Marisella De Carli

Relazione per il Convegno “FORMAZIONE ARTISTICA MUSICALE…..ALTA?
Idee e strumenti per comprendere arte e musica nel sistema universitario italiano”
Organizzato dallo SNUR-cgil della Lombardia

14 giugno 2002 - Università degli studi di Milano

Come molti dei presenti mi sono sempre occupata di sindacato all’interno della mia professione di musicista e di docente, ma la ricollocazione del comparto dell’Alta Formazione Artistica e Musicale nello SNUR, come correttamente è avvenuto dopo l’approvazione della legge di riforma, ha attribuito ad alcuni di noi nuove responsabilità. Nonostante quindi l’abitudine per motivi professionali ad affrontare il pubblico, sento con un po’ d’emozione l’onere di rappresentare in questo convegno, il primo organizzato in ambito SNUR, idee e spunti di riflessione che possano essere utili nel travagliato avvicinamento al sistema universitario.

Non vorrei affliggere con la storia delle nostre istituzioni i molti presenti che la conoscono a memoria, ma non si può non ricordare che le leggi che ci governano sono tuttora, in mancanza dei regolamenti attuattivi della L.508, quelle emanate tra il 1918 e il 1930. Da allora le poche risposte alle richieste d’innovazione sono state trovate, da parte di alcune delle istituzioni più aperte alla riflessione su se stesse, nell’utilizzo dell’istituto delle sperimentazioni, più che nell’intervento legislativo. Poiché nel nostro paese non c’è niente di più definitivo del provvisorio, le sperimentazioni hanno continuato ad essere autorizzate, senza ricavarne peraltro una ricaduta sugli ordinamenti didattici del settore. Anche sul fronte degli organi di autogoverno e dell’organizzazione della didattica, le poche novità sono state il frutto, o di necessità, come l’elezione dei Direttori (l’espletamento di concorsi per questo incarico era diventato impossibile), o della parziale estensione alle nostre istituzioni delle conquiste sindacali legate all’autonomia scolastica. Autonomia che però, ironia della sorte, non ha potuto essere totalmente applicata ad Accademie e Conservatori, perché nel frattempo la lunga marcia verso la riforma era arrivata al termine coll’approvazione della legge 508, nell’ormai lontano dicembre 1999, e quindi l’Alta Formazione Artistica e Musicale andava a ricollocarsi in un nuovo comparto che tuttora assomiglia piuttosto a un limbo, o forse, se posso permettermi, un Purgatorio nel quale scontare peccati dei quali “un’autorità superiore” ha deciso che siamo responsabili.

E’ stata solo una coincidenza a far sì che la legge 508 fosse pubblicata sulla gazzetta ufficiale insieme al decreto ministeriale 509, ovvero il regolamento dell’autonomia didattica degli atenei. Ma nel momento in cui, poche pagine addietro, l’art. 2 della “nostra” legge riconosceva alle “nostre” istituzioni il diritto sancito dall’art. 33 della Costituzione a darsi ordinamenti autonomi, questa felice coincidenza sembrava indicarci un percorso che, fatte salve le differenze, ma in analogia a quello universitario, ci avrebbe finalmente permesso di ricollocare ai più alti livelli la formazione artistica e musicale.
Sappiamo tutti quel che invece è accaduto nel frattempo. Soltanto una settimana fa abbiamo scioperato perché quel che è indicato nella legge non diventi carta straccia, e le speranze di un giusto riconoscimento dei diritti degli studenti e del personale docente e non docente trovino finalmente una risposta concreta.

Decine di disegni di legge di riforma del settore sono stati presentati e discussi nel corso di tanti anni. Alcuni di questi migliori della 508, ma credo che il motivo principale per il quale si è comunque arrivati all’approvazione di questa legge stava nell’impossibilità di continuare a negare ad Accademie e Conservatori, ai loro studenti e docenti, il riconoscimento della dignità universitaria, come in tutta Europa avveniva da tempo per istituzioni analoghe.
Da qui credo sia necessario ripartire per dare slancio alle iniziative necessarie alla concreta applicazione della legge che, pur in presenza di approssimazione e ambiguità, rappresenta un punto di riferimento, purché gli adempimenti e gli atti conseguenti siano improntati a coerenza, chiarezza e determinazione. Coerenza e chiarezza che non ritroviamo nelle dichiarazioni sottoscritte dal sottosegretario Caldoro dopo l’incontro coi sindacati del 21 maggio. Sono risposte demagogiche, come la promessa di un’equiparazione di titoli vecchi e nuovi, eliminando i corsi integrativi previsti dalla legge. Delle due l’una: o le nostre istituzioni non richiedevano nessun tipo di riforma, e in questo caso sarebbe stata sufficiente una legge consistente in un unico articolo:
“ Tutti i diplomi rilasciati da Accademie di belle Arti, Conservatori di musica, Isia ecc. vengono dichiarati equipollenti ai diplomi di laurea di primo livello, compresi quelli rilasciati precedentemente”. Oppure si ritiene necessaria una riforma e, conseguentemente, le dichiarazioni governative sono difficilmente applicabili e verrebbero probabilmente osteggiate, questa volta con qualche ragione, dagli accademici.

