Paul Gauthier, profeta della Chiesa dei poveri
LETTERA 86, 31 dicembre 2002:
di Ettore Masina
Pomeriggio del 25 dicembre, Marsiglia. Nelle case si sparecchiano le tavole del banchetto festivo. Si accendono nelle strade, contro un cielo umido di pioggia, le lampadine degli abeti natalizi. Nel porto una flotta degli Stati Uniti attende l'ordine di partire per la guerra contro l'Iraq. In un piccolo appartamento muore, a 88 anni,Paul Gauthier, profeta della Chiesa dei poveri, evangelista della pace che nasce dalla giustizia resa agli oppressi, sognatore di una Palestina libera e laica in cui due popoli sapessero vivere da fratelli.
Pomeriggio di Natale, Betlemme. I carri armati israeliani sferragliano per le strade della periferia. Vuota di pellegrini la chiesa della Natività. In lontananza si accendono le lampadine nelle case di Beth Sahur, il villaggio dei pastori del vangelo di Luca, e della piccola "Città della Stella": le case popolari costruite anche da Paul, con le sue mani di carpentiere. Poco dopo il tramonto, i soldati sparano contro un'ombra di "probabile terrorista". Uccidono una bambina di nove anni. Continuo a pensare che quel vecchio e quella bambina siano entrati nell'Aldilà tenendosi per mano.
Fu un gruppo di bambini palestinesi, infatti, che mi guidò, quasi esattamente 39 anni fa alla baracca di Nazareth in cui abitava Paul, sacerdote che voleva vivere come il Cristo. E fu poi una piccola amica di Paul che diede il nome, senza saperlo, all'associazione che nacque dal mio incontro con lui. Le tante e i tanti che hanno letto i bei libri di Carla Grandi e di Ercole Ongaro [1] o l'autobiografia di Paul [2] conoscono questa storia, ma come posso, in queste ore, non ripeterla, almeno a me stesso? La mia vita cambiò dopo quell'incontro, radicalmente.
Un incontro
Ero (adesso mi pare) poco più che un ragazzo e il quotidiano per cui lavoravo, "Il Giorno", mi aveva incaricato di seguire il Concilio Vaticano II, aperto da papa Giovanni: una sconvolgente primavera della Chiesa universale, i vescovi che tornavano a meditare, insieme, il vangelo e i segni dei tempi. Su una preziosa rivista cattolica, "Informations catholiques internationales" lessi un'intervista a un sacerdote francese che non avevo mai sentito nominare, Paul Gauthier. Viveva a Nazareth, facendo il carpentiere, come Gesù. Il suo vescovo lo aveva portato a Roma perché dicesse a tutti ciò che, instancabilmente, diceva a lui: che la Chiesa doveva farsi povera, gli ecclesiastici rinunziare a ogni "seigneurerie" , annunziare il vangelo innanzi tutto ai poveri, stando in mezzo a loro, perché così aveva voluto Gesù; e difendere i poveri da ogni oppressione. Talvolta erano stati, ma non così netti, pensieri e sentimenti anche miei.
Andai a cercare Gauthier nella Sala Stampa del Concilio e scoprii un piccolo uomo, vestito di fustagno, con due occhi che sembravano schegge di turchese. Io parlavo una miserabile imitazione del francese e lui non sapeva l'italiano, tuttavia riuscimmo a intessere un dialogo. Paolo VI aveva appena annunziato che si sarebbe recato in Terra Santa nei primi giorni del '64. "Forse - disse Gauthier - risponde a un invito che gli abbiamo rivolto, un gruppo di lavoratori di Nazareth". E a Nazareth ci ritrovammo, se ricordo bene, il 31 di dicembre. Paul stava sulle impalcature di una casa in costruzione. A mezzogiorno la campana delle chiese annunziarono l'ora della preghiera mariana che si recitava allora in tutto il mondo e che nel villaggio dell'Annunciazione assumeva i colori della tenerezza e dello stupore. Pregammo insieme: "L'Angelo del Signore portò un messaggio a Maria...".
