CONSERVATORIO DI MUSICA
“G. VERDI” DI MILANO

Corso di
Cultura Musicale Generale
(Joanne Maria Pini)


LA MUSICA È UN LINGUAGGIO?


Ricerca di:
Angela Longo
Giosuè Panio


ANNO ACCADEMICO 2001/2002






Indice

Introduzione

Linguaggio

Musica

Il comportamento musicale come linguaggio

Tonalità ed Atonalità

Linguaggio dell’indicibile

Conclusione

[LA MUSICA E' UN LINGUAGGIO?]


Introduzione

“il guaio è che voi, caro, non saprete mai, né io vi potrò mai comunicare come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi, la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per se, sono vuote? Vuote, caro mio.E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io nell’accoglierle, inevitabilmente, le riempio del senso mio.
Abbiamo creduto d’intenderci; non ci siamo intesi affatto”.
(L. Pirandello)


… chissà cosa avrebbe detto Pirandello se in questo caso si fosse adoperata la musica come linguaggio…

Non si è sempre sostenuto infatti, che la musica è un linguaggio universale, universalmente comprensibile a tutti gli uomini, per vie intuitive, emotive o sentimentali?

Ma è proprio un linguaggio, la musica, di cui si possono enunciare le regole grammaticali e sintattiche, come di un qualsiasi altro linguaggio verbale?

Per quanto vago una parola ha un senso proprio (o anche più di uno); se ad esempio consideriamo la parola “albero”, essa non indica un albero preciso ma comunque il concetto di “albero”; in altri termini, mentre il concetto di “albero” non si può confondere con un “fiore”, in musica un accordo, una nota non significano niente in quanto non si trovano in un contesto, o meglio, non si trovano in una “grammatica”.

La musica infatti, può solo fare allusione ad altre cose, ma non può rinviare che a se stessa.

“Il linguaggio è il più vero”, diceva Hegel, ma esso separa, isola, sposta, e al limite si desidera sempre altra cosa di ciò che si dice.

“La musica esprime la pura vita interiore”, dice B. de Schloezer, ma essa è impotente a nominare.

Da quanto è stato detto, emerge chiaramente che parlare di musica e linguaggio non è affatto semplice.

Forse è questa una delle ragioni per cui al momento non esiste alcun libro, saggio o trattato che analizzi esaustivamente la musica dal punto di vista linguistico, semiologico e psicologico.

È così che ha avuto origine la nostra ricerca, obiettivo probabilmente molto ambizioso, ma che noi abbiamo cercato di svolgere al meglio, animati da grande interesse e curiosità.

Il poco tempo a disposizione, però, non ci ha consentito di sviluppare tanti altri argomenti affluenti al tema principale e forse, molti saranno i perché non risolti che deluderanno il lettore alla ricerca di definizioni esaurienti o di mere certezze.

Questa ricerca è pertanto destinata a tutti coloro che vogliono farne un punto di partenza, chiaro, essenziale e conciso per procedere oltre nella lunga e mai finita avventura che il linguaggio dei suoni propone ad ogni uomo che sia affascinato dalla sua vastità e profondità.


Linguaggio

Si parla di linguaggio per designare ogni maniera di esprimersi comunicativamente. Si possono intendere almeno quattro concetti diversi.
Nel primo,quello generale il linguaggio è infatti l’insieme delle possibilità, tanto collettive quanto individuali consentite dalla comunicazione verbale ed esprimintisi nelle infinite produzioni linguistiche dei parlanti le diverse lingue.

Il linguaggio è concepibile come la facoltà universale di comunicare mediante un sistema linguistico ed indipendente dalle restrizioni che le norme contingenti impongono alla strutturazione delle lingue.

E' una capacità conoscenza, altamente connessa con le caratteristiche cognitive della mente umana, ma virtuale, che nell’esperienza pratica trova manifestazione attraverso le lingue naturali che appaiono nell’esperienza sotto forma di atti linguistici specifici.

Questa formulazione ha trovato una sua prima formulazione nell’opera di Saussure. Per lui i rapporti che uniscono i termini linguistici possano svilupparsi in due piani: i sintagmi e le associazioni o i sistemi che sono considerati da Saussure due forme di attività mentale.

