La musica e la memoria - seconda parte

LA PERCEZIONE: TRATTI GENERALI

La percezione musicale rientra in quell'ambito definito con il nome di “teoria dell'informazione”, che comprende diversi aspetti.

Vediamone i più significativi:

  • Gli individui sono determinati dai messaggi del loro ambiente; i messaggi sono forme complesse.
  • I messaggi hanno una struttura definita dalle proprietà psicofisiologiche del ricevitore.
  • I messaggi sono misurati da una quantità di informazione che è l'originalità, cioè il loro grado di imprevedibilità.
  • L’informazione è una quantità essenzialmente diversa dal significato e indipendente da questo: un messaggio di informazione massima può apparire privo di senso se l'individuo non è in grado di decodificarlo per riportarlo ad una forma intelligibile.
  • L’informazione è una misura della complessità dei modelli proposti alla percezione. In una struttura, in una forma o in un messaggio, complessità e informazione sono sinonimi.

È in base a questi semplici principi, che sono validi per i messaggi basati sulla parola come per quelli musicali, che il nostro orecchio, rifacendosi all'educazione avuta, opererà una discriminazione tra suoni e rumori, interpretandoli prima e memorizzandoli poi.

Secondo recenti studi, la mente tende a scindere le informazioni in arrivo in due settori o poli opposti. Ad esempio banalità contrapposta ad originalità, prevedibilità all’opposto di imprevedibilità ecc.

All’interno di queste due nette separazioni troviamo poi un'interpretazione più precisa e meno drastica delle informazioni.

Così si comporta anche la nostra memoria musicale, che opera a priori delle scelte (ad esempio suono stonato o intonato), per poi inserirle in un ambito di più attenta interpretazione.

Attraverso quest’ultima il cervello elabora degli schemi logici nei quali inserisce il pensiero musicale, schemi logici più o meno approfonditi o ricchi di informazioni a seconda della quantità di messaggi assimilabili e della nostra capacità di comprensione e assimilazione di questi.

I problemi fondamentali della psicologia dei suoni riguardano l’altezza e la qualità del suono.

Per questi motivi è ad esempio fondamentale il “problema” dell'ottava e della sua suddivisione, il problema della consonanza e dissonanza o la propagazione del suono nello spazio.

A tutti questi problemi non solo musicologi, ma anche l’ emissione del suono e la percezione nell'ascoltatore.




I PROBLEMI DELLA PERCEZIONE E DELLA MEMORIZZAZIONE DELLA MUSICA MODERNA

Generalmente, sia per un orecchio “educato” musicalmente, sia per uno profano, il grado elementare di percezione, differenziazione e memorizzazione di un brano musicale si basa sulla qualità degli intervalli, inseriti in un più ampio contesto di interpretazione e di “stimoli” musicali esterni.

Gli intervalli da soli, infatti, costituiscono già una specie di sintassi sonora.

Per noi occidentali l'ascolto si basa e si accompagna ad un'interpretazione di tipo tonale: entrano qui in gioco tutte quelle convenzioni dell'armonia classica che sono parte integrante del nostro modo di vivere e “digerire” la musica.

È così che noi intenderemo e assimileremo come tonalità d'impianto quella di partenza, che dovrà essere anche quella di conclusione, ed in modo analogo potremo percepire le cadenze come punti di riposo o di svolta, le note alterate come costitutive, che ci potranno portare a modulare, o come passeggere, che modificano l'altezza del grado senza però inficiare la struttura della tonalità presente.

Il “sentimento tonale” è dunque un sistema di abitudini percettive che si incatenano fra loro e che addirittura rientra nel nostro patrimonio genetico e che affiora in noi in modo più o meno inconscio quando ci porgiamo di fronte a un brano.

Numerosi studi hanno dimostrato che questo “bagaglio culturale”, venendo alla luce, influisce positivamente fornendoci una velocità di percezione tale da garantire rapidamente anche la memorizzazione.