Erano giorni di straordinaria importanza per me, come lo sono stati certamente per tutti quelli che, pellegrini in Terra Santa, hanno sentito il battere dei passi di Gesù, adesso soverchiati da una feroce guerra che sembra inestinguibile. La mia fede era come rinnovata da un vangelo che leggevo nel profilo dei monti, sulle rive dei laghi, sulle pietre e nel corpo contorto degli ulivi. Ma andavo anche cogliendo due lezioni - come dire? - politiche: la prima metteva in crisi il mio filo-sionismo, la seconda, addirittura, la mia visione planetaria. Io ero felice della decisione del Concilio di bollare per sempre l'antisemitismo.
Portavo con me, letti e riletti, i libri degli scrittori ebrei (soprattutto "Ladri nella notte" di Koestler), una totale simpatia per i kibbutz "comunisti", la convinzione che la creazione dello Stato di Israele fosse stata l'ultima grande epopea della storia. In pochi giorni mi accadde di scoprire il colonialismo israeliano, l'importanza politica del fanatismo degli "ortodossi", la pratica apartheid che colpiva gli arabi che avevano accettato di rimanere nei confini del nuovo stato.
Ero salito al Memoriale del monte Sion e avevo pianto disperatamente davanti ai simboli della Shoah e certo lo farei ancora. Avevo sentito (e ancora sento in me) la vergogna di essere figlio di un'Europa che ha accettato, prima, le leggi razziali e poi il genocidio. Detestavo l'oltranzismo dei corrotti governi arabi, degli speaker indemoniati che ruggivano dalle radio del Medio Oriente: "Gettiamo in mare tutti gli ebrei!", così come oggi tremo d'orrore di fronte al terrorismo palestinese considerandolo una malattia mortale che, grazie a Sharon, può dilagare come una spaventosa epidemia. Ma coglievo già allora che non si potevano calpestare i diritti di un popolo, improvvisamente invaso dai discendenti di un altro popolo, costretto a lasciare il paese duemila anni prima.
La Terra ferita
E scoprivo la povertà di massa. non quella che travagliava ancora ampie aree italiane ma quella, ben più atroce, in cui la stragrande maggioranza di uomini donne e bambini viveva nella più assoluta precarietà, nel freddo e talvolta (spesso!) nelle denutrizione. Davvero la Terra era tanto ferita dalla disuguaglianza? Tra la lettura delle statistiche e la visione di volti e di corpi c'è un'immensa differenza. Tornato a casa, guardando con amore i miei bambini ben nutriti, riscaldati a termosifone, dissi a Clotilde che non avrei potuto continuare a vivere come se non avessi visto quella miseria.
Clotilde andò a prendere i nostri piccoli risparmi e mi disse di spedirli a quel prete-operaio che mi aveva tanto colpito. Paul ci rispose con una lettera, dura. Spiegava: se avete capito che gli umani sono fratelli e che il Cristo si è immedesimato con i poveri (Mt. XXV, 31-46), allora è necessario spartire con loro, stabilmente, il nostro pane e le nostre speranze, Ci suggerì di dare vita a un'associazione cui si aderisse accettando di autotassarsi ogni mese per finanziare non un generico pauperismo ma gruppi di poveri che tentassero di uscire dalla loro oppressione. Così avvenne: cominciammo a finanziare la costruzione di case a riscatto, prima a Nazareth (sotto il controllo dell'Histadrut, la centrale sindacale israeliana), poi a Betlemme. Quando Paul ci scrisse che una bambina nazarena - Radiè Resch - era morta di polmonite in un tugurio mentre attendeva di entrare finalmente in una di quelle case, decidemmo di dar il suo nome alla nostra associazione per ricordarsi che se non si fa in fretta i poveri muoiono e, per primi, muoiono i bambini. Da allora la Rete Radiè Resch si è espansa di tutta l'Italia ed è tuttora al lavoro, senza sedi, senza uffici, senza tessere: una cerchia di amici e di amiche che accettano un'avventura che li porta a contemplare dolori e tragedie senza fine ma anche li arricchisce di speranze che il Nord opulento sembra avere ormai perso, di poesie, di canzoni, di feste.
