Tratto dal libro "Psicologia degli adolescenti e dei giovani" di Gérard Lutte





Capitolo undicesimo

La devianza







       La creazione dell'adolescenza nelle società industriali si è accompagnata, come già abbiamo visto, all’elaborazione di una legislazione speciale che sanziona la subordinazione maggiore dei giovani e all'instaurazione di istituzioni repressive quali i tribunali, le carceri, le case di rieducazione per minorenni. Allo stesso tempo nasce il concetto di delinquenza giovanile che designa in particolare i comportamenti dei giovani delle classi popolari che rifiutano la condizione di maggiore emarginazione ora imposta agli adolescenti [Gillis 1974; Kett 1977].

       Per capire l'adolescenza è quindi necessario interrogarsi sul significato del comportamento deviante e delinquente dei giovani ed esaminare le forme di controllo sociale, su di essi affidate agli apparati repressivi dello stato. Affronteremo questo problema in generale trattando della delinquenza e in particolare esaminando il fenomeno contemporaneo della tossicodipendenza giovanile. Anche in questo campo le nostre conoscenze sono ancora frammentarie. Se, ad esempio, non mancano gli studi sui tribunali e le carceri per minorenni, il ruolo della polizia nel controllare i giovani è stato poco approfondito. Inoltre molti studi sulla devianza giovanile non sono inseriti in una prospettiva globale dell' adolescenza necessaria per capirne in profondità il significato.



1.    I comportamenti fuori legge


       I comportamenti fuori legge degli adolescenti sono stati studiati secondo due ottiche contrapposte che possiamo riassumere nel modo seguente: per un verso la delinquenza giovanile è stata configurata come un comportamento patologico emergente nelle società industriali e post-industriali, derivante da cause sociali familiari e individuali, e al quale si tenta di rispondere con istituzioni, servizi e interventi finalizzati non solo a punire e reprimere ma anche a prevenire e recuperare. Sull'altro versante la devianza giovanile è stata considerata non come un fenomeno reale ma come un modo di razionalizzare e gestire l’emarginazione dei giovani, come forma di controllo e di repressione nei loro confronti, particolarmente di quelli delle classi subalterne. In questo capitolo tenteremo di fare una sintesi tra gli elementi che ci sembrano più validi in questi due orientamenti considerando da una parte il comportamento fuori legge dei giovani come complessa espressione di soggettività, come agire comunicativo che può essere reso intelligibile e che può esprimere non solo il disagio legato alla marginalità giovanile ma anche problemi specifici di categorie di giovani e significati legati alle storie individuali. D'altra parte tenteremo di capire come la definizione e la costruzione sociale della devianza e la sua repressione contribuiscono a mantenere i giovani in una condizione di arginalità e subalternità.



L'illegalità sommersa

       Ricerche e informazioni provenienti da varie fonti concordano nell'affermare che più del 90% dei comportamenti fuori legge dei giovani rimangono sconosciuti dalla giustizia e non compaiono nelle statistiche ufficiali [Censis 1982; Hulsman 1983]. Inoltre, il 10% conosciuto non è rappresentativo dell'universo della delinquenza perché vi risultano sovrarappresentate le categorie giovanili più marginali, meno protette dalla famiglia, dalla scuola e dal lavoro e più a contatto con la polizia - ossia i giovani delle classi popolari, mentre vengono sottorappresentate le fasce giovanili più integrate nella società, più protette dalle istituzioni, meno visibili e controllate. Le statistiche ufficiali quindi danno informazioni non tanto sulla realtà della delinquenza giovanile quanto sulle categorie giovanili maggiormente sottoposte al controllo sociale di tipo penale [De Leo 1981; 1983].

       Molte ricerche sperimentali sulle differenze tra giovani delinquenti e gli altri sono viziate perché considerano i giovani incarcerati come rappresentativi dell'universo delinquente e quelli che non hanno mai avuto l'esperienza del carcere come rappresentativi della popolazione non delinquente. Entrambi questi assunti risultano falsi e tali ricerche rischiano di dare un'apparenza scientifica a stereotipi sociali appunto perché riproducono il processo selettivo operato dal controllo penale [Chapman 1968].

