1
Ho un ricordo indimenticabile delle poche ore trascorse a Buenos Aires una decina di anni fa. Ad ogni angolo di strada, in ogni quartiere, si rifacevano vive in me le amate pagine di Cortazar e di Borges, e quelle, più tenere, "popolari" e "rionali", dipinte da Osvaldo Soriano; ma più ancora scoprivo con emozione intere vie che sembravano trasportate di peso, per qualche incantesimo, da Milano o, meglio ancora, da Genova (e infatti genovesi, e approdati in Argentina, furono, alla fine del secolo XVIII i nostri primi eroici emigranti al di là degli oceani). L'elenco telefonico della capitale assomigliava a quello di una città italiana tanto era fitto di cognomi italiani, né trovai, allora e mai, un argentino che non sapesse l'italiano o almeno non lo capisse e non tentasse di parlarlo. Voglio dire che, come Montevideo e poche altre città dell'America detta Latina, Buenos Aires è una città "europea"; e dunque ciò che vi avviene sembra avvenire per le nostre strade. Quando si parla di certi terribili drammi africani o asiatici, si finisce purtroppo per legarli a un esotismo che ce li rende, in qualche modo, lontani, "altri"; ma ciò che accade a Buenos Aires, a Cordoba, in tutta l'Argentina, ha colori nostri, nomi nostri, parole nostre; e perciò quando qualcosa di terribile vi accade (l'immenso massacro dei giovani sotto la dittatura), i nostri governanti e industriali possono distogliere gli occhi - come fecero Andreotti e Agnelli, per amor di denaro - ma siamo in molti a sentirci anche più fortemente chiamati in causa, raggiunti da grida di dolore che siamo costretti a percepire con maggiore nettezza, inequivocabili.
Scrivo tutto questo avendo davanti agli occhi una notizia che nessun giornale italiano, se ho visto bene, ha pubblicato. E la notizia è che 8 milioni e 390 mila bambini e ragazzi argentini si trovano in condizioni di povertà, e di essi 4 milioni e 138 mila risultano gravemente denutriti; e risultano resi gracili dalla denutrizione delle madri più di un quarto dei bambini nati nell'ultimo anno in tre ospedali di Buenos Aires: La Ferrere., San Justo e Gonzales Catán. Nella capitale e nel suo hinterland ogni 10 bambini o ragazzi 7 vivono in povertà, e di essi quasi 4 sono da considerare in condizioni di assoluta miseria. Crescono di numero i bambini "di strada", aumenta la prostituzione infantile. Centinaia di piccoli condividono la tragedia dei "senza più casa" o frugano con i loro genitori nei cassonetti dell'immondizia, persino nei pressi della Casa Rosada, sede del presidente della repubblica. I militari hanno distrutto una generazione di giovani; le spietate leggi del Mercato, l'insipienza di politicanti corrotti e proni davanti ai diktat del Fondo Monetario Internazionale, al volere di Washington e delle multinazionali minaccia la vita di una generazione di bambini. L'Italia sta a vedere. Anche noi?(Sì, almeno sul piano della solidarietà si può fare qualcosa, "artigianalmente": Chi desiderasse unirsi a me in un sussulto di consapevolezza e di pietà, mi contatti. Lo so bene: la tragedia dell'Argentina richiede ben altri interventi e, da parte nostra, un ben più serrato impegno politico "globalista". E però non rinunzio a scorgere una forza vitale anche in una carezza che non sia soltanto elemosina).
2
Poiché scrivo di bambini, voglio dirvi qualcosa di una relazione scientifica sulla salute mentale dei piccoli palestinesi, documento totalmente ignorato anch'esso dai nostri illuminati giornali Il dottor Eyad El Sarraj, psichiatra, dirige a Gaza un Progetto comunitario di salute mentale. Come già al tempo della prima Intifada studia "sul campo" la situazione dei minori,
El Sarraj racconta che le parole "arrabbiato" e "atteggiamento di sfida" descrivono con precisione la tensione in cui essi vivono: "I bambini percepiscono facilmente le differenze tra le condizioni di vita dei loro miseri campi-profughi e quelle degli insediamenti israeliani. Queste differenze li inducono a chiedersi perché i bambini ebrei che vivono negli insediamenti hanno a disposizione parchi-gioco e piscine, mentre loro hanno fogne a cielo aperto e cumuli di immondizia o macerie ad ogni angolo di strada. Gli edifici degli insediamenti sono puliti, le strade sono pulite e i prati irrigati anche quando nei campi profughi c'è carenza di acqua.
