poesie filosofiche

 

                    Che vuol dire “filosofia”? 

E' una parola composta da “philos”, amore, e “sophia”, sapienza o conoscenza. Il filosofo è colui che ama la sapienza, la verità (ricordiamo la frase di Aristotele “Amicus Plato, sed magis amica veritas”: Aristotele non può non contraddire il suo amico e maestro Platone perché prima di ogni altra cosa ama la verità). Colui che la cerca, ma non la possiede (“Solo gli dei possiedono la verità, noi filosofi siamo miseri ricercatori” diceva Platone). La filosofia è amore, come anche Amore è filosofo (a detta di Socrate nel “Simposio” di Platone). Non solo: è un amore completamente disinteressato (theorein: osservare disinteressatamente). La verità è dichiarata dal filosofo in quanto tale, senza alcun secondo fine. E per amore della verità, il filosofo deve essere pronto a confutare o a lasciar confutare il proprio pensiero. Filosofare non è né erizein (sostenere una tesi, qualunque essa sia), né demagorein (dire ciò che gli altri vogliono che si dica, come l’arringare la folla in cerca di consenso).

Metodo della filosofia

Logos in greco ha svariati significati. È la parola, il parlare ed il discorso, è la logica e quindi la verità, è la ragione umana. La filosofia è strettamente legata al logos perché è un discorso, e soprattutto è un discorso logico; una discorso filosofico non può essere aporetico, perché non avrebbe senso: a differenza della religione, la filosofia è una ricerca razionale della verità.
Possiamo raggruppare gli interessi della filosofia in tre grandi aree: la 
teologia (da theos, dio: c’è un dio? E se c’è, qual è la sua natura?), la cosmologia (da kosmos, ordine ma anche universo) e l’antropologia (da anthropos, uomo: qual è il ruolo dell’uomo all’interno dell’universo?).

 

IL LOGOS (discorso) NEL PENSIERO GRECO

Con i primi filosofi la parola lógos incomincia a mutare significato, ad essere connotata positivamente come "discorso-su". Ma la Dea di Parmenide parla ancora così: « Ascolta bene il discorso (mythos) che ti faccio, su quali siano le vie di ricerca che sole sono da pensare »  La via dell'Essere è contenuta in un mythos e non in un lógos. Ma in un altro frammento Parmenide parla di "discorso (lógos) certo attorno alla verità" Il discorso (lógos) è certo quando implica un retto pensiero (noys), ma può anche essere un lógos menzognero. Il mythos, invece, è un discorso che riguarda la verità ma che eccede l'orizzonte umano, e va a denotare quanto dice la dea.

Con i Sofisti  il lógos acquista il significato di dimostrazione. Si può far notare che l'evoluzione del concetto fa perdere al termine l'unità di significato che aveva in Eraclito. In breve, viene ad imporsi il significato di capacità razionale di discorrere, di parlare e di pensare. 

I sofisti sono coloro che sanno «rendere più forte il ragionamento (lógos) più debole » 

Socrate lamenta questa ingiusta diceria nei suoi confronti, diceria che ci dice quale fama si era guadagnata una certa sofistica. Il lógos, comunque, era divenuto un concetto della dialettica. Esiste un nesso comprensibile tra la vita democratica dei sec. V e IV in Atene e la valenza dialettico-retorica che il concetto assume. «Il lógos è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e indivisibilissimo, divinissime cose cose sa compiere; riesce infatti e a calmar la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia e ad aumentare la pietà » Siccome il lógos ha ora esistenza politica, e questo ci eleva al di sopra degli animali, tutte le nostre conquiste culturali derivano da esso. Isocrate, nell'inno al lógos, inserito nel Nicocle, dice, in sintesi, che «la parola (lógos) è ciò che distingue l'uomo dall'animale, è la condizione d'ogni progresso, tanto nel campo delle leggi che delle arti o delle invenzioni meccaniche; dà all'uomo il mezzo di realizzare la giustizia, d'esprimere la gloria, di promuovere la civiltà e la cultura » 

 