       La decimazione selettiva dei giovani che compiono atti illegali permette di intravedere una delle funzioni di questa repressione. Non è infatti possibile arrestare, condannare e imprigionare tutti i giovani che, in qualche momento della loro esistenza infrangono la legge; tutti gli stadi di un paese sarebbero insufficienti per contenerli. Un numero limitato di arresti e di condanne può avere una funzione esemplare e costituire cosi un avvertimento indirizzato a tutti i giovani perché il comportamento fuori legge venga contenuto in limiti sopportabili per la società. Si può capire allora perché nei tempi «normali» la repressione colpisca maggiormente i giovani più esclusi, come i sottoproletari o gli immigrati, ossia quelli che hanno più interessi a infrangere le norme sociali che li emarginano, mentre nei tempi di contestazione studentesca essa si estende a un maggior numero di giovani della classe media borghese [Lutte 1984a].

       L'esperienza dell'arresto, del giudizio, del carcere, non è senza conseguenze sullo sviluppo dei giovani.. Può mettere in moto un «meccanismo perverso che potrà condurre all' attribuzione dell'identità di delinquente. Etichettato come tale ci si attenderà dal giovane un comportamento deviante, si interpreterà in questa prospettiva tutto quello che dirà o farà, e, se verrà mandato in prigione, vi apprenderà i valori e le tecniche corrispondenti alla nuova personalità accollatagli» [Lutte 1984a]. Esistono quindi differenze all'interno dell'universo dei giovani che compiono atti illegali a seconda del fatto che vengano o meno imprigionati, nel senso che i secondi hanno maggiori probabilità di condurre una vita da «delinquenti». Cosa distingue un giovane che viene arrestato da un altro? Se escludiamo per ora l'importante selettività, già segnalata, legata alla classe sociale, si può pensare che è in gran parte la sfortuna, il caso. Sfortuna che può abbattersi anche su giovani che non hanno fatto nulla di riprovevole e che vengono arrestati e talvolta anche condannati, ciò che sembra verificarsi soprattutto nei tempi di contestazione di massa [Lutte 1984a]. In tal caso la repressione manca il suo bersaglio concreto ma conserva il suo carattere esemplare.



Il significato della devianza dei giovani

       Il Censis 11982] ha tentato di delineare una mappa delle varie forme di devianza minorile emergenti in Italia, considerando anche il fenomeno sommerso, e di interpretarle nel contesto dell'evoluzione della società italiana. I comportamenti fuori legge più diffusi tra gli adolescenti sono:

1) il consumo e lo spaccio di sostanze stupefacenti che ha raggiunto la più estesa espansione nelle zone urbane metropolitane ma si diffonde anche nei piccoli centri;

2) varie forme di vandalismo, nelle scuole, nei parchi, contro le auto e le cabine telefoniche, nei cinema, durante i concerti e le manifestazioni sportive. Questo fenomeno è diffuso particolarmente nelle metropoli;

3) fra i reati più tradizionali rimangono prevalenti quelli contro l'economia e il patrimonio, soprattutto nelle città meridionali: si va dai fenomeni prevalentemente sommersi dell' abusivismo e del contrabbando a quelli tradizionalmente più perseguiti del piccolo furto e dello scippo;

4) tra i reati contro la persona, meno frequenti, sono rilevanti quelli connessi al sesso: prostituzione e, in minor misura, aggressioni carnali.

       Gli studiosi del Censis vedono in questa vasta devianza sommersa dei giovani il «paradigma simbolico» delle difficoltà di comunicazione tra il mondo degli adulti e quello dei giovani. I comportamenti fuori legge esprimerebbero in particolare:

1) l'aggressività contro la società degli adulti, sentita come distante, poco disponibile e attenta;

2) un disadattamento sociale e un disorientamento individuale;

3) tendenze spontanee e comportamenti ludici, dissacranti, spericolati, spensierati per incertezza, apatia e mancanza di canali sociali di espressione;

4) un esasperato bisogno di protagonismo e di confronto e competitività tra coetanei e con il mondo degli adulti.

       In particolare, il significato simbolico del vandalismo potrebbe essere:

1) una contestazione indiretta della politica sociale nelle scuole, negli spazi pubblici, nello sport, nello spettacolo, ecc.;

2) l'indifferenza verso i beni materiali di consumo e una reazione esemplare verso una società satura di valori materialistici ed economistici ma carente di risposte ai bisogni di relazione e di partecipazione individuale e collettiva.

       Buona parte dei comportamenti devianti dei giovani potrebbe quindi esser interpretata come reazione alla loro condizione di marginalità e al crescente degradarsi della loro condizione. Ma sarebbe utile indagare, oltre a questo significato generale, i significati specifici che il comportamento illegale assume in funzione di diversi gruppi di giovani (i maschi e le femmine, quelli di diverse classi sociali) e quelli individuali, legati alla singolarità di ogni storia di vita.