Le ambiguità e le indeterminatezze sui percorsi previsti fanno temere che l’obiettivo, più o meno dichiarato, sia quello di impedire lo sviluppo di questo settore così importante per la vita culturale del Paese, o di spostarne il centro verso altre istituzioni, pubbliche o private.

E’ inoltre diffuso un senso di frustrazione per l’avvilimento delle proprie capacità e delle proprie libertà che trova conferma nell’unico provvedimento governativo, il regolamento che sta per essere approvato contro la volontà di gran parte delle istituzioni. Regolamento che, mettendole sotto tutela politica, impedirebbe la costituzione di organi di autogoverno, a garanzia della libertà della didattica e della ricerca, presupposto indispensabile per lo sviluppo dell’alta formazione artistica e musicale.

Nonostante queste premesse lo Snur CGIL della Lombardia, ha voluto presentare, con un titolo un po’ provocatorio, questo convegno, per proporre alla discussione idee per disegnare un percorso credibile. Con l’intenzione che la mobilitazione per l’attuazione della legge 508 sia accompagnata da proposte che aiutino a sciogliere i dubbi e le ambiguità contenute nella legge stessa. Idee che sottoponiamo al vostro esame e che quindi cercherò di esporre in modo sintetico per lasciare alle relazioni, e al dibattito che seguirà, più spazio possibile.

Possiamo dividere in due parti le aree d’intervento: da un lato gli assetti istituzionali propri del comparto e la nuova configurazione che assumerà l’Alta Formazione Artistica e Musicale nel panorama accademico italiano, e dall’altro le caratteristiche dei rapporti di lavoro dei dipendenti in relazione ai nuovi assetti organizzativi e alle risposte contrattuali necessarie. Entrambe richiedono una visione di ampio respiro strategico, capace di portare avanti un processo che sappia valorizzare qualità e competenze ampiamente presenti tra gli operatori del settore.
Un sindacato che voglia davvero rappresentare le istanze di crescita e di valorizzazione professionale, e la CGIL è inequivocabilmente collocata lungo questo percorso, deve coraggiosamente introdurre e sostenere elementi di chiarezza e di rigore capaci di dare credibilità all’intero processo di riforma.

E’ innanzitutto necessario essere consapevoli che l’attuale articolazione territoriale, didattica e organizzativa dei Conservatori e delle Accademie di belle arti non favorisce la loro ricollocazione dentro il sistema universitario, e ogni insistenza in questo senso non fa che alimentare le resistenze che hanno già fatto sentire tutto il loro peso nella stesura del regolamento, e ancora di più sapranno condizionare i futuri adempimenti.
La qualificazione, l’accorpamento e la selezione dovranno quindi essere i passaggi obbligati attraverso i quali le nostre istituzioni potranno a pieno titolo rivendicare il riconoscimento delle loro prerogative nell’ambito universitario. E’ necessario non farsi cogliere impreparati su questi tre passaggi fondamentali che vengono già adombrati all’art.2, comma 7, nei regolamenti attuattivi della L.508, per essere in grado di reggere il confronto con gli standards internazionali qualitativi. L’estenuante e purtroppo finora inefficace mobilitazione sul regolamento dell’autonomia, certamente indispensabile per l’attuazione di tutti gli altri, ha però finito per lasciare in ombra tutte le problematiche connesse agli altri regolamenti.

