il Rimino - Riministoria


La guerra, dal Piave al Vietnam

di Ettore Masina [da "Segno nel Mondo"]


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Qualche volta, molto raramente, mio padre raccontava della guerra che aveva combattuto: quella del 1915-1918, che a noi bambini, a scuola, insegnavano a chiamare con venerazione (perché l'Italia l'aveva vinta) "la Grande Guerra". Una sera mio padre narrò di quando gli austriaci avevano lanciato i gas asfissianti sui nostri soldati alle falde del Monte San Michele che sbarrava le porte di Gorizia. Diceva che da quel settore erano arrivate dapprima urla altissime e un gran numero di spari, cui era seguito un profondissimo silenzio. Per un gioco del vento lui e il suo battaglione non erano stati investiti dalle nubi velenose. L'artiglieria aveva bloccato l'avanzata austriaca e quando mio padre e i suoi compagni erano riusciti ad andare al soccorso dei commilitoni, avevano trovato centinaia di cadaveri dal volto verdastro, i ventri mostruosamente rigonfi. Ne avevano seppelliti a decine, poi era sopraggiunta la notte. Allora, tornati in trincea, mio padre e i soldati che erano con lui avevano sentito correre per la landa arsa e sconvolta del campo di battaglia immense torme di topi che andavano a rodere quei corpi. Dopo quel racconto, quella notte non riuscivo a dormire: anche a me, mentre mi tiravo le coperte sul capo, sembrava di sentire il lavorìo frenetico di migliaia di piccole mandibole.

Ho ripensato spesso a quel racconto. L'orrore è rimasto ma vi si è unita una considerazione anche più spaventosa, questa: i figli dei poveri soldati morti sul San Michele furono condannati alla tragedia dell'orfananza, ma l'arma che aveva ucciso i loro genitori non li raggiunse; adesso, invece, le guerre si protraggono molto al di là degli armistizi, colpiscono per generazioni. In Vietnam, a Hochiminhville, cioè Saigon, conobbi anni fa la dottoressa Thi Ngoc Phuong. La chiamavano "la madre dei mostri" perché, con infinita pietà e con una maestria che le aveva valso una grande fama internazionale, riusciva a dare sembianze umane a qualcuna delle creature nate deformi (ma deformi è un eufemismo) in seguito alla irrorazione di defolianti operata dagli americani per stanare i viet-cong. La guerra era formalmente finita ventidue anni prima, ma nell'ospedale Tu Du continuavano ad arrivare bambini che sembravano (non so come dirlo) granchi umani. Venivano da tutti i villaggi dell'ansa del Mekong o dalla cordigliera centrale, ma erano una parte minima di quella sfida della chimica di guerra al Creatore, perché molti e molti altri rimanevano senza cure nei villaggi devastati delle zone più impervie. Adesso la dottoressa Thi Ngoc Phuong, nel cui studio stavano due grandi vasi di vetro con due bambini a due teste, nati-morti per fortuna, è andata in pensione, ma migliaia di bambini deformi (ricordate: deformi è un eufemismo) continuano a nascere nelle zone irrorate di diossina.