Gli elementi ricorrenti di qualità degli intervalli, di timbri, ritmi, intensità, armonie etc. riaffiorano in noi sempre, permettendoci la cosiddetta “acculturazione tonale” ogniqualvolta siamo alle prese con un nuovo pezzo.

Negli ultimi decenni, però, molti compositori hanno definito ed applicato dei procedimenti di organizzazione musicale sistematicamente estranei alla tonalità. Si ha dunque una differente divisione dell'ottava, che varia a seconda dei sistemi, che non si basa più sui fenomeni di vibrazione periodica che servono a definire dal punto di vista fisico il suono musicale della tradizione.

Questo processo è iniziato a partire dagli anni ’20 del 1900 e coinvolge ancora la musica contemporanea.

In tutti i casi notiamo una generalizzazione concettuale, troviamo il bisogno di oltrepassare i limiti di un sistema in vigore.

Tutto questo avviene attraverso il superamento della tonalità, della tonalità unica, del diatonalismo, della divisione dell'ottava in dodici suoni e, infine, il superamento dell'impiego esclusivo dei suoni periodici. Ci sono poi anche sistemi che conservano ancora i dodici suoni della scala temperata ma che applicano poi nuove forme di sintassi musicale.

È difficile, oggi come oggi, mettere già in luce tutti i problemi che questo tipo di musica presenta nei confronti dell'ascoltatore e, ovviamente, anche per l'esecutore.

In veri e propri termini psicologici non si può ancora tracciare un quadro generale della situazione, anche perché la musica moderna è ancora troppo poco eseguita rispetto a quella "tradizionale", come dimostra la tabella tratta dal libro “Teoria dell'informazione e percezione estetica” di A. Moles: ai primi posti Mozart, Beethoven e Bach, compositori come Busoni agli ultimi posti.

L’atonalismo può essere considerato come punto di partenza di questi nuovi stili, che mirano a dare una nuova forma di coerenza alla scrittura musicale. Ma questo nuovo ordine non è più di tipo percettivo.

Nel caso dell’atonalismo si tende a contraddire in ogni momento il “sentimento tonale”. Melodicamente e armonicamente i suoni, nella loro successione, non permettono più la ricerca di un centro tonale. In precedenza ogni innovazione che s'inseriva nel gusto tonale assumeva un rilievo particolare perché quella, per così dire, si staccava dalla base sedimentata della sintassi classica.

Esempi eclatanti in questo senso sono le composizioni di Schumann, Wagner e Debussy, le quali inizialmente avevano lasciati perplessi anche ascoltatori mediamente conoscitori dell'armonia.

L'impressione di complessità e di raffinamento di certe armonie si può dunque avere solo se esiste una solida ossatura tonale nel discorso.

Escludendo sistematicamente quest’ultima, si perdono i benefici appena citati per ricadere in una sorta d'indeterminatezza dove armonia e melodia perdono la loro centralità.

Aspetto importante al quale bisogna rifarsi per analizzare esaurientemente il problema è quello dell'educazione musicale dell'orecchio sin da bambini.

E' stato scientificamente provato che un orecchio abituato ad un sistema musicale non “tradizionale” entro l’età di dieci anni garantirà all'adulto un'assimilazione, memorizzazione e, quindi, dal momento che la musica è basata essenzialmente su questi fattori, capacità di apprezzare maggiormente stili non fondati sull'armonia classica.

La questione fin qui analizzata riguarda il modo “occidentale” di sentire ed interpretare la musica: non bisogna infatti dimenticarsi di tutti gli altri innumerevoli e diversissimi stili musicali presenti nel mondo che, alle nostre orecchie, risulterebbero ancora più di difficile comprensione della musica moderna stessa.

Abbiamo visto come dall’inizio del secolo si va preparando un profondo mutamento nella materia tonale. Arnold Schönberg dà l’inizio decisivo al movimento che ha per meta il superamento del sistema allora unico vigente, cioè il superamento della tonalità. Il gruppo attorno a questo compositore dichiara superato il sistema che era stato a base della grande musica europea dal Rinascimento e dal Barocco in poi.