Il sintagma è una combinazione di segni che ha come supporto l¢estensione;nel linguaggio articolato questa estensione è irreversibile.

Il sistema comprende le unità che hanno qualcosa in comune e che si associano nella memoria e formano cosi dei gruppi in cui dominano rapporti diversi. Saussure aveva intuito che il sintagmatico ed il sistematico devono corrispondere a due forme di attività mentale, e in questo modo già usciva dalla linguistica.

Il Sintagma.

La parola può essere definita come una combinazione di segni: la frase parlata è il tipo stesso del sintagma.

Il sintagma è dunque molto vicino alla parola. C’è una forma del sintagma di cui si occupa la sintassi che è per cosi dire la versione glottica dal sintagma.
Ciò non toglie che la prossimità strutturale del linguaggio e della parola sia un fatto importante, in quanto essa pone continuamente dei problemi dell’analisi. Il sintagma si presenta sotto una forma concatenata (per esempio il flusso della parola).

Il senso può nascere solo da un’articolazione, cioè da una divisione simultanea dello strato significante e della massa significante:in un certo qual modo il linguaggio è ciò che divide il reale.
Il sintagma è continuo,ma in pari tempo può essere veicolo di senso solo se è articolato.
Come scomporre il sintagma?

Per quanto concerne il linguaggio articolato,ci sono state innumerevoli discussioni sulla natura delle parole.

Esistono sistemi rudimentali di segni fortemente discontinui: le segnaletiche stradali per esempio, i cui segni, per motivi di sicurezza, devono essere radicalmente separati per essere percepibili immediatamente; ma i sintagmi iconici, fondati su una rappresentazione più o meno analogica della scena reale, sono infinitamente più difficili da scomporre, ragion per cui questi sistemi sono quasi universalmente accompagnati da una parola articolata che fornisce loro il discontinuo che essi non hanno.

La scomposizione del sintagma è un’ operazione fondamentale, giacché deve portare alla luce le unità paradigmatiche del sistema; il fatto deve essere costituito da una sostanza che deve venire scomposta è dunque ciò che per essenza definisce il sintagma.

La distribuzione è la condizione stessa del sintagma:
“il sintagma è un gruppo qualsiasi di segni etero-funzionali; esso è sempre binario ed i suoi due termini si trovano in un rapporto di condizionamento reciproco”.
Sussiste una libertà di associazione delle unità sintagmatiche.

Per il linguaggio, Jakobson ha fatto notare che il locatore fruisce di una crescente libertà di combinazione delle unità linguistiche, dal fonema alla frase: la libertà di costruire dei paradigmi di fonemi è nulla, giacché il codice è qui stabilito dalla lingua; la libertà di riunire dei fonemi in monemi è limitata, in quanto ci sono delle leggi di creazione delle parole.

La libertà di combinare delle parole in frasi è reale, ancorché circoscritta dalla sintassi ed eventualmente dalla sottomissione a certi stereotipi; la libertà di combinare delle frasi è la più ampia possibile, giacché non ci sono più coercizioni al livello della sintassi.

Saussure indica che la lingua è possibile proprio perché i segni si ripetono. La ripetizione dei segni è corretta da fenomeni di distanza fra le unità identiche.


Il Sistema.

Saussure lo ha visto sotto forma di una serie di campi associativi, gli uni determinati da un’affinità di suono, gli altri da un’affinità di senso. Egli insiste sulla parola termine, giacché, come egli precisa, non appena diciamo termine anzichè parola è evocata l’idea di sistema; la scuola Boomfieldiana, per esempio, è restia a considerare i rapporti associativi, laddove A. Martinet raccomandava di distinguere bene i contrasti, dalle opposizioni.

