Antonio Montanari Tam Tama di Novembre-Dicembre 2002
Sommario 854. Viva Totò (22.12) 853. Maschere (15.12) 852. Confidenze (8.12) 851. Misteri (1.12) 850. Per fortuna (24.11) 849. Favolette (17.11) 848. Optional (10.11) 847. Discorsi a Pera (3.11)
Indice del Tam Tama 2002 Tama 854. Viva Totò Questioni di stile. Tirata per i capelli dalla stampa in uno scandalo personale (l'acquisto di due appartamenti a prezzo agevolato grazie all'aiuto di un pluripregiudicato, fidanzato di una sua grande amica), Cherie Blair, moglie del premier britannico, ha scelto per spiegarsi un mezzo pubblico. In tivù, ha chiesto scusa alla Nazione e, piangendo, ha confessato d'aver commesso degli errori. Se fosse stata la moglie del leader italiano, la signora avrebbe prima invocato il legittimo sospetto contro i giudici, poi accusato l'odio della Vecchia Sinistra, infine chiesto l'intervento delle Forze dell'Ordine per domare i giornalisti che la stavano infangando. Nelle stesse ore Paolo Guzzanti, giornalista ed ora parlamentare di fede berlusconiana, se la prendeva con alcuni colleghi d'appartenenza politica, rei d'aver accusato la propria figlia, Sabina, nota attrice comica, d'aver fatto una satira televisiva troppo violenta contro dei rappresentanti di governo. La satira è la satira, non va toccata, ha concluso con parole che non gli abbiamo sentito pronunciare quando fu messo sotto accusa Daniele Luttazzi che non è bello come sua figlia, e che soprattutto non è sua figlia. Anche la signora Blair ha parlato della prole. Quel che le è capitato, è anche per via del figlio al quale era destinato uno dei due appartamenti acquistati a Bristol, dove il ragazzo frequenterà l'università. In Italia non soltanto le madri hanno un cuore, ma anche i padri, come insegna Paolo Guzzanti. Non tutti per fortuna sono gelidi ed indifferenti come Piero Ottone, giornalista che fa l'inglese sia nel vestire sia nel parlare. La sua natura si è rivelata in pieno nella lettera aperta che venerdì 13 ha scritto a Berlusconi («Caro Silvio, dimettiti, non sei un uomo di Stato»), accusandolo di essere entrato in politica «per scongiurare due scadenze». Quella finanziaria («a causa dei tuoi debiti»), e «quella giudiziaria, perché la tua irresistibile ascesa aveva preso, diciamo così, qualche scorciatoia». Con quel distacco di chi ha ben assorbito lo spirito britannico, Piero Ottone concludeva con un freddo avvertimento: ti consiglio d'andartene a casa, perché c'è il rischio che gli stranieri (i quali «ti osservano increduli»), «presto ti considerino come una macchietta». E noi, legati alle tradizioni patrie, ci associamo ad Ottone, soltanto perché non vogliamo che siano oscurate le figure di Macario e Totò, veri signori del nostro varietà. Antonio Montanari [Ponte n. 46, 22.12.2002]
Tama 853. Maschere Ci sono molte persone perbene che quando parli loro di trasmissioni televisive ti guardano come se trattassi argomenti poco decenti. Esse non sanno che il piccolo schermo condiziona i comportamenti sociali anche di chi lo tiene spento o lo usa soltanto per vedere le previsioni del tempo. Una recente produzione era intitolata «Operazione trionfo». Si trattava di una gara tra alcuni giovani rinchiusi in una struttura che pomposamente era stata chiamata «Accademia», dove gli stessi erano affidati a maestri di varie arti dello spettacolo, che dovevano insegnar loro come si canta (bene), si balla (decentemente), si sacrifica (sanamente) ogni proprio capriccio sottomettendosi ad una disciplina ferrea che dovrebbe portare non soltanto a conseguire un buon risultato tecnico, ma anche ad un perfezionamento della propria volontà, nel rispetto delle persone con cui si convive. Era un progetto pedagogico talmente rivoluzionario, davanti al lassismo ed al menefreghismo corrente, che forse ne avrebbero dovuto prender conoscenza il ministro della Pubblica Istruzione e lo stesso presidente del Consiglio, al fine di convincere genitori e docenti che senza sudare lavorando sulle materie «di studio», nella vita non si ottiene nulla: né per la formazione della propria