il Rimino - Riministoria


LETTERA 84/ottobre 2002

Nella Roma dei Santi Molto Costosi e delle canonizzazioni velocissime

di Ettore Masina


Ho un sogno che ogni tanto mi sorride e quasi mi pare che, in certe occasioni, anche recentissime, mi strizzi l'occhio, come per dire: "Vedrai! Vedrai!". E' un sogno che credo non si realizzerà mai, ma lo amo egualmente; e poiché penso che possa piacere anche a molti di voi, proverò a raccontarlo.
E' una mattina di primavera, per esempio un 24 marzo, anniversario dell'assassinio di monsignor Romero, e la piazza San Pietro comincia a riempirsi di una folla colorata e rumorosa. Come in altre occasioni, anche questa immensa moltitudine parla soprattutto la lingua castigliana; ma non esce da alberghi di lusso e neppure da hotel a quattro, a tre, a due stelle; e neppure ad una stella sola. Tutti i conventi di Roma hanno spalancato i loro portoni a questi pellegrini poveramente vestiti: "Padre, Madre - ha detto timidamente qualcuno di loro, rimanendo sulla soglia - no tengo dinero". E i frati e le suore hanno risposto con un abbraccio e una citazione latina: "Veni, hospes! Veni, Christe! Vieni, ospite povero, vieni perché grazie alla tua povertà in te ospito il mio Signore Gesù Cristo". Ed anche moltissimi laici e laiche hanno aperto le loro case e vanno scoprendo la verità di ciò che ha scritto l'autore della Lettera agli Ebrei. "Vi sono alcuni che, senza saperlo, praticando l'ospitalità, hanno ricevuto un angelo".
Quando la piazza è ormai piena, e la folla gremisce ormai anche la via della Conciliazione, io mi accorgo di essere ridiventato un giovane giornalista e cerco di penetrare fra la gente per annotarne la provenienza, i nomi, i desideri. E' una immensa festa, un po' indisciplinata, che certamente fa arricciare il naso ai cerimonieri pontifici. Inni religiosi si mescolano a canzoni d'amore e qua e là, ai margini, ci sono piccoli gruppi che danzano un samba o una salsa. Incontro e abbraccio tante amiche e tanti amici. Molti di loro sorridono, ma stanno in una specie di isola di silenzio, come sigillata da un antico dolore. Comincio ad annotare: ci sono le Madri e le Nonne di piazza di Maggio e quelle della Vicaria della Solidaridad di Santiago del Cile; ci sono vecchi vescovi in pensione, stati amici, o discepoli, di monsignor Romero, di monsignor Angelelli, assassinato dai generali argentini, di monsignor Girardi, massacrato dai militari guatemaltechi. Le famiglie dei catechisti salvadoregni torturati a morte perché insegnavano agli analfabeti l'Evangelo di giustizia stanno accanto ai confratelli dei sacerdoti brasiliani massacrati perché vivevano la loro vocazione in mezzo ai poveri e agli indios. Vedo Rigoberta Menchù insieme ai famigliari di Ezechiele Ramin e alle consorelle delle suore uccise in tante parti dell'America Latina, colpevoli di non avere ceduto a una paura che annichiliva molti maschi e di avere riaperto chiese in cui gli squadroni della morte avevano abbattuto i parroci. Le amiche di Marianella Garcia Villas ascoltano con attenzione i racconti dei parrocchiani dei preti italiani trucidati dalla mafia o dalla camorra perché, in nome di Dio, si opponevano alla prepotenza del più forte. Ci sono le famiglie dei sindacalisti uccisi dagli sgherri del padronato nelle campagne o nelle fabbriche di tre continenti; e i figli di Chico Mendes e quelli del Che Guevara...