Nel 1964 Clotilde ed io venimmo ad abitare a Roma. Si apriva la terza sessione del Concilio, Paul era riuscito a raccogliere un gruppo di 300 vescovi sensibili ai problemi che egli poneva e che si erano dati il nome di "Chiesa dei poveri". Il gruppo era presieduto dal grande cardinale Lercaro, arcivescovo di Bologna, assistito da don Giuseppe Dossetti, raccoglieva vescovi francesi, belgi, americo-latini; per gli italiani c'erano monsignor Pellegrino e monsignor Bettazzi. Paul stava a Roma con alcuni suoi "compagnons de Jèsus Charpentier" e con Marie Thérèse (Myriam) Lacaze, una giovane francese che si era incontrata con lui e aveva fondato le "compagnes de Jèsus Charpentier". Scrisse più tardi Paul. "La casa di Ettore e di Clotilde divenne un punto di riferimento per la "Chiesa dei poveri"
Un maestro scomodo
Le grandi speranze del Concilio non si realizzarono o, meglio, non si realizzarono tutte. Forse proprio quella di una riforma evangelica della vita ecclesiastica fu la più vanificata. Cominciò allora la lunga avventura di Paul e di Myriam alla ricerca delle Terre promesse e, alla fine di una odissea dolorosa, approdati a una speranza senza illusioni né sentimentalismi; durissima (secondo me troppo dura) nel rifiuto di ogni pretesa di sacralità, ma illuminata, come scrisse Paul, da "una serena, illimitata fiducia in Gesù di Nazareth. Nel suo nome, il mio compito è quello di dare un volto alla speranza degli uomini, il volto della pienezza umana, in tutte le sue dimensioni. E' vivere secondo la legge fondamentale dell'essere, l'amore. La Croce me ne ha insegnato le rinunzie. La Resurrezione, i superamenti".
Quando Paul scriveva quelle parole, aveva già cercato con Myriam, i compagnons e le compagnes una inserzione nelle favelas brasiliane, aveva vissuto in un campo profughi della Giordania e assistito alle atrocità del Settembre Nero, era stato nel Laos, nell'India dei bambini rifiutati (Paul e Myriam ne avevano raccolti due e avevano dato loro una famiglia, sposandosi), al Libano devastato da una guerra fra fazioni religiose, poi - chiusa l'esperienza della piccola congregazione) nelle campagne francesi e in quelle umbre ove la coppia aveva cercato di radicare il suo sogno ambientalista. Il dramma palestinese continuava a essere per lui e per Myriam la croce piantata sul Golgotha del sionismo e dell'indifferenza delle cosiddette Grandi Potenze.
Molto, molto meno audacemente, anch'io cercai di seguire la lezione evangelica di Paul, sia tentando di diffonderla in una quasi interminabile serie di conferenze in giro per l'Italia, in una lunghissima serie di articoli e di libri, sia cercando, per trent'anni, di seminare la Rete in tutta l'Italia. Clotilde mi fu accanto in questo cammino, talvolta più difficile per lei che per me, condividendo con me idee e scelte di vita e aprendo generosamente la nostra casa ai testimoni del vangelo di giustizia (molti dei quali, credendosi agnostici o addirittura atei, non si rendevano conto di essere inseriti nella sequela del Cristo). L'essere amici di Gauthier e più ancora l'avere cercato di vivere secondo i suoi insegnamenti ci sono costati molto in termini di carriera, di danaro e di prestigio. E tuttavia, se ci guardiamo indietro, scopriamo quale ricchezza di amicizie e di speranze c'è stata donata dall'incontro con Paul; e crediamo di poter leggere nella sua letteralità un brano della Lettera agli Ebrei nel quale è scritto: "Vi sono alcuni che praticando l'ospitalità, hanno ricevuto fra loro degli angeli".