Dunque la musica atonale sorge sotto il segno del progresso: si vuole anzitutto qualcosa di nuovo. Per la prima volta si parte dalla materia dalla quale nasce la musica, dai toni e dall’armonia e non come fino ad allora dall’uomo come essere che nel corso si trasforma e che della materia si serve per imprimerle il proprio suggello.

Il far derivare lo sviluppo musicale dalla materia, invece che dall’artista alla ricerca della sua forma d’espressione; il non ricercare più il “bello”, ma favorire il “nuovo”, queste sono appunto le grandi novità sorte nel campo musicale nel Novecento.

Ma, come abbiamo già detto, la tonalità è una forza naturale, infatti non agisce soltanto sui musicisti, ma anche sui bambini o sulle popolazioni esotiche, lontane dalla nostra cultura.

Essa agisce con la stessa evidenza tanto nelle forme musicali più semplici quanto nelle più complesse.

Analizzati questi aspetti dobbiamo quindi porci la domanda: fino a che punto corrisponde il materiale tonale o atonale alla realtà biologico-organica dell’uomo?

Anzitutto la storia secolare della musica europea ci illumina in proposito.
Vediamo che solo mediante la tonalità la musica ha saputo conquistarsi un grado di indipendenza che precedentemente non aveva mai avuto.

Inoltre va ricordato che la musica si realizza nella dimensione del tempo. La cadenza tonale conferisce all’episodio musicale la possibilità di passare a concatenazioni e a giustapposizioni armonizzate in una sintesi superiore, di giungere ad articolazioni in profondità ancora sconosciute.

La tonalità sta in rapporto con la dimensione del tempo come le arti figurative con lo spazio mediante la terza dimensione che dà il senso della profondità.
Entrambe, tonalità e prospettiva, derivano da un medesimo intuito vitale, anche se lo sviluppo della musica si realizza più tardi.

La musica ha appunto valenza anche dal punto di vista biologico: la vita organica che si svolge nel tempo sottostà all’avvicendarsi di tensione e distensione.

La cadenza di questi elementi è il ritmo stesso della vita: in ogni istante della nostra vita partecipiamo dell’uno o dell’altro, poiché sono organicamente congiunti.

Di questi due stati la distensione precede ed è in un certo senso il fenomeno “originario”. Una tesi della biologia moderna afferma che in molte delle più complesse azioni fisiche (nel cantare, nel suonare uno strumento…) alla distensione spetta un’importanza fondamentale.

Dato il carattere della nostra civiltà, che richiede una costante tensione d’energia, l’europeo moderno non è portato alla distensione. Ma appunto per questo essa ha per noi un valore particolare.

La distensione che precede, condiziona e dà misura a qualsiasi forma di tensione, viene realizzata appieno dalla musica solamente mediante la tonalità.

Solo la tonalità è in grado di rendere in modo oggettivo e reale lo stato di distensione, perché dispone dell’elemento determinante: il naturale archetipo di accordo, la triade maggiore.

Sulla base statica dell’accordo perfetto si eleva nella musica tonale la cadenza. Dalla distensione nasce quindi la tensione, per cogliere in un certo senso la molteplicità della vita stessa; ed infine torna al punto di partenza, sulla cosiddetta tonica.

Questa “quiete nel movimento”, come la si potrebbe chiamare, è una particolarità specifica della musica tonale, che manca a quella atonale. Al posto della cadenza, che abbraccia ampie estensioni, subentrano tensioni di proporzioni sempre minori.

La musica è in preda ad una multiforme mobilità, ad una profonda inquietudine che non trova riposo. I punti di respiro, che pure debbono sussistere nell’alternarsi delle figurazioni ritmiche, si fanno rari, e quando si riscontrano appaiono più espressione di stati d’animo personali, che non reali distensioni oggettive, condizionate dalla tensione complessiva dell’opera.

Nella musica priva di tensione complessiva e di legame di tonalità, si vengono sostituendo tensioni minime fra un suono e l’altro. Esse si presentano ad ogni passo: nella musica non tonale “avviene” sempre moltissimo.
Lo spirito dell’ascoltatore viene accaparrato esclusivamente dall’inquieto ed affannoso carattere degli elementi ritmici, che dà a molte composizioni l’impronta inanimata propria della “macchina”; la vitalità umana invece manca.