Il sole è ormai alto quando sulla Loggia delle Benedizioni compare il papa. Guarda la folla che lo acclama, fa cenno con le mani che lo ascoltino, sorride alle raffiche di canzoni che lo raggiungono, alla vista dei bambini che la folla leva in alto come bandiere; e quando finalmente ottiene silenzio dice: "Figli miei, figlie mie, benvenuti. Voi siete qui oggi per commemorare con me tutti coloro che morirono per la giustizia. Voi, lo so bene, già li chiamate "santi". ma non avete soldi per finanziare i processi di canonizzazione, così complicati e costosi. Ve lo voglio dire, perché tanto lo sapete già o lo intuite: neppure avete amici fra i miei cardinali che vi temono come pericolosi sovversivi. E però io vi conosco, mi avete stretto in un immenso mansueto abbraccio collettivo ad ogni mio viaggio nelle vostre terre. So di avervi, troppo spesso, deluso, per la mia timidezza davanti ai Potenti che vi opprimono. Vi chiedo di perdonarmi se qualche volta mi avete visto lasciarmi baciare la mano dai mandanti degli assassini dei vostri cari. Vi chiedo di perdonarmi, di perdonare certi vescovi e sacerdoti se, a causa delle loro parole o dei loro silenzi, assassini e torturatori hanno potuto credere di essere cristiani e persino di agire in difesa della Chiesa. Figli miei, figlie mie, ho molto riflettuto e pregato e adesso tutto mi sembra chiaro. Un santo molto ascoltato in questi miei palazzi, Tommaso d'Aquino, insegnò che martire cristiano non è soltanto chi muore a causa della sua testimonianza della fede ma anche chi, nello spirito di Cristo, cerca di realizzare "opere di virtù" e per questo è odiato. Dunque è martire anche colui che, in nome del Signore, cerca giustizia per i poveri e per gli oppressi e finisce per essere perseguitato e ucciso. La giustizia e l'amore sono i connotati essenziali del Regno di Dio".
L'immensa folla attende in silenzio: non sa se ha capito bene, questi papi parlano in modo così difficile. "E allora - dice il pontefice - io qui dichiaro solennemente che i vostri morti per la giustizia, quelli che hanno versato il loro sangue perché voi viveste in pienezza di vita, tutti questi prediletti dal Signore, devono essere considerati martiri; e dunque santi.. ". La gioia del popolo esplode in un applauso che sembra il fragore di un mare in tempesta, il papa sorride, e rimane a lungo a contemplare quell'umana marea, mentre io, lentamente, controvoglia, poco a poco mi sveglio e mi ritrovo nella Roma dei Santi Molto Costosi e delle canonizzazioni velocissime.