Nel Kosovo e in Iraq accade lo stesso per l'uso ormai "antico" dei proiettili all'uranio impoverito. E negli Stati Uniti il Pentagono ha un gran daffare a nascondere la quantità di bambini "anormali" nati dai veterani in Vietnam, nei Balcani e nel Golfo del 1991. Ogni tanto un giudice americano condanna una delle società chimiche produttrici di veleni a risarcire (anche questo è un eufemismo) i genitori di quei piccini "sfigurati al punto da non parere più un uomo". Nessun giudice si occupa dei bambini del Vietnam, del Kosovo e dell'Iraq. Né delle altre devastazioni di guerre "di tanto tempo fa": anche la catena alimentare, infatti, risulta ancora inquinata da radiazioni e veleni; e molte falde acquifere. Tante piccole Hiroshima "periferiche" continuano a perpetuare l'orrore radioattivo o (Dio non voglia) ne preannunzino uno ben più grave. Intanto in tutto il mondo, ogni giorno, in zone in cui teoricamente la pace è tornata da anni e anni decine di bambini rimangono mutilati dai milioni di mine sparse su campi di battaglie che sembrano lontanissime nel tempo. Una mina rimane in funzione vent'anni e quando domandai a uno dei tecnici della produzione italiana (i cui ordigni sono disseminati tuttora in immense aree) perché non si pensasse di dare a questi strumenti di ferocia tecnologica una efficacia limitata nel tempo, mi guardò sorpreso: "Nessuno ce l'ha mai chiesto". Ricordo di avere visto a Beled Wayn, nell'Ogaden, due bambini che erano saltati su una delle tante mine italiane vendute imparzialmente alla Somalia e all'Etiopia in guerra fra loro. In un fatiscente ospedale, li curavano amorosamente medici italiani. "Sono condannati all'ergastolo" mi disse un dottore; e poiché io mostravo di non capire, spiegò: "Sono figli di una tribù di pastori, nomadi che ogni giorno si spostano per 15-20 chilometri. Quando usciranno di qui, i genitori non potranno fare altro che appoggiarli all'ombra di un muretto dove camperanno la vita del mendicante". La guerra era finita da quattro anni. E non è soltanto questione di mali fisici: un orfano di soldato, un ragazzino che ha visto morire la madre in un bombardamento, un bambino che ha vissuto terribili traumi diventa assai spesso, ci dicono gli psicologi, un padre che trasmette ai sui figli il marchio delle psicosi.

Basterebbe questa constatazione - che le guerre continuano per decenni, per generazioni successive a quella che ha firmato un trattato di pace, a infierire su bambini (almeno loro!) totalmente innocenti - per dire che le guerre moderne sono legate alla ferocia dei secoli più bui della storia: o che forse, nonostante tanti progressi, questo in cui viviamo è uno di quei secoli.

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La guerra moderna ha anche un'altra caratteristica: colpisce non più soprattutto i soldati ma soprattutto gli inermi. Sempre i "civili" (le donne, i vecchi i bambini) sono stati coinvolti nella tragedia delle guerre: guerra non significava soltanto vedove e orfani, ma eserciti che avanzavano, si scontravano in battaglia, si ritiravano su ampi territori; e dunque distruzione di ponti e di case, di strade, di coltivazioni e di pozzi; e fame e terrore e stupri; e odio che sarebbe durato per decenni. Ma dal 193/ in poi, dalla distruzione di Guernica ad opera dell'aviazione nazista prestata ai falangisti, la guerra ha cominciato a uccidere intenzionalmente anche e soprattutto lontano dai fronti di battaglia. I generali hanno compreso che i nemici combattono più fiaccamente, demoralizzati e sconvolti, quando sanno che la guerra sta distruggendo le loro case e i loro figli. E' nata così la guerra-terrorismo, quella che colpisce gli inermi per disarmare gli armati: La distruzione di città come Coventry in Gran Bretagna o Dresda in Germania è l'emblema di questa violenza insieme selvaggia e astuta. Hiroshima e Nagasaki sono la vergogna incancellabile della storia del mondo cosiddetto libero, democratico. Avvennero nella prima metà del secolo XX: ma i bombardamenti sulle popolazioni del Vietnam del Nord sono della fine degli anni '60, quelli su Baghdad e su Belgrado sono degli anni '90, i missili sulle case di Gaza, di Janina e di Ramallah hanno inaugurato l'orrore del secolo XXI. Del resto, 13 mila testate atomiche intatte sono l'eredità lasciata dal 1900 al nostro oggi.

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I governanti che hanno scatenato le guerre hanno sempre sostenuto di voler restaurare la giustizia e la razionalità, cioè i presupposti della pace. In realtà la guerra ha ormai trascinato nel fango tutte le sue bandiere perché ha assunto il peggio della storia. Come una conchiglia oceanica, che costruisce il suo guscio non elaborandolo con un proprio materiale ma usando pezzi di altre conchiglie, o come una spugna immersa in un liquido velenoso, la guerra è andata assumendo in sé, lungo la storia umana, il peggio delle ideologie distruttive, del nichilismo, delle perversioni, del fanatismo scientifico che indaga le proprie potenzialità e celebra le proprie vittorie senza curarsi delle sofferenze dell'uomo. Gli arsenali di certi paesi - forse l'Iraq, certamente gli USA, certamente Israele - sembrano essere progettati non tanto dal dottor Stranamore, terribile macchietta inventata, quanto dal dottor Mengele, quello dei lager nazisti che studiava la sopravvivenza dei torturati: sono armi proibite da tutte le convenzioni internazionali eppure considerate "contro l'umanità" soltanto se in possesso degli avversari. La possibilità di un loro uso, giustamente negata ai dittatori, sembra resa lecita dal fatto che la possa decidere un governante il cui nome sia uscito dalle urne di un processo democratico (o quasi).