Un santo?
Benché le idee mie e di Clotilde sulla Chiesa siano state spesso divergenti dalle sue (forse, soprattutto da quelle di Marie-Thèrése, che ebbe sempre su Paul uno straordinario influsso), al punto da sfiorare, in alcuni casi, una rottura, dolorosissima per noi e certamente per lui, io credo che Paul sia stato un personaggio inimitabile, profondamente legato al mistero di Betlemme e di Nazareth. Vederlo inginocchiato davanti a un povero paralitica di Trastevere, che non capiva una sola sillaba del suo francese ma capiva il suo amore e lo chiamava "papà" o celebrare la messa o ergersi, per così dire ,nel suo esile corpo mentre leggeva il vangelo, quasi una grande forza si liberasse in lui, provocava in molti (certamente i me) la sensazione di un incontro di decisiva importanza. Mi ricordo quando battezzò il nostro piccolo Pietro; il nostro bambino piangeva, smise di piangere appena lui lo prese fra le sue braccia e lo guardò negli occhi, sorridendo. Mi capitò allora di pensare: "E' un santo". Sono passati 37 anni, la nostra amicizia è stata percossa da incomprensioni ed equivoci, da dissensi anche radicali, ma quella convinzione non mi ha abbandonato.
Due idee-base
Paul diede alla Rete Radiè Resch un impulso straordinario durante le sue permanenze in Italia. La sua evangelizzazione sapeva superare i muri dei ghetti religiosi, i pregiudizi, le miserie delle superstizioni. Persone che non accettavano di dirsi cristiane lo ebbero carissimo e riaprirono con lui le pagine delle Scritture. Tuttavia una delle sue idee-base, quella dell'immedesimazione del Cristo nei poveri e dunque della necessità che la Chiesa si sentisse costantemente spronata dalle loro sofferenze a predicare quello che egli chiamava "il vangelo di giustizia", non risultava a molti meno scandalosa dell'altra, "politica", che avrebbe fortemente permeato la vita della Rete. Al primo convegno nazionale dell'associazione Paul Gauthier disse: "Ciò che è importante è che mentre noi là (a Nazareth) viviamo fra gli operai, voi, qui, agiate sulle strutture sociali per impedire che si fabbrichino ancora dei poveri. Perché, se riflettiamo sul mondo nel quale viviamo, vediamo che c'è un'autentica fabbricazione di poveri. Il sistema nel quale viviamo è un sistema che, per le stessi leggi che vi vigono, permette a coloro che possiedono dei beni di possederne ogni giorno di più, grazie al fatto che il lavoro è insufficientemente protetto e serve da materia prima all'arricchimento degli altri(...). E' inutile che voi doniate parte della vostra intelligenza, della vostra preghiera, del vostro denaro per aiutare i poveri se nello stesso tempo non lottate con tutte le vostre forze per sopprimere le strutture che fabbricano i poveri (...). Ciascuno di noi, nell'ambiente che gli è proprio. deve dare il suo contributo, non soltanto cercando di aiutare i poveri a combattere la loro povertà ma anche individuando e combattendo le cause della povertà".
Era l'autunno del 1965; Le idee di Gauthier, a me sembra, ponevano il seme della teologia della Liberazione e insieme avviavano il mondo cattolico a una critica più lucida e radicale del capitalismo. Dio benedica il suo riposo.
(L'indirizzo di Myriam Lacaze-Gauthier, alla quale spero molti vogliano inviare un messaggio di affetto, è: 19, rue Henri Tasso, Marseille , 13002, tel.0033/49.19.187.67
(Il 24 gennaio alle ore 18 una messa di suffragio sarà celebrata, a cura della rete Radié Resch di Roma, nella Cappella Universitaria, piazza Aldo Moro. Spero che altre reti vogliano anch'esse prendere qualche iniziativa per ricordare il grande amico e vogliano comunicarmelo così che io possa farla conoscere alle amiche e agli amici di LETTERA).