       Un gruppo di studiosi dell'università di Oxford [Marsh e altri 1978] ha tentato di capire dall'interno il mondo sociale dei tifosi ,che compiono atti di violenza e l'universo simbolico in cui acquistano un significato. Hanno trovato che le azioni violente avvengono in contesti nei quali i giovani cercano di dare un ordine alle loro esperienze. Essi osservano delle regole e si preoccupano della loro reputazione e dal loro status nel gruppo di appartenenza. La massa e i gruppi di giovani, nella scuola e negli stadi, non esprimono una violenza disordinata, meccanicamente reattiva, gratuita ma producono situazioni complesse nelle quali 1'aggressività è per lo più ritualizzata in forme simboliche che hanno un significato di comunicazione, di competizione, e di conflitto tra individui e gruppi. Questa forma di violenza, affermano gli autori inglesi, è specialmente utile e comunque inevitabile nelle nostre società. Tuttavia essa può degenerare, diventare incontrollata e produrre morte soprattutto quando entra in relazione con forme violente e ottuse di controllo. L'ordine dell'aggressività ritualizzata, osservano, «viene continuamente minacciato quando magistrati e polizia si rivolgono ai tifosi trattandoli come animali e selvaggi e quando gli insegnanti si lasciano coinvolgere in processi di umiliazione e spersonalizzazione sistematica dei loro allievi».

       I comportamenti devianti possono quindi esser letti come forme di agire comunicativo dotato di significati simbolici, di regole, di funzioni legate alla mancanza di status indipendente che caratterizza l'adolescenza e alle conseguenti relazioni con i gruppi di coetanei e con le istituzioni sociali.

       De Leo e collaboratori [1986] studiando con un metodo clinico il significato di omicidi compiuti da adolescenti hanno evidenziato che queste azioni violente hanno dimensioni comunicative, ossia costituiscono messaggi. L’azione violenta ha varie funzioni. Ha una funzione di autorappresentazione, in quanto comunica a sé e agli altri un'identità. Propone e contiene schemi di relazione interpersonale non solo con la vittima ma anche con il gruppo di appartenenza, la famiglia, i pari, le istituzioni. Ha anche una funzione di sviluppo nel senso che sembra esprimere esigenze di cambiamento della personalità dell' autore e nelle relazioni con gli altri nella coppia, la famiglia, il gruppo, le istituzioni.



Il controllo sociale

       Il controllo sociale sui giovani non è statico ma cambia e diventa sempre più complesso, sfumato, articolato man mano che aumentano la complessità ,e la differenziazione sociale. La giustizia minorile dal XVIII secolo in poi è caratterizzata da un progressivo aumento di norme, leggi, progetti di riforma per i minori vagabondi, abbandonati, discoli, traviati, in condizione di pericolo morale e sociale, delinquenti, disadattati, irregolari della condotta e del carattere. Secondo Platt [1975], la funzione dei tribunali per giovani negli Stati Uniti alla fine del secolo XVIII era di trasmettere i valori borghesi, di punire l'indipendenza «prematura» e il «disadattamento» dei giovani, di negare le loro capacità di iniziativa, di responsabilità e di autonomia, consolidando la loro condizione subalterna, particolarmente dei giovani delle classi popolari. Ciò era ottenuto tramite la criminalizzazione dei comportamenti autonomi dei giovani.

       Il sistema della giustizia minorile si è proposto come obiettivi la prevenzione della delinquenza e il recupero dei devianti con risposte ritenute adatte all' età e alla condizione specifica degli adolescenti. Tutti quelli che hanno studiato i risultati concreti, in Italia come all'estero, sono concordi nell'affermare che tali obbiettivi non sono stati né raggiunti e nemmeno avvicinati [Bandini e Gatti 1979; Dogliotti e altri 1977]. Le spiegazioni di questo fallimento sono varie: secondo alcuni, i mezzi istituzionali e operativi erano carenti e inadeguati a tali fini; altri hanno rinvenuto ostacoli nelle condizioni sociali, culturali e storiche o nella mancanza di volontà politica. De Leo [1981] invece è del parere che è stato raggiunto il vero obiettivo della giustizia minorile che era di esercitare un controllo sui giovani, particolarmente su quelli delle classi popolari e maggiormente emarginati, deprivilegiati e quindi maggiormente instabili conflittuali. Infatti la giustizia minorile in Italia ha prodotto soprattutto un aumento della quantità e delle forme sia. dei procedimenti e giudizi nei confronti del minorenni sia di istituzionalizzazione di questa popolazione sia infine di sapere «scientifico» e istituzionalizzato sui minori (osservazioni, relazioni, inchieste, perizie, ecc.).