Cessata la musica ci si domanda che mai si è ascoltato; la grande sintesi, il senso intrinseco non c’è stato rivelato. Ci sorprendiamo sovente della pienezza di spiritualità, della molteplicità di combinazioni di cui fa sfoggio la musica atonale; essa è un vistoso apparato intellettuale che pur sconta la carenza di valori spirituali.

Sotto la guida del musicista atonale, si procede come in una fitta foresta; i fiori e le piante più strane attirano il nostro sguardo lungo il cammino, ma non ci si rende conto né da dove si venga, né dove si sia diretti.

L’ascoltatore si trova abbandonato e sperduto in balia di una realtà elementare.
Si direbbe che la musica atonale non si preoccupi gran che della personalità dell’ascoltatore, come soggetto autonomo; esso si trova al cospetto di un mondo strapotente e caotico. Tuttavia non si può negare che tutti questi fenomeni rispecchiano una data forma d’esperienza dell’uomo moderno.

È palese che la forma d’espressione atonale sconta la sua ricchezza e libertà, la sua caotica versatilità con una carenza di naturale vitalità.

Non possiamo disconoscere che la musica che rinuncia alla cadenza, e che con essa alla determinatezza di luogo che viene data dalla tonalità, sarà più povera dal punto di vista biologico.

Essa non può rappresentare uno svolgimento di forze organiche.

L’insufficienza che nelle figurazioni atonali deriva necessariamente dalla materia è la causa dell’insormontabile e ostinata avversione da parte del grande pubblico.
Questa ostilità si comunica a chiunque non sia istintivamente disposto a rinunciare al proprio equilibrio psico-biologico in favore di isolate impressioni intellettualistiche: la maggioranza del cosiddetto grande pubblico non rinuncia a questo equilibrio.

La tonalità agisce su di noi come una legge naturale che si realizza nell’anima, nella sensibilità umana. Per questo hanno sempre mancato il segno quei tentativi di determinare con esattezza fisica le energie che si sprigionano in campo “tonale”. Da Helmholz a Hindemith si è tentato di cogliere queste leggi particolari e di connetterle a leggi di fatti fisici determinando la frequenza della vibrazioni, i suoni concomitanti e quelli secondari.

Sono sempre vani i tentativi di spiegare le verità dell’anima umana con leggi fisiche. I conti non tornano.

Le leggi secondo cui Beethoven ha costruito un brano di musica sono leggi dell’anima umana, della vita organica; esse si distinguono nettamente dai principi della fisica e dell’astronomia. Il materiale musicale, coordinato dalla tonalità, testimonia di fatti biologici e non fisici o cosmici.


IL RAPPORTO MUSICA-MEMORIA

Che cosa sia la musica e che cosa sia la memoria sono interrogativi le cui risposte ci hanno sempre lasciati insoddisfatti.

Nelle prime due parti di questa ricerca abbiamo cercato di mettere a fuoco concetti che potessero aiutarci a rispondere (non pretendiamo di esaurire le richieste) alle domande, soprattutto a quella inerente alla memoria.

Cercheremo ora di vedere come la memoria e la musica siano in stretta relazione tra loro, per non dire complementari. È insomma il rapporto tra musica e memoria che ha stimolato la nostra curiosità e spinto a condurre questa ricerca.

La musica.

La musica è stata sempre la più misteriosa delle arti, ed è la più difficile da definire nel suo significato espressivo. Massimo D’Azeglio diceva che ben comprendeva in che cosa consistesse l’espressività della pittura, della scultura e della poesia, avendo queste arti, come quasi tutte, degli oggetti definiti da vivere ed esprimere; ma gli riusciva impossibile comprendere in che cosa consistesse l’essenza della musica, che in realtà non parla di nulla di esistente.

Forse emerge già un primo punto di contatto, direi uno dei punti chiave che ci permette di comprendere la natura di tale rapporto. Per la ragione che Massimo D’Azeglio citava come interrogativo, e cioè che “in realtà non parla di nulla di esistente”, si riesce già a intuire la connessione.