"Il linguaggio dell'occupazione invia il messaggio che la vita non vale la pena di essere vissuta e che i bambini degli insediamenti sono considerati una fortuna mentre i bambini palestinesi dei campi profughi, delle città o dei villaggi non valgono nulla. L'ambiente trasmette il messaggio che i palestinesi sono nati per essere spaccalegna e scavatori di pozzi per i coloni e per l'economia israeliana. I bambini sono testimoni dell'umiliazione dei loro padri e fratelli maggiori quando questi fanno la fila al "mercato degli schiavi", sperando venga loro offerto uno dei pochi lavori disponibili: costruire un altro insediamento israeliano.".
Nel 1991 il Programma ha condotto uno studio sul campo su un campione di 2279 bambini: i risultati di questo studio hanno mostrato i potenziali effetti sulla loro psiche. I risultati erano stati ben dolorosi: Ma alla seconda Intifada ha risposto un vero e proprio uragano di violenza armata israeliana, che ha certamente rese anche peggiori le condizioni di salute mentale dei bambini palestinesi: Allora i ricercatori riscontrarono che "il 92,5% dei bambini erano stati esposti a inalazioni di gas lacrimogeni e l' 85% aveva visto la propria casa invasa dai militari Una delle esperienze che avevano comportato un trauma anche maggiore era quella, vissuta dal 42,5% dei bambini, di essere testimoni del pestaggio del padre".
Esperienze del genere- dice il dott.El Sarraj danneggiano nel bambino la percezione di sé e del mondo: "Se mio padre non è in grado di proteggere sé stesso, come potrà proteggere me?". La reazione inevitabile è un misto di paura, frustrazione, debolezza, rabbia e, forse più tragicamente, ribellione nei confronti del padre." Talvolta i bambini si identificano con i soldati israeliani quali simboli di potere. Infine si sentono spinti all'esterno a cercare nuovi eroi da sostituire ai loro padri che hanno fallito la prova".
Un altro studio ha mostrato che l'esposizione a traumi porta i bambini a soffrire di sintomi quali la paura del buio, dato che la notte è spesso scenario di eventi spaventosi; la regressione in cui sono costretti si manifesta bagnando il letto e nel continuo timore di eventi di violenza, ciò che si riflette nel peggioramento dei risultati scolastici.
Il rapporto El Serraj dice fra l'altro: "Ad ogni atto di ribellione e di difesa, gli israeliani reagiscono con maggiore repressione e brutalità. I bambini sono particolarmente colpiti. Dalla politica dello "sparare per uccidere" e delle "ossa spezzate" fino ai raid e ai pestaggi notturni, i bambini sono obbligati a confrontarsi con le nuove sfide di questi giorni. Essi non possono permettersi il lusso dell'infanzia mentre devono assumersi le preoccupazioni dell'età adulta. Se sei un bambino di Gaza, devi preoccuparti di essere inseguito, arrestato, picchiato e sparato; devi preoccuparti del tuo fratello maggiore arrestato qualche settimana prima, e del quale tua madre dice che la Croce Rossa non ha notizie. Sei anche preoccupato per tuo padre: riuscirà a ottenere un permesso di lavoro e sarà in grado di portare i soldi per il cibo, oggi? Sei angosciato per il tuo amico che è all'ospedale per una ferita di arma da fuoco; hanno detto che è stata una pallottola di gomma, ma è uscito molto sangue dalla testa. Non gli hai potuto parlare, perché era incosciente.
I "bambini delle pietre" non sono fatti di pietra: soffrono pene e paure. La vastità della loro esposizione a eventi traumatici è terribile anche dal punto di vista statistico: in base alla ricerca del GCMHP, il 42% dei bambini è stato picchiato, il 4,5% ha avuto ossa spezzate o ferite gravi, e il 19% è stato arrestato almeno per un breve periodo di tempo".
