Antonio Montanari Tam Tama di Agosto 2003
Sommario 875. Fischi per fiaschi (31.08.2003) 874. Fuori (10.08.2003) 873. Prima e poi (03.08.2003)
Tama 875. Fischi per fiaschi La differenza fra Pier Ferdinando Casini e Silvio Berlusconi è emersa quando il presidente della Camera in conferenza-stampa ha commentato il suo discorso di apertura al Meeting: «Mi sembra di aver distribuito i pani e i pesci in modo abbastanza equo». Il Cavaliere avrebbe dichiarato di averli moltiplicati lui, quei pani e quei pesci. Il «modo abbastanza equo», Casini lo riferiva alle bacchettate distribuite sia al governo (invitato a produrre «fatti e non polemiche»), sia all'opposizione (chiedendole «progetti alternativi chiari»). Con l'aggiunta, diretta alla minoranza, che «non è la via dei fischi quella che porta all'alternativa, ci vuole la via delle riforme». Casini alludeva ad un fatto che però non si è mai verificato. Berlusconi per giustificare la sua assenza all'Arena di Verona, dove lo attendevano Romano Prodi ed il Cancelliere tedesco, ha detto: ho voluto risparmiare una contestazione a base di fischietti da arbitro. I servizi segreti l'avevano informato che nella città scaligera ne erano stati venduti cinquemila. Casini non ha accreditato l'altra versione fatta circolare, secondo cui avrebbero potuto attentare alla vita di Berlusconi. Ne aveva riferito il Corriere della Sera («Il Cavaliere: campagna d'odio contro di me, può esserci sempre un matto»). Quanto ai cinquemila fischietti, la notizia può essere nata da un equivoco in relazione al campionato di calcio risistemato dal governo con un decreto che è l'esempio più tranquillo di una concezione della politica (facciamoci gli interessi nostri) che Berlusconi persegue alla luce del sole, senza quei sotterfugi tipici di altri momenti della nostra Storia. Berlusconi si crede il creatore di questa formula, mentre ne è soltanto lo sprovveduto imitatore che si fa cogliere con le mani nel barattolo della marmellata. I suoi predecessori nascondevano il barattolo, ne mangiavano il contenuto e conservavano le mani pulite. Del decreto calcistico hanno parlato tutti. L'altra emergenza, quella degli anziani uccisi dal caldo, è stata subito dimenticata. Siamo in attesa di sapere se quelle morti siano addebitabili ai Comuni come pensa il ministro Sirchia, oppure al governo perché taglia i fondi ai Comuni medesimi. Casini ha infine bacchettato Berlusconi: non si vive di sondaggi e di numeri, perché la minoranza può anche avere ragione. Una minoranza che Casini giudica ossessionata contro il Cavaliere. Cambiando leader, pensa Casini, si può guarire anche l'opposizione. Antonio Montanari [Ponte n. 31, 31.8.2003]
Tama 874. Fuori La nostra situazione economica è «pericolosa». Lo ha scritto domenica scorsa il quotidiano di Confindustria, non l'Economist di Londra una volta indicato come fonte autorevole in materia. Adesso lo considerano una «vecchia zitella vittoriana» (definizione di Piero Ostellino) dopo che ha posto 27 domande al nostro Primo ministro, per far sapere al mondo quello che avrebbe potuto chiedergli il Tribunale di Milano dove ha deposto con «dichiarazioni spontanee» che blindano l'imputato da ogni interrogatorio. Il Cavaliere ha reagito intimamente con il più classico dei suoi pensieri: «Me ne frego». In pubblico, alla conferenza-stampa del primo agosto, ha confessato che ci sono difficoltà in economia per la quale «non possiamo molto, ma facciamo miracoli». Verissimo, anche per i miracoli: l'esempio era stato fornito 24 ore prima con la resurrezione di Claudio Scajola che il 3 luglio 2002 era stato costretto a dimettersi dopo aver definito «rompicoglioni» il povero professor Marco Biagi. Scajola ora è ministro per l'Attuazione del programma. Nella stessa conferenza-stampa Berlusconi ha voluto garantire il Paese: in materia di riforma del sistema radiotelevisivo, con lui