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 Libro del mese   

Anno 2008


Area linguistica e semiotica MAGGIO 2008 Prima edizione,
giugno 2000

L'Autore

Mario Alinei è (anche nel 2010) professore emerito dell'Università di Utrecht, membro onorario della Società Internazionale di Dialettologia e Geolinguistica e membro fondatore della Società Linguistica Italiana.

Continuitas.org

Mario Alinei

Origini delle lingue d'Europa
II. Continuità dal Mesolitico all'Età del Ferro nelle principali aree etnolinguistiche


Editore

il Mulino, Bologna: 2000.
Collana "Collezione di Testi e Studi".

 ISBN: 978-88-150-7386-0

Alinei2000
Questo volume è il secondo di un'opera uscita tra il 1996 e il 2000. Mi dispiace aver conosciuto il pensiero di Alinei così tardi, ma, inspiegabilmente, questo testo non fa parte del curriculum di nessun corso di Scienze della Comunicazione.
È un testo molto importante, poiché fissa dei punti fermi sull'origine delle lingue europee con delle argomentazioni di rara efficacia, che fanno sembrare quello che abbiamo studiato fino adesso dei “luoghi comuni”. L'Autore si prefigge di dimostrare che la lingua originaria dell'Europa è l'Indoeuropeo e che esiste una continuità linguistica fin dal Paleolitico Superiore ad oggi. Nel quadro della «Teoria della Continuità», tutte le popolazioni che si sono insediate per prime nelle aree deglaciate sono quelle che vi sono rimaste fino ad oggi.
In Scandinavia, nell'area baltica e, in generale, nelle isole del Nord, la glaciazione è stata molto più intensa, ed ha impedito la colonizzazione di gruppi umani anatomicamente moderni fino al Mesolitico. Quindi in queste regioni le lingue indoeuropee si sono diffuse nel Mesolitico. Fin dalle origini, quindi, appaiono in Europa i gruppi linguistici che conosciamo ancora oggi: Ugro-finnici, Turco-mongoli, Indoeuropei.
Il presente volume, veramente ponderoso con le sue 1004 pagine (più 52 di bibliografia),
è suddiviso in quattro parti: I. Introduzione (di cui ho riassunto sopra il contenuto); II. Le aree non indoeuropee dell'Europa orientale; III. Le aree indoeuropee dell'Europa orientale, settentrionale e mediana; IV. L'area indoeuropea mediterranea centro-occidentale.
In ogni sezione l'Autore spiega l'origine delle popolazioni trattate e ne individua i fondamenti linguistici. L'Italia viene trattata nella Parte IV, ed è considerata parte di un'area più vasta che comprendeva tutta l'Europa costiera sulla sponda Nord-Ovest del Mediterraneo (quindi anche l'Iberia, la Francia meridionale e la Dalmazia). Questo vasto territorio con l'Italia al centro fu abitato da un gruppo linguistico antenato del Latino e delle lingue affini.
Qual è il termine più adatto per indicare i suoi antichissimi abitanti? Bisogna individuare un termine nuovo. L'Autore propone il termine Italide (pag. 585).
Per quanto riguarda la penisola, mi ha molto colpito quello che l'Autore scrive sul Nord Italia. L'Alta Italia è un'area etnicamente e linguisticamente omogenea, all'interno della quale si possono distinguere alcune facies culturali diverse. Fin dal Neolitico è individuabile la “frontiera culturale” sul fiume Adda. Nell'Età del Bronzo si possono individuare due differenti culture ad Ovest e ad Est (fino al Trasimeno) del fiume. Un'altra facies comprende le terre dal Trasimeno all'Istria. A sud del Po, l'area principale è quella Ligure. Nella pianura cispadana, la parte orientale manifesta caratteristiche diverse da quella centro-occidentale. Alinei conclude: “L'Italia del Bronzo ormai coincide col quadro dialettale italiano” (pag. 711). La divisione lungo il fiume Adda continua nell'Età del Ferro: ad ovest si sviluppa la cultura di Golasecca, ad est nasce quella che ha come centro irradiatore Este.
Nel Bronzo recente nasce la cultura delle Terremare (da “terra marna”, nome della terra fertile attorno al Po nel suo medio corso), che domina una vasta zona della pianura padana per secoli.
Nel Bronzo finale la cultura terramaricola subisce un crollo e scompare; gli archeologi non hanno ancora capito compiutamente cosa sia successo. Alinei, come linguista storico, constata che tale cultura è sostituita da quella villanoviana. Sapendo che la cultura villanoviana è alla base della civiltà etrusca, che la lingua etrusca non è indoeuropea, trae questa conclusione: “Poichè la Teoria della Continuità assume come fondamento che il fondo indigeno dell'Italia e della regione ibero-adriatica sia italide, l'Etrusco non può che essere intrusivo. Di conseguenza, poiché gli Etruschi sono stati inequivocabilmente interpretati come responsabili [sic!] della cultura villanoviana, anche questa cultura, alla luce della TC, non può che essere intrusiva”. Conclusione per me sorprendente!
Non mi sorprende invece un'altra affermazione: il più importante confine linguistico italiano – la linea La Spezia-Rimini, che divide i dialetti alto-italiani da quelli centro-meridionali – risale all'Età dei Metalli. Il tratto che accomuna i dialetti del Nord Italia è la sonorizzazione  (ed eventuale caduta) delle consonanti sorde intervocaliche. Tale caratteristica è presente anche nelle lingue delle aree transalpine confinanti. E cosa accomuna il Nord Italia con le aree transalpine confinanti? La comune ascendenza celtica. Detto linguisticamente: sulla famiglia linguistica italide, si innesta il superstrato celtico.
Il capitolo XXI s'intitola: «Dialetti “moderni” più antichi del Latino: controprove etimologiche». Il ragionamento di Alinei parte dalla constatazione che il Latino è necessariamente più antico della fondazione di Roma (infatti dopo la sua fondazione non ci fu alcun cambiamento di popolazione nel Lazio). Ma allora perché fermarsi al Latino? E in che rapporto è con altre lingue italiche? Si deve necessariamente concludere che tutte le lingue dell'Italia antica siano nate in tempi remoti. Alinei dice di più: “la TC assume che il Latino e le lingue affini del gruppo italide siano da sempre [corsivo mio] presenti nell'area ibero-dalmatica” (pag. 951). Con l'estensione del dominio di Roma su tutta la penisola, le lingue locali sono state ridotte a “dialetti”, in posizione subordinata alla lingua dominante, ed esclusi per lunghi secoli dalla scrittura. Se si comprende che le parole dei dialetti di oggi hanno origini millenarie, allora i dialetti possono essere una preziosa fonte per interpretare il Latino di Augusto. Fino ad ora, infatti, si sono utilizzati come fonti solo le lingue antiche, per definizione poche e coeve al Latino. L'Autore, comunque, afferma di non aver scoperto niente di nuovo: “l'idea che i dialetti moderni possano servire ad illuminare aspetti arcaici del Latino, comunque, non è nuova, anzi è una delle maggiori conquiste della linguistica romanza” (pag. 952). Però a me non l'aveva mai detto nessuno prima d'ora!