La musica, come la memoria, non descrive o tenta di rappresentare alcun aspetto della realtà, del mondo delle cose.

Esse sono dimensioni non direttamente tangibili ma di cui riscontriamo la presenza con assoluta fermezza.

Dove non c’è vita non c’è musica e nemmeno memoria.

Musica e memoria si completano nel divenire, non la prima grazie alla seconda, non la seconda grazie alla prima, ma l’una con l’altra.
D’altronde è questa una delle ragioni fondamentali per cui si sono fatti in ogni tempo discorsi mistici intorno alla musica, spesso non del tutto privi di fondamento, nei quali si cercava appunto in quella irrealtà il motivo si una misteriosa eccellenza rispetto alle altre arti.

Gli ultimi grandi artisti di questa affermazione, molto intelligentemente motivata, sono Nietzsche, Shopenhauer e Wagner, il primo soprattutto con La nascita della tragedia, il secondo con la sezione dedicata alla musica ne Il mondo come Volontà e Rappresentazione, il terzo con lo scritto Beethoven. Per essi la musica esprime l’interna energia generatrice delle cose, delle creature e delle azioni umane, la Volontà di vita che produce le forme, quindi la sostanza vitale, l’Essere profondo, mentre la altre arti esprimono bensì la stessa cosa.
Esse esprimono il noumeno attraverso il fenomeno, la musica sarebbe una rappresentazione diretta del noumeno stesso, o un noumeno essa stessa.

“Il mondo vero è musica. La musica è l’immenso. Se la si ascolta (hört), si appartiene (gehört) all’essere. In tal modo ne ha fatto esperienza Nietzsche. Per lui, essa era uno e tutto. Non avrebbe mai potuto smettere. Tuttavia, essa smette e perciò si ha il problema di come di può continuare a vivere quando la musica è finita. […] Tutto il resto, tutto ciò che non si lascia cogliere in termini di musica, mi dà a volte addirittura un senso di nausea e ripugnanza. […] Senza musica la vita sarebbe un errore, la musica dona attimi di «sentimento giusto». […] La musica trionfa sulla voluttà. […] Ogni fibra, ogni nervo in me, e da tempo nulla mi aveva così lungamente rapito in estasi. […] Tutto può diventare immenso (la propria vita, il conoscere, il mondo), ma è la musica che si accorda a tal punto con l’immenso da renderlo sopportabile nonostante tutto.”

( da: Safranski, “Nietzsche – biografia di un pensiero” )

Il rapporto musica-memoria.

Il problema del rapporto tra musica e memoria si pone innanzitutto su due aspetti, inerenti al modo in cui noi intendiamo il termine memoria.

Nonostante sia di difficile definizione, noi utilizziamo il questo termine con diverse accezioni. Infatti viene utilizzato eminentemente con il significato di “ricordo”, cioè la memoria innestata sul fatto che noi siamo capaci di immagazzinare, conservare e riutilizzare dati che ci vengono forniti dall’ambiente esterno.

In secondo luogo il termine può essere utilizzato con l’accezione di “mente”, cioè la capacità razionale propria dell’uomo; da questo punto di vista il rapporto tra musica e memoria si innesta su una radice prevalentemente psicologica.

A riguardo di ciò sono molto importanti i numerosi studi condotti in ambito della semantica della musica. La semantica tenta di descrivere, come appunto ci illustra il nome, i significati che la musica in sé può assumere.
Questo ovviamente semplificando il compito della semantica, in quanto la questione è un po’ più complessa.

Tutt’ora non esistono trattati che possano illustrarci con certezza il vero significato della musica, e probabilmente non ci saranno mai: questo spiega il rapporto che lega la filosofia alla musica.

La semantica in generale poco interessa a noi, se non che essa tenta anche di illustrare il lato percettivo dell’uomo in relazione alla musica, e questo rientra nella sfera psicologica della memoria.