A che cosa ci riferiamo parlando di qualificazione? Ai due aspetti fondamentali che caratterizzano le attività accademiche: l’alta formazione ai massimi livelli possibili, anche nel confronto internazionale, e la ricerca, che nella tradizione universitaria rappresenta lo stimolo e il sostegno per una didattica sempre pronta a innovarsi. E’ necessario che la riflessione sulle professionalità vecchie e nuove che da tempo le istituzioni e i docenti più avvertiti stanno elaborando e sperimentando divenga finalmente patrimonio comune. Si tratta di ridisegnare i percorsi adeguandoli alla mutata collocazione dell’arte e della musica nella società contemporanea. Si tratta di coniugare ciò che di meglio è rimasto della tradizione di “bottega d’arte” con l’esigenza di aprirsi alle nuove richieste che i nostri studenti ci pongono. Lo scambio e il confronto internazionale lo richiedono sempre di più.
Materiali di riflessione non mancano: in tutti questi anni, mentre da un lato ci si muoveva sul piano istituzionale, dall’altro sono state elaborate analisi e proposte, anche in seno alla CGIL. Ora la spinta innovativa che la legge di riforma aveva iniziato a diffondere sta lasciando nuovo spazio ai difensori della conservazione dell’esistente. L’insicurezza, lo verifichiamo quotidianamente a tutti i livelli, produce chiusura e regressione.
L’arte e la musica hanno sempre rappresentato il momento più alto dell’espressione senza pregiudizi, e della ricerca del nuovo non inteso come moda effimera. Sarebbe quindi paradossale che proprio i luoghi deputati alla ricerca e alla formazione artistica si chiudessero in una difesa conservatrice e miope dell’esistente.
Qualificazione significa quindi capacità di rimettersi in gioco, di confrontarsi, di riconoscere con coraggio le proprie carenze, ma anche valorizzare le proprie specificità, spesso di livello molto alto, trovando in questo modo lo spazio e il riconoscimento adeguato.

E’ però necessario che i due regolamenti dell’art.2, comma 7, lettera g) e h), riguardanti programmazione, riequilibrio e sviluppo dell’offerta didattica; e ordinamenti didattici, vadano in questa direzione. A tutt’oggi nulla si sa a proposito dei lavori delle commissioni che il Ministro ha nominato un anno fa per elaborare proposte in tal senso. O meglio: sappiamo che le commissioni hanno da mesi terminato il loro compito, ma non si hanno notizie sull’accoglienza riservata in sede governativa alle loro conclusioni.

L’accorpamento di più realtà è giustificato dal numero delle istituzioni dell’alta formazione artistica e musicale che è pari, se non superiore, a quello degli atenei italiani, a fronte di un numero di docenti e studenti talmente inferiore da non essere neppure paragonabile. Può diventare uno strumento per valorizzare le eccellenze, ricollocandole in una prospettiva di sviluppo a rete che sta già impegnando importanti università della nostra regione. Si tratta di aprirsi a nuove prospettive, accettando la sfida necessaria per affermare un ruolo dinamico e non conservatore del comparto, al passo dei cambiamenti che la società sta attraversando e verso cui la stessa produzione artistica non può rimanere indifferente. Si tratta anche di vincere le comprensibili resistenze al cambiamento, per avviare collaborazioni che potranno soltanto arricchire d’esperienze e di opportunità i nostri studenti.

Anche in questo caso c’è il regolamento alla lettera d) del famoso art.2 comma7 che prevede questo percorso. Se non vogliamo lasciarlo alle scelte governative, dobbiamo aiutare il sindacato a gestirlo in modo che non diventi punitivo. Sarà certamente un confronto difficile, ma dal quale le nostre istituzioni potranno uscire rafforzate, premiando chi avrà saputo, e voluto, valorizzare le proprie peculiarità, legate alla propria storia e anche al rapporto col territorio.

La selezione, infine, dovrà verificare, sulla base di criteri oggettivi, lo sforzo innovativo, l’impegno nella ricerca e l’offerta didattica coerente con la riforma dell’ordinamento universitario. E’ auspicabile quindi che le istituzioni prevedano un sistema di autovalutazione, eventualmente anche con la partecipazione di esperti internazionali. Questo nell'attesa delle verifiche periodiche previste dalla legge da parte dell’Osservatorio per la valutazione del sistema universitario.

L’impegno verso questi tre obiettivi deve trovare nella libertà della didattica e della ricerca la condizione ineludibile per lo sviluppo dell’arte e della musica nella loro espressione più alta. Libertà della didattica e della ricerca presuppongono a loro volta la presenza di strumenti di autogoverno coerenti con l’attuale ordinamento universitario e per nulla simili alle impostazioni regolamentari disposte dall’Esecutivo che riaffermano, al contrario, antiche soggezioni verso propositi e interessi estranei allo sviluppo della didattica e della ricerca artistica e musicale.
In questa direzione giungono segnali sempre più preoccupanti che coinvolgono anche coloro che hanno l’autonomia e la libertà nel loro DNA: le università. Dalla trasformazione in fondazioni previste dalla legge Finanziaria che, se pur non da demonizzare, potrebbero diventare modi per limitare l’autonomia, al recentissimo decreto dell’onnipotente Ministro dell’Economia che unilateralmente inserisce la Scuola Centrale Tributaria e i suoi docenti nel sistema universitario nazionale predisponendo un nuovo modello di istituzione universitaria: quello alle dirette dipendenze dell’Esecutivo, come giustamente ha affermato il nostro Segretario Generale Broccati nella sua lettera al Ministro Moratti.

