Economia di Comunione

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Casella di testo: Casella di testo: Chiara Lubich
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ISTITUTO STATALE DI ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE

Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri

“Francesco Daverio” - Varese

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stesso scopo della comunità cristiana: prima di tutto per aiutare quelli che sono nel bisogno, offrire loro lavoro, fare in modo insomma che non ci sia alcun indigente. Poi gli utili serviranno anche a sviluppare l’azienda e le strutture della cittadella, perché possa formare uomini nuovi: senza uomini nuovi non si fa una società nuova! (...)”

Nacque così il progetto, ora diffuso in tutto il mondo, che prese il nome di Economia di Comunione con l’intenzione di diffondere tra le aziende una “cultura del dare”.

I brasiliani accolsero subito la “provocazione” di Chiara chiedendole come fare, come poter avviare il progetto sapendo che tra di loro non c’era nessuno con la possibilità economica di iniziare e gestire un’attività d’impresa.

La risposta fu semplice e, forse, quasi inaspettata. Disse, infatti, che pur essendo poveri, siamo in tanti. Ci fu una reazione sorprendente. Si scatenò una bellissima “gara d’amore e di comunione”. Ognuno offriva tutto il possibile: dai soldi e terreni, a disponibilità di tempo e lavoro.

 

 

 

 

L’economia di Comunione, perciò, incominciò a diffondersi: una lotta d’amore combattuta dalle aziende contro la povertà, la miseria. Ad oggi esistono 754 imprese di varie dimensioni che, nei 5 continenti, aderiscono all’Economia di Comunione:

- 463 in Europa (di cui 242 solo in Italia)

- 212 in America del Sud

- 42 in America del Nord

- 29 in Asia

- 6 in Africa

- 2 in Australia

Queste aziende decidono di dividere il proprio utile in tre: una parte viene destinata ai poveri (fondo di solidarietà); un’altra viene investita nella formazione di “uomini nuovi” (per poter continuare, approfondire e diffondere l’Economia di Comunione) ed il resto rimane a disposizione dell’azienda perché necessario per una “sana” attività aziendale.

Queste aziende e imprenditori si riconoscono in una cultura differente, controcorrente: “la Cultura del Dare”.

Parlando di cultura del dare è facile che si creino incomprensioni determinate da diverse interpretazioni. È chiaro che è una cultura non individualistica, ma di comunione. Tuttavia la parola ‘dare’ può assumere molti differenti significati, anche se abbastanza simili tra loro.

Esiste un ‘dare’ prepotente compiuto per fare in modo di sentirsi potente, più forte di qualcun altro;

c’è un ‘dare’ egoistico che ha il fine di un ritorno d’immagine, generalmente è umiliante per il bisognoso che riceve: “Lo fanno in tanti! Io non voglio essere di meno...”.

C’è infine il ‘dare’ inteso dall’Economia di Comunione: fondato sul rispetto dell’altro e della sua dignità, che porta a vivere l’esperienza del “date e vi sarà dato”, l’esperienza che permette di capire e sperimentare la bellezza e la verità della promessa evangelica riguardante il centuplo.

Non si esaurisce, però, tutto qui. Per un’azienda dell’Economia di Comunione sono molto importanti i dipendenti ed ogni altro soggetto che interagisce con essa. L’imprenditore studia strategie e si prefigge obiettivi attuando una corretta gestione e coinvolgendo i propri dipendenti esaltando le loro capacità e talenti. Cerca anche di rendere l’ambiente di lavoro un luogo sereno e di instaurare con e tra i collaboratori rapporti di fiducia, rispetto e stima. Questa è un’azienda che rispetta le leggi, le autorità fiscali, gli organi di controllo, le istituzioni e i sindacati poiché, anche se a volte possono essere visti come ostacoli, crede che siano necessari per un corretto e onesto funzionamento del sistema complessivo. Infine, e non ultima per importanza, la caratteristica che più mi ha colpito. Ho letto: “Sono aziende che si rapportano in modo leale con i concorrenti presentando l’effettivo valore dei loro prodotti o servizi ed astenendosi dal metterli in cattiva luce”. Può sembrare strano, ma questo è uno degli “investimenti” più sicuri. L’azienda, infatti, si arricchisce di un capitale immateriale composto da rapporti di fiducia con altre aziende fornitrici, clienti o la Pubblica Amministrazione; un capitale che va oltre a qualsiasi possibile oscillazione di mercato.

Credevo che fosse una buona teoria, ma praticamente impossibile da vedere realizzata nel mercato odierno, mi sono dovuto ricredere! Proprio al Polo di Loppiano, in una delle mie visite, ho potuto ascoltare questo tipo di esperienza.

L’Economia di Comunione (EdC) è un progetto, rivolto alle aziende, che nasce nel 1991 in Brasile da un’idea di Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari. Era in viaggio verso una delle attuali 35 cittadelle che si sono sviluppate nei cinque continenti, esempi di come si può cercare di costruire il “mondo unito”. Notò la tragica situazione economica che era presente in Brasile ed in particolare a San Paolo: una città molto grande e ricca, con tanti imponenti grattacieli, ma caratterizzata dalla presenza di enormi estensioni di “favelas” situate nella periferia. Attraversando San Paolo, Chiara Lubich si accorse che la comunione dei beni, iniziata da lei stessa a Trento sotto le bombe della seconda guerra mondiale e vissuta dai membri del Movimento, non era neanche in grado di soddisfare le necessità fondamentali dei più poveri. Era perciò necessaria una soluzione. Una volta arrivata nella cittadella del Movimento dei Focolari vicina a San Paolo, la Mariapoli Araceli, disse: “(...) Qui dovrebbero sorgere delle industrie, delle aziende i cui  utili andrebbero messi liberamente in comune con lo

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