I lavori psicologici sono di due tipi: da una lato le ricerche, generalmente teoriche, che tentano di trovare delle spiegazioni psicologiche ai fenomeni imitativi o sintattici, partendo dall’analisi dei contesti musicali stessi.

Si tratta di precisare il funzionamento del senso attraverso le convenzioni storiche e i fattori propriamente percettivi. Dall’altro i lavori propriamente sperimentali che abbordano direttamente il problema del significato, e che quindi pongono subito il problema del referente. Si tratta in questo caso dei lavori sui “giudizi semantici”.

Analizziamo il rapporto riferendoci al primo significato che abbiamo attribuito al termine “memoria”. E vediamo quindi le conseguenza a livello psicologico, per il secondo significato che abbiamo proposto.
Vi sono alcune leggi che, combinate diversamente secondo le opere, determinano nell’ascoltatore delle impressioni ricche e sfumate che fanno riferimento a connotazioni verbali complesse.

Si può dunque enunciare la legge sulla continuità: ogni volta che un processo melodico, armonico o ritmico viene interrotto o momentaneamente sostituito da un altro, non crea in realtà una rottura nel divenire musicale, ma aumenta la tensione psichica, tensione che si risolve solo quando il processo iniziale è ripreso e condotto a termine.

Può darsi anche che la rottura avvenga non per l’abbandono del processo iniziale, ma per la sovrapposizione al processo iniziale di un processo diverso che lo contrasta (come ad esempio la sovrapposizione di ritmi binari a ritmi ternari).
La legge di complementarietà e di chiusura suppone che qualunque processo melodico, armonico o ritmico possa essere scomposto in un antecedente e in un conseguente, l’antecedente chiama il conseguente che allo stesso tempo chiude il processo.

Per esempio un modulazione in una frase (antecedente) chiama un’altra modulazione (ritorno al tono iniziale – conseguente) che chiude la frase.
Un motivo ritmico con valore tematico è generalmente costruito in forma simmetrica, e questa simmetria dà al motivo il suo aspetto di totalità chiusa.
Qualunque rottura di complementarietà o di chiusura genera una tensione che chiede di essere risolta psicologicamente (e non solo musicalmente).

Sono possibili numerosi procedimenti: per esempio, la ripetizione dell’antecedente senza il conseguente crea tensione; gli ostinati e i pedali dipendono dalla stessa legge.

Infine vi è la legge dell’indebolimento della forma, il cui effetto è l’attesa ansiosa, legge che si manifesta con l’uniformità dei ritmi, degli intervalli melodici, degli accordi, e con la riduzione dei contrasti dei intensità e timbro.

È evidente la dipendenza di queste tre principali leggi dalla memoria come “ricordo”: l’impostazione della nostra mente è tale (ciò è approfondito nella sezione debita) per cui noi fissiamo dei punti chiave o sistemi di riferimento sui quali inconsciamente strutturiamo tutto il linguaggio musicale.

Anche il ritmo ha una parte notevolissima a riguardo. È da notare che questi punti di riferimento, benché soggetti alla nostra capacità percettiva e alla nostra esperienza, tendono a essere a mentalità differenti.

La memoria, intesa come capacità di acquisire, immagazzinare e riutilizzare dati, da questo punto di vista aiuta in maniera inaspettatamente incisiva la lettura di un segmento musicale, specialmente se questo viene solamente ascoltato e non analizzato “a tavolino”.

Tutti i procedimenti espressivi analizzati qui consistono quindi nel rompere un certo equilibrio formale che è immediatamente identificabile per l’ascoltatore e che viene da lui percepito come un’attesa ingannata, un desiderio non soddisfatto.

L’espressione musicale risulta perciò dall’utilizzazione cosciente, da parte del compositore, di questi procedimenti espressi dalle leggi universali delle forme, in modo che egli sappia “in anticipo” rispetto all’ascoltatore quali siano i punti chiave su cui affidare il compito di lettura musicale da parte della memoria.

Tralasciamo la parte che prima ho definito prettamente inerente alla semantica, in quanto in primo luogo non è direttamente connessa con la memoria e in secondo luogo riguarda un ambito più psicanalitico che psicologico.

