IL SITO DEL MISTERO



La Liguria è una regione da sempre crocevia di popolazioni, sia autoctone che nomadi, caratterizzate da una grande venerazione per quella religione naturale espressa poi nel culto per quell’antica divinità protostorica chiamata comunemente Grande Madre. Il presente lavoro è così una "cerca" delle ataviche tracce lasciate dalla dea nel territorio ligure, sia sotto forma di culto delle pietre di fertilità che delle sacre fonti, due aspetti di una antica religione che, mai scomparsa, si è conservata in quella cultura subalterna popolare che potremmo definire Folklore. La ricerca effettua così un cammino tra la toponomastica locale, il megalitismo e le credenze popolari alla ricerca delle tracce delle antiche conoscenze primitive ed autoctone regionali.


Antropologia e Megalitismo Regionale

La Liguria tra pietre sacre e scivoli della fertilità

 di Andrea Romanazzi

La Liguria è una regione da sempre crocevia di popolazioni, sia autoctone che nomadi, caratterizzate da una grande venerazione per quella religione naturale espressa poi nel culto per quell’antica divinità protostorica chiamata comunemente Grande Madre. Un attento esame etimologico di molte aree presenti nella regione mette in evidenza lo stretto rapporto tra le diverse località e alcune antiche divinità femminili come Hola, Troza e Padellar. Se così esaminiamo molti toponimi locali ritroviamo una presenza quasi ossessiva del culto matriarcale, a sottolinearne l’estrema venerazione nell’area. La denominazione del monte Maremagna è facilmente riconducibile alla Mater Magna mentre la località Predallara di Arcola è strettamente legata al culto della divinità osco-umbra precedentemente menzionata. Le stesse Alpi Pennine, gli Appennini, i monti Penna e Pennino sarebbero dedicati alla dea Penn o Pennin, antica divinità celtica di origini transalpine, il cui culto fu cancellato dai romani che lo sostituirono, con un’operazione di sincretismo religioso, con quello di Giove, poi detto Pennino. Continuando il nostro excursus tra i toponimi della zona il monte Tellaro ricorda la dea Tellus, mentre le località Capri, Capria, Caprione, Caprignano sono strettamente legate all’antica dea umbra Cupra, divinità ctonia legata a rituali di fecondità e al culto delle acque esportata dall’area umbro-abruzzese. E’ però nell’antro e nel culto delle acque che, attraverso credenze, ricordi, narrazioni, passaggi e sincretismi, ci sono state tramandate le antiche conoscenze.

Troviamo così traccia nel folklore locale di quella tradizione italiana delle "pocce lattaie" o "latte di grotta", il liquido lattescente che, a causa dell’alto contenuto di carbonato di calcio, è estremamente simile al siero mammario femminile. Se dunque l’acqua macrocosmicamente è il sacro liquido della Mater che garantisce la fertilità, diventa di estrema importanza raccoglierla in piccole conche rituali che potremmo definire "Coppelle". In moltissime aree neolitiche liguri sono state così ritrovate pietre con strane incisioni cuppelliformi o a forma di "U", una rappresentazione schematica del toro, animale totemico della dea, come sul Promontorio del Caprione, sul monte Beigua o a Monte Matto. Su quest’ultimo moltissimi sono stati i ritrovamenti di massi a forma di losanga, geometria non casuale ma messa proprio in relazione all’organo genitale femminile, con sopra incise proprio delle piccole coppe, che sottolineerebbero l’idea esposta.

Se così la pietra rappresenta la figura femminile, l’incisione centrale è simbolo di prosperità, più essa è ricca dell’acqua che in essa si accumula e più è sacra e la coppella posta al centro della roccia indicherebbe così la "gravidanza" della mater.

Identici significati sacrali hanno i piccoli canali di scolo scavati nella roccia le cui funzioni, scarsamente pratiche, hanno un importante carattere rituale come dimostrato in moltissime altre parti di Italia come in Basilicata, e precisamente a Rossano del Vaglio o ad Armento i cui santuari erano legati alla locale dea Mefitis.

Un esempio ligure potrebbe essere il sito del "Rifugio di Sant’Anna" ove, sul tetto è incisa una grondaia, le cui scarse finalità pratiche sicuramente la collegano ai rituali precedentemente esposti. Sempre nella zona, poi, molti sono le rocce che presentano incisioni cuppelliformi come su un masso di circa 20mq presente tra la sorgente e il corso d’acqua ivi presenti. Anche il culto delle fonti sacre non è estraneo a questi luoghi. Ancora oggi, secondo le tradizioni popolari e contadine, l’acqua delle sorgenti o quella raccolta in piccole pozze carsiche ha notevoli poteri curativi tradizione che rimane ben salda anche quando alla sacra "coppella" viene sostituito il pozzo, simbolo religioso ma anche dagli importanti risvolti pratici dato che l’acqua in esso accumulata può garantire la sopravvivenza di una famiglia o del raccolto. Ed ecco che dobbiamo rifarci ad alcune tradizioni popolari, paradossalmente legate al Cristianesimo, per scoprire molti di questi sacri luoghi. Dopo le inutili proibizioni nel 452 con il Concilio di Nicea e successivamente nel 789 con quello di Tours, la Chiesa adottò la strategia di "assorbire", con una vera e propria operazione di sincretismo, questi antichi rituali per poi legarli a figure cristiane come i Santi o la Vergine. Ecco che celate dal velo religioso traspaiono pratiche e usanza pagane. Fonti miracolose sono presenti in decine di Santuari spesso dedicati proprio alla "Madonna dell’Acqua Santa" il cui nome ci ricorda le sue antiche origini del culto. Sacre fonti le troviamo a Bergalla di Balestrino, ad Acquasanta, Casanova Lerrone e ad Alberga in provincia di Savona, mentre Santuari dedicati a Nostra Signora dell’Acqua Santa sono presenti nella provincia di Imperia e precisamente a Montaldo e a Dolcetto. Queste tradizioni sono ancor più presenti nell’area genovese, come testimonierebbe il Santuario "dell’Acquasanta" o la "fontana della Madonna" presente a Lumarzo, la cui tradizione vuole legata ad una misteriosa apparizione della Vergine nel 1555. Sarebbe da ascriversi ad un periodo successivo, invece, l’apparizione mariana che ha dato vita al culto della "Acqua di Madonna" presente a Masone e a Valbrevenna. Il culto delle sacre acque non è l’unico nella regione ad essere strettamente legato ai rituali di fertilità e procreazione dell’Antica Mater, così questa ricerca continua tra sacri i betili. Molti sono nell’area ligure i menhir, come quello di Torre Bastìa, di Cian da Munga, la pietrafitta di Triora, il dolmen di Verezzi, sul monte Caprazotta,o ancora la pietra di Marcello Dal Buono, per terminare con i beliti del Finalese, tutti nella provincia di Savona, o ancora il complesso di Val Bormida o il menhir Tramonti.

