Manuel Buda
La riproducibilità dal punto di vista tecnico

La musica è cambiata...
In meno di un secolo e mezzo di vita, la riproduzione musicale ha avuto un’evoluzione costante e ricca di innovazioni, che ne hanno fatto aumentare a dismisura due caratteristiche fondamentali: la fedeltà all’originale e la fruibilità, dove con fruibilità s’intende sia la possibilità per molti di accedervi, sia la praticità e la semplicità con cui se ne può godere.

Dal punto di vista tecnico, tutta questa storia è consistita in una serie di miglioramenti ed evoluzioni di tre principali tecnologie di riproduzione: il grammofono, il nastro magnetico, il digitale: ne indico qui i momento salienti.

A queste successive trasformazioni va riconosciuta una grande importanza: è con queste che la riproducibilità musicale ha cambiato, se non la società, almeno il mondo della musica.

Un esempio: se da una parte ha avuto molta importanza l’invenzione del nastro magnetico come mezzo di riproduzione del suono, dal punto di vista dell’impatto sociale altrettanta ne ha il fatto che oggi le cassette siano piccole, resistenti, economiche, con un buon grado di fedeltà, e che i riproduttori si possano portare addirittura in tasca.

Due fenomeni a parte, più legati alla diffusione che alla riproduzione in senso stretto, sono la radio e la Internet.

Il grammofono
L’inizio della riproduzione tecnica della musica risale al 1877: in quell’anno Thomas A.Edison brevetta il fonografo.
Questo strumento trasforma il suono in vibrazioni meccaniche di una puntina, che va ad incidere un solco in un cilindro metallico rotante. Lo stesso processo, invertito, permette di trasformare un solco inciso sul cilindro in suoni udibili. E’ questo il principio base del grammofono.

Nel 1888 Emile Berliner brevetta il primo metodo di copia della musica incisa sui cilindri: è l'inizio della riproduzione tecnica di massa della musica.

I principali passi avanti di questa tecnologia sono consistiti nell’introduzione dell’intermediazione elettrica e nella variazione di forme e materiali, che ne hanno aumentato soprattutto la fedeltà, eliminando fruscii, difficoltà di intonazione e tagli di frequenze.

Va detto che l’introduzione dell’elettricità, strettamente legata all’invenzione del microfono, riveste un’importanza che va ben oltre il grammofono: un segnale elettrico può essere ripulito ed elaborato molto più di un segnale meccanico; in particolare può essere amplificato molto di più e più facilmente.

Il limite principale della riproduzione su disco sta nella sua scarsa fruibilità: i dischi e i riproduttori rimangono ingombranti e delicati, vanno soggetti all’usura, e hanno un costo di produzione relativamente alto.
Tutto questo ne ha sempre impedito una diffusione capillare fra la gente.

Con l’avvento delle altre due tecnologie di riproduzione, decisamente più fruibili, il disco ha quindi perso costantemente mercato.

La ricerca sul grammofono si è quindi incentrata sull’altro fronte principale: la fedeltà, in cui questo mezzo detiene tutt’ora il primato.
Il digitale e il nastro hanno infatti dei limiti intrinseci (vedi più avanti) che impediscono il superamento di un certo livello di fedeltà di riproduzione.

Quest’ultima caratteristica sta alla base del juke-box. Apparso alla fine degli anni ’20 in America, portò letteralmente la musica dei dischi fra le masse, accelerando il cambiamento del rapporto fra artista e pubblico, proprio dell’era della riproducibilità tecnica della musica)

Il mezzo principale per trasformare il suono in un segnale elettrico è il microfono: i primi esemplari compaiono attorno al 1915; al loro sviluppo è strettamente legato il miglioramento della qualità di registrazione.

Il principio base risiede nel legare le variazioni di pressione dell'aria, proprie della propagazione del suono, a variazioni proporzionali di proprietà elettriche quali la conduzione o l'intensità di campo elettrico.