Non si può non ricordare infine l’obiettiva difficoltà nell’applicazione della legge ai Conservatori di Musica a causa della loro particolare storia e della conseguente articolazione verticale degli studi. Certamente la loro trasformazione è più complessa, e richiederebbe dei regolamenti di settore per ogni tipologia di istituzione, come è già stato da tempo segnalato, e nuovamente ricordato dalla CGIL due giorni fa, all’audizione che i sindacati confederali hanno richiesto alla Commissione cultura della camera. Ciò sgombrerebbe il campo anche da polemiche interne al comparto, che attribuiscono le lentezze attuattive esclusivamente a questi problemi, innescando così tentativi di fughe in avanti e divisioni, funzionali queste sì, a chi volesse ritardare ulteriormente il percorso regolamentare.

Il richiamo rigoroso alla Legge 508 può però essere sufficiente a favorire un percorso coerente purché ad esso, e al dibattito che ne ha dato impulso, si riconduca la produzione regolamentare, statutaria e organizzativa del comparto.
In questo contesto potrebbe essere superata la diffidenza che ha accompagnato il difficile iter legislativo e regolamentare della L.508, lasciando spazio a un dialogo tra l’Alta Formazione Universitaria e quella Artistica e Musicale. Dialogo iniziato finalmente con la riunione del 22 maggio scorso del gruppo di lavoro CNAM-CUN. La mozione approvata in quella occasione ha fatto proprie le preoccupazioni del nostro comparto per “la sovrapposizione, negli obiettivi formativi e nei diversi curricula, tra corsi di laurea e percorsi formativi propri della Accademie di Belle Arti e dei Conservatori di Musica”. Ha inoltre sottolineato il divario, in alcuni corsi di laurea, tra gli obiettivi specifici del corso e l’inadeguatezza dei percorsi formativi attivati.
Un altro segnale positivo, che registriamo con soddisfazione, è la recentissima presa di posizione del CUN con la mozione del 10 giugno contro l’art.5 del regolamento che “introduce un grave vulnus in tutto il sistema delle autonomie”.
La condivisione di queste preoccupazioni da parte del CUN induce quindi a un certo ottimismo, ma non ad abbassare la guardia. Senza la piena applicazione della L.508, il confronto e la collaborazione su curricula, obiettivi formativi e ricerca, elementi fondanti dell’essere alta formazione, sarà molto difficile e, spesso, impossibile. Il rischio, per le nostre istituzioni, è quello di essere sì “comprese”, (come dice il titolo del convegno) nel sistema universitario italiano, ma in una posizione subordinata. La CGIL crede fermamente che ciò non possa né debba avvenire.

