IL SITO DEL MISTERO



Tratto d Newton n.10 ottobre 2002

Atlantide, Italia

Di Mario Tozzi

Il suo mito risale alla notte dei tempi. In tanti l’hanno cercata, ma sempre senza successo. Forse perché nessuno immaginava che Atlantide potrebbe non essere un’isola sommersa. Nessuno tranne un giornalista italiano che in un libro-inchiesta ipotizza che il mitico continente sia proprio qui, al di là del canale di Sicilia

 

Tra tanti luoghi mitici dell’antichità è forse il più remoto e affascinante. Di sicuro è quello attorno a cui sono stati scritti di libri, in ogni epoca. E se ci fosse un Guinness dei primati dell’archeologia misteriosa, si meriterebbe sicuramente il premio per il luogo più cercato: in Grecia, Turchia, Gran Bretagna, perfino in Giappone.

Quanto saremmo sorpresi di scoprire che la risposta era sotto i nostri occhi da sempre? Come la prendereste se qualcuno vi rivelasse che la fantastica Atlantide era, in realtà, la modernamente fantastica Sardegna?

Platone descrive il mitico regno di Atlantide in due dialoghi ambientati al tempo della morte di Socrate(399 a.C.), il Timeo e il Crizia, in cui si parla di "un’isola grande più bella della Libia e dell’Asia", potente, civile e sacra a Poseidone, dio del mare, e i cui abitanti avevano uno stretto legame con i Tirreni, cioè i "costruttori di torri". L’isola doveva essere ricca di acqua e foreste, con un clima dolce che permettesse più raccolti all’anno e, soprattutto, tanto ricca di minerali (argyròphleps nesos, "l’isola dalle vene d’argento") da permettersi cerchie di mura concentriche di ogni metallo. Atlantide si trovava a ovest della Grecia e delle Colonne d’Ercole ed era già antica per gli antichi, quando entrò in conflitto con Atene e gli Egizi e venne distrutta dall’ira degli dèi.

A Occidente dell’isola mitica, e comunque collegata a essa, si trovava Tartasso, mitico emporio di merci rare ancora più avvolto nel mistero: non si sa se fosse città o territorio e non è stato mai scoperto dagli archeologi, nonostante decenni di scavi e congressi.

Un forziere d’argento

Per secoli gli uomini hanno cercato le tracce di Atlantide e studi archeologi recenti l’hanno collocata prima a Santorini nel Mare Egeo, poi in Turchia e infine a Helike, in Grecia.

Proviamo a cambiare completamente punto di vista per capire se esistono luoghi reali che assomigliano a quanto scritto in origine da Platone. Cominciamo dalle "mura di ogni metallo".

Si dice che i Fenici che giungevano in Sardegna dopo il XII-XI secolo a.C. (cioè quando Atlantide era già stata inghiottita dal mare) fabbricassero addirittura le ancore con l’argento dell’isola per portarne via il più possibile. Chi conosce la geologia della Sardegna sa bene che nel Sulcis-Iglesiente si trovano importanti miniere di zinco e piombo, da sempre fra le principali d’Europa e sfruttamento fino a pochi anni fa. E si tratta di un piombo particolare, perché ricco d’argento.

Oggi il tenore d’argento nella galena sarda è di pochi grammi per tonnellata, ma al tempo dei Fenici e dei Romani (che scavavano a mano primordiali miniere) quella percentuale poteva salire fino alla quantità straordinaria di 1000 o addirittura 4000 grammi per quintale. Si è sempre pensato che l’approvvigionamento principale dei Fenici per i metalli fosse la Spagna, ma per quale ragione gli astuti mercanti africani avrebbero dovuto sobbarcarsi oltre venti giorni di navigazione per trovare in Andalusia ciò che avevano in abbondanza a soli due giorni di mare da Tiro? E non era Tolomeo che chiamava Insula Plumbea l’odierna Sant’Antioco? Un’isola d’argento così vicina non lascia molti dubbi sul fatto che la si sfruttasse a dovere in un tempo in cui questo era più prezioso dell’oro, come ben sapevano i faraoni che, in Nubia, di oro ne avevano fin troppo.

