Antonio Montanari Tam Tama di Luglio 2002
Sommario 836. Tappeti (28.7) 835. La Pantera (21.7) 834. Smentita (7.7)
Indice del Tam Tama 2002 Tama 836. Tappeti I giornali sono pieni di cose inutili (come questa rubrica). Nei due più diffusi magazine allegati ad altrettanti quotidiani, ci sono rubriche fotografiche dedicate ai principali eventi mondani italiani. Gli ultimi numeri dei due periodici, per la prima volta da tanto tempo, sono privi di un'immagine che compare regolarmente, quella di Alain Elkann, giornalista e soprattutto padre di un giovane che sta facendo strada in casa Fiat (per ovvi legami di parentela che premiano altrettanto ovvi meriti personali). La cosa preoccupa: se Elkann è in viaggio all'estero, al ritorno ci aggiornerà sui principali eventi mondani internazionali, a tutto danno di dame e damerini nostrani che s'adoprano per tener desta l'attenzione di chi, non potendo partecipare, può almeno essere doverosamente aggiornato su quanto la Buona Società esprime. Passiamo alle notizie utili, e politicamente corrette. Ne riprendo due. Hanno scoperto, con la solita indagine statistica, che noi italiani siamo disattenti e disordinati nelle nostre tasche (sono sfonde o ce le hanno rotte?). Impiegheremmo quattro minuti per trovarvi l'accendino. Poi, apprendiamo che a soli 47 euro è in vendita un piccolo apparecchio che analizza la voce di una persona, per indicare se mente o dice la verità: l'hanno battezzato lo sbugiardometro. Se permettete, non per fare d'ogni erba un fascio (c'è già chi ci pensa distruggendo le lapidi nei cimiteri ebraici, com'è accaduto a Roma nei giorni scorsi), fondo le due informazioni, collegandole alle cronache politiche nazionali. L'on. Silvio Berlusconi ha dichiarato di accettare la proposta del collega Umberto III Bossi di realizzare in Italia il semipresidenzialismo franco-dalemiano (un Quirinale con le bollicine tipo champagne, anziché l'attuale spumante), aggiungendo che per spirito di sacrificio è disposto a candidarsi alla più alta carica dello Stato (una specie di indossatrice svedese che lo guarderà con una certa sufficienza, a causa della differenza di statura). Orbene, le parole del Cavaliere smentiscono che siamo confusionari e che ci mettiamo tempo a trovare quello che cerchiamo: il Quirinale se l'è offerto in tre secondi e mezzo. Infine, lo sbugiardometro, se lo usassimo con lui, ci confermerebbe la verità della sua Parola: non è un sacrificio dei più nobili e sublimi quello di fare tutto all'interno di uno Stato? Perché, credetemi, una volta al Quirinale, vorrà anche sbattere i tappeti. Antonio Montanari [Ponte n. 28, 28.7.2002]
Tama 835. La Pantera Puntuale come il segnale orario, anche quest'anno è arrivata, enigmatica e sfuggente, la Pantera Nera della Bassa Padana. L'hanno vista tra Cremona e Lodi. Vista: insomma credono di averla scorta nottetempo in oscure periferie. Autorevolmente sul Corriere della Sera ha scritto Beppe Severgnini: «Più della pantera, in fondo, conta l'idea della pantera». Giusto. Sono parole che affondano le loro radici nella tradizione di un pensiero politico manifestatosi anche di recente, quando ci si è chiesti: valgono più i reali diritti dei lavoratori (addio art. 18), o quello che ne pensa il signor Sergio Cofferati? La questione della Pantera Nera è importante: se essa esiste, allora il Cinese ha ragione, altrimenti prevalgono le opinioni di [in rigoroso ordine alfabetico] Berlusconi e D'Alema, uniti ancora dopo la Bicamerale da travolgente destino sotto il cielo azzurro di (Forza) Italia. Per essere chiaro, credo che il Cofferati da Cremona sia da identificare nella fantomatica Pantera Nera, creatura famelica, assetata di sangue (il Cavaliere lo ha fatto capire, seppure con delicatezza), con denti aguzzi pronti ad azzannare i compagni di strada, spolpando Fassino (impresa al