Con Socrate e Platone avviene il superamento della concezione sofistica, soprattutto dell'elemento individualistico del lógos. Per Platone il lógos dei sofisti era solo distruttore, era uno strumento agonistico che metteva in luce solo «le possibilità negative del lógos» E' importante far notare che il lógos - la parola, il ragionamento - è al centro della dottrina socratica e della politica platonica. Esso non è cattivo, mentre cattivo può essere l'uomo che ne fa uso: «E allora, o Fedone -egli disse-, non sarebbe deplorevole che ci capitasse questo, e cioè che, pur essendoci ragionamenti veri e saldi e che si possono riconoscere come tali, per esserci trovati di fronte a ragionamenti che a volte ci parvero veri e a volte no, invece di dare la colpa a sé e alla propria mancanza di conoscenza, si finisse, perché angustiati, col dar la colpa volentieri ai ragionamenti medesimi e così si continuasse a odiarli e a biasimarli per tutta la vita, e così si restasse privi della conoscenza della verità e degli esseri?". "Per Zeus - dissi -, sarebbe davvero cosa deplorevole!". "Dunque, in primo luogo dobbiamo guardarci da questo - disse Socrate - e non lasciare entrare nell'anima la convinzione che non esiste alcun ragionamento sano, ma dobbiamo convincerci piuttosto che noi non siamo ancora sani, e che dobbiamo farci forza e preoccuparci di essere sani in tutti i modi »

 

LA RIFLESSIONE FILOSOFICA

(considerazioni personali)

Chi compie una ricerca in ambito filosofico si muove spesso su un terreno privo di punti di orientamento. L'effetto è innanzitutto il non sapersi orientare nel caos dei problemi e delle emozioni, e a questo segue la ricerca di materiali su cui riflettere. Tornare, per così dire, a poggiare i piedi su un solido terreno. Stabilire punti fermi, rispetto ai quali rendere comprensibile il movimento delle idee.

Perchè le immagini possano costituire strumenti efficaci di comunicazione e di ricerca filosofica  è necessario che esse permettano a ciascuno di elevarsi dalla particolarità del proprio vissuto ed allargare il proprio io. Le proprie immagini devono dunque costituirsi in modo da potere interagire con le immagini degli altri: farsi dialogo. Aiutare a mettere da parte il proprio io per comprendere i nessi con gli altri attori del sistema-mondo.

L'obiettivo del lavoro filosofico è raggiungere una forma autentica di dialogo. Perché questo accada, ciascuna delle persone coinvolte nel dialogo deve essere chiamato in causa dalle parole dell'altro. Le immagini devono potersi agganciare alla rete carica di significati in modo da poter costituire il punto di incontro, e di snodo, tra le reti che veicolano i flussi del pensiero ;devono divenire i luoghi dello scambio. Poiché la filosofia non ha verità da insegnare, ma ricerche da compiere, le immagini si rivelano luoghi di ricerca. Pensare per immagini offre il grande vantaggio di ancorare a un elemento del pensiero, visibile intuitivamente, l'incerto agitarsi di un mondo interiore . 

Perché i ricordi si addensano in immagini, punto semplice di incrocio di idee ed emozioni, connesse con precise esperienze vissute?

Tutto accade come se il pensiero si smarrisse di fronte ai problemi della filosofia, come se le coordinate che guidano la propria vita quotidiana fossero messe in discussione, provocando un effetto di dispersione. Le immagini dunque àncorano il pensiero smarrito in nuclei densi di significato e questo permette alla ricerca di continuare, al pensiero di ritrovare il" filo nella nebbia ". E al dialogo di trovare un centro comune, pur irradiandosi nelle mille direzioni di una ricerca che deve dare spazio alla libera creatività, se vuole rimanere nell'ambito della filosofia.