Ciò che invece non coincide con il normale processo di riforma, nemmeno se ispirato ai più rigorosi criteri selettivi, è la parte riservata al personale, alla sua qualificazione e alla sua collocazione nel comparto di nuova istituzione.
I processi di riforma che hanno caratterizzato importanti settori della vita del paese, dalla sanità alla scuola, l’università e la pubblica amministrazione, si sono realizzati solo con il concorso e con la partecipazione consapevole dei lavoratori di quei settori.
La CGIL, non da sola, ha sempre orientato la propria azione in modo di dare impulso alle innovazioni necessarie, anche attraverso una coerente politica contrattuale capace di sciogliere le tensioni corporative, spesso segmentate e difficilmente collocate lungo la prospettiva di sviluppo del ruolo degli operatori.
Fatta questa premessa, la collocazione dei dipendenti di questo comparto definita in un modo che suona come una triste destinazione finale anziché rappresentare una tutela: “ruolo a esaurimento”; questa collocazione che non prevede la possibilità di ricollocarsi nel nuovo ordinamento, e prevede per i futuri operatori la possibilità di essere assunti solo con contratti a termine, indipendentemente dalla continuità della loro funzione all’interno delle istituzioni, non è comprensibile, né tantomeno accettabile.
E’ lecito dubitare sulla legittimità della norma che contraddice il decreto legge 29/93 e le sue successive modificazioni, fino al più recente accordo Governo Sindacati del 4 febbraio 2002 che riafferma la titolarità esclusiva della contrattazione collettiva per tutti gli aspetti del rapporto di lavoro.
Nel riaffermare questo principio si vuole altresì sostenere la necessità di un preciso percorso concorsuale allo scopo di ricollocare l’attuale personale nei ruoli del nuovo comparto, nella loro piena titolarità dei loro compiti e dei loro diritti.
La stipula del primo contratto collettivo del nuovo comparto dovrà rappresentare l’occasione per assicurare diritti e garanzie a tutto il personale, articolandosi su due distinte aree, la cui autonomia troverà conferma a tutti i livelli contrattuali: quella del personale docente e quella del personale ATA.
Gli obiettivi, il progetto culturale e i possibili risultati, per entrambe le aree, dovranno collocarsi lungo il percorso dei diritti e delle garanzie che hanno caratterizzato l’azione sindacale di questi ultimi mesi, coniugandosi in risultati contrattuali coerenti e visibili particolarmente in un comparto nel quale confluiscono arte, cultura, formazione continua, ricerca di forme espressive e di capacità critiche che rappresentano un patrimonio prezioso per una società che voglia crescere innovandosi, senza perdere il collegamento con la tradizione artistica che ha fatto conoscere il nostro paese in tutto il mondo.
Tutto ciò troverà maggior riscontro nella contrattazione delle condizioni di lavoro e delle caratteristiche della docenza, cui si accederà alle medesime condizioni previste per quella universitaria, anche nella prima applicazione.
Il riferimento al ruolo ad esaurimento potrà avere efficacia solamente per coloro che non intendono seguire questo percorso di selezione, o per le istituzioni che non ritengano di doversi innovare nella nuova dimensione accademica. Per tutti gli altri la collocazione nei nuovi ruoli della docenza dovrà essere nella pienezza delle funzioni e delle condizioni previste per l’insieme dell’ordinamento universitario.

La contrattazione si ispirerà a questa nuova dimensione. Pur riaffermando il valore collettivo dovrà saper rispondere a domande individuali come la formazione continua, il possesso dei diritti delle opere, il diritto ad arricchire la propria competenza o valorizzare la propria attività artistica anche mediante periodi sabbatici o temporanee collocazioni presso strutture diverse. Tutto ciò in piena autonomia, con la partecipazione e il consenso dei lavoratori interessati, a tutti i livelli di contrattazione.
L’iniziativa confederale dovrà quindi trovare soluzioni inedite per la propria esperienza, ma non certamente rivendicando scorciatoie, sanatorie o “ope legis”. Crediamo che il rinnovamento del comparto attraverso un’azione rigorosa sia la condizione indispensabile per la collocazione nel sistema universitario nazionale, coerentemente con quanto già previsto dalle legislazioni dei più importanti paesi europei.

Se qualcuno pensa di allontanare questi obiettivi, magari incoraggiando atteggiamenti accomodanti o poco rigorosi, non avrà il favore della CGIL che, al contrario guarda all’interesse autentico dei docenti, del personale tecnico e amministrativo, ma soprattutto degli studenti che, al pari dei loro compagni degli istituti superiori europei, hanno diritto ad un percorso formativo che dia sostanza e riconoscimento alle loro aspettative.
La CGIL sarà quindi al loro fianco per favorire l’affermazione dei futuri lavoratori dell’arte e della musica nella pienezza dei loro diritti.

Permettetemi di chiudere questo intervento con la lettura di un contributo che il compositore Franco Donatoni mi ha dettato nel maggio del 1999, un anno prima della sua scomparsa, proprio per un convegno della CGIL tenuto a Roma pochi mesi prima dell’approvazione della legge di riforma. Sono poche parole ma tuttora attuali.

“ Sono contrario a qualsiasi riforma degli studi musicali se poi tale riforma istituisce programmi che rimangano tali per una quantità di tempo indeterminata.
Secondo me l’unica possibilità di programmazione è strettamente individuale e viene determinata dalla personale esperienza e quindi da un continuo adattamento e aggiustamento secondo la convenienza momentanea: tutto ciò è possibile soltanto in un quadro di autonomia e libertà.
Inoltre tali studi nella loro completezza dovrebbero essere equiparati al livello universitario e quindi offrire il massimo riconoscimento alla artigianalità del “fare musica” nei confronti della cosiddetta cultura accademica.”

Marisella De Carli