limite dell'impossibile, data la sua magrezza), e tentando di impaurire D'Alema, evento del tutto improbabile: il presidente dei Ds, da quando è all'opposizione, sorride con un tic che irrita gran parte dei compagni di strada (lo accusano di trescare alla luce del sole con Berlusconi in inverecondi legami antisindacali), e che nessuna terapia è riuscita a modificare. L'ultimo tentativo è stato quello di un uomo di Scienza, Giovanni Berlinguer, quando ha dato inutilmente del fedifrago a D'Alema, in nome della classe operaia. Ma è stato proprio il ricordo della classe operaia (che ora si trova soltanto ai mercatini dell'usato), a turbare la riunione dell'Ulivo nella pace di Camaldoli. Amato ha manifestato disappunto, rifiutando un concetto che ritiene perdutamente bertinottiano e no-global. Prodi ha ammesso di averne sentito parlare ai tempi dei suoi studi (di Cofferati ha perso addirittura la memoria). Rutelli ha aperto le braccia, ecumenico: vieni avanti, Cinesino. Nessuno ignorava le parole d'un senatore leghista, Luigi Peruzzotti: «Se i brigatisti sparassero a Sergio Cofferati sarebbe la fine del governo Berlusconi. Ciò che non è riuscito ai poteri forti potrebbe accadere grazie ad una pistolettata ai danni del sindacalista». Antonio Montanari [Ponte n. 27, 21.7.2002]
Tama 834. Smentita Cinquant'anni di cronache giudiziarie e di storie politiche, dovrebbero convincerci: occorre riformare il primo articolo della Costituzione, che vuole la Repubblica fondata sul Lavoro. Scriviamoci invece che il nostro Stato si regge sul Sospetto. La conferma di questa necessità, ci viene dalla pubblicazione su Repubblica del 28 giugno, di cinque lettere del prof. Marco Biagi, ucciso dalle Br il 19 marzo: una di esse, diretta a Stefano Parisi, direttore di Confindustria, è stata 'soffiata' con una censura, rivelata poi dallo stesso destinatario. Biagi non scrisse soltanto di temere che «le minacce» nei suoi confronti «venissero strumentalizzate da qualche criminale», ma precisò pure che si trattava di «minacce di Cofferati (riferitemi da persona assolutamente attendibile)». Com'è ovvio, gli Inquirenti non conoscevano nulla del messaggio di Biagi a Parisi: forse l'hanno in archivio, non ancora letto, «data l'enormità del materiale» sequestrato. Nel nostro Paese, lo sappiamo, i tempi della Giustizia sono biblici. Suona offensivo nei confronti della memoria di Biagi e del dolore della sua famiglia che, dopo la misteriosa ma non inspiegabile comparsa di quei suoi testi epistolari, i giornali si siano interrogati: a chi giova tutto ciò e chi ne saranno i capri espiatori? Sarebbe strano se le cose andassero diversamente, in questa Patria di un Diritto che ogni giorno di più si scopre figlio illegittimo o del tutto orfano. Agli Interni, qualcuno sospettava addirittura che Biagi fosse un mitomane. All'amico Casini presidente della Camera, chiedendogli aiuto per la propria «sicurezza personale», Biagi precisò che i suoi avversari («Cofferati in primo luogo») lo criminalizzavano. Gli Inquirenti ignoravano la denuncia, ma qualcuno sapeva, a Roma. Al ministro Maroni, Biagi scrisse di telefonate minatorie fattegli da persone stranamente al corrente dei suoi spostamenti. Fin che visse, fu costretto ad umiliare istanze, ad inviare solleciti, a questuare contatti per essere difeso da quello Stato per cui lavorava. Dopo la sua morte, sembra che qualcuno voglia giocare una partita dai contorni oscuri, ma non indecifrabili, comunque terribilmente osceni, perché avvengono sulla sua memoria. Il capo degli Interni da Cipro ha definito Biagi «un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza». Lo hanno scritto soltanto Corsera e Sole-24 ore. E' arrivata immediata Smentita, diretta erede del Sospetto. Antonio Montanari [Ponte n. 26, 7.7.2002]
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