SOREN Kierkegaard
«Lasciamo
che gli altri si lamentino che i tempi sono cattivi;
io mi lamento che il
nostro tempo è miserabile, poiché è senza passioni...
I pensieri degli uomini
sono sottili e fragili come merletti, essi stessi miseri
come le ragazze che fanno
i merletti.
I pensieri delle loro
menti sono troppo meschini per essere peccaminosi. (...)
Fanno il loro dovere,
queste anime da bottegai, ma si permettono
però come gli ebrei di
grattare un poco le monete
credendo che per quanto
il Signore sia esatto nella sua contabilità,
si possa sempre riuscire
a truffarlo un tantino».
Kierkegaard, Aut-aut,
in Opere, a cura di Cornelio Fabro, Piemme, 1995, vol. I
"Nella specie animale – dice Kierkegaard – vale sempre il principio che il singolo è inferiore al genere. Il genere umano ha la caratteristica, appunto perché ogni singolo è creato ad immagine di Dio, che il Singolo è più alto del genere". Invece secondo il suo pensiero,ogni singolo uomo è direttamente coinvolto nel suo destino e la ricerca della verità non è mai oggettiva o distaccata bensì appassionata e paradossale. Kierkegaard considera come suo compito essenziale quello di inserire la persona singola, con tutte le sue esigenze, nella ricerca filosofica.
L’esistenza – sostiene Kierkegaard – corrisponde alla realtà singolare, al Singolo; e non coincide mai con il concetto : un uomo singolo, concreto, determinato non ha certo un’esistenza puramente concettuale. Invece la filosofia hegeliana pare solo interessata ai concetti : essa non si preoccupa di quell’esistente concreto che siamo io o tu. Il sistema hegeliano ha inoltre la pretesa di spiegare tutto e di dimostrare la necessità di ogni evento. Ma l’esistenza non può essere ingabbiata in un sistema. Ed è sempre la singola esistenza che tiene in scacco tutte le forme di immanentismo e di panteismo, con cui si tenta di ridurre, annullare o riassorbire l’individuo singolo nell’universale.
Ad Hegel che sosteneva l’identità di interno ed esterno, esprimendo così il principio dell’appartenenza inseparabile che i contrari hanno nel concetto, e grazie a cui è possibile la dialettica, il movimento, il progresso, Kierkegaard afferma l’opposto : quanto minore sarà l’esteriorità, tanto maggiore sarà l’interiorità (si pensi alle figure di Socrate e di Cristo: esteriormente erano persone comuni, Socrate era anche piuttosto bruttino; ma interiormente …). Di qui anche la contestazione del passaggio hegeliano dalla quantità alla qualità, che è per Kierkegaard una "superstizione", in quanto si crede che, con l’aumentare delle determinazioni quantitative, venga fuori una qualità nuova, mentre la quantità è strutturalmente diversa dalla qualità. Infine, all’identità hegeliana di soggetto e oggetto, essere e pensiero ecc., Kierkegaard risponde che la vita intera è basata sulla contraddizione, sul paradosso e non vi è superamento di contrari bensì alternative impegnative che si escludono a vicenda : non vi è nessun et et ma solo un aut aut : o questo o quello, la vita è una scelta continua. La vita di ogni individuo è aperta ad un ventaglio di possibilità che comportano la scelta libera e responsabile del soggetto.
Nella vita etica, l’uomo si sottopone ad una forma, si adegua all’universale e rinuncia ad essere l’eccezione. La vita etica è raffigurata dalla figura del marito e dall’elogio del matrimonio. E’ l’uomo che sceglie se stesso, che in questa scelta afferma la continuità della sua vita, l’impegno e non la fuga dalle responsabilità; in una parola, accetta la ripetizione. Essa è la possibilità di riconfermare il passato, accettando ogni volta e in modo nuovo di amare la stessa donna, di avere gli stessi amici, di esprimersi nella stessa professione. La ripetizione indica la serietà della vita, è il coraggio etico della vita. Come uomo etico, il marito ha il dovere di conformarsi alla legge morale che è universale, ma nello stesso tempo egli rischia di perdere nella anonimità e nella folla la sua personalità e la sua autonomia. Inoltre nello stadio etico ci si imbatte nella contraddizione del pentimento. Infatti, se l’uomo sceglie se stesso fino in fondo, trova, secondo Kierkegaard, la propria origine, cioè Dio, nel senso che c’è in noi un’ansia di infinito che non si lascia racchiudere nei limiti di marito e lavoratore. Ma poiché di fronte alla maestà divina l’unico sentimento che l’uomo può provare è quello della propria inadeguatezza morale, cioè della propria colpevolezza, l’esito finale della vita etica è appunto il pentimento. L’uomo etico viene così messo di fronte al peccato, il quale però non è più una categoria etica bensì religiosa. Col pentimento dunque si esce dalla sfera dell’etica per entrare in quella della religione, il che richiede il salto della fede, che è un salto ancora più radicale di quello che divideva l’ambito etico da quello estetico.
IL PENSIERO DI SÖREN KIERKEGAARD Una Mappa
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