Se il terrorismo è negazione dell'uomo, allora possiamo leggere il suo contagio su tutte le divise e le bandiere: Basterebbe pensare alle condizioni in cui vengono tenuti i prigionieri delle nuove guerre. Si nega loro la qualifica di combattenti, e così gli accordi umanitari internazionali si perdono nel vento dell'ipocrisia. Si è andati alla guerra contro il governo dei talebani (governo ex amico, non lo si scordi, riconosciuto ai massimi livelli in tutte le sedi internazionali, grazie al patrocinio degli USA) ma alle sue milizie non è stato riconosciuto lo status di prigionieri di guerra: perciò a centinaia i soldati di Kabul sono morti di freddo, di fame, di mancanza d'ossigeno, chiusi in contenitori; centinaia sono stati massacrati in carcere; centinaia sono stati deportati in un'isola lontanissima della quale tuttora non conoscono l'ubicazione: trascinati su aerei militari, incatenati mani e piedi, probabilmente drogati, gli occhi bendati, tamponi alla bocca e alle orecchie in modo di non poter comunicare fra loro, costretti a orinarsi e defecarsi addosso nel corso di un viaggio di 18 e più ore. Viene in mente, anche se la citazione è impropria, la disperata constatazione di Primo Levi: "Se questo è un uomo". Qualche centinaio di casi, certamente, e non la mostruosa apocalisse nazista, imparagonabile con qualunque altra tragedia della storia; e tuttavia quando aberrazioni del genere vengono accettate e addirittura studiate dagli "esperti" di un esercito, allora questo esercito regredisce ai tempi dell'Inquisizione.

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Otto piccole suore americane sono state condannate il mese scorso da sei a dodici mesi di reclusione per avere partecipato nel novembre 2002, alle manifestazioni che si svolgono tutti gli anni davanti alla "Escuela de las Americas", che ha sede in Georgia in una base militare chiamata Fort Benning. La "Escuela", un tempo, era situata nella Zona del Canale di Panama, poi è stata trasferita negli States. Vi sono passati, complessivamente, in trent'anni di attività, decine di migliaia (80 mila, secondo alcuni) di "quadri" degli eserciti delle dittature militari latino americane: dal colonnello Noriega, losco dittatore di Panama e già figlio diletto della Casa Bianca al colonnello D'Aubuisson, mandante dell'assassinio del vescovo Romero e agli autori dell'uccisione dei 6 gesuiti di San Salvador, dai torturatori brasiliani a quelli cileni a quelli uruguaiani, Ricordate "L'Amerikano" di Costa Gravas? Ecco, gente così: E' possibile - e quasi certo - che in altri paesi esistano scuole "contro-insurrezionali" del genere, e certamente il regime di Saddam Hussein non è secondo ad altri nell'uso della tortura e dell'eliminazione dei torturati: ma, per l'appunto, parlando di Saddam Hussein, parliamo di un feroce dittatore da rimuovere al più presto: la vergognosa bandiera di Fort Benning, detta l'Università della Tortura, sventola invece nel cielo del grande paese che fu di Lincoln e di Franklin Delano Roosevelt, il presidente che portò l'America in lotta contro il nazismo..

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Molte sono le ragioni per le quali non si può vincere il terrorismo con la guerra. La prima è che il terrorismo non è un'entità statale, non ha un esercito, non ha strutture pubbliche, non si immedesima con un governo: L'Afghanistan è stato arato di bombe e di carri armati, ma è mancata la cattura di bin Laden, dichiarato obiettivo della guerra. Né, per quanto la Casa Bianca parli di un Grande Satana Terrorista, c'è un solo terrorismo: quello. filippino non ha niente a che vedere con quello palestinese o con l'Eta o con gli epigoni delle Brigate Rosse italiane né con il terrorismo di stato nord-coreano o colombiano. Perciò la guerra a un dato paese non sradicherà mai il terrorismo, il terrorismo può essere vinto soltanto tagliandogli i collegamenti con i grandi potentati economici che lo sostengono e risanando le spaventose situazioni di ingiustizia dalle quali provengono tanti suoi esponenti. Al contrario, le guerre, aumentando le zone dell' ingiustizia e della disperazione dei popoli, aumentano a dismisura le nascite dei terrorismi. Da questo punto di vista le guerre sono, con ogni evidenza, del tutto controproducenti.