Altri strani siti sacri li troviamo sui Monti Branzi la cui etimologia riporterebbe al termine celtico bram, cioè pietra fallica o nell’area di Scornia a sua volta derivante dal termine skeir-na o luogo delle pietre. In provincia di La Spezia, poco dopo il paese di Biassa e precisamente al Valico di S.Antonio, vi è un menhir che sicuramente faceva parte di un gruppo più ampio, dato che un altro si trova abbattuto nelle immediate vicinanze insieme ad uno spezzone di un terzo ed un altro ancora si sarebbe trovato proprio sul valico e che risulta essere ora al museo cittadino o a quello di Pontremoli. Un altro allineamento litico doveva poi esser presente sul monte Beigua, in località "Le Faie", nome che ci riporta a quelle mitiche figure dirette discendenti di antichi ricordi pagani. Qui è presente una pietrafitta resa piuttosto instabile dal tempo e dall’uomo, mentre la memoria contadina parla di numerosi altri menhir poi abbattuti dagli stessi agricoltori. Un altro masso particolarmente interessante perché legato a quella cultura subalterna popolare è presente poi nel Santuario benedettino della Maddalena di Taggia, qui si trova una pietra orizzontale retta da due elementi verticali, alla stregua di un dolmen. La tradizione vuole che ci passassero sotto i bambini in una specie di rito rurale di passaggio. Di particolare interesse, poi, sono le così dette pietre della fertilità, luoghi ove l’uomo cercava di propiziarsi la continuità della propria progenie con strani rituali apotropaici. L’idea era semplice, nell’immaginario popolare la pietra era considerata il priapos primordiale, l’elemento fallico maschile che, infisso nella terra, la rende fertile. In una visione microcosmica il primitivo immagina che, come il dio maschile rende fertile la terra attraverso la roccia, lo stesso poteva accadere per le donne del paese che, strisciando sopra questi sacri massi, si assicuravano la fertilità e la capacità procreativa.

Da qui la tradizione degli scivoli di fertilità, pietre levigatissime che ancora oggi possiamo incontrare in molti comuni d’Italia ove era usanza lasciarsi appunto scivolare e dunque strisciare i proprio organi sessuali alla ricerca di fecondità. Il Liliu, parlando di simili tradizioni in Sardegna afferma che "cerimonie a sfondo magico e religioso dovevano effettuarsi presso i menhirs, gli dei di pietra al naturale…qui si celava lo spirito fecondatore. Questo come attestano elementi residui del follore sardo delle pietre, era assunto, magicamente, dalle vergini spose, scivolando nude, sul pilastro…o sfregandovi il ventre e il sesso o semplicemente arrampicandosi: era il sacrificio venereo al genio della pietra, perché il grembo femminile non negasse la prole". Esempi di questo tipo li troviamo a Plodio, in provincia di Savona e Borzoli, nei pressi di Genova ove ancora oggi si parla di antiche pratiche legate alla "Pria Scugiente", una roccia di serpentino, conosciuta anche con il nome di "pietra lubraca", ove le donne solevano strisciare per garantirsi un buon parto. Anche se con un rituale del tutto differente non possiamo non nominare, poi, tra i siti legati ai rituali di fertilità, i circoli litici di Camporotondo, un recinto megalitico del diametro di 150 metri e quello presente nell’area della "Grotta delle Fate" da dove, attraverso una scala scavata nella roccia, si raggiunge questo sacro recinto proprio posto sulla verticale dell’antro. Attorno a queste costruzioni sono state avanzate numerose ipotesi, ma non ne è stata ancora definita una esaustiva, potremmo così avanzare una idea che legherebbe appunto questi siti all’antico culto della Dea Madre. Il circolo litico, purtroppo oramai perso, poteva così essere utilizzato per rituali di fertilità, un enorme "cerchio", disegnato da pietre infisse nel terreno, e un corridoio che ricorderebbe le vie della fertilità per raggiungere il circolare utero della dea, il sacro Nemeton reso verosimilmente fertile da un elemento fallico centrale, verosimilmente un menhir, come in un altro sito simile presente nell’area piemontese del monregalese.



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