Negli anni si sono adottate diverse tecnologie (polvere di carbone, condensatore ecc.), riuscendo via via ad aumentare la sensibilità, la direzionalità, e riducendo il rumore di fondo e i tagli di frequenze.

Il nastro magnetico
L’invenzione della registrazione magnetica risale al 1898, anno in cui Valdemar Poulsen brevetta il Telegrafono, che è in grado di trasformare il suono in magnetizzazione permanente di un filo d’acciaio.
Tale registrazione viene letta da piccoli rilevatori di campo magnetico, le testine, che trasformano l’intensità della magnetizzazione in un segnale elettrico.

Nasce così il mezzo di riproduzione destinato a diventare il più semplice e maneggevole da usare.

Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale lo sviluppo di questa tecnologia avviene in Germania: nel 1928 fa la sua comparsa il nastro di materiale plastico; negli anni successivi si lavora per ridurre il rumore di fondo, diminuire le dimensioni ed aumentare la capacità del nastro.

Dal ’45 in poi la ricerca va avanti negli U.S.A. : vengono migliorate sia la fruibilità che la fedeltà.

Il primo formato che viene commercializzato è la bobina, i cui primi esemplari escono nel 1954.

Dieci anni dopo, nel 1965, appare il prototipo dell’odierna cassetta; dalla metà degli anni ’70 questa comincerà a prendere piede, per diventare man mano il mezzo di riproduzione più diffuso fino alla rivoluzione portata dal digitale.

Rispetto al disco il nastro ha molti vantaggi, soprattutto sotto l’aspetto della fruibilità: uno in particolare è rappresentato dalla semplicità con cui è possibile scrivere la traccia magnetica (si pensi ai piccoli vivavoce), e dalla possibilità di cancellare e riscrivere tale traccia, che rende cassette e bobine riutilizzabili.

Altri vantaggi stanno nelle dimensioni, decisamente ridotte, e nella maggiore semplicità e praticità d’uso. Nella cassetta in particolare il nastro ha un involucro che lo tiene al riparo da tutti i rischi di danneggiamento.

Ovviamente esiste anche un rovescio della medaglia: la reversibilità della magnetizzazione del nastro, fa sì che con il tempo e l’usura la qualità della registrazione tenda facilmente a calare. Inoltre già al momento dell’incisione si ha una piccola ma inevitabile perdita di frequenze, che pregiudica in partenza la fedeltà di questo mezzo.

Per concludere si può dire che, al prezzo di una certa perdita di fedeltà e di durevolezza, si ha col nastro il primo mezzo di riproduzione ad alta fruibilità.

Tutti possono permettersi cassette e riproduttori, e li si può portare dovunque: la musica si diffonde come mai prima, fra tutti i livelli sociali, ampliando e cambiando il mercato musicale.

Il digitale
La copia di un brano inciso su disco o su nastro magnetico comporta una trasmissione meccanica e/o elettromagnetica dell’incisione. Entrambi i processi, definiti come analogici, sono per loro natura affetti da piccole ma inevitabili imperfezioni, per cui la copia può essere molto simile ma mai perfettamente uguale all’originale.

Con l’introduzione del digitale si è superato questo limite: per la prima volta la copia è identica all’originale.

L’inizio di questa “rivoluzione” risale al 1937, anno in cui Alec H. Reeves brevetta il P.C.M. (Pulse-Modulation Code), la base di tutti i processi di campionamento digitale del suono.

Per arrivare al campionamento della musica è necessario un mezzo in grado di trasformare a grande velocità i segnali elettrici in numeri e viceversa: questo verrà fornito dalla ricerca nel campo dei circuiti integrati e dell'informatica.

E’ inoltre necessario riuscire a leggere velocemente una serie tanto fitta di numeri (circa 8000 per ogni secondo di registrazione, col CD si arriva a 44100). La soluzione a questo problema viene dalla ricerca nel campo dell'ottica: è del 1958 il prototipo del LASER, uno strumento in grado di emettere un raggio collimato di luce monocromatica (ossia di lunghezza d'onda costante); con questo è possibile effettuare la lettura ottica di codici numerici, a velocità altissime.