I termini del campo devono essere ad un tempo simili e dissimili, comportare un elemento comune ed un elemento variante. L’elemento comune ai termini di un paradigma si configura come elemento positivo, e questo fenomeno sembra contraddire le dichiarazioni di Saussure sulla natura puramente differenziale, oppositiva della lingua:
“nella lingua non ci sono se non differenze senza termini positivi”; “considerare (i suoni) non come suoni dotati di valore assoluto, bensì di un valore puramente oppositivo, relativo, negativo"Ogni valore della lingua va considerato oppositivo, e non positivo, assoluto"; così come sembra contraddire quest’altra affermazione, sempre di Saussure, che è ancora più netta:
"è peculiare alla lingua, come in generale ad ogni sistema semiologico, il fatto che in essa non ci possa essere differenza fra ciò che distingua una cosa e ciò che la costituisce".

Il linguaggio umano comporta due tipi di opposizione distintive (tra fonemi) e quelle significative (fra monemi).
Trubeckoj ha proposto una classificazione delle opposizioni distintive che Cantineau ha ripreso ed esteso alle opposizioni significative della lingua.

1) Opposizioni bilaterali e multilaterali.
In queste opposizioni l’elemento comune dei due termini, base di paragone, non è rintracciabile in altre opposizioni del codice o viceversa lo è. Prendiamo l’ alfabeto latino scritto: l’opposizione delle figure E/F è bilaterale poiché l’elemento comune F non è presente in nessun’alta lettera; viceversa, l’opposizione P/R è multilaterale giacché la forma P (o elemento comune) è presente in B.

2) Opposizioni proporzionali ed isolate.
In queste opposizioni la differenza è costituita da una specie di modello: per esempio, Mann/Manner e Land/Lander sono opposizioni proporzionali. Le opposizioni non proporzionali sono isolate, ed evidentemente sono le più numerose.

3) Opposizioni privative.
Sono le più note. L’opposizione privativa designa qualsiasi opposizione nella quale il significante di un termine è caratterizzato dalla presenza di un elemento significativo o marca, che invece non è rintracciabile nel significante dell’altro termine.

4) Opposizioni costanti.
E’ il caso dei significati che hanno dei significati differenti.

5) Opposizioni sopprimibili o neutralizzabili.
E’ il caso dei significati che non hanno sempre dei significati differenti, di modo che i due termini dell’opposizione possono talvolta essere identici.

Il linguaggio può valere come ogni sistema di comunicazione o codice: si parla di linguaggio umano contrapposto a linguaggio degli animali, linguaggio verbali, non verbali, naturali ed artificiali, dei gesti, delle immagini e in senso traslato, linguaggio nel valore di sistema comunicativo si estende a volte a coprire solo molto mediatamente comunicativi: per cui si parla di linguaggio della moda, dei sogni, dell’inconscio.

Si dice ancora linguaggio ogni varietà particolare di espressione o comunicazione derivante dalla specificazione dell’impiego, presso certe categorie di utenti ed in certi ambiti, di un sistema comunicativo, per esempio della lingua.
Gli studi intorno al linguaggio si sono recentemente sviluppati soprattutto in due direzioni:

1) la riflessione sulle proprietà e sui caratteri distintivi che definiscono il linguaggio verbale nei confronti del linguaggio non verbale umano e degli altri modi di comunicazione, in specie i linguaggio degli animali;

2) ricerca sulla filogenesi e l’ontogenesi del linguaggio.
Gli studi comparativi delle diverse forme di linguaggio caratterizzano in senso stretto la lingua, caratteri quali la simbolicità, la convenzionalità, il di stanziamento, l’equivocità e soprattutto la creatività.

Che il linguaggio sia un sistema simbolico era già noto al pensiero greco classico, e si qualifica precisamente come il suo fungere da meditazione concettuale tra individuo ed il mondo esterno e da mezzo di organizzazione e categorizzazione dell’ esperienza.

In quanto sistema simbolico il linguaggio è altresì altamente convenzionale: in questo caso, la convenzionalità assume il carattere specifico di arbitrarietà, doto che non vi è alcuna dipendenza di ordine ne logico, ne naturale, ne fisico, ne altrimenti motivata dall’ esterno fuori dalla convenzionalità linguistica tra entità designate, appartenenti al mondo reale o a mondi possibili e del linguaggio.

