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 Libro del mese   

Anno 2017


Area linguistica e semiotica
MARZO 2017 Prima edizione, gennaio 1978

L'Autore

Costanzo Di Girolamo (Napoli, 1948) era, nel 1978, docente all'Università della Calabria.

Costanzo 

Di Girolamo


Critica della letterarietà

Editore

Il Saggiatore, Milano, 1978. 

Collana "Biblioteca di linguistica".

Di Girolamo

Nel marzo 2016 recensivo La fabbrica dell'impero. Era il primo di due libri in cui si enunciava una teoria minoritara: alcuni teorici si sono impadroniti della semiologia e ne hanno fatto una disciplina materialista. Di questa ideologizzazione io non mi ero accorto minimamente quando facevo l'università. Il motivo è molto semplice: gli Elementi di semiologia di Barthes e la semiotica greimasiana ci vennero presentati come definitivo, [asso]dato

Questo libro ha un approccio un po' distante da quello di Brioschi: infatti l'autore cita volentieri Gramsci e Marx. È interessante perché diffonde il pensiero di Louis Hjelmslev. L'autore danese viene tradizionalmente presentato come un continuatore di Saussure ed un precursore di Greimas. In realtà gli vengono fatte dire cose che non ha mai pensato. Il motivo è che deve essere inserito in questa linea di pensiero.

Nel primo capitolo l'Autore spiega in che cosa il pensiero di Hjelmslev è stato deformato:  Barthes afferma negli Elementi, citando Hjelmslev, che «i significanti di connotazione, che chiameremo connotatori, sono costituiti da segni (significanti e significati riuniti) del sistema denotato». In realtà per Hjelmslev i connotatori costituiscono il piano del contenuto, e non quello dell'espressione, di una semiotica connotativa (pp. 13-14).

Hjelmslev non definisce in maniera esplicita cos'è una semiotica connotativa. Alcuni critici hanno fatto dire al linguista danese che essa coincide con la letteratura. Per cui è nata l'equazione: lingua comune : semiotica denotativa = lingua letteraria : semiotica connotativa,

che è quanto di più lontano si potesse essere dal vero pensiero di Hjelmslev.
Questa equazione fa comodo ai formalisti e agli strutturalisti, i quali teorizzano che la lingua letteraria sia una lingua “borghese” e, in quanto tale “fine a se stessa”.
In realtà  Hjelmslev non contrappone una semiotica denotativa a una semiotica connotativa. Nei Prolegomena to a Theory of Language (1943) lo studioso danese introduce un'altra contrapposizione: quella tra semiotiche scientifice e semiotiche non scientifiche. «La connotazione, dunque, non è una marca specifica del testo letterario: o meglio, il linguaggio letterario non può essere messo in contrasto con la lingua comune in base a essa» (p. 19). Un testo andrà in primo luogo esaminato come una semiotica denotativa. Altra considerazione importante: «le nozioni di “letterario”, di “poetico”, ecc., non risaltano da qualità intrinseche dell'oggetto, ma saranno definite solo nel confronto con una realtà necessariamente esterna, e in virtù del funzionamento sociale del testo» (p. 23).

Nei capitoli seguenti l'Autore esamina un singolo aspetto alla volta. Ad esempio, in “Lingua standard e lingua letteraria” (cap. III), critica gli strutturalisti. Essi oppongono la lingua standard alla lingua letteraria. Secondo l'Autore paragonano due elementi non omogenei: la parole letteraria con la langue dello standard. L'unica comparazione corretta è tra langues (l'italiano rispetto all'inglese) o paroles (Petrarca rispetto a Dante). p. 35. Che cos'è esattamente la “lingua standard” di cui parlano gli strutturalisti? Il codice ideale della lingua? Ma una cosa del genere non esiste: «si ha anzi il sospetto che la lingua standard rappresenti una sorta di fantasma strumentale evocato e contrapposto alla lingua letteraria»; ma nessuna delle due vengono definite.

Molto interessante anche il capitolo seguente, “Usi e funzioni del linguaggio”, in cui l'Autore discute le sei funzioni jakobsoniane (referenziale, emotiva, poetica, conativa, fàtica, metalinguistica). La teoria delle funzioni linguistiche è stata ripresa e approfondita da molti autori ed è tuttora in auge. In realtà la classificazione di Jakobson è un'operazione arbitraria rivestita di un manto di scientificità (p. 45). Anche la teorizzazione di una funzione “dominante” è arbitraria; l'accertamento stesso della dominante è un dato soggettivo (p. 53).

Senza allontanarsi da Hjelmslev, anzi cercando di essere aderente alla sua visione, Di Girolamo ritiene che l'analisi di un testo letterario non possa prescindere dalla conoscenza dei sistemi di valori esistenti presso una società (per inciso, l'ambiente sociale in cui vive l'autore del testo analizzato). Questo concetto viene ripreso nel cap. IX, “Critica letteraria e analisi del testo”. Per Hjelmslev «gli oggetti che interessano la teoria linguistica sono i testi» e il fine della sua teoria è di «fornire un procedimento per mezzo del quale un dato testo possa esere compreso attraverso una descrizione coerente ed esauriente» [1943]. Hjelmslev considera “testo” qualsiasi manifestazione linguistica, da una singola parola a un intero idioma parlato. La “letterarietà” non è una proprietà intrinseca al testo, ma discende dalla ricezione del testo nella società; inoltre un'opera che per i contemporanei era percepita come “storica”, per noi oggi può essere definita “letteraria”, perché la percezione della letterarietà può cambiare nel tempo (p. 93).

A costo di sembrare banale, alla fine del libro l'Autore ribadisce due principii-cardine (pp. 108 e segg.):
1. La letteratura, in quanto fatto linguistico, non va tenuta separata da tutti gli altri tipi di manifestazioni e di usi del linguaggio che la società conosce;
2. È sempre il pubblico, dei contemporanei e/o dei posteri, che decide se un testo è letterario oppure no.

Lo schema dei sei fattori in gioco nel processo comunicativo andrebbe così riscritto:


CONTESTO
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MITTENTE <--  MESSAGGIO  --> DESTINATARIO
         
CONTATTO                         CODICE