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E' forse proprio in occasione delle proclamazioni di santi (del resto così severamente avversate dalle altre Chiese cristiane) che la Chiesa romana cade inevitabilmente nel classismo Innanzi tutto, a causa del costo dei "processi": per chi non sia "portato" da potenti congregazioni religiose, confraternite o corporazioni è ben difficile arrivare sugli altari; e, per la stessa ragione, è ben difficile che vi arrivino dei laici, anche se dopo il Concilio qualche esempio c'è stato..
Ma la questione dei costi non è la principale. Il fatto è che la Chiesa romana si trova, non dico corrotta, ma certo influenzata e quasi trascinata da una corrente ideologica che ritiene che troppo si sia insistito sulla "Chiesa dei poveri" di cui parlò papa Giovanni e si debba tornare con ben maggiore attenzione alla evangelizzazione dei Primi, dei VIP. Sono i Primi - dicono quei pii ideologi - che "fanno" opinione, "fanno" costume, possono elaborare e poi ottenere riforme che migliorino eticamente la società; sono i Primi che possono affiancare teologi e vescovi con le loro raffinate capacità di giudizio, la loro cultura, il buon senso che nasce da una vita vissuta nel grande flusso del capitalismo.
E' una vecchia tentazione ecclesiale, che torna periodicamente (ed oggi con capacità suasive maggiori di quelle di un tempo), quella di credere che l'evangelizzazione possa discendere dai ricchi e dai potenti giù giù verso i poveri, chiamati a esserne ricettori e imitatori e mai protagonisti. E', a vederla bene, la tentazione della "cristianità", cioè della diffusione della fede fatta per mezzo della potenza e della ricchezza. E' un classismo apparentemente clericale, nel senso che per i suoi teologi e pastori (gran numero di vescovi, certamente) il vertice della "Chiesa dei VIP" non potrebbe essere che quello del Santo Padre e della Gerarchia, dei grandi Fondatori dei moderni istituti e movimenti secolari, dei "direttori spirituali", che assumono la veste dei cappellani forniti alle famiglie nobili dai grandi ordini religiosi dopo la Controriforma; ma è, nella pratica, una realtà del tutto pagana perché i pastori vengono inevitabilmente cooptati (e corrotti) dall'amicizia dei Grandi e dei Potenti, i quali diventano i loro suggeritori e anche qualcosa di più. E dunque, benché molti dei difensori di questa tendenza, o almeno i migliori di essi, rifiuterebbero addolorati l'accusa, si tratta, che essi lo vogliano o no, del ritorno di quell'alleanza fra clero e capitalismo che perse alla Chiesa nel secolo XIX la classe operaia e che nel secolo XX ha allontanato dalla cosiddetta pratica religiosa milioni di persone, soprattutto in America Latina. Come scrisse Moltmann, "i poveri non trovarono nelle chiese un Dio di speranza e allora andarono a cercarsi speranze senza Dio". Ma c'è di più: quella che nasce dalla scelta dei Primi è una religione che trasforma l'Evangelo in "buonismo", in "intimismo", in convinzione che si possa vivere la propria vita nel chiuso delle proprie case e dei propri uffici senza coglierne i collegamenti personali con i sistemi dell'ingiustizia che fanno diventare sempre più poveri (e più numerosi) i poveri e sempre più ricchi (e sempre più pochi) i ricchi, senza ascoltare, se non "caritatevolmente". il grido che si leva dai dannati della Terra. E' una ideologia di galantuomini e di galantidonne, sia chiaro, cioè di persone "per bene", spesso piene di buone intenzioni e disposte a una vita austera; ma è anche una ideologia che non avverte responsabilità nei confronti della giustizia: una ideologia paternalista e più o meno coscientemente inquinata dal disprezzo per i "poveri cristi, dal "realismo" neoliberista che accetta come inevitabile che vi sia un mondo in cui interi popoli possono essere definiti "esuberi".
Questo soave classismo è anche (so di dire una parola dura, ma temo che sia appropriata) una specie di eresia. Il ruolo dei poveri nell'Evangelo piuttosto che secondario è fondamentale: è ad essi che viene portata la buona notizia, è ad essi che vengono rivelate verità negate ai sapienti e ai potenti della Terra. E' in base a ciò che avremo (o non avremo) fatto ai poveri che saremo giudicati; e, nella cerchia dei suoi apostoli Gesù insegna che il più importante è il più inerme, il più povero, il bambino totalmente dipendente dall'amore degli adulti. Se non diventeremo come lui, non avremo salvezza. Paolo predica non l'ideologia di un intellettuale o la filosofia di un pensatore ma "Cristo solo, ed Egli crocifisso", cioè un Signore risorto dopo essere stato ridotto all'estrema povertà del supplizio. L'autore della Lettera di San Giacomo grida ai ricchi la necessità della conversione poiché le loro ricchezze sono frutto di ingiustizia. Le sue parole riecheggiano nel nostro tempo attraverso la voce di San Romero d'America, che le sigilla col suo sangue. Essendo ricco e alfabetizzato, so bene che non mi salverò se non cercherò di stare alla scuola dei poveri, maestri di teologia liberante e di inesauribili speranze. Credo che tale sia la sorte dell'intiera Chiesa. Una Chiesa che non collochi al primo posto l'evangelizzazione dei poveri e la loro eminente dignità è sale scipito e lievito senza fermenti.