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THOREAU: il filosofo della natura selvaggia

 

Thoreau ci ha regalato opere quali Walden, o vita nei boschi ,  citato dai protagonisti del film diretto da Peter Weir nel 1989 "L'attimo fuggente" (Dead Poets Society). Quest'ultimo, ambientato nell'austera accademia di Welton, Vermont, nell'autunno 1959, fotografa il momento in cui arriva un nuovo giovane insegnante di lettere moderne, John Keating. La sua concezione rivoluzionaria della poesia è un tutt'uno con il suo modo di intendere la vita: percepire il lieve bisbiglio dell'arte, crescere nello spirito tra le pagine di Thoreau, Whitman, Tennyson, Orazio, cogliere l'attimo per un'esistenza da esseri umani capaci d'emozioni e di scelte. Parole che infiammano gli studenti di Welton e che ancora oggi, non solo vibrano nel nostro intimo come l'eco di una voce atavica, ma sono capaci di restituirci nel loro incanto, all'autentica naturalità nascosta in noi stessi:

"Mi recai nei boschi perché desideravo vivere come volevo io, affrontare solo i fatti essenziali della vita, e veder se potevo imparare ciò che aveva da insegnarmi, e non, giunto alla morte, scoprire di non aver vissuto. Non volevo vivere ciò che non era vita, la vita è cosi cara; né volevo praticare la rassegnazione se non fosse stato assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente e succhiare tutto il midollo della vita, robustamente come gli spartani e sgominare tutto ciò che non era vita, falciare un'ampia zona e raderla a zero, mettere la vita in un angolo e ridurla ai minimi termini, e, se si fosse dimostrata meschina, afferrarne l'intera e genuina meschinità e proclamarla al mondo; o, se fosse stata sublime, sperimentarlo direttamente ed esser capace di darne un vero resoconto nella mia prossima escursione." "La sopravvivenza del mondo sta nella natura selvaggia".Vernon Louis Parrington, Storia della cultura americana. II La rivoluzione romantica. 1800-1860, p.513, Torino 1969)

La sua vita sembra essere stata un continuo esperimento nei valori. Un filosofo dell'aria aperta cui il contatto quotidiano col vento e con l'atmosfera apriva la mente e corroborava i nervi, un mistico che esplorava curiosamente il significato della natura e conosceva bene i sistemi filosofici ellenici e orientali; uno yankee, abile in varie attività manuali, ma interessato più che altro a dimostrare a se stesso quali cose fossero eccellenti, poiché non accettava nulla per sentito dire - sembra che la principale preoccupazione di Thoreau riguardasse la vita stessa e come Henry Thoreau potesse vivere nel migliore dei modi; come un essere razionale, in breve, potesse godere le facoltà dategli da Dio, economizzando quelle più alte, e non rendendosi schiavo di quelle più basse, sì da poter dire onestamente, in punto di morte: "io ho vissuto"

 

 

Olga Luce

Sul sentimento

 

Sentimento è tutto. Il fatto che io viva è il sentimento del mondo e di me stesso dentro di me. Significa "aprirsi" fino a comprendere l' altro. E' soffrire, perché si vuole comprendere l' altro. Sentimento è permettere che il mondo irrompa, significa mettersi in gioco, significa voler appropriarsi di tutto quanto si possa percepire. Sentimento è lasciarsi trasportare dall' istinto. Sentire per istinto che tutto quello che la vita vuole è sentire, perché la vita ha una sola istintuale consapevolezza: morte è perdere la facoltà di sentire. Non importa cosa sia "sentimento". Toccare, ascoltare, guardare è sentire il mondo. Ma solo ad un primo stadio. Il sentire più proprio è ciò che deriva dal "ricevere" il mondo in se stessi. Gioia, dolore, rabbia, compassione sono sentimenti in quanto "sentono" il mondo, si lasciano coinvolgere dal mondo nel mondo, interpretano, giustificano, assolvono, maledicono.

Ma qual' è l' origine del sentire? Questa domanda è peculiare dell' uomo, indice della sua più profonda essenza; è la domanda sull' origine del sé, è il sentimento dell' abisso, del nulla che sta sotto e perennemente vicino alla vita dell' essere umano.

Non ho la temerarietà e l' arroganza di rispondere qui ad una simile questione. Voglio però affermare quello che da sempre è un mio sentimento imperioso, che molte volte mi ha per così dire salvato dall' incombenza micidiale di "dare una risposta": il mero sentire, che abbia origine divina, umana, o naturale, finanche casuale, vale in se stesso. Ha in se la forza, la dignità necessaria a giustificare, fondare se stesso, eludendo nell' oblio che deriva dal vivere la domanda fondamentale dell' essere uomo. Non si può dire cosa sia questa forza, questa dignità. Si può solo avere sentimento di essa. Forse si potrebbe chiamare bellezza. E voglio citare qui alcuni versi di Umberto Saba, perché forse l' istinto del poeta è abbastanza originario per avvicinarsi all' esprimere il sentimento:

"Tanto in cuore aver d' amore

da dire tutto è bello,

anche l' uomo e il suo male,

anche in me quello che m' addolora."