personalità, né nel costituire quel patrimonio di conoscenze che possono sempre servire (ad esempio, per risolvere i cruciverba della «Settimana enigmistica»). Ma come si fa a proporre la serietà di un gioco televisivo (un concorso di cantanti), quando quella stessa serietà manca dove dovrebbe essere applicata e mostrata sul terreno della politica e della vita economica (un concorso di circostanze avverse)? C'è tra quel gioco ed il comportamento dei nostri uomini di governo la stessa differenza che passava tra l'entusiasmo dei concorrenti dell'Accademia televisiva e lo sbrodolare del conduttore che, tra una parola spinta e l'altra, minacciava pure di bestemmiare con un orgoglio del gesto, che non so se fosse iberico oppure semplicemente nazional-becero. Un simile orgoglio ha spinto Berlusconi a spiegarci che, ah se lui potesse, saprebbe come risolvere i problemi della Fiat. Anzitutto, ha sospirato, le cambierebbe nome, chiamandola Ferrari. Nulla di nuovo: è un fatto che succede con i pentiti che per collaborare con la Giustizia cambiano connotati, ormai una tradizione che in Italia diventa sempre più ricorrente. Quella di vivere in maschera. Antonio Montanari [Ponte n. 45, 15.12.2002]
Tama 852. Confidenze Dalla Virginia, scrivono giornali solitamente bene informati, un Grande Fratello americano sorveglierà il mondo raccogliendo tutti i dati della nostra vita quotidiana. Lo guiderà un personaggio non proprio cristallino, coinvolto tempo addietro in uno scandalo relativo ad armi vendute illegalmente in Iran. Questa è già una garanzia: il Grande Fratello sarà qualcosa di losco, come le premesse relative al suo direttore garantiscono. Anni fa ci assicurarono: dall'Inghilterra un Grande Orecchio spia il mondo, sa tutto di quanto viaggia sui fili del telefono e di Internet. Il dramma dell'11 settembre ha dimostrato la balla. Ci auguriamo che esso non si ripeta. Per spiarci, bastano ed avanzano i delatori. Parola che lo storico Mimmo Franzinelli usò lo scorso anno come titolo di un volume dedicato a «Spie e confidenti anonimi: l'arma segreta del regime fascista». Chi ha la mia età, ricorda la famosa storia dei fascicoli del Sifar (servizi segreti, anni Sessanta) che ufficialmente furono bruciati: erano strumenti di ricatto politico, non di controllo su persone pericolose per l'ordine pubblico. C'è sempre qualcuno nella vita che vuole fregarti a suo vantaggio: Grande Fratello ma Piccolo Cervello. Ricordi personali. Superiori pii e devoti di mio padre, che lavorava all'Azienda di soggiorno, progettando di sostituirlo con raccomandati di partito, fecero fare a suo carico tre indagini dalla Guardia di Finanza: quel Comandante lo rassicurò, non avevano trovato niente sul suo conto. Un altro mio congiunto, giornalista a Milano, impegnato nella «controinformazione» dopo la strage di Piazza Fontana (1969), fu anch'egli rassicurato dal Questore della sua città: «Non siamo mai riusciti ad incastrarla». Mio suocero (1973) fu denunciato dai Vigili Urbani di Rimini per evasione fiscale: figurava come proprietario di un box all'ortomercato nel quale invece lavorava come unico dipendente. La scorsa estate, in una biblioteca vicina, dove gli antichi documenti si consultano sotto l'occhio di una telecamera, una mattina mi fu riservato improvvisamente il privilegio esclusivo di un controllo anche di persona, per ordine di una giovane addetta alla quale qualcuno si sarà divertito a dire qualcosa contro di me, indicandomi come tipo sospetto. Non mi piace guastare la vita al prossimo, perciò non mi sono lamentato con nessuno del suo comportamento. Lei, ancora prima di me, è stata vittima della stupidità di qualche Piccolo Cervello. Antonio Montanari [Ponte n. 44, 8.12.2002]