La simbolicità del linguaggio permette altresì di significare fatti ed eventi esterni al parlante e non solo ne principalmente di fare da indice e da segnale di stati d’animo, emozioni o fatti comunque legati all’emittente.

L’aspetto creativo dell’uso del linguaggio comprende non solo la caratteristica della libera ed aperta produttività a partire da un numero finito e dato di materiali di base, bensì anche fatti più specifici quali: la possibilità di produrre messaggi sempre nuovi, cioè mai prodotti prima, o di associare messaggi non nuovi a situazioni sempre nuove.

La summenzionata libertà da simboli, per cui l’emissione non è mai controllata in maniera determinante ne da stati interni all’emittente ne da stimoli esterni ne da funzioni fisiologiche; l’appropriatezza contestuale, vale a dire la capacità di adattamento dei messaggi a qualunque nuova circostanza possibile.

I recenti studi sui linguaggio animali, che presentano una grande varietà di forma e di canali mostrano come solo nel linguaggio verbale umano si trovino contemporaneamente e nella forma più piena tutti questi caratteri, e rafforzano quindi la convinzione che nella sua natura attuale il linguaggio verbale sia specie-specifico dell’uomo e qualitativamente ben distinto da ogni altro sistema di comunicazione.

Sia caratteri anatomici, quali la conformazione del tratto vocale sopralaringeo ricurvo ed a due canne, sia caratteri neurologici, quali quelli che devono presiedere ai meccanismi neurali di codificazione-decodificazione del linguaggio e strutturarne la grammatica, non abbiano paralleli in tutte le specie conosciute.

Minori luci per l’oggettiva mancanza di dati sicuri, hanno finora portato le teorie ed ipotesi avanzate circa l’origine del linguaggio.

Se è impossibile una ricostruzione dell’itinerario che deve aver condotto da una prima sommaria comunicazione già agli albori della vicenda dell’uomo sulla terra allo sviluppo di strumenti comunicativi così raffinati e complessi quali appaiono le diverse lingue attestate già in epoca protostorica, e se i caratteri costitutivi del linguaggio danno in se stessi scarsa informazione circa la sua evoluzione, ci sono tuttavia motivi per ritenere molto antica lungo l’albero genealogico degli ominidi la comparsa del linguaggio.

È infatti da considerare molto probabile una qualche embrionale forma di comunicazione orale già simile al linguaggio nell’Homo habilis e nell’Homo erectus, spostando dunque la nascita del linguaggio verso i tre milioni di anni fa; mentre una forma di linguaggio va attribuita senza esitazioni all’Homo neandertalensis.

I primi suoni da cui esso è evoluto erano probabilmente accompagnatori di stati emotivi, poca consistenza hanno altresì le varie teorie imitative da più parti avanzate, come quelle dell’uk-uk o ding-dong, ipotetica imitazione verbale di caratteristiche fisiche di oggetti o eventi, o dello yo-he-ho.
Più fondata sembra l’opinione che il linguaggio si sia sviluppato come una sorta di prolungamento del gesto manuale.


Musica

Musica: quale definizione?

La musica è una attività umana della quale non è possibile proporre una definizione univoca e valida in assoluto, dal momento che la nozione stessa di musica, le riflessioni via via formulate sulla complessa realtà del sonoro ed i contorni assegnati agli eventi ritenuti specificamente musicali sono variati a seconda delle epoche storiche, delle culture e degli individui.

Nessuna lingua antica possedeva un vocabolario perfettamente rispondente al concetto di musica modernamente inteso, cioè come arte di combinare e coordinare variamente nel tempo e nello spazio i suoni, prodotti da voci o da strumenti e ordinate in strutture qualificate secondo l’altezza, la durata, l’intensità. Molino è riuscito a mostrare che i contorni del concetto occidentale di musica variano a seconda che vi si includano le variabili poetiche, immanenti o estetiche.

“La musica è l’arte di combinare i suoni in base a regole, di organizzare una durata con elementi sonori” come si legge nel dizionario Robert?

Essa viene allora definita dalle sue condizioni di produzione (è un’arte) e dai suoi materiali costitutivi (i suoni).