Con essa si intende analizzare il tipo di effetto psicologico che essa scatena in noi, ma a ciò si dovrebbe integrare un’attenta analisi fisica del suono e un’altrettanto attenta conoscenza psicanalitica.
Inoltre risulterebbe in alcuni casi contraddittorio, poiché rimane comunque fermo il punto che l’orecchio viene educato in differenti modi (spesso a seconda delle culture) e l’apprezzamento o meno di una determinata musica è soggettivo.



La temporalità del linguaggio musicale e il concetto di imitazione.

Un problema centrale per la semantica musicale riguarda la temporalità del linguaggio musicale, vista nel rapporto che essa instaura con la struttura della nostra mente.

La musica risulta espressiva per il fatto che gioca sul tempo e l’opera è, nella sua essenza, ordinamento di eventi sonori nel tempo. Più precisamente, all’origine della maggior parte dei fenomeni espressivi in musica abbiamo individuato delle strutture temporali specifiche, o meglio la qualità particolare della organizzazione degli eventi sonori i dei cambiamenti in un dato momento dello svolgimento dell’opera.

I nostri risultati mostrano a questo proposito che gli stati di integrazione e disintegrazione dell’io rappresentano la base dell’esperienza vissuta del tempo musicale e che questi stati, o piuttosto queste strutture dinamiche contrapposte offrono alla trama musicale il suo senso profondo, al di là dei filtri culturali che condizionano in parte l’ascoltatore.

È di fondamentale importanza precisare, a questo proposito, il concetto di imitazione: nell’accezione più generale, individuando cosa significhi in musica e in psicologia, specificando le relazioni con il tempo e con la memoria.

È noto che i motivi musicali imitativi sono frequenti in musica e che, il più delle volte, si basano su un’analogia cinetica e spaziale (Francès, 1958): essi sono il punto di partenza per tutta la polifonia e per tutte quella forme musicali che sorgono dall’imitazione di un segmento ritmico melodico prestabilito, inserendone variazioni di infiniti generi.

L’imitazione in campo musicale può essere connessa a un’attività senso-motoria o fonomotoria: in entrambi i casi lo scopo è prettamente educativo o mnemotecnica e non ci spiegano in realtà il fine dell’imitazione.

L’imitazione musicale di un movimento, di un gesto, di un grido o di un’intonazione non è mai un’imitazione diretta: questa, infatti, è riservata al mimo o alla danza, ossia all’attività corporea.

L’imitazione musicale viene riconosciuta come tale mediante assimilazione della forma del significante allo schema che solo il significato gli fornisce; l’assimilazione di strutture dinamiche, fonetiche o motorie si produce attraverso il dinamismo del segno musicale stesso.

L’imitazione musicale in fondo è proprio questo: il segno produce un dinamismo specifico, una certa evoluzione del tempo degli stimoli percettivi.

Ma che ruolo ha la memoria all’interno di questo discorso?

La memoria ha il ruolo nascosto fondamentale e imprevedibile che, ritornando al discorso iniziale, sorprende sempre e lascia quell’alone di mistero suggestivo: senza memoria non ci sarebbe imitazione.
L’imitazione, che sia marcatamente ripetizione, o in modo più evoluto evoluzione dinamica di un soggetto melodico o ritmico, viene individuata in quanto tale grazie all’apporto fondamentale della memoria.

Questo carattere dinamico del significato musicale va di pari passo con la carica affettiva che esso riveste, attraverso un processo di assimilazione che può essere descritto in questi termini: ogni emozione viene catturata dalla memoria (questa volta intesa con l’accezione di mente razionale) che la trasferisce al corpo il quale, a sua volta, con una scarica neuro-muscolare, esprime la tensione suscitata attraverso emissioni vocali, particolari reazioni e posture.