Il rapporto del dott. El Saraj (che qui non posso riportare per intero ma che può essere letto integralmente su www. forzapace.net), conclude, fra l'altro:
"Molte persone in tutto il mondo si stanno chiedendo cosa spinga questi bambini a sfidare il pericolo. E' spiacevole dirlo ma molte di queste persone non sono innocenti nel porre questa domanda; essa nasconde la convinzione che le madri palestinesi stiano spingendo i loro figli verso il pericolo senza curarsi delle conseguenze:. Invece la domanda dovrebbe essere "perché i soldati israeliani uccidono i bambini? Cosa ci fanno soldati e coloni sulla terra palestinese?".
3
Mi ha telefonato Gino Strada, di Emergency, per chiedermi di firmare un appello per la pace. Gliene sono stato riconoscente: in questo terribile momento in cui l'avidità petrolifera di Bush, con il supporto della follia vendicativa di gran parte dell'opinione pubblica degli Stati Uniti e, per quel che riguarda l'Italia, della scodinzolante solidarietà di Berlusconi, sta per scatenare un altro terribile massacro, credo che ciascuno di noi debba dire ad alta voce se è per la guerra o per la pace, se dobbiamo muovere verso l'angosciante prospettiva di un nuovo bipolarismo: da un lato gli Stati Uniti e i governi di destra europei, dall'altro tutto il resto della Terra: una prospettiva che ha in fondo a sé un'altra guerra mondiale. Qui di seguito il testo dell'appello preparato da Gino, firmato da un buon numero di intellettuali e altri opinion-makers ma aperto alle adesioni di tutti i cittadini. Chiedo anche a voi, naturalmente, di firmarlo nelle prossime ore:
Fuori l'Italia dalla guerra
Vogliamo un mondo basato sulla giustizia e sulla solidarietà. Ripudiamo la violenza, il terrorismo e la guerra come strumenti per risolvere le contese tra gli uomini, i popoli e gli stati.
Chiediamo che l'Italia, di fronte alla minaccia di un attacco militare contro l'Iraq, non partecipi ad alcun atto di guerra, nel rispetto della Costituzione.
Non vogliamo essere corresponsabili di nuovi lutti, né vogliamo alimentare la spirale del terrore
la spirale del terrore.
Basta guerre, basta morti, basta vittime.
Per aderire: www.emergency.it
Voglio dire ancora: come tanti altri italiani ho assistito giorni fa alla trasmissione televisiva del film "Salvate il soldato Ryan". Benché in alcune parti gonfio di retorica, è un documento che mostra tutta la ignobile ferocia della guerra. C'è un momento alto del film ed è quello in cui un soldato dice. "Ogni volta che uccido un uomo mi allontano da casa". Vuol dire: vado lontano dai sentimenti di umanità, dal sorriso dei bambini, dall'amore che rende teneri, dalla saggezza di chi sa che nell'altro c'è sempre un po' di noi e un'immagine di Dio. Maledetti i potenti che non percorrono tutte le strade della pace prima di mandare la gente a uccidere e a morire.
4
Poiché scrivo questa lettera l'11 di settembre, non posso fare a meno di ricordare, con commozione e pietà, le vittime americane di un terrorismo che non può accampare alcuna scusante. I morti di New York povera gente minuta, come me, piccoli impiegati e lavoratori "in nero", ragazze che stavano per sposarsi, padri di una famiglia amatissima rimarranno a lungo nel mio cuore; così come il coraggio dei pompieri e dei poliziotti che cercarono di salvarli, con disperato eroismo. Né posso fare a meno, oggi, di ricordare, con commozione e pietà, le decine di migliaia di vittime del colpo di stato cileno dell'11 settembre 1973, dal presidente Allende al più povero operaio: i torturati gli uccisi, i desaparecidos, gli esiliati: Un immenso mare di dolore scatenato e per diciassette anni alimentato - dal terrorismo di Kissinger, della CIA e delle multinazionali. Anche queste vittime di un terrorismo insegnato in apposite accademie della più grande democrazia del mondo rimangono nel mio cuore e nel cuore di tanti altri; insieme con il disperato eroismo di chi continuò a resistere alle violazioni della legalità e dei diritti umani.
Trovo bene espressi i miei sentimenti di questa giornata in un breve comunicato stilato dalla parrocchia dei Santi Bartolomeo e Gaetano di Bologna e dal Segretariato attività ecumeniche in occasione di una veglia di preghiera:
Allora fu detto "non sarà più come prima".
