a Firenze e a Roma il fenomeno della ricerca, della trascrizione e dello studio dei manoscritti antichi, ma purtroppo il danno nei confronti della Sicilia occidentale è stato perpetrato. Se nulla emerge dai documenti degli eventi ,della religione e dei costumi delle nostre popolazioni antiche, solo i resti delle città sepolti sotto cumuli di i macerie possono parlare alle generazioni future.

Il primo che si occupò di questi resti fu Tommaso Fazello, domenicano di Sciacca, considerato precursore insuperato delle ricerche di topografia storica ed archeologica, che alle lezioni sulla Bibbia presso lo Studio palermitano dei suoi confratelli alternava le ricerche d'archivio e lo studio dei luoghi: con la tecnica di Erodoto studiava la Sicilia fisica quale teatro della sua storia, dalla notte dei tempi all'abdicazione di Carlo V, suo contemporaneo. Ed all'imperatore dedicò la prima edizione, in latino, del “De rebus siculis decades duae”, che esce a Palermo nel 1558, seguita, 16 anni dopo, da una edizione in lingua toscana stampata da una tipografia di Venezia. Con introduzione, traduzione e note di Antonio De Rosalia e Gianfranco Nuzzo; con ricerche iconografiche di Maria Giuffrè; con consulenza fotografica di Melo Mennella; il tutto ulteriormente impreziosito dalla presentazione di Massimo Gangi: nel 1990 una tipografia palermitana ha stampato in due tomi, tradotta in lingua italiana, l'opera dello storico di Sciacca, a coronamento della meritoria iniziativa dell'Istituto di storia moderna della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Palermo in collaborazione con i “Beni Culturali” della Regione. Quasi tutte le biblioteche comunali siciliane sono state arricchite con i due tomi, a descrizione del litorale da Bonagia a Scopello. Lo storico effettuò quattro giri completi dell'Isola, coste e retroterra. Uno dei suoi obiettivi era di individuare con certezza il sito di tre antiche città non più risorte: la greca Selinunte, la elima Segesta e la punica Mozia. Durante i quattro soggiorni nella valle sanvitese gli narrarono la leggenda di Cunturrana, distrutta da una valanga di massi provocata da intervento divino per salvare dalla persecuzione il giovanissimo santo Vito, la sua nutrice Crescenzia ed il precettore Modesto che qui si erano rifugiati in seguito a naufragio. Perciò Fazello smentì che Cunturrana potesse essere Segesta, della quale indicò, se l'esatta ubicazione alle falde del monte.

Per l'ubicazione di Selinunte ebbe furiosa polemica, lui di Sciacca, con uno storico di Mazara, Gian Giacomo Adria. E vinse, seppellendo di contumelie l'avversario, reo, a suo dire, di falso: per campanilismo, con l'equazione nuova Mazara eguale vecchia Selinunte (distanziati in effetti da parecchi chilometri di arenili e scogliere, con in mezzo il C apo Granitola).

 

Per la Mozia distrutta dai siracusani il Fazello aveva pensato a qualche approdo del golfo di Castellammare, in particolare all'Isola delle Femmine o alla vicina Sferracavallo, ma anche a Capo San Vito: e qui fece infruttuose ricerche, soggiornando ospite del Santuario. Se gli sterratori del grande storico di professione guardando il golfo verso est non risolsero il mistero, trecento anni dopo vi riuscirono, accidentalmente, i vignaioli del Witaker, scavando ad una trentina di chilometri a sud ovest della valle col Santuario, per arricchire con zucchi di zibibbo ed inzolia le isolette dello Stagnone marsalese.