Ma la ragione principale per la quale il terrorismo non può essere definitivamente vinto è che il terrorismo ha già vinto molte battaglie e continua a vincerne. Se infatti, per combatterlo, le democrazie rinunciano alle garanzie proclamate dalle loro costituzioni, se un numero crescente di cittadini si trova di fronte a uno stato di polizia, a pratiche illegittime, a sospensioni o violazioni di diritti, alla degradazione (ormai evidente) del diritto internazionale, alla violenza fatta alle grandi istituzioni, allora c'è già del terrorismo nel cuore di quegli stati, il serpente della ferocia ha già posto le sue uova nel nido delle aquile.

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La propaganda di guerra tiene altissima la voce come fanno i ciarlatani e sventola immagini a non finire per alimentare il furore irrazionale del pubblico. Ma poi la guerra dei nostri anni agisce nella segretezza assoluta alla stregua degli assassini. Fu nel 1983 che il Grande Comunicatore, il presidente Ronald Reagan, nel momento in cui mandava le sue truppe a invadere la piccola repubblica di Grenada, troppo vicina a Cuba per i suoi gusti, decise che i giornalisti non potessero più seguire le operazioni delle forze armate americane. Egli non dimenticava che il ritiro degli USA dal Vietnam era dovuto al fatto che quella guerra era stata portata dai mass media sin nelle case degli States e che la vista di quegli orrori aveva provocato una profonda rivolta politica. Oggi Reagan brancola nelle nebbie dell'Alzhaimer ma i due Bush, suoi legittimi discendenti ideologici, e del resto anche Clinton a suo tempo, hanno fatto tesoro di quella prudenza. Giornalisti al seguito, ma sottoposti a una censura, la quale, naturalmente, si chiamerà "necessità militare": Abbiamo visto e vedremo, delle guerre di questi anni, soltanto quello che i comandi supremi vorranno farci sapere: giochi di luce, eventi elettronici e, tutt'al più le immagini dei profughi a stimolare il buon cuore del pubblico televisivo. E anche questa segretezza indica la volontà di spossessare l'opinione pubblica di ogni responsabilità e capacità di reazione. E' un'altra negazione della democrazia: una casta politico-militare pretende di avere mano libera e di agire "per il nostro bene".

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Viviamo giorni terribili e meravigliosi. Contro ogni previsione dei professionisti della politica e della psicologia delle masse, da tutta la Terra si è levata un'ondata di NO alla guerra, una immensa protesta globale. Benché io abbia ormai vissuto una lunga vita, non ricordo di avere mai assistito a un fenomeno così imponente. E' una gigantesca forza politica della quale è impossibile prevedere come si esprimerà localmente ma i cui principi appaiono inequivocabili: NO alla ferocia, alla degradazione del diritto, alla logica delle armi, SI' alla custodia del Creato, alla giustizia internazionale, al dialogo, alle istituzioni di pace. Proprio nel momento in cui l'arroganza imperiale minaccia. di smantellare politicamente il Palazzo di Vetro, sembra risuonare la parola del Dio di Isaia. "Non indugiatevi a parlare del passato...Ecco - non vedete? - io sto creando in mezzo a voi una cosa nuova".

La volontà di pace apre nuove strade all'ecumenismo. Le grandi chiese cristiane, da Mosca a Canterbury, riecheggiano le parole del Vecchio di Roma; una delegazione della Chiesa metodista americana, cui appartiene il presidente Bush, viene a dire a Giovanni Paolo II affetto e consenso: Dall'epoca della "Pacem in terris" il vangelo di giustizia e di pace non era apparso agli uomini così amabile e forte. Tocca a noi, adesso, esserne viventi testimoni.

Ettore Masina

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