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Accade con una certa frequenza che qualche amico o amica di LETTERA mi rimproveri di non avere affrontato l'uno o l'altro argomento che pure sarebbe importantissimo. Me ne scuso. Benché per tutta la vita abbia sognato di avere un giornale "mio" (ma sì: sono un uomo di sogni intemperanti!), LETTERA non può che riempire un paio di pagine. Nella scelta dei miei temi, tengo dunque sempre presente che esiste una fittissima rete di informazioni e di commenti (per esempio la bellissima circolare della Rete Radiè Resch, redatta da Giorgio Montagnoli, montagno@vet.unipi.it ) e privilegio i settori informativi che mi sembrano - come dire? - più sguarniti. Così, per esempio, questa volta non parlo di pace, che pure è l'argomento di gran lunga più importante perché, grazie al cielo e a tanti uomini e donne di buona volontà, la mia casella di posta elettronica e quella della posta "cartacea" traboccano di proposte, riflessioni, documentazioni in proposito e penso che lo stesso avvenga in casa vostra. Né lo spazio mi consente di parlare a lungo di due avvenimenti degli scorsi giorni (scrivo il 7 ottobre) che mi sono sembrati assai dolorosamente significativi e ai quali, però, voglio dedicare almeno qualche riga. Il primo è il risultato di un referendum svoltosi a Bolzano proprio ieri. Una maggioranza di cittadini (ma l'affluenza alle urne è stata del 62 per 100) ha chiesto al Comune che il nome di piazza della Vittoria, mutato qualche mese fa in piazza della Pace, venga ripristinato. Il secondo argomento riguarda la richiesta rivolta dall'ex "sindaco sceriffo" di New York a Bush: "Se riusciremo ad arrestare bin Laden e a condannarlo a morte, devi concedermi di essere io a ucciderlo". Sono due episodi di regressione politica, culturale ed etica.
Nel primo caso, del quale è stata grande protagonista Alleanza Nazionale, con i comizi di Fini e di Gasparri, non si è voluto (o potuto) comprendere che "pace" è, per così dire, un termine estremamente più avanzato di "vittoria". "Vittoria" presuppone una tragica lacerazione fra due popoli, l'uno dei quali finisce per soggiacere alla forza dell'altro; la memoria della lacerazione e della sopraffazione rimane per i vinti un pesante fardello da portare e per i vincitori una perenne tentazione di sentirsi superiori e dominatori dei vinti. Da questa realtà Bolzano è stata per anni ferita. Cesare Battisti pensava che i confini dell'Italia (della cultura italiana, della storia italiana, dell'identità italiana) fossero quelli della piana di Salorno; ma nel 1918 le nostre truppe, inseguendo le armate austriache ormai in rotta, conquistarono di slancio Bolzano e l'Alto Adige. L'avvento del fascismo portò ad un vero e proprio tentativo di genocidio culturale della popolazione di lingua tedesca. Nei centri maggiori, ma soprattutto a Bolzano, vennero fatte affluire migliaia e migliaia di italiani provenienti da altre regioni, interi quartieri furono sventrati per "romanizzare" la città, l'uso della lingua tedesca fu vietato in tutta la regione, in tutta la regione italianizzati, talvolta con effetti caricaturali, i nomi tedeschi delle località e vietato indossare gli abiti del folklore tradizionale. Infine un accordo fra Hitler e Mussolini sospinse molti atesini di lingua tedesca a trasferirsi nella Grande Germania: un grande e drammatico esodo, alla vigilia della tragedia bellica. Tali sono, a Bolzano, i ricordi della "vittoria" per i cittadini di lingua tedesca. Dopo l'ultima guerra mondiale, vi furono decenni di tensioni, anche gravissime. Io stesso ricordo di essere stato inviato dal mio giornale in un Alto Adige militarizzato e piagato da un terrorismo feroce e ottuso. Ma negli ultimi decenni, grazie ad accordi internazionali e all'affermarsi di una più piena democrazia, la città e la regione hanno conosciuto una concorde convivenza, sia pure ancora perfezionabile, fra i due gruppi linguistici. Non era dunque venuto il momento di dire che la vittoria si era trasformata in pace? Che l'eroismo di tanti soldati che avevano guadagnato alla nostra patria quelli che molti ritengono i suoi confini "naturali", segnati dalle Alpi, poteva e doveva essere ricordato come una pagina gloriosa da onorare per sempre ma da non congelare in una fissità rituale? Anche quei soldati avevano sognato la pace, cantato "Prendi il fucile e sbattilo giù per terra./ Vogliam la pace,/Vogliam la pace,/Vogliam la pace / E non vogliam più guerra".