       Dalla seconda metà degli anni Settanta il controllo sociale e penale dei giovani sta assumendo forme apparentemente nuove. Mentre le cifre sulla criminalità complessiva aumentano e la popolazione carceraria adulta è tornata a sovraffollare e a rendere ingestibili le istituzioni penitenziarie italiane, per quanto riguarda i minorenni si registrano invece sempre meno denunce e soprattutto meno detenzioni in carcere. Nel Lazio, ad esempio, erano circa 1.300 i ragazzi in carcere nel 1976 mentre etano meno di 500 nel 1984. Secondo De Leo [1983] questa tendenza non può essere capita che inquadrata nei processi di differenziazione del controllo sociale degli adolescenti. Si tenta cioè a far meno ricorso al controllo penale diretto, in particolare per i minori, mentre si stanno sviluppando nuove forme di controllo sociale. In modo schematico si potrebbe dire che questa tendenza sembra collegarsi: 1) a una perdita di credibilità e di legittimazione della giustizia minorile come istituzione deputata ad elaborare e a risolvere problemi di controllo, poiché non è riuscita ad affermarsi né come repressiva né come rieducativa e risocializzante;

2) all'emergere, dai primi anni Settanta in poi, dei problemi della tossicodipendenza e della lotta armata clandestina che ha modificato i processi di criminalizzazione e di controllo penale rendendo, fra l'altro, meno rilevante e allarmante, e quindi relativamente più tollerabile, il fenomeno della delinquenza minorile tradizionale;

3) alla progressiva dilatazione della fascia adolescenziale socialmente instabile, non integrata, problematica, il che ha prodotto uno spostamento verso l'alto dell' area dei «giovani bisognosi di controllo sociale rafforzato», la quale ora non coincide più con l'età minore ma con quella che inizia a 18 anni, come provano le statistiche sulla criminalità, la tossicodipendenza e la lotta armata clandestina;

4) alla ripresa, infine, di rinnovate e tenaci funzioni di controllo e contenimento da parte della famiglia, della scuola, della chiesa, dello sport, della cultura di massa in genere, che hanno tendenzialmente riproposto un rapporto di dipendenza dei giovani dalle istituzioni secondo caratteristiche oggi più complesse.

       In Italia, come nell'Europa occidentale e negli Stati Uniti, esiste un'notevole livello di consenso sull'idea che l'istituzionalizzazione come forma di controllo debba esser ridotta sempre di più e che possano esser incrementati altri modi per affrontare gli stessi problemi secondo modelli di volta in volta comunitari, sociali, assistenziali, educativi e terapeutici.

       La diminuzione del controllo penale non significa tuttavia una diminuzione del controllo sui giovani, il riconoscimento delle loro capacità di agire in modo autonomo e di partecipare alla gestione della società, ma consiste spesso in un cambiamento delle strategie istituzionali che mantengono le stessé funzioni di controllo in condizioni sociali che mutano quando addirittura non aumentano la manipolazione, la dipendenza e la marginalità dei giovani [De Leo 1981; Ceretti e Merzagora 1984]. In questo contesto, la delinquenza minorile come categoria istituzionale di criminalizzazione sarà probabilmente sempre più delimitata e orientata con una focalizzazione ancora più precisa che nel passato, a controllare devianze selezionate di fasce giovanili più visibili ed emarginate che sfuggono al controllo sociale non penale. Molti dati sembrano corroborare questa interpretazione: gli studenti della piccola e media borghesia che, dal '72 al '77, arrivavano con maggior frequenza al carcere minorile si stanno di nuovo diradando oggi che è scomparsa la contestazione studentesca di massa. Quell'istituzione torna cosi ad esser abitata quasi esclusivamente da ragazzi del sottoproletariato con «tradizioni» carcerarie e devianti, nonché da fasce di ragazzi sradicati dalla loro cultura e dalle istituzioni: zingari, ragazzi in fuga dalla provincia ai quali si aggiungono ora gli immigrati africani e asiatici e i nuovi nomadi. Il controllo penale sui giovani è tutt'ora caratterizzato da una forte ed iniqua selettività che prende di mira non una popolazione rappresentativa del fenomeno della delinquenza giovanile ma un'immagine faziosa e riduttiva della stessa.