Tutte quelle morti, quell'orrore, quel terrore hanno cambiato qualcosa oltre il sobbalzo economico ed il riflesso sul commercio, sul turismo, sulla borsa?
I tanti timori di prima, le troppe ingiustizie che dividono il mondo tra libertà e oppressione, tra benessere e fame, con quanto questa si porta dietro di malattia e di ignoranza, con le continue guerre che non ci toccano, nonostante il mondo sia sempre più piccolo e ogni terra più vicina, con una fratellanza universale sempre predicata e mai vissuta tutto rimane perennemente eguale, inascoltato?
Facciamo memoria delle persone colpite nelle Torri e sugli aerei, di chi accorreva per soccorrerle e morì con loro ma anche, e nel medesimo tempo. Di chi moriva in quel giorno per malattia, per fame, per conflitto armato, per odio in qualche parte della Terra.
5
Anche questa volta sono costretto a chiedervi scusa per non avervi inviato LETTERA di agosto. Il fatto è che non mi è stato davvero possibile, a causa di problemi di salute. A questo proposito, poiché dalle telefonate che ricevo sembra che qualcuno pensi che io sia moribondo, chiarisco che, grazie al cielo, non è così. Sono stato una settimana ricoverato nell'ospedale di Bolzano per fibrillazioni atriali. Seguo adesso due terapie farmacologiche che mi consentiranno di sottopormi a un piccolo intervento chiamato "cardioversione". Rimango purtroppo, questo sì, bloccato a Roma per un certo tempo. Ma cerco di rimanere non solo vivo ma anche vitale.
6
I libri
Naturalmente ne approfitto per leggere molto. La Repubblica e il Corriere della Sera stanno pubblicando libri assolutamente bellissimi. Il grande autore che ho scoperto soltanto adesso (vergogna!) è Joseph Roth, di cui il Corriere ha pubblicato il mirabile "Giobbe. Romanzo di un uomo semplice". Dovete leggerlo assolutamente: fedele al suo titolo è una "cantata" moderna del grande "patriarca" di tutti gli afflitti che nel suo dolore contende aspramente con un con Dio che gli sembra non padre ma crudele persecutore Interessante e imprevedibile il Simenon de "L'uomo che guardava i treni" (La Repubblica). Ho goduto dell'inesauribile sorriso di Jorge Amado, il grande Boccaccio bahiano, rileggendo "Donna Flor e i suoi due mariti" (il Corriere) e ho ripreso in mano con emozione il "Kim " di Kipling (ancora il Corriere), certamente un documento colonialista, ma quanto appassionante! Ho sul comodino il "Furore" di Steinbeck (La Repubblica) e mi commuove: insieme a un altro romanzo dello stesso autore, non ripubblicato da moltissimi anni, "La Battaglia" ("In a dubious Battle"), "Furore" è stato uno dei cardini della mia formazione culturale e politica. Naturalmente la scelta dei due quotidiani cerca di variare al massimo la selezione e non sempre felicemente. Per esempio, La Repubblica ha pubblicato un libro del celebre Bukowski , "Post-Office" , che non saprei dire se più noioso o volgare. Un'altra delusione è stata per me la lettura de "La figlia della fortuna" di Isabel Allende: (pubblicato da Feltrinelli, ¤ 7,23): sembra composto di cascami di altri romanzi. Appassionante, invece, scritto benissimo e basato su una grande documentazione storica "Espiazione" di Ian Mc Ewan (Einaudi, ¤ 18): il mondo ambiguo dell'infanzia (sant'Agostino diceva. " i bambini sono angeli decaduti"), la disperata epopea della rotta delle truppe inglesi su Dunkerque, nel 1940, l'orrore degli ospedali gremiti di feriti e di mutilati, una famiglia dispersa, una difficile storia d'amore.
Infine vi segnalo poche pagine, preziose, come sempre, del resto, del nostro Grande Vecchio, Arturo Paoli. "Della mistica discorde. L'impegno come contemplazione" (edizioni La Meridiana, ¤ 6,20). Sconfitte le ideologie, in crisi i partiti, deboli le filosofie, è arrivato il momento di contemplare la storia dei poveri e i valori di cui i poveri sono portatori.
Un saluto affettuoso