Secondo un’opinione diversa “lo studio dei suoni compete alla fisica, mentre all’estetica musicale appartiene la scelta dei suoni piacevoli”.
Alla definizione coniata sulle condizioni di produzione si sostituisce quella data dall’effetto prodotto sul ricettore: i suoni devono essere piacevoli.

Secondo altri ancora, la musica si confonde quasi completamente con l’acustica, particolare settore della fisica:
”lo studio dell’acustica e delle proprietà dei suoni va oltre, in un certo senso, il campo propriamente musicale”.

Il numero ed il tipo di variabili che possono intervenire nella definizione del musicale è illimitato.

Molino considera la musica come un fatto sociale totale la cui definizione varia a seconda delle epoche e delle culture. In seno alla nostra cultura, dunque, la nozione di musica è lungi dall’essere omogenea.

Ruwet non esita a scrivere:
"non mi darebbe fastidio se una teoria della poesia, attribuendo un ruolo centrale ai parallelismi, escludesse taluni tipi di “poesia”moderna, esattamente come non mi disturberebbe una teoria musicale generale che prendesse in considerazione Mozart, Debussy, Gesualdo, Schoenberg, il gagaku, il canto gregoriano, ecc…, ma che escludesse, in quanto non musica, ad esempio, la Radio Music di John Cage".

Molino ritiene che
“ciascun elemento appartenente al fatto musicale totale può essere separato ed assunto quale variabile strategica della produzione musicale”.

E’ quanto accade nell’attività del gruppo Zaj di Madrid: sulla scena, un pianoforte viene spostato e tre musicisti compongono un’ azione senza parlare, ne cantare, ne suonare. In occidente, non vi è mai un’unica concezione culturalmente dominante di musica, ma un insieme sfumato di concezioni.

Ci si potrebbe aspettare che la nozione di musica contenga almeno la variabile di suono.

Cage la ritrova nel suo pezzo 4’25’’… di silenzio, dove un pianista avvicina ed allontana le mani dalla tastiera a più riprese senza mai far udire una sola nota: in questo caso la musica, ci dice Cage, è il rumore prodotto dagli spettatori.

Per Jakobson, la musica è prima di tutto un gioca di forme: quando essi riconoscono un certo effetto estetico affettivo, lo fanno malgrado la natura formale della musica.

La definizione semiologia proposta da Jakobson dipende dagli a priori dello strutturalismo: per lui l’essere della musica e della poesia risiede nelle loro strutture.

E’ la stessa concezione del senso musicale che ritroveremo in Ruwet:
“il senso della musica può apparire solo nella descrizione della musica stessa. Il significato viene dato, in musica, nella descrizione del significante.”

La musica viene ridotta molto raramente a semplice veicolo di un significato; basta che abbia un senso, ma come le acque di un fiume piuttosto che come un sillogismo.

I Mapuche dell’Argentina non hanno alcun equivalente per la parola musica, ma distinguono le forme strumentali ed improvvisate, la musica europea e quella delle tribù diverse dai Mapuche, i canti cerimoniali ed un genere a parte, il tayil.

Robertson dice che sicuramente non esiste un concetto universale e inter-culturale di ciò che sarebbe la musica. I Mapuche associano ai loro diversi generi vari interpretanti e, rispetto al tayil, interpretanti esclusivamente extramusicali.

***

Gli accademici della Crusca (Dizionario, Venezia, 1612), definirono la musica:

“Scienza della produzione della voce e dei suoni”.

Il vocabolario universale Italiano della Soc. Tipografica Tramonter e C. la definiva:
“Arte di esprimere sentimenti mercè suoni regolati”.

Il Tommaseo nel suo Dizionario definì la musica:
“Scienza della proporzione della voce e dei suoni” ma anche arte di formare con i suoni la melodia e l’armonia”.

Dizionario Zingarelli:
“arte di combinare i suoni in guisa che nella forma di melodia, armonia, polifonia strumentazione, rendano gli effetti dell’animo umano o immagini e visioni ideali”.

Dizionario Treccani:
“arte che si esprime per mezzo dei suoni”.

Dizionario Garzanti:
“l’arte di combinare i suoni secondo determinate regole”.