       In quest'ultimo decennio sono state elaborate varie proposte di cambiamento del sistema della giustizia che indicheremo in forma schematica. La proposta più radicale, quella dell' abolizionismo, è stata formulata in Olanda e nei paesi scandinavi [Christie 1981; AA.VV. 1985]. Basandosi sul fatto che il controllo della devianza è selettivo, non rappresentativo, apparentemente disfunzionale anche rispetto ai propri obiettivi ufficiali, vari autori ritengono che debba esser abolito, secondo varie modalità che vanno dalla soppressione del solo carcere a quella di tutto il sistema penale, ipotizzando la gestione dei conflitti e delle devianze direttamente fra i protagonisti, con un intervento mediatore minimo da parte della giustizia nell'ambito del diritto civile. I critici di questa proposta ritengono che si tratti di un'utopia utile ma impraticabile, soprattutto per le forme di criminalità socialmente più pericolose, come, ad esempio, quella organizzata e quella economica.

       Vi sono poi varie ipotesi di riduzione del carcere e/o del sistema penale, in particolare per i minorenni, con la ricerca di garanzie e di tutela dei diritti per chi entra in contatto con la giustizia o con alternative alla pena detentiva e al processo penale [AA.VV. 1986].

       Prosegue inoltre la ricerca di modalità di intervento da parte degli enti locali, delle organizzazioni sociali, del volontariato, collocate prima, ai confini o dopo razione penale dello stato per prevenirla, ridurne gli effetti negativi, incrementare le potenzialità di socializzazione [Bandini e Gatti 1984].



2.    La tossicodipendenza


       Il fenomeno della tossicodipendenza giovanile è emerso come problema sociale rilevante a partire dagli anni Sessanta negli Stati Uniti e nell'Europa del Nord e nei primi anni Settanta in Italia, in periodo di alta conflittualità tra i giovani e il mondo degli adulti e le istituzioni. È opinione largamente diffusa che la tossicodipendenza è un problema che riguarda quasi esclusivamente gli adolescenti, opinione di nuovo corroborata dai dati statistici disponibili in particolare sui soggetti che fanno ricorso ai servizi pubblici e privati di assistenza ai tossicodipendenti.

       Lo studio della tossicodipendenza è utile per la comprensione dell'adolescenza in quanto aspetto oggi significativo della delinquenza giovanile. Tenteremo di capire come attraverso complesse operazioni la droga possa anche divenire uno strumento di controllo sociale sui giovani nonché il significato che assume per loro l’uso di sostanze stupefacenti.

       L'equazione tra tossicodipendente e giovane non è cosi evidente ed innocente come potrebbe apparire a prima vista ma è il risultato di un processo sociale condizionato tra l'altro dal modo in cui il problema droga è stato socialmente costruito e definito nelle società occidentali, dalla forma particolarmente riduttiva attraverso cui si è affermato e stabilizzato il concetto di tossicodipendenza o tossicomania nelle scienze umane e dalla particolare posizione, in senso sociale e simbolico, in cui i giovani si sono trovati e/o si sono posti in rapporto al problema della droga che si andava socialmente affermando e al mercato della droga che si andava organizzando. Cercheremo di indicare i passaggi più rilevanti del percorso che ha reso socialmente ovvia e scontata la correlazione tra tossicodipendenza e giovani.

       Il tema della tossicodipendenza è stato affrontato in due diverse prospettive. La prima, di tipo eziologico, cerca nelle condizioni sociali e psicologiche le cause dirette della diffusione della droga tra i giovani. Ossia alla domanda: «perché la droga ha colpito soprattutto i giovani?», si è risposto tentando di individuare fattori di rischio o fattori causali specifici dei giovani. La seconda, di tipo funzionalistico o costruttivistico, tenta di ricostruire i processi sociali e relazionali che hanno progressivamente prodotto il legame privilegiato fra droga e giovani nelle società industriali avanzate. In questa prospettiva, i fattori di rischio e quelli causali non sono concepiti come qualcosa di «dato», di «oggettivo» e di «necessario» ma come risultati di processi sociali selettivi che hanno investito l'area giovanile in quanto la più idonea e la più esposta per funzioni di ordine, di legittimazione e di consumo.