Ciampi non ha palesato «nessuna perplessità, proprio nessuna». Poco dopo il Quirinale lo smentisce: Ciampi e Berlusconi non hanno mai discusso di quella riforma. Il Cavaliere è costretto a confermare le parole di Ciampi ed a correggere se stesso: mai parlato con il presidente della Repubblica della legge Gasparri. Se Berlusconi in conferenza-stampa aveva attaccato tutte le televisioni nazionali perché non fanno vedere i cantieri aperti per le grandi opere, in Senato il presidente Pera se la prende con la stampa estera che delegittima Berlusconi nello stesso momento in cui l'opposizione delegittima la maggioranza. Pera forse è convinto che la stampa estera sia manovrata dall'opposizione. E sembra auspicare che l'opposizione appoggi la maggioranza in riforme costituzionali che (particolare trascurabile) la neutralizzerebbero definitivamente. Scajola, salendo al Quirinale per il giuramento, ha confidato ai cronisti di essere tranquillo perché piace ad Umberto Bossi. Secondo il Cavaliere Bossi è come quei nonni bizzosi e stravaganti a cui tutti però sono affezionati. Rocco Buttiglione invece dice che Bossi sta metà nel governo e metà fuori. Da filosofo che parla pure il tedesco, Buttiglione si sarà chiesto se Bossi stia fuori di pancia o fuori di testa. Antonio Montanari [Ponte n. 30, 10.8.2003]
Tama 873. Prima e poi Nei tribunali scrivevano che la giustizia è eguale per tutti. Lattuale ministro competente (si fa per dire) ha fatto incidere a Milano uno slogan diverso: la giustizia è amministrata in nome del popolo. Voleva essere un ammonimento, finisce per risultare una confessione: chi ha vinto le elezioni si fa giustizia a proprio uso. Ma chi è il popolo? Risponde Manzoni: i poeti lo chiamano volgo profano, ed i capocomici rispettabile pubblico, e spesso in certe situazioni passa facilmente dalle parola ai fatti. Il ministro Castelli non è obbligato a ricordare questo passo dei Promessi sposi (cap. XXXI, quello del «celebre delirio», ovvero il racconto della peste). Forse lo ignora, data la curiosa opinione che ha espresso circa la cultura parlando di Adriano Sofri: a quel reo non va concessa la grazia perché trattasi di raffinato intellettuale. Castelli ha sentito parlare delle aggravanti previste nel Codice penale, e nella sua testa vi ha inserito anche quella del saper scrivere. Un vecchio poliziotto ha ricordato a Prima pagina di Radiotre che lultimo processo a cui ha assistito in servizio vedeva alla sbarra un barbone imputato del furto di un panettone dal costo di lire 2.500. Mi viene in mente una condanna di 40 anni fa: per il furto di tre mele al supermercato, pena di mesi dodici. Suggerivano i latini: il magistrato tralasci le cose di poco conto. Oggi per legge non si possono processare finché sono in carica i cinque personaggi seduti al vertice dello Stato. Perché illudersi dessere tutti eguali? Dalle motivazioni della sentenza che ha assolto Giulio AndreoL?tti dallaccusa di aver avuto rapporti con la mafia, abbiamo appreso che sino al 1980 limputato aveva dimostrato «autentica, stabile ed amichevole disponibilità verso i mafiosi». Quelli però moderati, rassicurano le cronache. La sentenza ha inventato il simpatizzante mafioso a termine, come le scatolette del tonno e i medicali: non usare dopo la data di scadenza. Infatti a partire dal 1980 Andreotti si è redento, lottando contro i vecchi amici o alleati. Per gli anni precedenti, hanno scritto i giudici, Andreotti dovrà rispondere «dinanzi alla Storia». Un suo avversario ideologico, Emanuele Macaluso, ha dichiarato che la Storia però «bisogna raccontarla tutta»: i rapporti mafiosi Andreotti li trovò nel partito, non li creò, anche se la «sua omertà istituzionale» costò la vita a molti servitori dello Stato. Ma prima del 1980 dove era la Giustizia? Antonio Montanari [Ponte n. 29, 3.8.2003]
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