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Quanto alla richiesta del sindaco Giuliani, essa mostra con spaventosa efficacia l'anima segreta (ma non troppo!) di un'America che crede nella vendetta, nell'occhio per occhio e vita per vita. Si può comprendere la rabbia del sindaco davanti alla feroce ecatombe dei suoi cittadini, la violenta reiezione di ogni minaccia alla Grande Mela. Si può pensare al suo grande dolore (grande è stato anche il nostro) nel vedere trasformati in orrenda trappola mortale i simboli di un orgoglioso progresso; e tuttavia quel desiderio di trasformarsi in carnefice fa compiere un passo indietro alla dignità umana. Uccidere un uomo può forse essere un'orrenda necessità in una battaglia; e vi sono molti che ritengono che sia indispensabile per la società difendersi da criminali senza scrupoli e capaci di spaventosi delitti, ammazzandoli. Tuttavia, uccidere è rimasta in tutti i tempi una soluzione tanto estrema che i boia hanno quasi sempre indossato un cappuccio per nascondere il proprio volto o l'hanno fatto indossare all'uomo da "giustiziare" per non vederne gli occhi nell'estrema agonia; e persino nel Texas di Dobliù Bush si è pensato di dare ai condannati una morte "pietosa" (orribile ossimoro), non facendoli soffrire troppo. In moltissimi, nella storia, si sono rifiutati di partecipare alle fucilazioni, ma, che io ricordi, c'è stato un solo esempio di macabro e feroce "volontariato" ed appartiene, purtroppo, all'Italia, ai tempi del regime fascista. Ralph Giuliani vuole essere ricordato come il sindaco che stroncò gran parte della criminalità di New York: adesso rivela una ferocia del tutto omogenea a quella degli assassini. In attesa che sia catturato bin Laden, potrebbe chiedere di andare a Guantanamo, dove gli States che furono di Washington e di Lincoln, di Roosevelt e di Kennedy perde ogni dignità intorno alle "gabbie di tigre" in cui marciscono i supposti terroristi.
I libri
Questa volta il mio elenco è assai breve, avendo avuto da fare molte cose rimaste inadempiute durante i miei ricoveri ospedalieri. Ma voglio citare almeno un libro che ho trovato di grande interesse anche perché mostra come la reiezione di ogni accordo con il neofascismo fosse netta nella democrazia del dopoguerra. Quando sento Berlusconi paragonarsi a De Gasperi mentre il suo vice è l'onorevole Fini, provo una sorta di vertigine, in cui l'ilarità si mescola all'indignazione. Mi dispiace che il Cavaliere legga soltanto, come ha detto, i testi greci, sant'Agostino e Mastro Eckart, perché se leggesse il libro di cui sto parlando imparerebbe una lezione di dignità di cui ha certamente bisogno.
E' il 1952. La psicosi di una possibile vittoria elettorale dei comunisti domina le classi dirigenti e gran parte della borghesia medio-elevata, Lo strepitoso successo dell'alleanza fra DC e partiti moderati, il 18 aprile del '48, non è bastata ad attenuare il senso di pericolo. A soffrirne di più è il papa Pio XII. Su De Gasperi vengono esercitate pressioni che oggi, grazie a Dio e al Concilio, sembrano inimmaginabili. L'ordine è quello di allearsi alle destre, neofascismo compreso. De Gasperi e i suoi si oppongono risolutamente: con i neofascisti, mai. Augusto D'Angelo, un giovane valente storico romano, ha rievocato con precisione e con limpida scrittura, quell'avventura della giovane democrazia italiana in "De Gasperi, le destre e l'"Operazione Sturzo". Voto amministrativo del 1952 e progetti di una riforma elettorale", ed. Studium, Roma, pagg.154, euro 18,00. Il libro contiene, fra l'altro, un documento che indica la fierezza laica del cattolicissimo statista trentino. Nonostante la DC avesse vinto, ancora una volta, senza accordi con il MSI, Pio XII ebbe modo di manifestare a De Gasperi la sua riprovazione per la disubbidienza. In occasione del trentesimo anniversario del suo matrimonio e per la "professione religiosa" di una figlia, suor Lucia, lo statista chiese che la sua famiglia fosse ricevuta in udienza dal pontefice. Pacelli glielo negò. De Gasperi scrisse allora all'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede: "Come cristiano, accetto l'umiliazione, benché non sappia come giustificarla. come presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, la dignità e l'autorità che rappresento e della quale non mi posso spogliare anche nei rapporti privati, m'impone di esprimere lo stupore per un rifiuto così eccezionale e di riservarmi di provocare dalla Segreteria di Stato un chiarimento".

Ettore Masina

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