Quest' amore è sentimento del "sacro" nel senso di "ciò che non può essere toccato", ciò che l' uomo non può totalmente dare, ciò che non è in totale possesso dell' uomo. E' amore per il miracolo gratuito del "sentirci" vivi. Ed è l' unico sentimento che può sostenere la vita nella sua totale mancanza di un qualsivoglia fondamento sicuro. Proprio perché affidato alla sfera del "puro intuitivo", il sentimento non può essere descritto totalmente. Né vi sono parametri universali che permettano di definire univocamente tutte le infinite possibilità del sentire. Le intime affinità, il naturale compenetrarsi, come il più profondo divergere di due sentire non è cosa che si possa dire a parole: se ne può solo, ancora una volta, avere sentimento. Per il resto, per il quotidiano "piccolo e grande commercio" dei sentimenti, una millenaria tradizione di compenetrazione e di precaria traduzione di segni ha istituito un pallido linguaggio comune, che non sa dire altro che la superficie dell' aver sentimento. Il sentimento è incomunicabile, intimamente peculiare alla persona. Mi piace spiegare questa peculiarità del modo di sentire parlando di sensibilità. Ad ogni uomo è propria una particolare attitudine del sentire, che non saprei se attribuire alla natura originaria dell' individuo, al substrato delle condizioni storico - culturali in cui un essere umano compie la propria esistenza, o, più ragionevolmente, ad entrambi questi parametri, ammettendo che essi si influenzino e si confondano profondamente. Mi pare comunque che non si possa prescindere dall' affermare l' esclusività e l' incomunicabilità del sentimento. E potremmo romanticamente credere, concludendo, che l' esclusività del sentimento sia figura del particolar modo della vita di darsi ad ogni uomo.

 

Francesca Grispello

 

Fermate il mondo, voglio scendere!

 

 Spesso mi abbandono a questo pensiero scherzandoci per non perdermi. Tutto troppo veloce...

Chi non ha voglio di fermare il tempo? Per un motivo o per un altro ci riuniamo sotto lo stesso pensiero...

Di non sentirsi fuori moda dopo 6 mesi, di trovarsi con i capelli aranviolaverde? Tra diete, mucche esaurite cibi trans, cellulari che fanno il caffè, internet che ha preso il posto della mia cara buca da lettere, dove il suo fascino è nell'attesa, neomelodici convertiti, di sinistre che vanno a destra, obblighi di conversioni, di sabati da sballare se no che si esce a fare?

Che fare?

Ci rifugiamo in campagna? (dove?)

Ci ritiriamo in meditazione?

Un pensiero si mette a correre per far qualcosa dimenticando se era per piacere o per dovere.

Imperativo! Ricordati di te!

In un giorno pensi agli anni che erano ieri, più stupiti e scomodi nel tempo; non vi predico nulla, non ho risposte ma tanta vita da… In questi giorni passeggeremo assieme anche tra luoghi comuni, modellando il tempo come creta, a nostra misura, come Protagora!

Rivalutare gesti quotidiani, cercando di somigliare sempre di più a noi stessi; cercando di entrare un po' più verso i nostri bisogni; non ci manca nulla. C'è il mondo… subaffittato, inquinato di parole vuote che vanno riciclate; un mercatone con tanto da offrire , basta saper cercare.

Diventiamo avidi, ingordi di esso; diventiamo bambini che si stupiscono delle loro scoperte!

Possiamo andare ovunque, perché correre da fermi! ? !

POESIA

"LE COSE DEL MONDO"

 

Il corpo , la mente,

il sentimento

cercano intensamente

la passione e il godimento

nelle cose del mondo.

Vogliono perdere la misura

del muoversi, del pensare,

dell'amare

e cadere nell'abisso

solo per qualche attimo lor concesso

da quel piacere infinito

per assaporare l'eterno

come se l'avessero

concretamente vissuto.

 

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