Tama 851. Misteri Cinema e tivù raccontano storie in cui per scoprire la verità non si guarda in faccia a nessuno: e se spesso il bene non trionfa, almeno ci illustrano perché ciò non avviene (il politico losco e maneggione, l'avventuriero negli affari che compra i silenzi, l'ipocrisia di tanti, l'ubbidire e tacere). Siamo consolati al cinema od in tivù perché c'è sempre la soluzione al mistero: leggerne la trama equivale a sanare il mondo, scoprire le ingiustizie, rimettere tutte le cose al loro posto. Quando poi passiamo dall'invenzione artistica alla lettura delle cronache, ci accorgiamo della differenza. La sentenza di Perugia che condanna Giulio Andreotti a 24 anni come mandante dell'assassinio del giornalista Mino Pecorelli, inquieta per tanti motivi. Per l'età del leader che vede il proprio tramonto non sottolineato dalla venerazione, dopo un'attività politica svolta in oltre mezzo secolo. Per la consapevolezza che siffatta situazione è dolorosa dal lato degli affetti umani, e quasi insopportabile dal punto di vista psicologico. Per gli interrogativi che quella sentenza pone sul piano storico: dopo la fase del «sospetto come anticamera della verità», saremmo dunque traghettati sulla sponda della verità che conferma gli antichi sospetti. E sulla barca, a farci passare al nuovo approdo, un tribunale contro il quale un poco tutti si sono scagliati con modi diversi, tranne lo stesso Andreotti dimostrando di nutrire ancora fiducia verso la Giustizia. Una frase, questa, con cui ha voluto prendere le distanze da chi considera invece i giudici un mercato pronto a tutto pur di abbattere certi politici (che si aggiustano nel frattempo le leggi per evitare danni). C'è un rispetto umano verso Andreotti, a cui auguriamo di poter vedere il «terzo grado» della Cassazione concludersi con una sentenza a lui favorevole. C'è un rispetto politico verso la nostra Storia di tanti anni dolorosi, e verso chi ha subìto sorte peggiore (ad Aldo Moro ed al suo sacrificio non si pensa mai), per cui non possiamo dire tranquillamente che quei giudici sono degli scriteriati: decenni fa simili opinioni sarebbero state bollate di collateralismo rispetto ai terroristi. C'è però pure l'obbligo di riflessione politica su di una classe dirigente di cui Andreotti è simbolo ed effetto, e per la quale s'invoca a giustificazione qualcosa che sta a metà strada tra l'antica «ragion di Stato» ed i troppi, recenti «omissis» su altri incancellabili misteri italiani. Antonio Montanari [Ponte n. 43, 1.12.2002]
Tama 850. Per fortuna Nella storia di Casa Savoia il 14 novembre 2002 resterà come una data fondamentale: è avvenuto il debutto ufficiale del principino Emanuele Filiberto che, prima di farlo di persona, è entrato nel nostro Paese in immagine, dopo quattro giorni dalla revoca di quel divieto costituzionale che impediva a lui ed al suo augusto padre di mettere piede sul suolo italico. Per la verità, in altre occasioni, E. F. aveva già usufruito di ospitate televisive (gratuite): ma si sa, che un'apparizione sul piccolo schermo non si nega a nessuno, vi compaiono tutti, dall'attricetta scalcagnata in cerca di gloria, ai patetici miti della canzone, ai protagonisti inquietanti della più terribile cronaca nera. Altra cosa è vederlo recitare in un remunerato spot pubblicitario di certe olive verdi, dopo che si è tosato decentemente i capelli, e concentrato su di uno sguardo fiero che rivela da quali magnanimi lombi egli discenda. Per noi va bene così. La sua scelta ci rassicura. Abbiamo temuto chissà che cosa, persino che l'erede al trono Vittorio Emanuele IV potesse pensare di costituire un partito, e tentasse una scalata al potere, dopo che per lettera anni fa non aveva riconosciuto in Pertini il presidente della Repubblica, ma l'abitante del «Palazzo del Quirinale», come aveva scritto con scarsa fantasia, forte arroganza ed anche immensa sprovvedutezza (le sentenze della Storia sono sempre inappellabili). Se cotanto figlio ha scelto la via dei Caroselli, anziché quella dei Fori imperiali, il merito credo che debba andare sia all'augusto padre (ex commerciante di armi) sia alla signora madre (ex ramo biscotti). A loro, noi inveterati repubblicani dobbiamo gratitudine, assieme ad un piccolo rimprovero: se lo spot delle olive verdi fosse stato programmato prima, ci saremmo evitati le lunghe e feroci discussioni sul rientro dei Savoia. Tutti ci saremmo sentiti consolati dal testo che accompagna l'azione scenica del principino: «Se vuoi sentirti un re, c'è Saclà». Quel periodo ipotetico così chiaro sconfessa ogni traccia di paura verso l'erede della Famiglia Reale: lui non si sente sovrano, se per farlo deve gustare quel prodotto. Per fortuna che ci sono le olive verdi. Con l'augurio che suo padre, dopo aver definito (finalmente) le leggi razziali del 1938 una «macchia indelebile» per la dinastia, non appaia in qualche analoga occasione pubblicitaria, per garantirci che con un dato prodotto si cancella ogni traccia di sporco. Antonio Montanari [Ponte n. 42, 24.11.2002]