Ma l’argento non basta. La Sardegna è stata, fino al XIX secolo, una foresta galleggiante e ricchissima di sorgenti che, visto il clima dolce, favorivano fino a tre raccolti all’anno. Al tempo non mancavano legno combustibile, acqua e metallo per una civiltà di metallurgici come non se ne dovevano trovare altrove: nei forni fusori nuragici si arrivava a 1200°C e si componevano lingotti di bronzo di 30 chili che venivano portati in tutto il mondo allora conosciuto.

Per molti studiosi sarebbe stato giusto cercare Atlantide a Ovest di Gibilterra o addirittura nelle isole britanniche chiamate Cassiteriti, perché qui, presumibilmente, c’erano grandi quantità di stagno, metallo utile per fare il bronzo. E si sa che sul bronzo si è basata la civiltà umana occidentale prima del ferro.

Non si deve pensare che il passaggio dall’Età del Bronzo a quella del Ferro corrisponda necessariamente a una scelta voluta: il ferro fonde a 1537°C, si rovina prima e più del bronzo, non è in definitiva molto più duro e non può essere rifuso con facilità.

Perché sostituire un procedimento semplice e collaudato con uno più lungo e complesso?

Gli studiosi non sanno ancora rispondere, un fatto è però certo: attorno al XII-XI a.C. una diaspora di fabbri senza precedenti accendeva forni un po’ dovunque fuori di Sardegna e nel 900 a.C. le miniere toscane già fondavano una società metallurgica.

Chi aveva rivelato loro i segreti della lavorazione? Dato che gli Etruschi non avevano ancora scoperto le potenzialità delle miniere toscane è plausibile che siano stati proprio i transfughi nuragici ad aiutare gli antenati di Dante Alighieri.

Un nemico invisibile

Transfughi? Da cosa e perché? Per scoprirlo spostiamoci a Barumini dove nel 1938 alcuni studiosi, tra il mucchio di fango e pietrame sparso per la campagna, individuarono la famosa reggia nuragica.

Solo poco più di un metro di costruzione sporgeva, e per portarla tutta alla luce si sono dovuti asportare circa 20 metri di limo. La prima nota strana salta subito agli occhi: la porta d’accesso (attuale) è a circa 7 metri d’altezza dal livello di calpestìo. Si tratta di un’entrata abituale cui si accedeva con scale di legno o una necessità dovuta alla rifortificazione di un’aerea invasa dal fango?

Continuiamo ad analizzare il sito. Il settore sud-orientale della reggia è stato trovato molto malridotto, come fosse stato scaraventato a terra. Forse è il risultato della distruzione umana: guerre tra le tribù nuragiche o contro nemici invasori.

Certo che è difficile credere che gli isolani o i Fenici prima di portar via l’argento si fossero preoccupati di demolire i nuraghes (così come li chiamano in Sardegna).

E inoltre si tratta di un fenomeno generale: tutti i nuraghes della parte meridionale della Sardegna risultano distrutti e ridotti a mucchi di pietre e fango, e tutti da Sudest. Mentre quelli da Nuoro in su sono sempre integri.

Viene da pensare a un nemico più grande dell’uomo, una forza della natura che ai nostri avi doveva sembrare soprannaturale: immense onde di maremoto, tsunami primordiali che, attorno al XIII secolo a.C., spazzano la Sardegna e demoliscono i nuraghes più esposti.

E ancora terremoti e crisi sismiche che ne facilitarono il definitivo abbandono. Attorno a Barumini ci sono 37 resti di nuraghes dell’Età del bronzo: 12 proseguiranno con il Ferro, ma 25 (cioè i 2/3 verranno abbandonati o tramutati da abitazioni in luoghi di culto. Ancora più strano e che i nuraghes sulla Giara di Gestori (appena a Nord di Barumini, più alta di circa 200 metri siano tutti relativamente integri, come se la Giara avesse fatto da diga alla marea del Sud.

Pensiamo infine al Campidano. Una specie di mare di terra lungo 100 chilometri che corre da Cagliari a Oristano e che è stato paludoso per millenni, e immaginiamo uno o più maremoti che si scatenino a largo della Sardegna e che risalgano verso Nordest trascinando detriti e fango. Questa specie di schiaffo di Poseidone potrebbe aver contribuito a relegare nell’abbandono l’antica civiltà di Sardegna per secoli.