La durata musicale, più o meno densa, più o meno armoniosa o caotica, la maggiore o minore diversità degli stimoli melodici, ritmici o armonici a seconda che si modellino su schemi conosciuti oppure li contraddicano, a seconda che si organizzino intorno a una stessa e unica traiettoria temporale la cui direzione appare chiara all’ascoltatore o che lascino trasparire dei conflitti, delle rotture, delle contraddizioni nella trama sonora, imitano, con una rappresentazione dinamizzata, i conflitti interiori o gli stati di straordinaria armonia dell’Io, disintegrazione e integrazione.

Corpo e affettività sono quindi strettamente connessi in qualunque significato musicale; ogni gesto stilizzato, ogni profilo melodico, ogni rottura armonica si inscrivono sempre nel punto d’incontro dell’uno e dell’altra: la memoria.



Il concetto di ambivalenza.
Generalizzazione del rapporto tra memoria e realtà.

Nella nostra cultura occidentale, uno dei dati essenziali della formazione della personalità è la scoperta dell’ambivalenza. Ma questa scoperta non è mai stata semplice poiché ciò che è ambiguo, complesso, conflittuale sul piano cognitivo o affettivo scatena tensioni che il soggetto cerca di evitare. Cerchiamo ora di individuare la causa di ciò.

Questo rifiuto deriva dal fatto che, in termini psicanalitici, l’esperienza infantile arcaica è caratterizzata invece da ciò che viene definito appunto scissione: nei primi tre o quattro mesi della sua vita, il neonato è in preda a molteplici sensazioni, a intense esperienze affettiva contraddittorie tra cui discrimina in modo elementare, separando ciò che è piacevole da ciò che è sgradevole e cercando di distruggere o almeno allontanare da sé ciò che gli è sgradevole.

I medesimi soggetti, che siano persone, sensazioni, emozioni, percezioni, oggetti e persino motivi musicali subiscono questa scissione, in maniera tale da non contaminare il cattivo-sgradevole con il buono-piacevole.
Il soggetto selezionatore è addirittura privo di unità in quanto non esiste un legame tra l’odio provato e l’amore avvertito; la scissione interessa quindi anche il soggetto, diviso tra soggetto buono che ama e soggetto cattivo che odia.

Lo strumento attraverso cui si riesce a registrare e apprendere la compiuta scissione elementare è per l’appunto la memoria.

Tralasciando aspetti che divagherebbero troppo dal tema centrale, è importante sottolineare, in breve come avvenga a questo punto lo sviluppo della personalità nel neonato.

Tutta la personalità può svilupparsi completamente solo nella misura in cui il bambino riesce gradualmente a superare la scissione in una scoperta dolorosa dell’ambivalenza: egli impara allora a riferire al medesimo oggetto, alla medesima sensazione, alla medesima persona le esperienze che possono di volta in volta essere piacevoli o sgradevoli.

Tali oggetti e tali persone non subiscono quindi più una scissione, ma diventano oggetti e persone totali, e il soggetto diventa capace di cogliere il legame esistente tra i sentimenti diversi che ormai prova nei loro confronti.

L’esperienza dell’ambivalente diventa angosciante: il bambino scopre, attraverso l’unità di oggetti e persone che lo circondano, che odiando ciò che è sgradevole rischia di distruggere ciò che è piacevole e quindi ama.

La personalità si sviluppa e si completa nel corso della sua vita, da bambino a uomo: deve periodicamente rielaborare l’ambivalenza, ossia rifarne la scoperta mediante un intenso lavoro psichico durante crisi successive che scandiscono i suoi periodi vitali.

A che proposito ho abbiamo esaminato questo?

L’analisi sopra riportata è la generalizzazione dell’approccio dell’uomo verso la realtà attraverso la memoria.

Ogni vita umana è fatta di accettazione o di rifiuto di questa ambivalenza, e in primo luogo dell’ambivalenza essenziale del tempo, luogo di vita in cui si elaborano i progetti personali o collettivi; tempo come dimensione fondamentale della realtà che dà vita alla realtà stessa.

Tempo come vita e vita come musica.

La memoria che comprende la musica e si completa in sé.





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Sito Internet del Conservatorio di Frosinone, parte dedicata alla didattica musicale.
<http://www.conservatorio-frosinone.it/>