Gli adolescenti, soggetti ad alto rischio di tossicodipendenza

       Il modello causalistico, proprio della tradizione positivistica dominante nelle scienze sociali, ha proposto una formulazione del problema droga che può esser sintetizzata in questi termini:

a) la droga è una minaccia oggettiva che incombe in maniera crescente sulle società industriali avanzate;

b) la società, le classi, i gruppi e gli individui sono esposti in maniera differenziale a tale minaccia in rapporto alla loro vulnerabilità e predisposizione alla droga;

c) i «dati» dimostrano che l'area sociale maggiormente colpita dalle tossicomanie, al di là delle differenze di classe e di condizione economica e lavorativa, presenta un'omogeneità di tipo generazionale poiché va dall'inizio dell'adolescenza (13-14 anni) fino ai trent'anni e mostra la tendenza a dilagarsi in entrambi i sensi: verso un'ulteriore precocizzazione nella fanciullezza e verso un prolungamento oltre i trent'anni;

d) ciò significa che i giovani sono più. vulnerabili e predisposti alla droga, per cui si tratta di studiare i fattori responsabili di tale vulnerabilità in modo da poter prevenirla oltre a curare e riabilitare quelli che ne sono rimasti vittime.

       Questa definizione del problema è stata accettata come scontata per cui eserciti di ricercatori, studiosi, saggisti, operatori, giornalisti, hanno prodotto un'enorme quantità di ipotesi e di «verifiche» sulle cause individuali, familiari, sociali e culturali della tossicodipendenza giovanile.

       Questo filone di ricerca ha individuato vari livelli di vulnerabilità che indicheremo in modo schematico:

1) livello individuale: sono state proposte tipologie di personalità predisposte all'uso della droga, carenze e disarmonie di sviluppo [AA.VV. 1974; De Maio e altri 1976; Cancrini 1982];

2) livello familiare: alcuni autori ricercano le cause o i fattori che facilitano la tossicodipendenza o, in generale, nella crisi della famiglia o in particolari tipi di relazione o di sistemi familiari che producono invischiamento tra genitori e figli, difficoltà di svincolo. In questo caso la tossicodipendenza è una delle forme sintomatiche e devianti possibili [Cancrini e altri 1977; Ermentini e Verdicchio 1976; Cancrini 1980];

3) livello sociale: viene messo in risalto il rapporto tra aspetti della marginalità giovanile e il rischio di tossicodipendenza [Barbero Avanzini 1978; Solivetti 1980; Balloni e Guidicini 1981];

4) livello culturale: viene colta una sorta di affinità culturale fra droga e universo simbolico dei giovani sia per effetto del consumismo con la mitizzazione e feticizzazione dei farmaci sia, più generalmente, perché le controculture e sottoculture giovanili favorirebbero 1'assunzione di sostanze stupefacenti [Roszak 1971; De Leo 1978; Balloni e Guidicini 1981];

5) livello plurifattoriale: vari autori attribuiscono la tossicodipendenza a una Costellazione dei fattori sopramenzionati: alcuni, ip modo semplicistico, li sommano; altri, in modo più raffinato, propongono una sintesi o un ordine genealogico o anche una specificazione caso per caso.



Gli adolescenti come area ad alto rischio di controllo attraverso la droga

       Il modello funzionalistico e costruttivistico parte dal presupposto che 1'equazione tossicodipendenza-giovani, presente nello schema eziologico, non sia scontata e tenta di capire perché è emersa. In modo di nuovo schematico indicheremo due versioni di questo approccio:

1) la versione funzionalista radicale, prevalente negli anni Sessanta e nei primi del Settanta, nega che la droga sia una minaccia oggettiva che colpisca in maniera preferenziale i giovani a causa della loro maggior vulnerabilità. Ossia la tossicodipendenza non sarebbe il risultato dell'incontro fra un fenomeno oggettivo - la droga - e una predisposizione, una fragilità non meno oggettiva - quella dei giovani - ma di un fenomeno «inventato» e attivamente «prodotto», nelle società capitalistiche sia per gli enormi interessi economici che la droga consente e che il capitalismo internazionale utilizza [Lamour e Lamberti 1973] sia per le vaste potenzialità di controllo sociale che la droga permette di esercitare sui giovani percepiti dalle classi dominanti come portatori di disordine, di dissenso e di cambiamento [Blumir 1973; Szasz 1977; Arnao 1979; Scanagatta e Noventa 1981].

       La droga quindi si diffonde in perfetta coerenza con la logica del mercato capitalistico in quanto merce che ha probabilmente la più alta capacità di profitto che si conosca. Il potere inoltre ha scoperto che la droga gli è utile a fine di controllo e di creazione del consenso.