I bambini argentini
Due mesi fa proposi agli amici di LETTERA di fare qualcosa per i bambini argentini che, in uno dei paesi più ricchi del mondo patiscono la fame. Al mio appello hanno risposto alcune persone mentre altre hanno promesso di farlo. Per il momento sono stati raccolti (Coniugi Faccini, Luciana Amato, Giulia Zanato, Ernesto e Letizia Masina, Maria Cristina Tinti, Elvio e Gianna Beraldin, Famiglia Righi, Famiglia Gallerani, Ettore e Clotilde Masina) ¤ 1750. Attraverso "Lita" Boitano, questa somma è stata consegnata a "Hijos" l'associazione dei figli dei desaparecidos, recuperati dalle Abuelas de la Plaza de Mayo. Essi hanno aperto, in un quartiere della periferia di Buenos Aires, un "merendeiro", cioè un locale nel quale distribuiscono (quando possono) latte e qualche altro alimento a una cinquantina di bambini poverissimi.
Un libro
Desidero segnalarvi un libro che mi piacerebbe vedere fra le mani di tanti educatori, di urbanisti, idi "organizzatori" delle realtà cittadine. Il titolo è "Se i bambini dicono: ADESSO BASTA!", Editori Laterza, pagg, 266, ¤ L'autore è Franco Tonucci, autore, sotto lo pseudonimo di "Frato" di indimenticabili libri di disegni sulla psicologia dei bambini Responsabile del progetto internazionale "La città dei bambini" del CNR, con questo libro Tonucci dà la parola ai bambini su 26 diversi argomenti, partendo dall'idea che, come diceva Antoine de Saint-Exupéry, "I grandi non capiscono mai niente da soli e i bambini si stancano a spiegargli tutto ogni volta". E' un'ampia analisi della condizione infantile di oggi e un vasto repertorio delle iniziative, delle attività e delle esperienze realizzate dalle città in questi anni e di quelle che si potrebbero tentare per dare concrete risposte alle attese dei piccoli cittadini.
Auguri?
Vi scrivo l'ultimo giorno del 2002 e i giornali che ho davanti a me cercano di nascondere veri e propri incubi dietro i colori truffaldini degli oroscopi e della "varia umanità". L'ostinata maledetta frenesia di guerra di Bush e la follìa della clonazione di bambini ci interpellano sulla disponibilità a unirci a chi vuole difendere quello che giustamente Gino Strada definisce "uno straccio di pace" e la dignità umana dalle tentazioni di onnipotenza della tecnologia biologica. Auguri?
Sì: che il 2003 ci trovi in piedi e insieme in tutte le occasioni in cui dovremo far sentire alto il nostro grido.
Un saluto affettuoso e riconoscente
NOTE
[1] Grandi C,, Radiè Resch, Una storia di solidarietà, prefazione di E.Balducci, Borla, 1992. Ongaro E., Nel vento della storia, 30 anni della Rete Radiè Resch, pref. di A. Paoli Cittadella ed., 1994
[2] Gauthier P., E il velo si squarciò", ed: Qualevita, 1988. (L'indirizzo delle Edizioni Qualevita è: via Buonconsiglio 2, 67030 Torre dei Nolfi, AQ). Gli altri libri scritti da Gauthier sono: "I poveri, Gesù e la Chiesa", Borla,1963; "Con queste mie mani. Diario di Nazareth", Borla, 1965; " La Chiesa dei poveri e il Concilio", Vallecchi 1965; "Vangelo di giustizia", Vallecchi, 1968; "Gesù di Nazareth, il Carpentiere", ed, Morcelliana, 1970 (gli ultimi tre tradotti da Clotilde).
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