Per il momento sono solo ipotesi,ma sondaggi geologici che ritrovassero tracce di antichi tsumani nel Campidano e attorno ai nuraghes potrebbero fornire prova importante.

I Fenici cancellano il ricordo Atlantide

Vale poi la pena di non dimenticare la mitica Tartasso: nessuno ha la certezza che si trovi in Spagna. Una stele di 2800 anni fa ha svelato il primo scritto fenicio completo mai rintracciato a Ovest di Tiro: la prima riga reca scritto b-Trshs, cioè "in-Tartesso", ma non proviene dall’Andalusia, bensì da Nora, colonia fenicia e poi romana alle porte di Cagliari, e nella terza riga reca scritto, per la prima volta, b-Shrdn, cioè "in- Sardegna". Certo, poteva trattarsi di coloni fenici di ritorno dalla città spagnola, ma non è più facile pensare che Tartasso fosse in Sardegna e che i coloni provenissero direttamente dall’attuale Libano risparmiandosi un paio di settimane di navigazione?

Continuiamo a "scavare". Che al di sotto delle costruzioni romane, puniche e fenicie ci siano resti nuragici più antichi è ormai una consuetudine. A Tharros (vicino Oristano) l’evidenza è macroscopica: i muri fenici e punici tagliano gli antichi nuraghes distrutti e persino il moderno faro sorge su un cerchio nuragico. Quei nuraghes sono stati frettolosamente abbandonati da qualcuno che non è più tornato e una calamità naturale potrebbe essere all’origine di quell’abbandono.

Dunque, ricapitolando: uno Tsunami colpisce la Sardegna; i "costruttori di torri" che vegliavano sul "forziere di argento", e su raccolti e civiltà perdono molte delle loro costruzioni (i nuraghes censiti sono 8000, ma c’è ragione di pensare che siano molto di più) che spesso erano in contatto visivo fra loro (nel Sud 308 nuraghes guardano verso il mare); gli approdi sicuro annegano sotto il fango, non ci si orizzonta più tra i fondali e la rete di commerci millenaria salta.

Ecco il momento propizio perché i Fenici facciano sparire Atlantide e si sostituiscano agli antichi popoli del mare che finiscono asserviti ai Faraoni o come fabbri in tutto il Mediterraneo.

Mezzi moderni per antichi enigmi

Due ultimi problemi: l’epoca del disastro e la posizione delle Colonne d’Ercole.

Platone pone 9000 anni prima della morte di Socrate la distruzione di Atlantide, ma nessuna civiltà aveva sviluppato la scrittura né bronzo in quel tempo, che si tratti di un errore? E se invece di anni fossero mesi? Il totale sarebbe 750 anni, molto vicino a quel 1200 a.C. che sembra una data cruciale in questa nuova ipotesi.

E siamo poi sicuri che le Colonne fossero a Gibilterra? In realtà Frau dimostra che nessuno tra gli antichi colloca esattamente le Colonne. Ogni attraversamento in nave delle Colonne d’Ercole prima di Eratostene (il geografo che ridisegnò il mondo antico) viene descritto dagli antichi come difficile a causa dei fondali limacciosi e delle secche, ma a Gibilterra non c’è neanche un centimetro di fango, visti i 300 metri di profondità.

Le carte fisiografiche e batimetriche che oggi la tecnologia ci mette a disposizione segnalano che c’è un solo posto dove il Mediterraneo diventa fiume di fango, il Canale di Sicilia. Proprio qui dunque, presumibilmente, si trovavano le mitiche Colonne d’Ercole. E indovinate qual è la prima isola che si incontra appena fuori dal canale…

 

Il libro della scoperta

Colonne d’Ercole al canale di Sicilia? La Tartasso mediterranea? I tirreni/etruschi parenti stretti di quei tirreni/costruttori di torri? Una rotta indo-sarda-europea fin su in Irlanda? È questa lunga e approfondita inchiesta di Sergio Frau, inviato del quotidiano La Repubblica, che nasce l’ipotesi di un Atlantide sarda. Il libro di Frau, "Le Colonne d’Ercole, un’inchiesta", fa ipotizzare che la storia di questo periodo potrebbe essere molto diversa da come la conosciamo. Pubblicato dalla Nur Neon, il libro è corredato da molto cartine.



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