Alcuni ritengono pure che l'offerta massiccia di droghe leggere e pesanti ai giovani e la criminalizzazione del loro uso, sia il risultato di un complotto internazionale contro i giovani considerati pericolosi per l'ordine costituito. Sembra fantascienza. Eppure alcuni fatti consentono di ritenere non del tutto inverosimile l'ipotesi, se non di un complotto organizzato dagli specialisti della lotta contro la sovversione quanto meno di una complicità dei poteri costituiti. Non ci si può scordare infatti l'uso che i servizi segreti degli Stati Uniti hanno fatto dell'eroina per spingere all'autodistruzione alcuni membri dell'organizzazione rivoluzionaria «Pantere nere» e soprattutto si deve constatare l'assenza di un efficace piano internazionale inteso a frenare e a controllare - fornendo i necessari risarcimenti - la produzione di oppio e a combattere i trafficanti di droga con la stessa determinazione con cui si combattono i «terroristi» [Lutte 1984a; cfr. anche De Angelis 1981].

       In questa prospettiva alcuni pensano di poter trovare una coincidenza tra l'intensificazione della lotta contro i trafficanti di droga negli anni Ottanta e la scomparsa di movimenti di contestazione: «oggi il mondo giovanile è talmente disgregato, i legami di solidarietà collettiva talmente sciolti, i gruppi di quelli che lottano ancora contro il sistema talmente sparuti e inefficaci che non è più necessario ricorrere ancora alla droga» [Lutte 1984a].

       L'incontro privilegiato con i giovani avviene sia perché questa area, essendo emarginata, è più facilmente raggiungibile dal mercato illegale della droga sia perché ha rafforzato il consenso sociale sui valori dominanti, sull'importanza ineliminabile della famiglia, delle istituzioni e dell' autorità. La droga inoltre è stata uno dei fattori dell' arresto, della dispersione e della scomparsa dei movimenti di contestazione giovanile. Ha soprattutto consentito di tradurre conflitti generazionali, sociali e politici, in problemi individuali che legittimano interventi di tipo medico, psicologico e assistenziale.

2) la versione costruttivistico-interazionale, che si è affermata soprattutto negli anni Ottanta, puntualizza la critica alla versione eziologica della tossicodipendenza e conferisce maggiore complessità e articolazione all'approccio funzionalistico.

       Prima di tutto, mette in evidenza che le affermazioni sulle cause della tossicodipendenza risultano fuorviate da due errati assunti: una falsa definizione della droga e della tossicodipendenza da una parte e dall'altra una falsa delimitazione dell'universo dei tossicodipendenti. La falsa definizione della droga assegna una rilevanza particolare se non esclusiva ad alcune droghe, quali gli oppiacei, i derivati della canapa indiana, gli allucinogeni ed esclude o considera meno rilevanti altre droghe come gli alcolici, i barbiturici, gli psicofarmaci, il tabacco, ecc., senza che tale distinzione abbia alcun fondamento oggettivo in rapporto a criteri di dannosità, nocività, dipendenza, ecc. [Arnao 1976]. Citiamo qualche dato. L'«Istituto Nazionale per l'Abuso di Droga» ha valutato che fino al 1975 venti milioni di statunitensi avevano fatto uso di eroina e di questi solo 750.000 erano divenuti tossicodipendenti. Molti decessi per cirro si e la metà degli incidenti automobilistici mortali sono dovuti all'abuso di alcool mentre l'abuso del tabacco provoca cancri e malattie cardiovascolari [De Angelis 1981].

       La falsa delimitazione del campione si basa sull'opinione che i tossicodipendenti ufficialmente e socialmente noti sono rappresentativi dell'universo dei tossicodipendenti. Ora esiste un vastissimo numero oscuro ossia non conosciuto di tossico e farmacodipendenti che hanno caratteristiche generazionali, sociologiche e psicologiche diverse da quelle del gruppo di tossicodipendenti istituzionalmente conosciuti. I «dati» sulla tossicodipendenza non sono quindi oggettivi ma sono rappresentazioni sociali o scientifiche che derivano da questi due errati assunti. Nella nostra società esiste una diffusa tossicodipendenza che sembra non avere particolari conseguenze sociali o individuali; vi è poi una tossicodipendenza che è l'unica ad essere considerata un problema dall' opinione pubblica e dalle istituzioni. Essa è il risultato di un processo interattivo, di definizioni, di opzioni, di interventi e azioni collettive e individuali [Becker 1972; Lemert 1967].