Tama 849. Favolette Il Social Forum Europeo di Firenze era stato introdotto da una trasmissione di Rai2 con Antonio Socci, dove si è spiegato che quando la Madonna parla di «pace» non intende obbligatoriamente quella del mondo, ma la nostra condizione spirituale ed i buoni rapporti all'interno della nostra famiglia. Già questo bastava per dimostrare, come si è cercato di fare nel seguito del programma, che i pacifisti sono dei pericolosi eredi del più sanguinoso marxismo del cattivo tempo andato. Tra loro ovviamente, aggiungiamo noi, ci sono anche sacerdoti cattolici come don Ciotti, Dall'Olio e padre Zanotelli, presenti a Firenze. Dall'Olio (Pax Christi) ha reagito definendo quella trasmissione «vomitevole». Poi ha chiamato «pornografici» la gran parte dei quotidiani italiani, per il modo con cui il SFE è stato presentato. Gino Strada, il medico fondatore di Emergency, ha rincarato la dose: in tivù e nei giornali, soltanto «penne in vendita», perché «nessuno ha scritto la verità». La verità è apparsa in controluce. Faceva paura che tante teste con opinioni differenti tra loro si trovassero d'accordo a discutere come tentare di salvare il mondo dalla distruzione per guerra, fame, malattie, sfruttamento egoistico delle risorse, e affarismo dei soliti noti. Prima si è cercato di presentarle come dei potenziali criminali. Poi si è cominciata la serie dei suggerimenti disinteressati per aiutarle a comprendere bene le cose. Esemplare è stato il pezzo di Piero Ostellino sul Corsera: se i ricchi diventano sempre più ricchi, anche i poveri diventano sempre meno poveri. Dati alla mano, succede purtroppo tutto il contrario. Una vecchia lezione dimostra che a stomaco pieno si ragiona meglio che a stomaco vuoto. Il colonialismo vecchio e nuovo, per le menti illuminate, è ovviamente un'invenzione dei morti di fame. I quali, secondo Ostellino, farebbero bene a ricordare che da più di due secoli si predica un onesto principio: essere uguali davanti alla legge, non significa poi esserlo nella vita regolata dalla libertà di mercato. La quale è ridotta ormai ad una favoletta a cui non crede più nemmeno il ministro Tremonti quando si lamenta di dover amministrare un Paese povero. Il dramma del ministro è che non sa come dirlo a Berlusconi, per il quale esistono ancora cicogna e cavolfiore, e tante altre storielle raccontate dal fido Emilio Fede. A Firenze hanno spiegato soltanto queste cose. Senza terroristi. E senza Fassino. Antonio Montanari [Ponte n. 41, 17.11.2002]
Tama 848. Optional San Giuliano di Puglia da quattro anni era considerato paese a rischio sismico, dopo l'aggiornamento della mappa del Servizio sismico nazionale. Nessuno lo sapeva. La Scienza ancora una volta dimostra la sua impotenza in uno Stato in cui non abbiamo inventato una divisa da lavoro per i Carabinieri, costretti a scavare tra le macerie con quella usata per le strade e negli uffici. L'Italia è un Paese fatto di retorici proclami, di buoni sentimenti e di superstiziose convinzioni. Quando è il momento di venire al dunque, trionfa lo spirito dell'Azzeccagarbugli che fa chiedere: «Ma la Legge che cosa dice?». Da noi, le leggi dicono sempre tutto ed il contrario di tutto. Da secoli. Non bastano quattro anni per far sapere all'amministrazione di un piccolo Comune che se c'è un terremoto, lì si corrono gravi rischi. Perché c'è sempre un conflitto di competenze. Ogni tanto si fanno delle riforme del cavolo: oggi non esistono più le prefetture, ma gli uffici