Dal 1969 al 1980 Sony e Philips hanno unito i loro sforzi per mettere insieme queste invenzioni e sviluppare la riproduzione digitale. Nel 1982 esce in commercio il Compact Disc: è un disco di plastica con uno strato interno di alluminio, ricoperto esternamente di lacca, su cui sta scritto il messaggio sonoro digitale, che viene letto da un piccolo LASER all'interno del riproduttore.

Il CD ha costi di produzione molto bassi, è resistentissimo e non teme l'usura; inoltre garantisce un livello di fedeltà altissimo.

Un'altra caratteristica fondamentale è il fatto che il basso costo e la semplicità d'uso della tecnologia necessaria per la scrittura di un CD rendono possibile a tutti la produzione di copie perfette di musica digitale, senza alcuna perdita di qualità.

Tutto questo lo pone al disopra del nastro magnetico come dei comuni giradischi, sia dal lato della fedeltà che da quello della fruibilità.

Anche il digitale ha dei limiti: il processo di campionamento comporta un'approssimazione numerica dei valori istantanei dell'onda sonora (comunque molto buona), ma soprattutto è una discretizzazione di un fenomeno continuo nel tempo qual'è il suono.

Nel piccolo intervallo fra due impulsi successivi trasmessi dal campionatore, l'andamento dell'onda sonora non viene registrato: questo risulta in tagli sulle frequenze superiori a un certo valore, che rendono concettualmente impossibile la registrazione completa dell'evento sonoro.

Segnale analogoco/digitale

Si tratta in ogni caso di differenze molto piccole, che solo un orecchio molto allenato può riscontrare; fatta eccezione per i grammofoni più avanzati, il digitale rimane quindi il miglior metodo di riproduzione oggi disponibile.

* Analogico e digitale
Un’onda sonora è una perturbazione continua nel tempo; per registrarne completamente l’andamento è necessario quindi un metodo che risponda alle variazioni d’intensità della perturbazione in maniera istantanea e lineare, ovvero senza salti. Un metodo simile è detto analogico.

Il campionamento digitale si basa invece sulla registrazione dell’intensità dell’onda a istanti separati, e sulla sua approssimazione numerica. Ciò che si ottiene alla fine è la trasformazione del suono in una serie discreta di numeri; la riproduzione di un brano registrato in formato digitale consiste quindi nel riconvertire tali valori numerici in intensità d’onda sonora, mentre la copia consisterà nella replica di tale serie.

Ecco quindi il salto di qualità del digitale: una serie di numeri può essere copiata identicamente. Le piccole imperfezioni fisiche e il rumore di fondo comunque presenti nel processo di scrittura e di riproduzione non hanno più effetto sulla resa sonora: questa dipende infatti solo dai valori scritti sul supporto.

* Lettura ottica
Un’incisione digitale si basa sul sistema binario: alla serie di 0 e 1 corrisponde una sequenza di piccole incisioni sul supporto (alle due cifre corrispondono due tipi diversi di incisioni).
La sequenza viene fatta scorrere sotto un raggio laser, che viene riflesso in maniera diversa dai due tipi d’incisioni. Le due diverse riflessioni vengono ritradotte in linguaggio binario da un opportuno rilevatore.
Dato che la velocità del raggio laser è quella della luce, con questo metodo è possibile leggere un numero altissimo di dati in un tempo molto breve.


Sitografia


http://www.englib.cornell.edu/ice/lists/historytechnology/
historytechnology.html

sito di storia della tecnologia; all'interno vi si trova:

http://history.acusd.edu/gen/recording/notes.html
storia delle tecnologie di registrazione e diffusione, con immagini, registrazioni originali, e molti collegamenti: contiene praticamente tutto quello che c'è da sapere sulla tecnologia nel campo riproducibilità musicale e sonora; perfetto come link di approfondimento, in inglese.