       L'approccio costruttivistico riconosce anche le funzioni di profitto, di controllo e di consenso che le definizioni restrittive di droga e di tossicodipendenza permettono. Il fatto di definire come droghe soltanto determinate sostanze, di renderle illegali, ha criminalizzato chi ne fa uso e ha determinato l'organizzazione del mercato nero con la conseguente crescita vertiginosa dei prezzi e dei profitti. Ha anche costretto i dipendenti da queste sostanze a ricorrere a mezzi illegali per procurarsele quali il furto, lo spaccio, la prostituzione. L'equazione tra «droga» e giovani ha anche permesso di estendere il controllo su di essi e, durante i tempi della contestazione, è stato non raramente usato come pretesto per perquisizioni arbitrarie nelle case di giovani militanti. Si ricorderà anche il progetto del Ministero della Sanità di sottoporre a un controllo medico tutti gli studenti della scuola secondaria superiore allo scopo di scoprire i «tossicodipendenti» e costringerli a disintossicarsi. La droga gioca contro i giovani anche a livello dei fantasmi collettivi, in equazioni multiple in cui il giovane diventa uguale a drogato, ladro, violento, depravato sessuale. I giovani diventano cosi i capri espia tori di tutti i mali sociali [Lutte 1984a].

       Tuttavia 1'approccio costruttivistico non nega che questo tipo ufficiale di tossicodipendenza costituisca un problema che non si riduce alle sue dimensioni economiche, politiche, sociali e istituzionali. Include anche le funzioni individuali e di gruppo che sono elaborate attraverso le esperienze della droga nei rapporti interpersonali, familiari e con le istituzioni. l soggetti colpiti dalla stigmatizzazione selettiva sono attivi e il loro comportamento risulta anche dalle loro scelte e non solo dalle forze sociali [De Leo 1982]. La tossicodipendenza non può esser vista solo come processo di vittimizzazione, di passivazione ma è anche un processo di scelte, di comunicazione attiva, di organizzazione di esperienze e di rapporti. È un modo di interagire con l'offerta del mercato, di sostenerla, di diffonderla. E anche un modo di accettare e interiorizzare il controllo sociale.



3.    Conclusione


       Queste annotazioni rapide e sintetiche sulla devianza ci hanno permesso di intravedere l'enorme complessità della costruzione sociale della delinquenza e della tossicodipendenza e il ruolo attivo che giocano i giovani stessi in questa costruzione. Delinquenza e tossicodipendenza, oltre ad essere per le istituzioni e la società, mezzi e occasioni per controllare i giovani quando altri strumenti si rivelano inefficaci o insufficienti, sono anche comportamenti di giovani, modi di comunicare con gli altri, carichi di significati.

       Delinquenza e tossicodipendenza rivelano tra l'altro difficoltà nei rapporti tra i giovani e la società, le istituzioni degli adulti. A livello simbolico si tratta talvolta di tentativi di uscire dalla marginalità, di agire in modo autonomo, di acquisire uno status nel gruppo dei pari e pertanto un'identità seppur negativa. Ma la ribellione, spesso inconsapevole, che esprimono tossicodipendenza e delinquenza non sono senza ambiguità. Il comportamento illegale può rivelare l'assimilazione dei disvalori dominanti quali la sete di potere e di ricchezza, l’ammirazione per i potenti, il disprezzo dei deboli. «È chiaro che per appropriarsi dei simboli del potere, le macchine potenti e tutti gli articoli di lusso di cui la pubblicità vanta l'importanza, il giovane proletario ha solo mezzi illegali a disposizione... In questo caso la rivolta esprime la rabbia contro l'esclusione dei potenti e non un desiderio di cambiare la società» [Lutte 1984a]. L'uso di droghe, soprattutto all'inizio degli anni Settanta, ha fatto parte della contro-cultura di non pochi giovani. Era visto come mezzo per aumentare la percezione, l'immaginazione, per vincere le proprie difese ed entrare in contatto pili profondo con gli altri. L'eroina, in particolare, era diventata l'espressione di un antagonismo radicale al sistema sociale. Ma l'uso di stupefacenti si è invece spesso ridotto a comportamenti di fuga e la trasgressione è stata abilmente recuperata dal sistema sociale che ha integrato la tossicodipendenza nel ciclo di diffusione e consumo delle droghe illegali asservendo ancora maggiormente i giovani al sistema sociale che pretendevano voler combattere.

Gérard Lutte