territoriali del Governo. Figùrati la differenza. Con i tanti problemi seri che abbiamo, in Parlamento perdiamo tempo a proporre cartelli stradali bilingui per valorizzare il dialetto. La Magistratura indaga per il crollo di San Giuliano. Una sentenza ci sarà quando soltanto i poveri parenti delle vittime avranno ancora nel cuore il ricordo del loro dolore. Non è che abbiamo la memoria corta, è che le indagini ed i processi vanno sempre per le lunghe. Non è colpa di nessuno. Ma purtroppo avviene così. La storia dei terremoti più recenti dal 1976 al 1997 (Friuli, Irpinia e Basilicata, Belice, Umbria-Marche) ha avuto spesso appendici giudiziarie. Il sano buonsenso imprenditoriale a volte ha escogitato modi non leciti d'arricchimento (382 arresti in Irpinia). Altre volte, si sono spesi soldi per opere rimaste inutilizzate. Soltanto il Friuli non ha dato pensieri. L'«Unità» (altri tempi) cercò invano d'inguaiare con l'Irpiniagate l'on. De Mita. Intanto riuscì a metterlo in eclissi nel partito e nel governo. L'inventore della Protezione Civile, Giuseppe Zamberletti, sottolinea che in Italia la prevenzione è un optional come le cinture di sicurezza. Ecco perché parlavo di superstiziose convinzioni: non siamo convinti che la Scienza serva. La reputiamo un'inutile eredità di tempi passati ed un noioso argomento di qualche lezione scolastica. La riprova è nelle trasmissioni tivù di maghi e fattucchieri. Sono un rischio per i nostri figli come il terremoto. Antonio Montanari [Ponte n. 40, 10.11.2002]
Tama 847. Discorsi a Pera Il calendario più originale potrebbe essere quello con le foto dei «pianisti» che al Senato, per licenziare la legge Cirami sul legittimo sospetto, hanno votato anche per alcuni loro colleghi che al momento erano fuori dell'aula. Al posto delle solite veline ed attricette vestite in costume che il consueto maschilismo linguistico definisce adamitico, potremmo mettere le immagini solenni di questi padri della patria che tradiscono dai volti differenti emozioni. Se Laura Bianconi (FI) sembra quasi sorridere, Gaetano Fasolino (FI) mostra un qualche imbarazzo restando lui stesso a bocca aperta. Mauro Cutrufo (Udc) è stato invece effigiato con una piega amara delle labbra, accompagnata da uno sguardo sarcastico, quasi avesse voluto confidenzialmente riassumere il suo pensiero («Vedi che t'ho fregato»), sorretto dalle certezze che gli derivano dall'essere addirittura uno dei tre questori del Senato.
Alle proteste della Margherita, i «pianisti» hanno reagito in maniera diversa e contraddittoria. C'è chi come Malan (FI) ha rivendicato con orgoglio la correttezza del gesto; chi (Consolo, An) ha rispedito al mittente le accuse («Hanno le traveggole»); chi (Forte, Udc) ha ammesso con giustificazione («Il mio vicino deve fare spesso la pipì, e non era in aula»); chi ha ammesso invece vergognandosi, dopo il classico «non ricordo», come Damiano Veraldi, avvocato (Margherita). Non è mancato un diessino, Milos Budin, pronto ad invocare la scusa massima per ottenere il perdono: «Era la prima volta».
Davanti a questo spettacolo vagamente infantile ed alle proteste della pur coinvolta minoranza, il presidente del Senato Pera ha sentenziato che tutto era andato secondo le regole. Contro di lui ha protestato anche la Corte costituzionale che lo considera responsabile della mancata difesa di fronte agli attacchi dell'on. Cirami. La seconda carica dello Stato ha un'attenuante. In questi ultimi tempi, Pera è stato preso da altri problemi, come testimonia l'intervista al TG2 con la quale ha voluto rassicurare la Nazione del suo spirito democratico: quando è da solo, ama cenare in mutande.
Intanto il governo tramite l'Avvocatura dello Stato ha chiesto venti milioni di danni nel processo milanese che vede coinvolto l'on. Previti, e nel quale Berlusconi è stato prosciolto in istruttoria per prescrizione grazie alle attenuanti generiche. Così non c'è conflitto d'interesse e sappiamo a chi «non» si deve chiedere mai. Antonio Montanari [Ponte n. 39, 3.11.2002]
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